BUONVISI, Bernardino
Nacque nel 1532 a Lucca (venne battezzato il 21 febbraio col nome del primogenito di Benedetto Buonvisi il Vecchio, che era morto nel 1517) da Martino e da Caterina di Stefano Spada.
Diversamente dai fratelli rimase sempre estraneo alla carriera degli onori e non fu mai estratto né tra gli Anziani, né tra i gonfalonieri nella sua pur lunghissima vita. Non sembra che si sia sposato, né risultano suoi figli illegittimi; ebbe lettere di naturalità in Francia, ma non perse la cittadinanza di Lucca dove visse ininterrottamente almeno negli ultimi vent'anni del Cinquecento e nel primo lustro del Seicento.
Rimasto, orfano nel 1538, venne probabilmente inviato a impratichirsi della mercatura nelle aziende Buonvisi di Lione e di Anversa. Nella città francese era ad esempio nel 1549 quando, con il fratello Lorenzo, creava suo procuratore il cognato Michele di Alessandro Diodati perché lo rappresentasse nel saldo fra Ludovico, Vincenzo e gli eredi di Martino Buonvisi. Dopo esser stato socio della "Antonio, Eredi di Ludovico Buonvisi e C. di Lione" del 1554-59, divenne governatore, con lo zio Vincenzo e con il cugino Girolamo di Ludovico Buonvisi, della "Eredi di Antonio e Ludovico Buonvisi e C. di Lione" del 1559-64. Pressoché ininterrotta fu la sua residenza a Lione anche negli anni successivi, poiché fu amministratore delle "Eredi di Ludovico, Benedetto Buonvisi e C." del 1564-69 e del 1569-74. Il 15 dic. 1575 notificava alla Corte dei mercanti di Lucca il rinnovo della compagnia di Lione per il 1575-80; egli conservava la firma, nel caso si fosse trovato in Francia, ma non era più governatore della ditta.
Alle compagnie di arte della seta di Lucca il B. cominciò a essere interessato nel 1559 quando fu socio della "Alessandro Buonvisi, Alessandro di Michele Diodati e C." durata fino al 1565. Alla suddivisione della ditta nella "Alessandro, Giuseppe, Lorenzo Buonvisi e C." e nella "Paolo Buonvisi, Alessandro di Michele Diodati e C." del 1565-69, il B. mantenne la sua associazione in entrambe le compagnie. Nel 1568 aderì anche alla "Paolo Buonvisi e C. dell'arte della lana di Lucca", poi rinnovata nel 1572 e chiusa nel 1574. Pur continuando a restar socio delle "Alessandro, Giuseppe, Lorenzo Buonvisi e C." del 1570-72 e del 1573-78 e poi delle "Giuseppe e Lorenzo Buonvisi e C." del 1578-83 e del 1583-87, nonché delle "Alessandro di Michele Diodati, Nicolao Diodati e C." del 1571-77 (prosecuzione della "Paolo Buonvisi, Alessandro Diodati e C. dell'arte della seta" del 1565-69) e del 1578-82 e della "Alessandro, Nicolao, Diodati, Damiano Bernardini e C." del 1582-86, il B., dopo le difficoltà incontrate dal fratello Paolo nell'arte della lana, decise di aprire una sua compagnia di arte della seta che fu la terza del "gruppo" Buonvisi. Ne denunciava la costituzione alla Corte dei mercanti di Lucca il 23 giugno 1575. Probabilmente poco dopo il ritorno dalla Francia.
