BETILO (βαίτυλος baetylus; da bēt el, parole semitiche che significano "casa del dio", e dio stesso)
Un'iscrizione proveniente dal Mithraeum di Dura chiama maṣṣēbōt o "bètilo" il dio della sorgente di Palmira, adorato a Dura; Filone di Biblo parla del dio fenicio Baitylos (Fragm., 19, i, 7). Il significato di b. si identifica con quello di maṣṣēbōt, cioè le massebe, che erano stele, o cippi, o pilastri di pietra, all'origine non lavorati o rozzamente levigati, spesso con qualche emblema raffigurante il sesso maschile nel caso che la pietra figurasse un dio, o la femminilità quando si trattasse d'una dea. Le massebe cananee erano situate su luoghi alti, detti bāmōt, dove, isolate o a gruppo, eran circondate da un cerchio di pietre che indicava la sede del nume ed il luogo di adorazione (Gezer, Tell es-Safi ecc.).
All'origine del b. - maṣṣēbōt sta, dunque, un elemento aniconico di pietra, messo verticalmente, cioè nella posizione di una "figura animata", di una "forma vivente", che, per affondar per terra e drizzarsi al cielo, traduceva per il primitivo l'ideologia di una sorta di comunione cosmica nella quale anch'esso forse veniva a identificarsi. Se, pertanto, non si può escludere che il b. continui le antichissime rappresentazioni simboliche e feticistiche delle religioni naturalistiche, si associa in esso anche il concetto della animazione degli elementi, proprio d'una fase più progredita dell'animismo che, tuttavia, evita (e non perché sia incapace di farlo) di risolvere l'indistinto morfologico nel concreto d'una forma personificata. Si deve fondamentalmente a questa natura indistinta delle pietre sacre betiliche se la ragione del loro culto si ammanta di un certo mistero e se il loro contenuto è talvolta costituito di essenze ideali sovrapposte e composte in una così stringente unità che vano è, non di rado, individuarne il significato concettuale specifico.
Si capisce così perché mentre, talvolta, il b., nelle sue varie forme (conica, piramidale, cilindrica, prismatica ecc.), può figurare la stessa sommità della montagna, cioè la stessa bāmāh o, con una simbologia più elevata, la "montagna cosmica" (stele mesopotamica di Naràm-Sin [v. Accadica, Arte]; simbolo della piramide egizia o della ziqqurat sumero-accadica), talaltra traduce l'immagine del sole (simbolo dell'obelisco egiziano), o del "fallo" (bètili maltesi e sardi nuragici). Altre volte ancora la pietra betilica significa la Dea-madre, nei suoi varî aspetti (uranici, astrali, frugiferi, ctoni, ecc.) o con i segni palesi della maternità (mammelle) o senza alcuna particolare indicazione, per l'ossequio all'accennato concetto biocosmico universale, che si esprime con l'indistinto materiale (stele preistoriche e stele storiche di età e cultura fenicio-punica).
