BERTOLDO di Hohenburg
Apparteneva a una nobile famiglia di origine sveva, imparentata con i duchi di Svevia e di Baviera, e dal 1077 infeudata della marca settentrionale (Nordgau) bavarese. Primogenito del marchese Dipold di Vohburg e della contessa Matilde di Wasserburg, B. nacque verso il 1215 e assunse il nome di Hohenburg dal castello omonimo, feudo della Chiesa di Ratisbona nell'alto Palatinato nei pressi di Amberg, e facente parte dell'eredità della madre, vedova di Federico II di Hohenburg.
La precaria situazione economica della sua famiglia, che nel corso dell'ultimo secolo aveva perduto quasi tutti i possedimenti, dovette indurre il giovane B., maggiore di sei fratelli ai quali il padre, morto nel 122-5, aveva lasciato solo pochi beni (i castelli di Hohenburg, di Rohrbach e di Nabburg, alcuni beni allodiali in Svevia e in Austria e pochi feudi della chiesa di Frisinga), a seguire l'esempio del padre che nel 1220 aveva seguito Federico II in Italia.
Nel 1237 B. appare alla corte imperiale a Vienna, insieme con il fratello Dipold in qualità di valletto. Già l'anno seguente, nel 1238, risulta "Dei et imperiali gratia" signore di Monteforte e di Arienzo nel Regno di Sicilia. Nell'autunno dei 1239, poco più che ventenne, fu nominato capitano di Como; il 28 novembre dello stesso anno l'imperatore estese la giurisdizione di B. anche sul territorio milanese già occupato o ancora da occupare.
Lasciato quest'ufficio prima del 15 febbr. 1241, B. partecipò nel marzo dello stesso 1241 all'assedio di Faenza, e in seguito all'invasione dello Stato pontificio ad opera delle truppe imperiali: nell'agosto del 1241 risulta presente all'accampamento dell'imperatore a Tivoli.
Pare, però, che poco dopo tornasse in Germania, dove nel 1242 era presente alla corte del giovane re Corrado IV a Norimberga e partecipò, nel luglio, alle lotte contro il ribelle arcivescovo Siegfried di Magonza. Il 20 settembre, infine, poté raggiungere un accomodamento con il vescovo di Ratisbona riguardo ai suoi feudi di Hohenburg e di Rohrbach.
Tornato in Italia nel 1243 o, al più tardi, all'inizio del 1244, B. fu incaricato dall'imperatore, in data non precisata, ma sicuramente anteriore al 13 luglio 1244, dell'importante ufficio di vicario imperiale "a Papia superius", carica che però tenne solo per poco tempo.
Con tutta probabilità proprio in questo periodo B. sposò una figlia - Isolda - del marchese Manfredi II Lancia, fratello di Bianca, madre del futuro re Manfredi, rinsaldando così i suoi legami di parentela con gli Hohenstaufen.
Negli ultimi anni di vita dell'imperatore Federico B. si trovò quasi sempre al suo seguito nella cerchia dei suoi più intimi consiglieri. Assai indicativo del rilievo della sua posizione alla corte è il fatto che il 10 dic. 1250 firmò, come primo signore laico, il testamento dell'imperatore. Secondo il cronista Janisifla (p. 518), l'imperatore moribondo avrebbe affidato alla sua speciale custodia il giovane Manfredi, principe di Taranto, designato dal padre come reggente del Regno di Sicilia per il suo fratellastro Corrado IV.
Le turbolente vicende degli anni successivi alla morte di Federico II, dominati dalla disperata resistenza degli Svevi alle sempre più pressanti rivendicazioni della Chiesa sul Regno di Sicilia, portarono B. al centro della scena politica meridionale, nella quale ebbe una parte importante, anche se molto ambigua.
Divenuto uno dei più potenti baroni dell'Italia meridionale (a quanto pare, l'imperatore poco prima della sua morte gli concesse in feudo anche la contea di Andria, della quale risulta investito nel 1251), B. poteva contare non solo sui mercenari tedeschi dispersi nel Regno, ma anche sulla fedele collaborazione dei fratelli Ludovico e Ottone, investiti anch'essi di numerosi feudi dei Regno, per difendere la sua preminente posizione politica e i suoi ricchi possedimenti, esposti più che mai, morto il suo potente patrono, all'avidità della nobiltà locale.
