BESTIAME (VI, p. 816; App. II, 1, p. 390; III, 1, p. 228)
Nel corso del quindicennio 1960-75 gli effettivi mondiali del b. non hanno subito grosse variazioni pur essendosi registrato un certo aumento, specie nella prima metà degli anni Sessanta; tuttavia la composizione nell'ambito dell'offerta globale continua a mutare nella direzione resasi già evidente nel primo dopoguerra: dinamismo più vivo nelle consistenze del b. più direttamente utilizzato per consumi alimentari e, al contrario, stabilizzazioni e spesso contrazioni delle consistenze di quello con usi alternativi (trasporto, lavoro in agricoltura, ecc.).
Si osserva immediatamente infatti dalla tabella che mentre bovini, suini, ovini e caprini sono notevolmente aumentati dalla fine degli anni Cinquanta (1958) a oggi, e precisamente del 35,8% i bovini, 47,8% i suini, del 9,7% gli ovini, del 21,3% i caprini, marcate riduzioni presentano i cavalli (−9,8%) e, in minor misura, i muli (−6,7%) in seguito soprattutto alla crescente meccanizzazione agricola e dei trasporti. Gli asini al contrario presentano un discreto aumento (localizzato prevalentemente nei paesi più poveri).
Bovini. - L'allevamento della specie bovina che presenta come visto uno dei più alti tassi di accrescimento dal dopoguerra a oggi e rappresenta attualmente oltre un terzo (34,3%) della consistenza totale delle specie considerate, supera il miliardo di capi nei primi anni del decennio scorso per attestarsi attualmente a 1 miliardo e 179 milioni. Maggiore allevatore rimane l'Unione Indiana, anche se la stabilizzazione dell'offerta che la caratterizza ne riduce l'apporto percentuale (pari al 17,6% nel periodo 1961-65) al 15,3%, mentre gli Stati Uniti, con una dinamica appena superiore a quella media, stabilizzano il loro apporto intorno al 10,8%.
Forti sviluppi caratterizzano viceversa l'Unione Sovietica e il Brasile, rispettivamente al terzo e al quarto posto col 9% (contro l'8,3% della media 1961-65) e il 7,5% (contro il 6%) e altri paesi sudamericani, soprattutto l'Argentina (4,9% contro il 4,3%) e la Colombia (2% contro l'1,6%).
Il commercio dei bovini vivi riguarda solo una piccolissima parte della loro consistenza numerica: dopo un notevole incremento dall'inizio del decennio scorso fino al 1972 (punta di 7,7 milioni di capi) esso subisce un progressivo calo, accentuato soprattutto tra il 1973 e il 1974; i più forti esportatori sono la Francia (937.000 capi, 15,4%, nel 1974), la Rep. Fed. di Germania (466.000,7,7%, contro i 725.000 capi esportati l'anno precedente), l'Irlanda (447.000 capi, 7,3%), il Messico (379.000 capi, 6,2%, contro 965.000 capi di due anni prima).
Consistenti esportazioni caratterizzano la Polonia (320.000 capi, 5,3%), gli Stati Uniti, l'Ungheria, e il Canada.
Nel commercio di carne bovina, anch'esso relativamente molto ridotto (2,3 milioni di t circa nel 1974), netta prevalenza dell'Australia (493.000 t, pari al 21,5%) sulla Francia (252.000 t, 11%), l'Irlanda (199.000 t, 8,7%) e la Nuova Zelanda (183.000 t, 8%).
Tra gl'importatori di capi vivi l'Italia, con oltre 2,2 milioni di capi nel 1973, pari a oltre un terzo (35,8%) del totale, pur se in diminuzione (nel 1974 i capi importati scendono a 1,8 milioni di capi, 30%) è di gran lunga il più importante, seguito a distanza da SUA (1 milione di capi nel 1973, solo 570.000 nel 1974), Regno Unito, Nigeria e Rep. Federale di Germania.
Gli Stati Uniti sono al primo posto tra gl'importatori di carne bovina, seguiti dall'Unione Sovietica al secondo, e dall'Italia al terzo.
Suini. - L'allevamento dei suini continua a crescere a ritmi apprezzabili che portano la quota parte da essi costituita sulla consistenza totale quasi a un quinto (19,7%); l'offerta cinese rimane la più cospicua raggiungendo attualmente oltre 239 milioni di capi, oltre un terzo dei 671 milioni che rappresentano l'offerta globale nel 1974.
Il commercio mondiale è dominato dalla Cina, maggiore esportatore con oltre 2,6 milioni di capi nel 1974 (molto scarsi sono viceversa gl'invii di carni), dal Belgio con 1,1 milioni circa di capi e 193.000 t di carni, dai Paesi Bassi con 9,9 milioni di capi e 273.000 t di carni; forti importatori sono invece Hong-Kong (2,4 milioni di capi), la Rep. Fed. di Germania (1 milione di capi e 246.000 t di carni nel 1974), l'Italia (675.000 capi e 218.000 t di carni), e la Francia (909.000 capi e 186.000 t di carni).
Ovini e caprini. - Le dinamiche di sviluppo di queste due specie sono più ridotte delle altre, cosicché l'apporto percentuale che esse forniscono è in diminuzione, soprattutto per quanto riguarda gli ovini. Questi ultimi rappresentano tuttavia, con oltre 1 miliardo di capi (30,3%) insieme con i bovini le specie animali più allevate. La forte espansione registrata negli anni Cinquanta nell'Australia, maggiore produttore mondiale di ovini, subisce un'inversione di tendenza dal 1970 a oggi costituendo attualmente solo il 14%, mentre l'Unione Sovietica con 143 milioni di capi (13,8%), torna ai primi posti dopo il brusco calo registrato nel dopoguerra.