La concezione del b. è strettamente mediterranea, e il suo sviluppo morfologico dai rudi esempî iniziali alle fogge di fine lavorazione e di complessa iconologia e simbologia, va distinto da quello del menhir (v.), che segna una forma di più vasta estensione atlantico-mediterranea, forse con centro primario occidentale, con particolare sviluppo dallo aniconico allo iconico (menhir-statua menhir), non riscontrata nell'Oriente, se non forse negli strati antichi di Hissarlik. Orientale sembra, invece, il centro primario del bètilo. Esempî se ne hanno nel sostrato sumerico non ario; ma soprattutto sono le popolazioni antico-semitiche siro-palestinesi (cananee) e mesopotamiche, quelle che mostrano di prediligere l'espressione astratta della divinità sotto la specie delle maṣṣēbōr. L'idea che l'Essere supremo sia troppo in alto, troppo grande per potersi occupare della terra, idea caratteristica della civiltà nomade-pastorale, ben esemplificata nei popoli semitici, ha determinato queste genti, nello stadio patriarcale, a costringere l'aspetto della divinità nell'apparenza remota e arcana del simbolo. I grandi spostamenti culturali asianici, avvenuti prima in tempi protostorici e poi storici (III-II millennio a. C.), specialmente con l'affermarsi del colonialismo fenicio-punico nell'Occidente mediterraneo, hanno soprattutto contribuito al diffondersi dei culti betilici da E ad O; da ultimo, si è aggiunta l'attrazione esercitata sul mondo romano da aspetti estremamente suggestivi delle religioni misteriosofiche dell'Oriente (culto del b. della Gran Madre di Pessinunte.). Così, in vari tempi e per vicende diverse, le pietre sacre hanno marcato la presenza dello spirito religioso degli antichi pastori nomadi orientali in seno ai popoli occidentali del Mediterraneo, con influenze più o meno larghe e incidenti a seconda del grado culturale e delle strutture economico-sociali interessate, per cui maturarono processi particolari di sintesi, rispecchiati dal complesso contenuto delle stesse pietre, e spettacolari persistenze (bètili dell'Arabia preislamica d'origine nabatea; bètili nuragici fatti oggetto di culto durante il papato di Gregorio Magno: cfr. Migne, Patrol. Lat., vol. 77, 1896, col. 692, B).
I bètili si possono raggruppare in due grandi periodi: quelli di epoca pre-protostorica, e quelli di epoca storica. Per quanti secoli possano essere trascorsi fra gli uni e gli altri, v'è certo un legame ideologico, e, talvolta, si mostra anche una continità di forme, cioè un nesso iconografico-stilistico, di cui va fatta parte al carattere conservativo della religione. Va pure notato che le aree ricche di bètili in tempi remoti, lo sono ugualmente in tempi recenti, ciò che indica una speciale attitudine ricettativa e concentrativa di quegli ambienti (Siria-Palestina; Malta; Sardegna).
a) Bètili pre- e protostorici.
Il culto betilico dovette apparire ben presto nelle regioni dell'Anatolia e della Mesopotamia: ne fan fede rappresentazioni su stele e cilindri sumero-accadici (assiro-babilonesi), ed esempi in argilla di Lagash e Nippur in Babilonia; per l'Anatolia è significativa la venerazione dell'aerolito della Dea frigia, madre della montagna, diffusasi poi in Creta e, forse, anche in Occidente, già dal II millennio a. C. (tempio-terrazza di Monte d'Accoddi (v.) presso Sassari, in Sardegna). Note le maṣṣebōt di Gezer e Tell es-Safi, quelle di Beisan in Palestina; e, nella Siria settentrionale, si ricordano le pietre nere di Emesa e di Mishrifé-Qatna, i bètili di Suran e di Hama. Vi risponde Cipro con cippi conici ornati a reticolato dello strato neolitico di Chirokitia, i quali trovano paralleli nei coni votivi di Vinča (Iugoslavia; in terracotta) e dell'isola di Malta (supposto tempio di Tarxien, in pietra) di tempi eneolitici-enei.
Si tratta forse, per quest'ultimi, d'influenza asiatica tramite l'Egeo, dove Creta testimonia ampiamente l'adorazione dei bètili sia con certi segni della simbologia e del rituale dell'antro Ideo, sia con il culto delle colonne e dei pilastri. Un'imponente raffigurazione betilica costituisce il rilievo della famosa porta micenea "dei Leoni", emblema e difesa magico-religiosa della città: la colonna, simbolo della Dea madre del monte, è associata agli accoliti teriomorfi della divinità, residui totemici di antica civiltà matriarcale.
Oltre i menzionati coni votivi in calcare, in forma di mitra, ritrovati in un caso nei pressi d'un grande idolo femminile obeso, l'isola di Malta offre altri esempî di maṣṣebōt. Il più imponente è il grande b. conico (alt. m 1,41), contenuto nella cella tripartita dell'edificio megalitico della Gigantia di Gozo; più piccoli, ma non meno interessanti, un cippo piramidale (alt. m 0,17), decorato con le bucherellature a favo comuni nell'ornato maltese, che segnava il luogo del citato idolo nel cosiddetto tempio di Tarxien, e, dalla stessa costruzione, le placche in pietra, di carattere nettamente simbolico, con triade e coppia betilica su base, entro un'edicola o meno; (la forma del b., chiaramente fallica, indica un dio maschio fecondatore: sole?). Sono i paradigmi formali degli spartiti iconici delle stele fenicio-puniche.