La compagnia era cominciata il 20 marzo e sarebbe terminata con la fine del 1579; fra i soci, oltre al B., erano Alessandro e Girolamo Buonvisi (che si apprestavano a sciogliere l'associazione con i cugini Giuseppe e Lorenzo Buonvisi e che in seguito sarebbero usciti anche dalla ditta del B.), Benedetto e Lorenzo di Martino Buonvisi, Paolino Bertolani, Piero e Aitante di ser Cristoforo Massei e Niccolò di Martino Gigli, figlio di primo letto di Caterina Bernardini, moglie del fratello del B., Benedetto. "Ministri" della compagnia furono Paolino Bertolani (marito d'una figlia naturale di Ludovico Buonvisi e poi uscito dalla ditta insieme con i cognati Alessandro e Girolamo Buonvisi) e Piero Massei. La direzione della compagnia spettava ad Alessandro ed al B.: l'intenzione di quest'ultimo di trattenersi a Lucca e di dare impulso alle aziende di arte della seta appariva indubbia: oltre ad esser socio delle tre ditte legate ai Buonvisi, il B. partecipava in accomandita anche alla "Francesco Sbarra e C." del 1575-80 con una "missa" di 1.500 scudi (12% del capitale sociale) e alla "Augustino Serafini e C." del 1575-78 con una "missa" di 500 scudi (16,66%). Al di fuori di Lucca il B. partecipò in accomandita ad altre compagnie sostenute dai Buonvisi: 1.000 ducati del Regno (5%) concesse alla "Alamanno, Bartolomeo Orsucci e C. di Napoli" del 1573-76 e 500 (2,7%) alla "Santi del Duca, Cosimo Orsucci e C. di Monteleone di Calabria" degli stessi anni. Nel 1565, insieme con i fratelli, il B. aveva partecipato a una "missa" in accomandita di 1.000 scudi (20%) nella "Biagio Balbani e C. di Ancona".
La crisi finanziaria del 1575, il sacco di Anversa del 1576 e il crescente disimpegno di Alessandro e Girolamo Buonvisi dalle aziende della famiglia segnarono tuttavia una svolta, e nell'organizzazione delle compagnie stesse e nella vicenda personale del Buonvisi. Questi era già stato socio della "Alessandro Buonvisi e C. di Anversa" del 1565-70, e, a partire da quest'ultimo anno, divenne "nominatus" della compagnia che le succedette, la "Benedetto, Bernardino Buonvisi e C." durata fino al 1574 e rinnovata per il 1574-79. Nel 1578 i Buonvisi si ritirarono da Anversa a Colonia, e l'anno dopo decisero di lasciare anche la città tedesca. L'abbandono di Anversa seguì di pochi mesi l'apertura della "Benedetto, Bernardino Buonvisi e C. di Lione", di cui il B., tornato in Francia, fu amministratore, e precedette forse soltanto di qualche settimana l'apertura della "Benedetto, Lorenzo, Bernardino Buonvisi e C. di Venezia" inaugurata il 1º ott. 1578 e chiusa senza immediato rinnovo nel 1582. Nella fiera di Ognissanti del 1579 si aprì infine anche la "Benedetto, Bernardino Buonvisi e C. di Genova" del 1579-84; quand'essa fu rinnovata, nel 1584, il B. partecipò con due "misse", una di 5.000 e l'altra di 10.800 scudi, che rappresentavano oltre il 50% del capitale sociale. Il 1º genn. 1579 fu rinnovata per quattro anni anche la "Bernardino Buonvisi e C. dell'arte della seta di Lucca", di cui erano "ministri" Lorenzo Cenami e Piero Massei; usciti Paolino Bertolani e Alessandro e Girolamo Buonvisi, i soci erano i Buonvisi di Lione, il B. e il fratello Benedetto, Piero Massei, Lorenzo Cenami, Niccolò Gigli e Simo Simi. Prima ancora della scadenza, il 18 ott. 1582 la ditta fu rinnovata per quattro anni sotto la nuova ragione sociale "Paolo, Bernardino Buonvisi e C." che venne conservata anche nella compagnia aperta il 1º genn. 1588, giunta, attraverso numerose proroghe, fino al 31 maggio 1596, e infine rinnovata, il 1º giugno, per quattro anni.
