CARACCIOLO, Berardo
Nacque prima del 1230 a Napoli, dove passò anche i primi anni della sua vita.
Secondo Caracciolo e Fabris, il padre era il Marino Caracciolo e menzionato nel registro di Federico II (cfr. J.L.A. Huillard-Bréholles, Historia dipl., Parisiis 1853-59. V, 2, p. 859), ma non esistono prove. I registri angioini ricordano tre suoi fratelli, Gregorio, Matteo e Ligorio, e vari nipoti di ambedue i sessi. Il Fabria gli attribuisce altri tre fratelli, Bartolomeo, Francesco e Filippo; la loro esistenza rimane però dubbia, visto che manca uno studio critico sulla famiglia. Già al tempo dell'imperatore Federico II i Caracciolo erano considerati una delle famiglie più nobili del Regno. Marino, il presunto padre del C., si trovava al servizio imperiale. Un Landolfo Caracciolo è ricordato nel 1238 come valletto del giovane re dei Romani Corrado IV (Winkelmann, I, n. 823). Un altro Landolfo Caracciolo, nipote del C., nel 1268 fu nominato giustiziere dell'università di Napoli (Filangieri, IV, p. 154 n. 1031).
Secondo la testimonianza di Enrico di Isernia suo contemporaneo, il C. passò gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza a Napoli. È ricordato comunque per la prima volta nell'ottobre 1248, quando si trovava presso la Curia pontificia, allora a Lione (Berger, nn. 4437-38): era già cappellano di Innocenzo IV e "iuris civilis professor". Ricevette poi gli ordini minori, divenne suddiacono pontificio e ottenne le entrate dell'arcidiaconato di Outre-Vienne nella diocesi di Tours (Berger, nn. 6707, 7920). Innocenzo IV nel 1249-50 gli concesse inoltre il censo, spettante alla Chiesa romana, dei castelli di Palazzoli, Vassani, Vassanelli e Aliani (cfr. la rubrica del settimo anno di pontificato, ora perduta, del registro di Innocenzo IV, a cura di E. Pasztor, p. 203). Lo stesso papa gli affidò nel 1254 l'amministrazione di tre castelli strategicamente importanti al confine tra lo Stato della Chiesa e la Toscana: Radicofani, Acquapendente e Proceno (Berger, nn. 7146-47). In questo periodo il C. compare spesso come testimone nei documenti pontifici, emanati talvolta anche a sua richiesta. Dal 1262 in poi svolgeva anche funzioni di giudice in processi canonici.
Oltre alla sua vasta attività di professore, giudice, notaio e amministratore in campo civile e militare, il C., che nel 1261-62 era stato nominato notaio pontificio, svolse un ruolo importante anche sul piano della politica internazionale. Dal 1265 fino alla sua morte, avvenuta nel 1293, partecipò attivamente a tutte le operazioni politiche del Papato, anche se non comparì mai in prima linea, e senza propria completa iniziativa e responsabilità. Nella gerarchia il suo nome appare inizialmente dopo quelli dei cardinali e del camerlengo Pietro de Montebruni; più tardi insieme a quello di Benedetto Caetani, il futuro papa Bonifacio VIII, suo collega come notaio pontificio. Già Clemente IV apprezzò le sue doti di abile e fidato diplomatico e lo mandò l'8 dic. 1265 da Perugia a Roma per assistere all'incoronazione di Carlo d'Angiò. Il 24 e il 27 maggio 1267 compare come testimone nei trattati di Viterbo, conclusi da Carlo con l'imperatore Baldovino II allo scopo di riconquistare Costantinopoli, e di dividere l'Impero d'Oriente (Layettes, IV, p. 224). Nella primavera del 1269 egli si adoperò presso il Collegio cardinalizio per ottenere una dilatazione del pagamento del censo di 8.000 once annue dovuto da Carlo d'Angiò alla Chiesa romana. La minuta della lettera con la quale i cardinali accoglievano la richiesta si conserva nella raccolta delle lettere del C. (Roma, Biblioteca Vallicelliana, cod. Vallic. C. 49, f. 22). Il C. stesso contribuì con il proprio patrimonio a supplire al bisogno di denaro del re. Gli prestò ben 12.000 ducati d'oro e in compenso Carlo gli concesse il priorato della chiesa di S. Nicola a Bari di patronato regio (Cod. dipl. barese, XIII, p. 23; de' Pietri, p. 14). Quattro anni più tardi, nel 1273, il C. concesse al re un ulteriore credito di 4.000 once. Carlo lo soleva chiamare "carissimus amicus, consiliarius et familiaris". Era considerato anche ufficialmente il cappellano del re di Sicilia (Filangieri, X, pp. 204 n. 794, 267 n. 20).