Ma, in Occidente, sono le culture indigene preistoriche e nuragiche della Sardegna a fornire la più ricca e significativa testimonianza del culto dei bètili. A parte i documenti primitivi, dati dagli ipogei neo-eneolitici (domus de janas) adorni di pilastri con schemi di teste taurine che richiamano la sfera spirituale egeo-cretese (v. Sarfegna), la più ovvia, progredita e recente serie è costituita dai cippi conici, messi a segno e guardia dei luoghi funerari e di culto. Una trentina e più di siffatte pietre, di basalto (si noti il color nero), chiamate dal popolo talvolta "marmuradas" (cioè marmorizzate, favoleggiando di donne che si pietrificano), contornano le grandi tombe megalitiche di età nuragica, dette "tumbas de sos gigantes" (tombe dei giganti). Alcune mammellate, taluna con particolari allusivi al membro maschile, le più liscie, ma tutte elegantemente rifinite, adombrano nel concreto le due ideologie abbinate della Gran Madre e d'un dio-padre, in cui può scorgersi, forse, il valore dell'elemento erotico-sessuale, pur entro il rituale funerario, come mezzo di recupero magico della vita umana compromessa dal mistero della morte. In altre pietre, situate nei pressi di pozzi sacri o di tempietti rettangolari attribuiti alle fasi più evolute della civiltà nuragica, si nasconde la presenza di analoghi principî, contenuti nella specie dell'animazione di elementi naturali (acque, ecc.). Singolare una colonnina betilica, ritrovata nella "Sala del Consiglio" (che era anche sede di culto) del villaggio di Barùmini (v.), in cui si ripete la forma schematica della torre nuragica, diventata anch'essa, per trasposizione simbolica, l'immagine della custodia e della salvezza divina. Infine, come a Malta, si ha la raffigurazione del doppio bètilo attraverso l'associazione materiale dei due elementi simbolico-concettuali in un'unica pietra, che è idolo e altare insieme (da una capanna del santuario di Santa Vittoria di Serri, Nuoro).
b) Bètili di età storica.
Il centro primario dell'Oriente continua a mostrare per la rappresentazione betilica il fervore delle origini: la Siria specialmente. Qui si raggiunsero forme fastose e preziose, come a Tiro, dove Ba'al Melqart era figurato nel suo tempio da due colonne, l'una d'oro e l'altra di smeraldo (Herod., II, 44). Qui anche si ebbero forti persistenze fino in epoca romana (bètili del Mithraeum di Dura, pietra ritta di Palmira, cono di Emesa trasportato a Roma da Vario Avito Bassiano, ossia da Elagabalo che prese il nome di quel Dio-sole). Non minore fu l'adorazione a Cipro, dove nel tempio di Paphos, stando alle parole di Tacito e alle rappresentazioni sulle monete di Vespasiano e Settimio Severo, Astarte era simbolizzata da un grande cono betilico al centro d'una cella tripartita; (coni di marmo e un alto cono di calcare furon trovati in concreto in questo tempio, sede del culto della dea e di Adone). Parimenti, la "Ba‛alat Gebal", la Signora di Biblo, si nasconde in un cippo conico effigiato sulle monete di Carino; (nel santuario di questo sito il Dunand ha scoperto un grosso b. su zoccolo, contornato da varî altri conici e piramidali).
La tradizione cultuale dei bètili preistorici egeo-balcanica sembra vivere ancora nell'omphalòs del tempio di Apollo Delfico, come quella maltese eneolitico-enea si conserva nelle colonne tronco-coniche su piedistallo di Malta, consacrate a Melqart da Abdosir e Osirmar, confrontabili con un esemplare da Cherchel (Tunisia).