Se il B. intorno agli anni ottanta era tornato a volgere prevalentemente la sua attenzione alle aziende che la famiglia aveva all'estero, la successione al fratello Benedetto, morto nel gennaio del 1587, gli impose un definitivo rientro a Lucca da dove tenne le fila dell'organizzazione commerciale e bancaria della famiglia: il suo nome comparve, ormai quasi sempre al primo posto, nella ragione sociale di tutte le ditte della famiglia.
È indicativo del suo prestigio il fatto che già nel 1581 - in occasione della notifica di una compagnia - il notaio della Corte dei Mercanti di Lucca si sia presentato al B., "in viridiario ipsorum de Bonvisis et in suo palatio sito in contrata Sancti Petri Somaldi loco dicto al giardino de' Bonvisi", e non viceversa, come richiedevano gli statuti e come suggeriva lo stesso formulario. Anche al di fuori di Lucca il B. era ben noto: nel dicembre del 1580 Baldassarre Suarez (un mercante spagnolo residente a Firenze e socio della compagnia Buonvisi di Venezia) informava Simon Ruiz di aver ospite nella sua casa fiorentina il B., che aggiungeva di suo pugno un poscritto alla lettera dell'amico spagnolo. Il Ruiz, nella risposta, si diceva "particular amigo" del lucchese che definiva "hombre muy honrado". I legami del B. con il mondo spagnolo (nel 1569 e nel 1570 giunsero alla corte di Madrid da Lione relazioni del B.) possono forse contribuire a spiegare lo sbilanciamento dei Buonvisi a favore della corona di Spagna intorno agli novanta, quando il B. era ormai il capo riconosciuto del sistema di aziende della famiglia lucchese.
La compagnia Buonvisi del banco di Lucca, di cui il B. era stato socio fin dal 1560, venne rinnovata il 1º genn. 1586 senza che ancora comparisse il nome del B. nella ragione sociale; se esso non venne aggiunto già nel 1587, alla morte di Benedetto, fu inserito almeno dal 1º giugno 1591 nella "Eredi di Ludovico, Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C." che durò fino al 1596. Egualmente intitolata anche al B. fu la compagnia del banco di Lucca del 1596-1601.
Dopo la scomparsa di Benedetto la nuova compagnia di Lione venne aperta per due anni nella fiera di agosto del 1587 sotto l'intitolazione "Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C.".
L'estrema minuziosità della denuncia alla Corte dei mercanti, fatta il 31 ottobre da Antonio di Benedetto Buonvisi, sembra indicare che, dopo almeno un secolo di relativo immobilismo, le forme di organizzazione commerciale vigenti a Lucca venivano modificandosi nel senso di una maggiore articolazione ed elasticità delle aziende. È anzitutto da sottolineare che la durata della compagnia era inferiore ai due anni (dalla fiera di agosto del 1587 alla fiera di Pasqua del 1589): tutte le precedenti compagnie di Lione avevano avuto vigore per 4 0 5 anni, ad eccezione di quella aperta nel 1578 che doveva chiudersi entro tre anni. Ma paradossalmente la riduzione apriva la via a una durata della compagnia mercantile molto più lunga che nel passato: di proroga in proroga la ditta lionese del B. e dei suoi nipoti giunse dai due anni iniziali a otto anni: si chiuse infatti soltanto nella fiera di agosto del 1595. La riduzione dei termini probabilmente era stata imposta dal desiderio di molti degli associati (ormai sensibilissimi al rapido mutare dei tassi di profitto nei vari campi d'investimento) di non tener bloccati i loro capitali in impieghi di non certa remuneratività per periodi troppo lunghi. Il rinnovo annuale, o addirittura semestrale (la compagnia Buonvisi di Lione del 1587-95 fu prorogata dieci volte in sei anni), consentiva ai soci di muoversi