Subito dopo la morte dell'imperatore (13 dic. 1250), infatti, la situazione divenne molto pericolosa per i suoi eredi e successori. Alle pressioni della Chiesa s'aggiunse all'interno del Regno stesso una rivolta antisveva, che, scoppiata a Capua e a Napoli sotto la guida di Riccardo di Caserta, conte di Alife, e di Tommaso d'Aquino, conte di Acerra, si diffuse presto in vaste zone del Regno. Nella repressione della rivolta (primavera 1251) B. ebbe una parte decisiva, riducendo all'obbedienza gran parte della Terra di Lavoro. senza però riuscire a sottomettere Capua e Napoli.
Tuttavia, quando Manfredi nella speranza di un accordo con la Chiesa che gli garantisse l'aiuto del papa contro i suoi nemici interni e forse anche la corona siciliana al posto dei fratellastro Corrado ancora trattenuto nella lontana Germania, si indusse a entrare in trattative con Innocenzo IV nel luglio del 1251, B. non vi si oppose. La risposta del papa fu, però, alquanto scoraggiante: con una lettera del 24 luglio 1251 egli incaricò il cardinale legato Pietro di S. Giorgio in Velabro di concedere in feudo a Manfredi il solo principato di Taranto e a B. la sola contea di Andria, a patto che ambedue si sottomettessero alla Chiesa.
Malgrado questo atteggiamento poco leale B. riuscì assai presto a dissipare ogni sospetto in Corrado IV che egli stesso accolse alla sua discesa in Italia; il 23 nov. 1251, infatti, firmò come testimone un privilegio rilasciato dal re a Cremona. Da allora B. risulta al primo posto fra i consiglieri dei re, che, sbarcato a Siponto all'inizio del 1252, lo nominò gran siniscalco del Regno di Sicilia e lo investì delle contee di Ascoli e di Montescaglioso, della baronia di Castro e di numerosi altri castelli e feudi; e, come se non bastasse, nella primavera del 1253, Corrado IV, dopo aver banditi dal Regno i marchesi Lancia, zii di Manfredi, per aver partecipato alle trattative col papa nel 1251, dichiarò solennemente a B., suo consanguineo e familiare, di non nutrire - in considerazione della sua incorruttibile fedeltà - alcun sospetto contro di lui e la sua famiglia. Già prima il re, mentre riportava i suoi primi successi contro quei ribelli che Manfredi e B. non erano riusciti a sottomettere completamente, aveva affidato a B. stesso il delicato compito di riallacciare trattative con Innocenzo IV. Ma la richiesta di riconoscere Corrado come successore del padre nell'impero e nel Regno fece fallire tutto.
Un'altra importante ambasceria svolse ancora B. per conto di Corrado IV, recandosi alla corte dell'imperatore di Nicea, Giovanni Vatatzes, marito della sorella di Manfredi, per chiedere l'espulsione dai suoi domini dei marchesi Lancia che vi si erano rifugiati.
Alla fine del 1253 B., con un gran seguito di letterati e di medici, si recò nell'Asia Minore, dove fu accolto con grandi onori. Ma le trattative, condotte con il principe ereditario Teodoro Lascaris, si trascinarono a lungo senza portare al successo sperato, cosicché B. nella primavera del 1254 dovette tornare in Italia senza aver ottenuto nulla.
Poco dopo il suo ritorno fu nominato da Corrado IV, gravemente anunalato, reggente del regno di Sicilia per il figlio Corradino di solo due anni.
L'improvvisa morte del re, avvenuta il 21 maggio 1254 a Lavello in Puglia risvegliò immediatamente i vecchi contrasti di interesse, rendendo così il compito di B. particolarmente difficile. Manfredi non aveva dimenticato le mortificazioni inflittegli dal fratello e doveva considerare un affronto il fatto che Corrado IV aveva affidato la reggenza a un uomo che con maggiore abilità e successo era riuscito a far dimenticare la sua condotta dopo la morte di Federico II. D'altra parte la dura e energica politica di Corrado non aveva certo diminuito l'avversione della nobiltà indigena contro la dominazione straniera, della quale B., sebbene ormai da quasi vent'anni residente nel Regno, era considerato il rappresentante precipuo.
Assai indicativo per la sua posizione di debolezza nei confronti di Manfredi e della nobiltà indigena che lo sosteneva è il fatto che B. non partecipò alle trattative che Manfredi nel luglio dei 1254 condusse ad Anagni con papa Innocenzo IV per raggiungere un accordo sulla questione della successione. Malgrado il fallimento di questo tentativo di trasferire con il consenso del papa la reggenza a Manfredi, B. - non sappiamo se costretto o in base a una valutazione realistica della sua precaria posizione - dopo il ritorno del principe nel Regno depose l'ufficio di reggente, che i magnati offrirono unanimemente a Manfredi.
