BERNARDO (Guarnardo, Vascardo, Venerando, Wernardo, Wenerio)
Le diverse forme del nome di questo vescovo triestino generarono confusioni sulla sua identità. Alcuni storici (Mainati, Terpin, Scussa) ne fecero due vescovi, altri addirittura tre: il primo Bernardo, dal 1141 al 1149, il secondo Wernardo dal 1151(Terpin) o dal 1153 (Ireneo, Mainati, Scussa), il terzo nuovamente Bernardo. La data del 1141non può accettarsi, essendo ancora in quell'anno vescovo Dietmaro. è certo che B. si trovava già sul seggio episcopale il 16 genn. 1149, allorché conferma al monastero di S. Giorgio Maggiore di Venezia il territorio e la chiesa dei SS. Martiri di Trieste. Nel maggio dello stesso anno assiste, a Gemona, alla donazione di Corrado III in favore della chiesa di Moggio. L'anno seguente interviene presso i conti di Gorizia per la liberazione di Pellegrino, patriarca di Aquileia, che era stato da essi imprigionato. Nel 1152 concede ai canonici della cattedrale di S. Maria (poi S. Giusto) di Trieste le decime di tutte le case capitolari. Dallo stesso anno appare anche quale amministratore della Chiesa giustinopolitana, sottoposta da tempo ai vescovi triestini, approfittandone per concedere ai benedettini di S. Giorgio Maggiore di Venezia il monastero dell'Annunziata di Capodistria è sempre presente alle donazioni dispostein favore delle monache di S. Maria di Aquileia. Nel 1173 assegna al pievano ed alla chiesa di Pirano i quartesi di Castelvenere. Nel 1177, con un seguito di trenta uomini, raggiunge a Venezia il patriarca di Aquileia Volrico, per essere presente alla pace fra Alessandro III e il Barbarossa. Sappiamo, da una testimonianza del 1201, che, presente B., venne colà risolta da Alessandro III, in favore dei canonici di Trieste, una lite con quelli di Capodistria per le decime di Sicciole.
Larga eco ebbe una vertenza fra Aldigerio, dopo la morte di B. vescovo della ricostituita diocesi giustinopolitana, il clero e il popolo di Pirano per questioni di decime. Da essa scaturiscono due ritratti contrastanti della sua figura: i Piranesi lo descrivono benefico largitore, sollecito del bene del clero, portato ad esempio, di fronte all'esosità del successore, come colui che donò e nulla chiese. Secondo i testi del vescovo di Capodistria, invece, per una mancata corresponsione di decime B. aveva lanciato l'interdetto ai Piranesi ed aveva scatenato addirittura la sollevazione di alcune città contro di lui, determinando l'intervento di Corrado III. In seguito, per ottenere le decime, sarebbe ricorso a forme ricattatorie.
"Homo incompositus et inordinatus, dissipator et consumptor bonoruni ecclesie, …dictus episcopus Guarnardus multum laboravit ut destrueret episcopatum Iustinopolitanum". Queste parole, interpretate comunemente come incomprensione verso colui che tanto aveva beneficato le sue chiese, assumono nuovo significato se si tiene conto che provengono da parte capodistriana. Tra la città, infatti, e B. non correva buon sangue per ragioni non soltanto economiche, ma psicologiche e politiche insieme. Sede di un antico episcopato e per di più, dal 1145, legata a Venezia, Capodistria sollecitava il distacco della sua diocesi da quella di Trieste, ma aveva trovato nel patriarca di Aquileia, Volrico, sostenitore di B., un accanito oppositore. Anche Alessandro III, pur decidendone il ripristino, aveva imposto che ciò avvenisse solo dopo la morte di Bernardo.
Alla fine del gennaio del 1187 troviamo altri vescovi già insediati in ambedue le diocesi, ma già ai primi di luglio del 1186 il podestà di Capodistria, su richiesta del patriarca, disponeva per una maggiore dotazione del suo vescovato. Si può perciò accettare l'ipotesi, formulata dai più, che B. fosse morto in quell'anno, ma è certo soltanto che dal 1184 non se ne ha più traccia.
La sua fama, però, più che alla memoria di liti e concessioni, dovrebbe venir legata ad un fatto di maggiore importanza quale la parte che egli ebbe, come consigliere del patriarca Volrico, nella preparazione della riforma del 1181, relativa ai canonici diAquileia, che ne regolava la vita in comune.
Al suo lungo episcopato ed alla sua nota munificenza si è voluto attribuire il mosaico del catino absidale della navata destra della cattedrale di S. Giusto. Esso raffigura il Cristo benedicente, attorniato dai SS. Giusto e Servolo, mentre calpesta un aspide e un basilisco. Di evidente stile torcellano, la composizione viene concordemente collocata nel sec. XII e forse potrebbe rientrare nel periodo dell'episcopato di B. a Trieste. Quanto invece alla tesi del Tamaro sugli intenti di B., che avrebbe voluto esaltare la parte presa dalla Chiesa triestina, unita nella gioia alla Chiesa italica, dopo le vittorie sull'imperatore tedesco, essa sembra per lo meno alquanto anacronistica, benché appaia molto suggestiva l'interpretazione volta in tal senso dei due esametri alla base del catino: "Maiestate Deum liquet nunc regnare per aevum, Ambulat en Christus super aspidem et basiliscum".
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