con molta maggior libertà che non in un'azienda che vincolasse i loro capitali per quattro o cinque anni. La compagnia, per altro verso, si garantiva dai rischi d'un improvviso disimpegno dei soci con un rafforzamento al vertice: i "ministri" - dettava una clausola che troviamo poi ripetuta per altre compagnie dei Buonvisi - "habbino auctorità et possanza di fare tutto quello giudicheranno a proposito per benefitio di essa Compagnia, far partiti con i Re, Principi et Signori di ogni luogo del mondo, accettar gravesse da quelle persone et delle somme che a loro parrà et piacerà". Non solo, ma i capitali versati erano vincolati per i pur brevi periodi pattuiti, e in caso di prelievo anticipato si sarebbero dovuti pagare gli interessi nella misura del 15%. Anche la concessione, in luogo del salario, di quello che potremmo chiamare un "premio di produttività" ai dirigenti e ai dipendenti della ditta, preventivamente calcolato in percentuale e differenziato a seconda delle responsabilità e dell'anzianità dei singoli, sembra essere un'innovazione (rispetto alla consuetudine dei premi "una tantum" che alla chiusura dei conti si aggiungevano al salario), forse resa necessaria dalle crescenti difficoltà di trovare personale disposto ad affrontare le fatiche mercantili con la prospettiva di guadagni (in termini di salario) che poco aggiungevano a quelli assicurati dalle rendite ereditate.
I due direttori della compagnia di Lione del 1587-95 furono Stefano e Antonio di Benedetto Buonvisi (cui sarebbero toccati rispettivamente 1 soldo e 10 denari e mezzo per lira di utili); gli altri impiegati erano Vincenzo Ludovici (6 denari per lira), Lelio Buonvisi (4 denari per lira), Gualanduccio Gualanducci (3 denari e mezzo per lira), Orazio Buonvisi e Alfonso Cittadella (3 denari per lira): si trattava di esponenti di famiglie lucchesi più che solidamente affermate, socialmente ed economicamente, che fra tutti si sarebbero spartiti una fetta di utili che raggiungeva il 17,5%: pur nell'impossibilità di un confronto sembradifficile che i salari nelle precedenti compagnie Buonvisi assorbissero una quota così alta dei profitti.
La, compagnia di Lione del 1587-95 ebbe un capitale sociale di 93.500 scudi d'oro di sole, dei quali 7.000 versati dal B., 6.000 ciascuno da Stefano e Antonio di Benedetto Buonvisi, 7.000 da Paolo di Martino Buonvisi, 6.000 da Martino di Benedetto Buonvisi, 2.000 da Alessandro di Michele Diodati, 6.000 da Baldassarre Cittadella e 3.500 da Vincenzo Ludovici. Il resto, cioè 50.000 scudi, era versato da Antonio e Stefano Buonvisi per un conto a parte: si trattava di denari "attenenti a più parenti et amici". Metà delle "misse" dovevano essere pagate in fiera d'agosto del 1587; l'altra metà nella fiera di Apparizione del 1588.
La "Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C. di Lione" partecipò alla "Alessandro, Nicolao Diodati, Lazzaro Arnolfini e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1588-1589, poi prorogata fino al 31 luglio 1590, con una "missa" di 3.000 scudi su 16.000 (18,75%); alla "Paolo Bernardino Buonvisi e C. dell'arte della seta di Lucca" aperta il primo gennaio 1588 e giunta con diverse proroghe fino al 31 maggio 1595; alla "Giuseppe Benassai e C. di Reggio Calabria" del 1590-91, poi prorogata fino al 1595, con una "missa" di 1.000 ducati del Regno (10% del capitale sociale); alla "Gismondo Franciotti, Fabio Buzzaccherini e C. di Palermo" del 1591-93 con 400 once (10%); e infine alla omonima compagnia Buonvisi di Piacenza aperta in fiera d'agosto del 1587 e chiusa in fiera di Ognissanti del 1591, con 3.000 scudi (11,5%).