Il 15 ag. 1254 Innocenzo IV ordinò sotto pena di scomunica a B., a Manfredi e ai loro seguaci, di consegnargli personalmente entro l'8 settembre il Regno di Sicilia. Pronunciata la scomunica I'8 settembre, Manfredi dovette riconoscere di aver sopravvalutato le sue forze; B., dal canto suo, irritato dal fatto di aver dovuto deporre la reggenza, si ritirò nei suoi possedimenti di Puglia senza mostrare alcuno zelo nel consegnargli il tesoro di Federico e di Corrado custodito a Lucera, e molti esponenti della nobiltà indigena, illusi dalle promesse del pontefice di rispettare i diritti di Corradino, cominciarono a staccarsi da Manfredi, che così si vide costretto a sottomettersi al papa, il quale lo nominò il 27 settembre del 1254 vicario pontificio della maggior parte della Terra ferma.
In questa situazione anche B. si decise a offrire la sua sottomissione. Quando Innocenzo IV nell'ottobre entrò vittoriosamente nel Regno, B. si affrettò a Capua per gettarglisi ai piedi. Ricevuto l'atto di sottomissione, Innocenzo IV gli confermò tutte le concessioni fattegli da Corrado IV, fra cui l'ufficio di gran siniscalco, e gli concesse in più una rendita di 1500 once d'oro annue da trarre dalle entrate delle dogane di Barletta, Trani e Bari (3 nov. 1254).
L'avventurosa fuga di Manfredi dalla corte papale trasferitasi a Teano, pochi giorni prima dell'arrivo di B., aveva rovesciato però di nuovo la situazione politica. Approfittando dell'assenza di B., Manfredi il 2 novembre s'impadronì di Lucera e del tesoro ivi custodito e mise insieme un forte esercito da contrapporre a quello pontificio che, sotto il comando del legato apostolico Guglielmo Fiesco, era giunto in Puglia.
A questa notizia, B., che per il momento riteneva opportuno restare dalla parte pontificia, fu mandato immediatamente da Innocenzo IV in aiuto del cardinal legato e, il giorno stesso in cui Lucera aprì le sue porte a Manfredi, entrò a Foggia, occupata da suo fratello Ottone di Hohenburg, minacciando così di tagliare la strada al principe.
I successi riportati da Manfredi indussero presto B., preoccupato di non compromettersi eccessivamente, a riavvicinarsi al principe. Iniziate le trattative, gli offrì di adoperarsi in suo favore presso il papa, chiedendo in cambio la mano della figlia di Manfredi, Costanza, per suo nipote Gannarro di Hohenburg, figlio di Dipold. Anche se Manfredi, già entrato di sua iniziativa in trattative con il cardinal legato, non pare prendesse in seria considerazione l'offerta di B., cercando soprattutto di guadagnare tempo per completare i suoi armamenti, è certo che B. negli ultimi giorni del novembre si recò a Napoli dove si era trasferita la corte pontificia, per tentare di concludere in qualche modo un accordo tra i due partiti.
Nonostante le trattative in corso Manfredi, il 2 dic. 1254, s'impadronì di Foggia, e poco dopo anche di Troia, costringendo il cardinal legato a ritirarsi ad Ariano. Quest'atteggiamento ostile e la morte di Innocenzo IV, avvenuta il 7 dicembre a Napoli, sconvolsero i piani di mediazione di Bertoldo. Certo è che riuscì a guadagnarsi subito la fiducia del nuovo papa, Alessandro IV - nella cui elezione pare avesse avuto parte importante - che il 16 genn. 1255 gli confermò l'ufficio di gran siniscalco del Regno di Sicilia e la contea di Montescaglioso e gli rinnovò il 18 la rendita di 1500 once annue assegnatagli da Innocenzo IV. In più si impegnò il 15 febbraio - dopo aver concesso a B. e ai suoi fratelli Ottone e Ludovico la città e il castello di Avellino e il ducato di Amalfi - a compensare adeguatamente B. per tutti i danni che potevano provenirgli dalle conquiste di Manfredi e di impetrare per lui, nel caso di un eventuale riconoscimento di Corradino, per il quale si era caldamente adoperato, impunità per aver ceduto la reggenza a Manfredi. B. indusse infatti Alessandro IV a scrivere, il 23 genn. 1255, alla nonna e alla madre del giovane re, Agnese ed Elisabetta di Baviera, invitandole a mandare ambasciatori a Roma a esporre le loro richieste.