Malgrado i suoi stretti rapporti con Carlo d'Angiò, durante la lunga sede vacante del 1268-71 il C. si adoperò soprattutto per tutelare gli interessi del Collegio cardinalizio. Presenziò due volte, il 21 maggio e il 13 luglio 1269, al concistoro, e nella lista dei presenti il suo nome compare ogni volta subito dopo quello del camerlengo Pietro de Montebruni (Arch. Segr. Vat., Misc., Arm. XV, t. 228, ff. 10 s.). Probabilmente ha ragione G. de Luca che gli attribuisce il ruolo di segretario (dettatore) di questo conclave, il più lungo in tutta la storia del Papato. Ma abbiamo notizie più sicure di un'altra attività svolta dal C. in quel periodo: nel settembre del 1269, con la qualifica di "capitaneus", egli comandò l'esercito pontificio in una spedizione contro il Comune di Orvieto. In tale veste invitò i vassalli della Chiesa a prestare il servizio militare, fece devastare vigne e campi e con una lettera riferì ai cardinali sull'andamento delle operazioni.
Quando finalmente il 1º sett. 1271 fu eletto Gregorio X, il C. si precipitò a congratularsi con lui, esprimendo la sua particolare soddisfazione per l'elezione di un cardinale al quale era noto da molto tempo (Delisle, pp. 101 s.). Ma la politica inaugurata da Gregorio X gli dovette rendere difficile la pretesa di continuare a servire con uguale fedeltà ilre di Sicilia e il pontefice: Carlo d'Angiò sperava in una rapida conquista di Costantinopoli, mentre Gregorio desiderava concludere l'unione con la Chiesa greca. E quanto alla politica nei confronti dell'Impero, Gregorio voleva rafforzare la posizione di Rodolfo d'Asburgo contro Carlo d'Angiò che mirava invece a diminuirne la potenza ed eliminarne ogni influenza politica in Italia.
Negli anni seguenti il C. fu coinvolto in questi problemi centrali della politica della Chiesa nella sua qualità di segretario addetto alla corrispondenza pontificia. Nella raccolta delle sue lettere se ne trovano ben trentaquattro, tutte del pontificato di Gregorio X, designate con il titolo "Super unione Latinorum et Grecorum". Altre dieci lettere, relative al concilio di Lione, dove fu discussa l'unione, portano l'annotazione "facte per eundem notarium" (Kaltenbrunner, p. 30), e furono redatte quindi personalmente dallo stesso Caracciolo. Mentre tutte queste lettere sono dominate dalla preoccupazione di raggiungere un'intesa con la Chiesa greca, altre cinque lettere perseguono il fine opposto: esse tentavano infatti di indurre il doge di Venezia a non concludere la pace con Bisanzio e sembrano scritte sotto l'influenza della fazione angioina in Curia. Visto che queste cinque lettere sono conservate solo nella raccolta del C., egli le dovette conoscere, se non ne fu addirittura l'estensore.