Per quanto riguarda la consistenza dei caprini (11,7% sul totale) gli allevamenti asiatici con l'India (17,1%), la Cina (14,8%), la Turchia (4,5%), l'Iran (3,8%) e il Bangla Desh (3%) rispettivamente al primo, secondo, quarto, sesto e settimo posto, costituiscono la quota più importante. Buoni allevatori sono ancora alcuni paesi africani come Nigeria (5,5%), Etiopia (4,3%) e Sudan (2,3%).
Anche per il commercio di capi di ovini e caprini le statistiche FAO, che dànno dati congiunti, evidenziano un accrescimento degli scambi fino al 1972, e quindi un'inversione di tendenza che porta l'offerta globale a circa 10,3 milioni di capi.
Maggiori paesi esportatori sono i paesi africani, primo tra tutti la Somalia (1,4 milioni di capi, 13,6%), i paesi asiatici (la Mongolia al terzo posto con 2,2 milioni di capi, pari all'11,7%) e quelli dell'Europa orientale, soprattutto la Romania (1,3 milioni, pari al 12,6%), l'Ungheria (856.000 capi) e la Bulgaria (462.000 capi).
I dati sul commercio di carni, disponibili solo per gli ovini, sottolineano invece un deciso controllo del mercato da parte dell'Australia (251.000 t su 582.000 t che costituiscono le esportazioni globali del 1974) e della Nuova Zelanda (90.000 t).
Tra gl'importatori di capi vivi l'Arabia Saudita (1,3 milioni di capi) figura al primo posto ed è seguita dall'Unione Sovietica (1,2 milioni di capi), dall'Italia (1,2 milioni di capi), quindi dalla Libia (950.000 capi) e dalla Costa d'Avorio (930.000 capi), mentre per le carni (di ovini) si registra una netta prevalenza del Regno Unito (213.000 t, pari al 42,2%), seguito dal Giappone (90.000 t, 17,8%) e dalla Francia (44.000 t, 8,7%).
Cavalli. - La consistenza di cavalli, dopo una decisa recessione che ha caratterizzato gli anni Cinquanta e parte del decennio successivo, subisce una stabilizzazione su valori intorno ai 64 milioni di capi.
Maggiore allevatore il Brasile affiancato solo recentissimamente dagli Stati Uniti che, dopo un calo notevolissimo negli anni Cinquanta (intorno ai 2 milioni di capi), si attesta attualmente a 9 milioni (14,1%); eccettuato questo caso l'allevamento equino subisce una contrazione generalizzata in tutte le parti del mondo.
Muli e asini. - La consistenza di muli è in diminuzione (−6,7% dal 1958 al 1974) mentre quella degli asini continua a crescere (+ 10,2% nello stesso periodo).
Il maggior allevatore di muli è il Brasile con 5 milioni circa di capi (35,7%), seguito dal Messico con circa 3 milioni (21,4%), quindi dalla Cina con 1,6 milioni (11,4%) e dall'Etiopia con 1,5 milioni (10,7%); l'offerta statunitense si è viceversa ridotta notevolmente.
In quanto agli asini il maggior numero è allevato in Cina (12 milioni di capi, pari al 28,6% circa), seguito dall'Etiopia (4 milioni circa), dal Messico (3 milioni), dal Brasile (3 milioni) e infine dall'Iran (2 milioni circa).
Consistenza del bestiame in Italia. - La consistenza dei capi allevati in Italia, che subisce un buon incremento fino agli ultimi anni del decennio scorso (eccezion fatta per quella degli equini che, per le cause su accennate, è in diminuzione dall'inizio del decennio stesso), presenta in seguito una netta inversione di tendenza che porta il numero totale dei capi dalla punta di circa 29 milioni nel 1969 ai 26 milioni circa attuali.
La consistenza dei bovini che tocca nel 1968 i 10 milioni di capi subisce successivamente un decremento del 16%, mentre la quota rappresentata dalle vacche (per la produzione del latte), continua a crescere anche se con minore intensità.
Per gli ovini si registrano andamenti simili cosicché le consistenze del 1963 e 1973 presentano dati analoghi; per caprini ed equini invece si registra un forte calo, pari al 25% per i primi e al 40% per i secondi. Solo il numero dei suini, pur se caratterizzato dalla stessa alternata dinamica, manifesta un incremento portandosi dai 5 milioni di capi del 1963 a 8,2 milioni dieci anni dopo (+ 64% circa).
Il problema, che ha origini relativamente recenti sul piano del mercato ma molto più profonde su quello delle strutture, è stato posto in drammatica evidenza dalla concomitante azione su molteplici fattori: all'interno, soprattutto di tipo socio-economici (esodo rurale, inurbamento, ecc.), all'esterno, dal confronto con più avanzate forme organizzative nonché dall'accresciuta forza contrattuale dei paesi emergenti. Pertanto, a fronte di una domanda costantemente crescente, la cui elasticità rispetto al reddito è fortemente superiore all'unità, hanno corrisposto, verso l'estero, una parallela difficoltà nel reperimento, e, all'interno, l'abbattimento di una quota eccessiva di b. nazionale (rispetto a quello da rimonta) e, soprattutto, la scomparsa dal mercato di un numero elevato di aziende zootecniche in prevalenza marginali ed extramarginali.