POLENTA, Bernardino da
POLENTA, Bernardino da. – Nacque verosimilmente a Ravenna nel 1318, figlio di Ostasio (morto nel 1346) e di Lieta di Marchese Argogliosi (morta nel 1352).
Sposò in prime nozze Monaldesa Brunforte e in seconde nozze Maddalena Balbi, di famiglia eminente nel patriziato ravennate, ed ebbe almeno cinque figli: Guido (morto nel 1390), che sposò Lisa di Obizzo d’Este (morta nel 1402) e che gli succederà nella signoria ravennate; Apollinare (morto nel 1397); Lodovico (morto nel 1378); Francesca (morta nel 1398), avviata alla vita claustrale e che fu badessa del monastero ravennate di Sant’Andrea, Francesco (morto nel 1414), che sposerà in prime nozze Camilla Scarabigoli e in seconde nozze Leonida Toschi.
Dopo una prima esperienza pubblica nella vita politico-amministrativa ravennate (dal 1340-41 è podestà di Ravenna), ne divenne protagonista alla morte del padre Ostasio, avvenuta nel novembre 1346, quando si accese subito una durissima lotta tra i suoi figli. Ostasio infatti, con il suo testamento, aveva mirato a garantire un’efficace trasmissione ereditaria del governo dividendolo tra i fratelli Bernardino e Pandolfo, insignoriti rispettivamente di Ravenna e di Cervia, senza prevedere una gratificazione equivalente per l’altro fratello Lamberto.
In un primo momento, il 3 aprile 1347, fu Pandolfo a privare della signoria cittadina Bernardino, facendolo incarcerare dopo averlo attirato a Cervia con uno stratagemma (pregandolo di accorrere al capezzale dell’altro fratello Lamberto, dato in fin di vita per una caduta da cavallo ma in realtà connivente con questo disegno) e presentandosi a Ravenna vestito a lutto, dando Bernardino per morto e facendosi acclamare signore. Tuttavia, già il 14 giugno seguente fu conclusa una pace tra i fratelli, mediata dai Malatesti di Rimini, che portò alla liberazione di Bernardino e, almeno in apparenza, a un governo condiviso.
Ciò non di meno il 13 settembre dello stesso anno Bernardino da Polenta non esitò a propria volta a ricorrere a ogni mezzo pur di impadronirsi del potere assoluto, e fece incarcerare a Cervia, e quindi sopprimere in un breve volgere di tempo, tanto Pandolfo quanto Lamberto. La sua violenta presa del potere incontrò però importanti resistenze nell’ambito cittadino ravennate, dove buona parte dell’aristocrazia locale parteggiava per i suoi fratelli sconfitti e fu da lui debellata a colpi di condanne capitali e all’esilio. Tali provvedimenti terminarono soltanto verso il 1350 con una precaria pacificazione, sotto la quale però continuò a covare un diffuso risentimento antipolentano. Divenuto stabilmente il quinto Polentano alla signoria della città ravennate, preferì comunque lasciare la carica di podestà al figlio Guido, fors’anche con il fine di designare manifestamente in lui il suo erede.
Sul piano politico esterno, Bernardino da Polenta cercò di farsi spazio fra le signorie dell’Italia settentrionale. Una prima scelta importante la compì nel 1349 entrando in lega con Carraresi, Visconti, Pepoli, Gonzaga, Malatesti, Scaligeri ed Estensi; tuttavia tale alleanza entrò ben presto in crisi quando, nel 1350, i Visconti ruppero gli equilibri impadronendosi di Bologna, che i figli di Taddeo Pepoli – Giacomo e Giovanni – vendettero all’arcivescovo Giovanni Visconti.
La duplice esigenza di perseguire una politica di contenimento antiviscontea e di porsi di fronte all’azione più determinata condotta dal cardinale legato Egidio Albornoz per un recupero sostanziale di sovranità da parte del papato avignonese sulle ‘terre della Chiesa’ in Italia, lo indusse a proporsi in maniera collaborativa nei confronti della Chiesa stessa. Egidio d’Albornoz, nell’ambito della propria politica pragmatica e consapevole dei reali rapporti di forza, acconsentì a sanare le principali pendenze di Bernardino nei confronti della giustizia e della fiscalità pontificie, ricevendone la sottomissione e legittimandone in contraccambio il potere cittadino nelle forme prima della rettoria (1355), poi dell’investitura a vicario apostolico di durata decennale su Ravenna (dal 10 dicembre 1356), a fronte del pagamento di un cospicuo censo annuo dell’importo di 3000 fiorini.
Questo consolidamento istituzionale non fece tuttavia venir meno le ragioni della persistente animosità antipolentana che attraversava la società ravennate di quegli anni, sostenuta dalle famiglie aristocratiche escluse dalla gestione del potere e rafforzata dalla crescente esosità del prelievo fiscale e dalla politica di ampliamento della base patrimoniale familiare condotta da Bernardino. Questo scontento sfociò nel maggio 1357 in una vera e propria rivolta, in cui due ufficiali fiscali del signore furono uccisi: Bernardino fece soffocare sanguinosamente la sommossa, con l’arresto o l’uccisione di oltre un centinaio di persone.
Egli detenne comunque il potere fino alla morte, sopraggiunta dopo una lunga malattia nel 1359, lasciando di sé l’immagine consacrata dalla cronachistica e dalla storiografia erudita di un signore capace di ferocia e dissolutezza, nonché grandemente opportunista nel suo sostegno alla Chiesa di Roma, in una città avviata alla marginalità sul piano economico e politico.
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