La politica di Gregorio X nei confronti di Rodolfo d'Asburgo mise sicuramente il C. nella stessa imbarazzante situazione di dover servire due padroni in contrasto. Per contenere l'ingerenza sempre più pericolosa dell'Angioino nello Stato della Chiesa Gregorio aveva bisogno del re dei Romani. Così nel novembre del 1274, da Lione, incaricò il suo notaio di scrivere a Rodolfo per invitarlo a mandare al più presto in Italia ambasciatori muniti di pieni poteri per trattare con il re di Sicilia (Redlich, Reg. Imp., VI, 1, p. 80 n. 278). L'incoronazione imperiale di Rodolfo sembrava in quel momento imminente, ma le trattative si trascinarono a lungo e non giunsero in porto prima della morte di Gregorio X. Sulla lunghezza del negoziato le riserve filoangioine del C. dovettero pesare non poco, visto che Rodolfo si lamentò di lui, non senza rivolgergli un rimprovero di doppiezza (Migne, Patr. lat., XCVIII, coll. 746-748; Redlich, ibid., n. 480). Le trattative per l'incoronazione di Rodolfo furono riprese soltanto durante il pontificato di Niccolò III, il quarto successore di Gregorio X. Ma questa volta il papa affidò l'incarico di tenere la corrispondenza a Matteo Rosso Orsini e a Benedetto da Anagni, non più al C. (cfr. Kaltenbrunner, p. 604). Egli fu presente soltanto il 4 maggio 1278 in occasione della conferma dei giuramenti prestati da Rodolfo tre anni prima a Losanna, e il 23 maggio 1281 a Orvieto, quando le trattative angioino-asburgiche si conclusero con la stesura di un documento ufficiale (Mon. Germ. Hist., Const., III, pp. 169, 251). Nel corso della sede vacante sopraggiunta dopo la morte di Niccolò III, il C. si assunse il compito di scortare la figlia di Rodolfo, Clemenza, attraverso la Toscana. La sposa del principe di Salerno portò agli Angioini la speranza di poter acquisire, in un futuro non troppo lontano, il regno di Arles.
Il C. intratteneva rapporti più o meno stretti con quasi tutte le dinastie d'Europa. I membri delle famiglie reali e dell'alta nobiltà si servirono della sua mediazione sia presso il papa che presso il re di Sicilia. Già nel 1265 le regine Margherita di Francia ed Eleonora d'Inghilterra pregarono il papa di mandare loro il Caracciolo. Dal duca Federico di Lorena ricevette nel 1274 una pensione annua di 24 libbre tornesi (Kern, Acta, p. 272); Edoardo I d'Inghilterra, e prima di lui Enrico III, gli fecero assegnare dalla loro Camera regia, per tramite di certi mercanti italiani, fino a 80 marchi d'argento annui. Edoardo I in particolare contava molto sui servizi del C. e lo considerava uno dei suoi migliori fautori in Curia (Rymer, Foedera, I, 3, p. 47). Il re di Navarra, Filippo il Bello, lo qualificò suo familiare (Delisle, p. 91) e persino Pietro d'Aragona, il grande rivale di Carlo d'Angiò, cercò di conquistame la benevolenza donandogli una coppa d'argento (Carini, p. 17). Non sembra vi fosse riuscito: dopo lo scoppio della guerra del Vespro e lo sbarco di Pietro in Sicilia fu proprio il C. a redigere la bolla di scomunica contro i Siciliani ribelli e la sentenza di deposizione del re aragonese (Parigi, Bibl. nationale, cod. Paris. lat. 8567, f. 23v). Nello stesso anno correva la voce in Curia che il C. avesse buone speranze di ottenere il cappello del cardinale francese Guglielmo di S. Marco, morto il 29 apr. 1282. Così per lo meno riferì al re Edoardo I d'Inghilterra il vescovo Tommaso di Hereford in una lettera del 12 giugno (Kern, Acta, p. 22 n. 38). Lo stesso vescovo l'anno precedente aveva raccomandato ai suoi procuratori in Curia di distribuire denaro anche a un altro notaio "magis excellens et domino pape magis specialis" (Registrum Thome deCantilupo, p. 274). I rapporti del C. col pontefice non erano dunque considerati particolarmente stretti. D'altra parte si tratta soltanto di dicerie: l'elevazione del C. alla dignità cardinalizia falli per l'opposizione di un altro cardinale più anziano, che era però considerato anche un fautore del re d'Inghilterra.