Quando nel maggio del 1255 Alessandro IV decise di procedere con le armi contro Manfredi, B. fu associato al cardinal legato Ottaviano Ubaldini. Ma già il 20 agosto si venne a un accordo tra il cardinal legato e Manfredi che cedette alla Chiesa la Terra di Lavoro e fu in cambio riconosciuto reggente per Corradino nel Regno di Sicilia. A questo punto B. e i suoi fratelli decisero di sottomettersi a Manfredi.
Ma la condotta di B., che negli ultimi anni aveva troppo spesso cambiato partito, aveva ormai minato in Manfredi ogni speranza nella sua fedeltà: egli colse infatti la prima occasione - la denuncia del conte di Wasserburg, zio di B. e vecchio nemico degli Hohenburg, secondo il quale B. stava tramando un nuovo tradimento - per sbarazzarsi definitivamente di un uomo così pericoloso. Fatto prigioniero insieme con i fratelli Ottone e Ludovico, B. fu condannato a morte, poi graziato con la conimutazione della pena nel carcere a vita, nella solenne curia tenutasi il 2 febbr. 1256 a Barletta.
B. morì in carcere, con tutta probabilità ucciso dai sicari di Manfredi, già nello stesso anno, o, al più tardi, all'inizio del 1257. Dopo la sua morte il doge di Venezia consegnò a Manfredi gioielli e altri oggetti per un valore di circa 25.000 libbre piccole veneziane - provenienti con tutta probabilità dal tesoro di Federico II e di Corrado - depositati da B. a Venezia in data non precisata.
La fine tragica di B., come già quella di Pier delle Vigne, offrì lo spunto a una "lamentacio", un esercizio retorico, inserito in una ars dictandi, senza alcun valore storico o letterario, che documenta solo l'estrema notorietà da lui raggiunta nel Regno.
Figura fra le più controverse nella tormentata storia degli ultimi decenni della dominazione sveva nell'Italia meridionale, B. è stato oggetto di contrastanti giudizi. La stotiografia tedesca della fine del secolo scorso (Döberl e Karst) ha visto in lui essenzialmente un esponente della società tedesca trapiantato nel Sud e uno degli autentici campioni della dominazione sveva nell'Italia meridionale. Nell'ambito di questa impostazione rientra il tentativo di identificare B. con il Minnesänger noto sotto il nome di Markgraf von Hohenburg, tentativo che, poco convincente nelle sue argomentazioni filologiche, contrasta con tutto quello che della personalità e della cultura di B. risulta sicuramente attestato.
Si sa infatti che B., entrato giovanissimo alla corte di Federico II, risentì profondamente dell'ambiente culturale federiciano, non certo di impronta germanica. Curioso di filosofia e di scienze naturali, sapeva un po' di latino e di greco, ed era in rapporti di amicizia col filosofo aristotelico Mosé ben Salomon, ebreo salernitano. Di questo stile culturale, di schietto sapore federiciano si accorse bene il principe Teodoro Lascaris che lo conobbe a Nicea e ne apprezzò le doti intellettuali e la finezza dei modi.
In aperta polemica con il Döberl e il Karst, la storiografia italiana ha rovesciato completamente il giudizio su B., degradato ora, con evidente esagerazione, addirittura al rango di "un avventuriero senza scrupoli e senza fede" (Morghen, p. 178).
Appartenente a quella nobiltà tedesca impoverita che cercò fortuna in Italia al servizio imperiale, B. si inserì presto nella realtà italiana. Ma se conservò solo scarsi contatti con il mondo tedesco, non riuscì tuttavia ad assimilarsi alla nobiltà indigena del Regno di Sicilia, fra la quale, nonostante il lungo soggiorno nel Sud e i vari tentativi anche matrimoniali, non poté mai contare una rete consistente di aderenze. Tedesco, e cioè intruso, restò sempre infatti agli occhi dei baronaggio meridionale, preoccupato dal continuo accrescersi della potenza patrimoniale di B. e dei suoi fratelli, titolari di numerosi feudi nel Regno; troppi per non tenere desti più che comprensibili appetiti, pochi però per garantire da soli una preminente posizione politica, conseguita col favore e all'ombra della potenza sveva.
Nella situazione politica, tanto complessa e intricata, del Regno di Sicilia dopo la morte di Federico II, ben altre forze tenevano il campo: B., politico di levatura non eccezionale, era destinato a non dominare gli avvenimenti e a restame alla fine schiacciato.
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