Al momento del rinnovo, per quattro anni, a partire dal 1595, della compagnia di Lione (sempre "Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C.") il capitale sociale della ditta conobbe una brusca riduzione da 93.500 a 39.500 scudi. Il B. conferì 5.000 scudi contro i precedenti 7.000, Martino, Stefano, Antonio Buonvisi parteciparono con 6.000 scudi ciascuno come nella vecchia compagnia, Paolo di Martino Buonvisi passò da 7.000 a 3.000 scudi: complessivamente il contributo dei membri della famiglia Buonvisi scese da 32.000 a 26.000 scudi, ma balzò in percentuale dal 34,2% al 65,8%. Dei membri estranei alla famiglia scomparvero dal numero dei soci il Diodati e il Ludovici, mentre i Cittadella (a Baldassarre si aggiunse il figlio Alfonso sposato a Sara di Paolo Buonvisi) contribuirono con 4.000 scudi contro i precedenti 6.000: se i soci non appartenenti alla famiglia conferivano ora 4.000 scudi contro gli 11.500 della vecchia compagnia, la percentuale della loro partecipazione era rimasta quasi immutata (10,1% contro 12,3%). Il fatto nuovo era intervenuto al livello di quel drenaggio di capitali liquidi lucchesi che era riuscito ai Buonvisi nel 1587 e che fallì invece ora clamorosamente: contro 150.000 scudi (53,4%) rastrellati da "parenti et amici" in occasione della precedente compagnia, questa volta non si riuscirono a mettere insieme che 9.500 scudi (24,3%): sarebbe affrettato trarre conclusioni, sulla base di questo solo dato, circa una crisi del mercato finanziario lucchese, poiché occorrerebbe verificare se i capitali liquidi siano stati indirizzati su altre piazze, ma è certo che emergeva una forte diffidenza - alla quale i soli Buonvisi sembravano resistere - nei confronti di Lione, proprio negli anni in cui Enrico IV si apprestava a dar ordine al suo regno dopo un quarantennio di lotte interne caratterizzate, sul piano finanziario, da una notevole attività speculativa.
La compagnia Buonvisi di Lione del 1595-99 fu socia della "Lorenzo Burlamacchi, Gismondo Franciotti e C. di Palermo" del 1596-99; della "Ferrante Burlamacchi, Prospero Bottini e C. di Anversa", aperta nel giugno 1598 e poi prorogata fino al 1605, con una "missa" di 3.250 libbre di grossi di Fiandra (pari al 26% del capitale iniziale, cui tuttavia si aggiunsero "misse" di compagnie di Parigi e di Norimberga); della "Paolo e Bernardino Buonvisi e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1596-1600; della "Paolino e Agostino Santini e C. di Messina" del 1596-1599 con "missa" di 500 once di Sicilia (4,2% del capitale sociale); della "Bartolomeo, Camillo Orsucci, Jacopo Cittadella e C. di Napoli" del 1596-1600, con una "missa" di 1.500 ducati del Regno (9%); della "Fazio Buzzaccarini, Bernardino Cancellereschi e C. di Venezia" del 1598-1601 con 5.000 ducati veneziani (16,66%); della "Camillo Orsucci, Carlo Benassai e C. di Monteleone di Calabria" del 1598-1600 con 1.000 ducati del Regno (9%); della "Fabio Buonvisi e C. dell'arte della seta e di negozi mercantili di Lucca" del 1599-1602 con 2.000 scudi (13,3%). Tutte le "misse" erano in accomandita ad eccezione della compagnia di Anversa e della "Paolo e Bernardino Buonvisi e C. di Lucca".
A partire dalla compagnia costituita a Lione nel 1599 il nome del B. scomparve dalla ragione sociale; egli anzi non fu neppure tra i soci, così come era già accaduto per altre compagnie Buonvisi negli anni precedenti.