Malta partecipa già delle concezioni e dello spirito della civiltà religiosa semitico-occidentale (punica) che, per quanto non abbia mancato di lasciar sue tracce nella Sicilia dell'O, ha impresso profondamente l'orma nell'Africa e nella Sardegna, dove la ideologia primitiva e congeniale (rendimento astratto della divinità), per effetto di prestigio nazionale, nella prima, e per mancata influenza di altre civiltà colte, nella seconda, ha potuto durare più a lungo, svolgendosi tuttavia con aspetti varî, ambientali nella sostanziale unità. Nella Sicilia, il tofet (campo d'urne di bambini sacrificati a Tanit o a Ba‛cal Hammon) di Mozia (San Pantaleo), offre una nutrita serie di stele a piccola edicola (riproduzione del ma‛cabad, cappella con immagine divina) nella quale si contengono uno e, raramente, due pilastrini betilici di profilo rettangolare e trapezoidale (cioè prismatici o tronco-piramidali, a vederli in pieno spazio). La maggior parte delle stele risale all'VIII-VII secolo a. C.; l'esclusività o quasi della rappresentazione simbolica (eccezionale la figura umana), è qui dovuta all'alta antichità che non permise incontri consistenti con la civiltà figurativa siceliota a concezione antropomorfa. Altre stele furon trovate a Lilibeo (Marsala), con simbolismo più complicato e, parrebbe, più evoluto rispetto a Mozia.
La Sardegna conosce per eccezione il tipo del b. isolato (en plein air), di natura cultuale, nel cippo piramidale trovato nei pressi del tempio di Tanit a Nora (Pula-Cagliari); del resto presenta numerosissimi esempi di stele funerarie e votivo-funerarie, della foggia a edicola imitante il ma‛abad, come le siciliane e le africane. Delle 105 stele di Sulcis (Sant'Antioco-Cagliari), rinvenute in parte su tombe d'inumati, in parte in capo a olle cinerarie (tofet?), soltanto 10 recano segni betilici, soli o accoppiati, di varia figura (rettangolari, quadrati, trapezoidali, cilindrici), intesi come ipostasi della dea Tanit; sembrerebbero del VII-VI secolo a. C. Nelle stele del tofet di Nora (qui ai sacrifici dei bambini hanno sostituito quelli animali), su 70 esemplari ben conosciuti, 28 mostrano schemi betilici, in numero e forma come a Sulcis, in più con il segno del triplice b. (col centrale più alto), variamente interpretato (triade; figurazione simbolica dell'invocazione triplice di un'unica divinità; dio unico su trono a braccioli stilizzati dai bètili laterali). Il forte simbolismo delle stele norensi (70 % rispetto alle figure antropomorfe, compresi bètili, e canòpi e "ankh" derivati dal bètilo), sembra originario nello spirito, ancora arcaico nell'aspetto, appena lambito dal figurato "umano" (scarsa influenza egizia e greca), senza novità sostanziali, ma con progresso morfologico interno e col mantenimento dell'unità stilistica (che qui significa anche coerenza spirituale). Perciò, e per l'ambiente provinciale e conservativo, appartato e con segni di decadenza, le stele di Nora son da ritenersi tarde: dal IV secolo a. C. fino a epoca romana. Di questi ultimi tempi (II-I secolo a. C.) è pure una stele su tomba a cremazione di Sant'Imbénia (Porto Conte, Alghero-Sassari), con semplice b. entro un'edicola. Si ricordano, infine, i singolari cippi funerari di Tharros (Cabras-Cagliari), con pilastro mediano sormontato da un b. piramidale, affiancato da due pilastri-incensieri anch'essi arieggianti un'immagine betilica: il tutto composto, con senso di triade, in un unico blocco (i cippi sfuggono ad una precisa datazione, ma sono pre-romani).