Dopo la morte di Benedetto la compagnia di Genova era proseguita con la "Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C. di Piacenza" "o dove si facesse la fiera di Bisanzone", aperta per due anni nel 1587, parallelamente alla compagnia di Lione, e poi prorogata finoal 1591. Essa era governata da Ottaviano Diodati, il cui fratello Alessandro, oltre ai "nominati", era ammesso alla firma. La ditta aveva un capitale sociale di 25.000 scudi, dei quali 3.000 (11,5%) versati dalla compagnia Buonvisi di Lione, 1.000 (3,8%) da Martino Buonvisi, 2.000 (7,7%), più 1.000 (3,8%) con conto a parte, da Alessandro Diodati, 3.000 (11,5%) da Ottaviano Diodati, 5.000 (19,5%) dal B. che contribuiva, con un conto a parte, per altri 8.000 scudi (34,6%), e 1.000 scudi ciascuno (3,8%) versati da Stefano e Antonio Buonvisi.
I Buonvisi erano rimasti estranei alla "Alessandro, Niccolò, Ottaviano Diodati e C. di Genova" del 1587-91 (poi ripetutamente rinnovata e prorogata), e soltanto nel 1592 riaprirono un'azienda a Genova: ma il B. non partecipò ufficialmente alla compagnia che si intitolava a "Stefano, Antonio, Lelio Buonvisi e C.". Rimase invece "socius nominatus" (ma non più "principaliter") nella compagnia di Piacenza del 1592-98 ("Paolo, Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C."): concorreva, anche sotto il nome del fratello Paolo, per 10.000 scudi e per 3.000 con un conto a parte.
La compagnia che il 1º marzo 1588 venne aperta dai Buonvisi per le operazioni mercantili e bancarie in Anversa e "in altri luoghi di Fiandra e Brabante dove fosse concorso di mercanti" si intitolò, esattamente come quelle coeve di Lione e di Piacenza, "Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C.". Doveva durare tre anni e venne affidata alle cure del lucchese Davino di Dino Sardini: non conosciamo il contributo dei singoli membri della famiglia Buonvisi, ma sappiamo che il capitale sociale era di 13.200 libbre di grossi di moneta di Fiandra, e che il Sardini partecipava soltanto per il 10% contro il 90% dei Buonvisi.
La ricomparsa dei Buonvisi ad Anversa, dopo quasi dieci anni di assenza, segna l'ultimo tentativo della grande famiglia mercantile lucchese di dare una dimensione europea, al di sopra delle lotte interne e internazionali dei singoli Stati, alle proprie attività finanziarie: ma la speranza di poter partecipare contemporaneamente, e con validi profitti, ai prestiti e per la corona di Francia e per quella di Spagna doveva presto tramontare, e i Buonvisi, chiudendo nel 1591 la compagnia di Anversa, mostrarono di aver scelto, ancora una volta, la Francia. Ad Anversa restarono ditte che ai Buonvisi erano strettamente legate e che funsero da loro corrispondenti, ma le attività che passavano per le loro mani erano ormai quasi soltanto quelle commerciali. L'impegno dei Buonvisi nei prestiti al re di Spagna che si negoziavano ad Anversa fu notevole (ma non eccezionale, specie se confrontato con quello dei Balbani o dei banchieri genovesi) nei pochi anni della nuova compagnia: l'edizione curata dal Vazquez; de Prada delle lettere ricevute dagli spagnoli Ruiz registra ad esempio per il maggio-dicembre 1588 ben 22 lettere dei Buonvisi di Anversa e 24 per il 1589: gran parte delle lettere sono appunto relative agli asientos per la corona di Spagna. Un prezioso registro che il Sardini tenne in lingua spagnola dal 1º apr. 1588 all'8 genn. 1590 annotando le modalità dei vari asientos fatti al re di Spagna, e per lui ad Alessandro Farnese, attende ancora di essere analizzato, sebbene fin dal 1946 il Lazzareschi ne abbia segnalato l'esistenza presso l'Archivio di Stato di Lucca. Indicazioni sufficientemente ampie sul contributo dei Buonvisi di Anversa ai prestiti a favore della Spagna possono comunque trovarsi nella monografia del Lapeyre dedicata agli asientos di Filippo II.
Dopo esser stato protagonista delle attività mercantili e bancarie dei Buonvisi a partire dalla morte del fratello Benedetto, con l'inizio del sec. XVII il B. (che ricorderemo anche socio in accomandita della "Fabrizio Turchi e C. di Chieti" del 1588-91 con una "missa" di 1.000 ducati del Regno pari al 25% del capitale sociale) si ritirò completamente dalla scena; la "Fabio di Giuseppe Buonvisi e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1599-1602 fu l'ultima compagnia ad annoverarlo fra i suoi soci con una "missa" in accomandita di soli 1.000 scudi su 15.000.
Tuttavia il testamento, del 29 genn. 1604, rivela che molti dei capitali del B. (il cui patrimonio fu valutato nel 1599 in 300.000 scudi, la cifra massima non solo fra i Buonvisi ma fra tutti i contribuenti lucchesi) erano sempre investiti nella mercatura sotto forma di prestiti ai parenti.
In complesso, sebbene il B. apparisse formalmente estraneo a tutte le compagnie Buonvisi, in realtà nel 1604 vi si trovavano impiegati suoi capitali per almeno 48.500 scudi. Il B. doveva inoltre ancora riscuotere utili delle compagnie, cui aveva partecipato, di Anversa e di Lione; ed era creditore di oltre 30.000scudi per gli utili delle tre compagnie "Paolo, Bernardino Buonvisi e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1582-87, 1588-96 e 1596-1600, le cui "misse", di 7.000 scudi ciascuna, spettavano al solo B., sebbene fossero intestate anche a suo fratello Paolo.
Membro delle compagnie della Croce e del Nome di Gesù di Lucca, il B. (che nel 1572, scrivendo ai Ruiz, già aveva avuto occasione di felicitarsi per il massacro degli ugonotti in Francia) destinò una cifra pari a 23.502 scudi a lasciti pii, oltre alla dote, da fissarsi, per un altare fatto costruire nella chiesa di S. Pier Maggiore di Lucca. I lasciti per dote (60% alle fanciulle nobili, 30% a quelle povere della città, 10% a quelle povere del contado) assonimavano a 26.000 scudi; quelli per i servitori, per il medico, il notaio e il "commensale" Stefano Buonamici, a 1.300 scudi; vitalizi per complessivi 1.000 scudi annui vennero assegnati al nipote Cesare di Paolo Buonvisi, cavaliere di Malta, e alle sorelle Maddalena Guinigi, Caterina Bernardini e Zanetta Buonvisi. Il B. provvide anche a lasciti per 110.000 scudi a favore dei nipoti Martino, Stefano e Antonio di Benedetto.
Il B. infine istituì un fedecommesso (le cui clausole e motivazioni furono identiche a quelle disposte dal cugino Girolamo di Ludovico Buonvisi nel suo testamento del 1600) di censi, di Spagna, Napoli, Roma e Bologna, e di beni stabili, fra cui il palazzo Buonvisi detto "del Giardino", ricco di argenti, tappezzerie, statue, pitture e marmi. Stefano Buonvisi sarebbe stato il primo beneficiario del fedecommesso, mentre tutta la restante eredità sarebbe stata divisa a metà fra i figli di Benedetto e Paolo Buonvisi che a sua volta doveva trasmetterla a suo figlio Pompeo.