I concetti e le forme iconografiche della religione betilica punico-sarda si legano, quali appaiono a Nora specialmente, con le espressioni similari dell'Africa cartaginese: soprattutto di Cartagine, di Hadrumetum e di Sousse, ma anche di altre minori località. A parte rappresentazioni di bètili su pietre a tutto tondo e su placchette votivo-ornamentali, nell'Africa, come nella Sardegna, le figure betiliche compaiono per lo più incluse nel piccolo vano delle stele, fatto ad imitazione di quello grande del ma‛abad. I fortunati scavi di Poinssot-Lantier nel tofet di Salammbô (Cartagine) e quelli, più recenti, di Cintas a Sousse, consentono di osservare, meglio che altrove, la funzione di questi monumentini, tanto numerosi quanto feroce era il rito del sacrificio delle piccole vittime; e di scaglionarli nel tempo, per essersi essi trovati in livelli sovrapposti e ben distinti. Le stele iconiche betiliche, nel profondo taglio di Salammbô m 3 e più di spessore di strato), si presentano nel II livello (Tanit II, 650-700 350-300 a. C.), indicando una forte persistenza e la predilezione per i modelli cultuali della religione arcaica, per più di quattro secoli. Come a Nora, prevale il simbolismo figurato astratto (bètili, canòpi, "ankh") sull'antropomorfismo, per quanto, negli ultimi tempi, si colga un linguaggio figurativo più sciolto e fiorito, nell'unità tematica, a differenza che agli inizi, in cui le stele sono distinte da una composta e semplice forma geometrico simbolica (lo stesso gusto in stele del cimitero cartaginese di Santa Monica, del VII secolo a. C.). Nei due metri di terreno archeologico di Sousse, dove il Cintas ha osservato ben 6 livelli (riducibili a tre strati culturali), le stele betiliche (o in genere non antropomorfe) son venute in luce dal livello 2° (strato I = IV-III secolo a. C.) al 6° (strato III = I secolo d. C.). Due osservazioni emergono dall'esame di queste stele, più tarde, nel complesso, rispetto a Salammbô e coeve itivece a Nora: dal punto di vista formale, si notano una stilizzazione ed una sintesi simbolica progressiva in ragione del tempo; dal punto di vista concettuale, l'antropomorfo precede l'iconico astratto, il che è ben singolare e diversifica Sousse dagli altri tofet. Questo di Sousse sembra un simbolismo di riflessione, un compendio simbolico finale del figurativo, dovuto a un nuovo spirito razionale che si riporta intellettualisticamente alle origini, ma è tardivo e decaduto. Per il resto, i temi betilici sono gli stessi (e simili le derivazioni), con ricchezza maggiore di aggruppamenti sul concetto del doppio e del triplo e dei loro multipli; ciò che stringe le stele di Sousse a quelle di Salammbô e di Lilibeo, distinguendole invece dalle similari dei tofet e dei cimiteri della Sardegna punica, che sono tuttavia vicine per altri rispetti.
Bibl.: G. Furlani, La religione dei Cananei e degli Aramei, in Storia delle Religioni diretta da P. Tacchi Venturi, Torino 1934, p. 360 ss. (in generale); H. Frankfort, La royauté et les dieux, Parigi 1951, pp. 300, 208, 412 (sui concetti di montagna cosmica ecc.); L. Antonielli, Notiziario archeologico Colonie, 1922, p. 62, nota 68 (sui bètili in generale, con speciale riguardo agli occidentali); E. De Manneville, Le bétyle de Malte, in Mélanges syriens offerts à M. R. Dussaud, Parigi 1939, p. 895 ss. (in generale, e su Malta, in particolare); G. Lilliu, in Studi Sardi, VIII, 1948, p. 54 ss. (sui bètili sardi-nuragici); Whitaker, Motya, 1921 (stele puniche di Mozia); G. Lilliu, Le stele puniche di Sulcis, in Mont. Ant. Lincei, XL, 1944, col. 293 ss.; G. Lilliu, in Studi Sardi, VIII, 1948, p. 318 ss. (stele di Sant'Imbénia), p. 444 ss. (stele puniche, sarde e africane); Poinssot-Lantier, Revue de l'Histoire des Religions, 1923, pp. 32-68 (tofet, di Salammbô, di Cartagine); P. Cintas, Le Sanctuaire punique de Sousse, in Revue Africaine, 1947, nn. 410-411, pp. 1-80 (tofet di Sousse).