Il B. venne a morte il 31 genn. 1605.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Lucca, Comune,Corte dei mercanti, n. 87 (Libro delle date), cc. 55, 85v, 122v, 166 (banco di Lucca); cc. 45v-46v, 92, 95v, 120 v, 130v, 134, 148v, 163, 164, 168, 173, 178, 179v-180 (arte della seta di Lucca); pp. 108v, 139rv (arte della lana di Lucca); cc. 29v-30, 48-49, 91, 123v-124, 166v-167, 181 (Lione); cc. 97v, 122, 131 (Anversa); cc. 184v-195 (Venezia); c. 158 (Napoli); cc. 159v-160 (Monteleone); c. 99 (Ancona); n. 88 (id.), cc. 22-23, 49v-50, 89, 159rv (banco di Lucca); cc 1rv, 20v, 23-24, 28v-29v, 67v, 71, 151rv, 191v-192 (arte della seta di Lucca); cc. 47v, 59v-60, 94v,105rv, 127, 131, 141v, 142 (Lione); cc. 64v, 184v-185 (Anversa); cc. 6v-7, 31rv, 47v, 62-63, 98rv, 103rv, 104rv, 210, 139, 150, 166, 176v, 177 (Genova e Piacenza); c. 85 (Reggio Calabria); cc. 163-164 (Messina); cc. 88, 161v-162 (Palermo); c. 175 (Napoli); pp. 187v-188(Monteleone); c. 73 (Chieti); cc. 185v-186 (Venezia); n. 89 (id.), c. 64 (Anversa); Ibid., Arch. Buonvisi, I, n. 64, ins. 18 (notizie sulla famiglia Buonvisi); nello stesso archivio, in diversi registri, sono reperibili numerosi contratti di compravendita di beni stabili; Ibid., Arch. Arnolfini,n. 6, cc. 108-141; n. 15, cc. 87-88; n. 48, ins. 1; Ibid., Arch. Nobili, n. 3, ins. 25, pp. 241-242; n. 6, inss. I e II; Ibid., Arch. Sardini, n. 66(Registro degli asientos del 1588-90);Lucca, Biblioteca governativa, ms. 1108:G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi (sec. XVIII), passim e pp. 46 ss.(testamento); Archivo General de Simancas, Catalogo, IV, Secreteria de Estado, Negociaciones con Francia, a cura di J. Paz, I (1265-1714), Madrid 1914, pp. 329, 336;S. Bongi, Storia di Lucrezia Buonvisi, Lucca 1864, p. 153(patrimonio del B. nel 1599);M. Mazzolani, S. Turchi. Storia di un delitto famoso..., in Boll. st. lucch., VIII (1936), p. 157;Id., I Balbani nella Germania inferiore, ibid., X (1938), p. 40;E. Lazzareschi, introduzione a Librodella comunità dei mercanti lucchesi a Bruges (1377-1404), Milano 1946, p. XXXII; H. Lapeyre, Simon Ruiz et les "asientos" de Philippe II, Paris 1953, p. 61 e passim;Id., Une famille de marchands: les Ruiz. Contribution..., Paris 1955, pp. 48, 64, 84, 87, 90 s., 94, 114, 124 s., 135 s., 143 ss., 152, 304 s., 406, 430, 434 s., 445; J. Gentil da Silva, Stratègie des affaires à Lisbonne entre 1595 et 1607, Paris 1956, p. 24; V. Vazquez de Prada, Lettres marchandes d'Anvers, Paris 1960, I, pp. 199 s. e passim; IV, passim;F. Casali, L'azienda domestico-patrim. di Ludovico Buonvisi e la sua partecipazione alle compagnie principali del casato (con trascrizione del libro personale suo e degli eredi degli anni 1549-1569), tesi di laurea, università di Pisa, facoltà di economia e commercio, s.d. (ma 1964), ad Ind.;F. Ruiz Martin, Lettres marchandes échangées entre Florence et Medina del Campo, Paris 1965, pp. XV, 70 s., 91; R. Mazzei, Ricerca sulla vita polit. ed econom. della Rep. di Lucca agli inizi del sec. XVII, tesi di laurea, università di Firenze, facoltà di magistero, 1969-70, pp. 189 ss. e passim.