Dopo questo fallimento il C. vide passare il momento culminante della sua carriera, anche se conservò molta della sua influenza nella Curia. Con tutta probabilità fu tra i consiglieri di Martino che spinsero il papa, nell'interesse dell'Angioino, a rompere con l'imperatore Michele Paleologo. Le lettere pontificie di questo periodo, che si conservano nella sua raccolta, sono indirizzate prevalentemente a personaggi francesi. Nel 1283 si adoperò a favore dell'abbazia di Cluny (Registres de Martin IV, n. 265); nel 1286, insieme a tre cardinali e al vicecancelliere Petrus Peregrossus, a favore di Notre-Dame a Parigi (Arch. nat., L 463, n. 86). Le poche lettere del periodo del pontificato di Onorio IV si riferiscono soprattutto al processo contro Pietro di Aragona (Kaltenbrunner, p. 592). Con la massima gioia accolse nel 1288 la notizia della liberazione di Carlo II di Sicilia dalla prigionia aragonese. La lettera di congratulazione è cronologicamente l'ultima della sua raccolta. L'anno successivo, il 12 febbr. 1289, il C. è ricordato ancora una volta come testimone in un trattato con il Portogallo. Dopo questa data sembra aver abbandonato per un certo periodo la Curia. Si conservano infatti alcune lettere indirizzate a lui, con le quali viene incaricato di concedere vari benefici inglesi, insieme ai vescovi di Londra e di Ely. Dalle stesse lettere (settembre 1289) si può desumere che aveva ottenuto un beneficio a Parigi (Langlois, nn. 1366 s., 1446 s.). Dopo più di diciotto mesi lo troviamo di nuovo in Curia, a Orvieto, ma ora si occupava soltanto delle sue faccende personali. Si lamentava infatti con Niccolò IV dei costumi dei canonici del suo priorato di S. Nicola a Bari (Langlois, n. 4758).
Questo priorato nell'estate del 1293 venne concesso ad un'altra persona per la morte del C. (Cod. dipl. barese, XIII, p. 86, n. 61), avvenuta, secondo l'obituario del monastero di S. Patrizia a Napoli (Bibl. della Soc. napoletana di storia patria, Fondo Cuomo, ff. 1-20, 36), l'11 giugno.
Il C. era rimasto creditore del Comune di Siena per 6.000 fiorini d'oro, che ancora nel 1306 non erano stati restituiti. Per recuperare i denari i suoi nipoti fecero pignorare beni senesi nel Regno (de' Pietri, p. 14). Uno dei nipoti del C., Matteo Caracciolo, seguendo l'esempio dello zio, divenne notaio pontificio (Reg. de Boniface VIII, n. 1162).
La vastità dei suoi interessi di letterato, giurista, militare, diplomatico e uomo d'affari configura il C. in un certo senso già come un uomo del Trecento. De Luca lo chiama "il Bembo del suo secolo"; ma bisogna tener presente che lo stile latino del C. è ancora del tutto medioevale e che la figura del "prelato d'alto affare" quale egli era non è inconsueta nel Duecento. A questo secolo si riconduce tutto il suo stile di vita. Le sue entrate provenivano da benefici sparsi in tutta Europa: Tours, Winchester, Andover, Middleton, castelli nello Stato della Chiesa, Bari, Parigi. Seppe far valere con energia i suoi diritti, senza preoccuparsi di provocare proteste e liti. Non dimenticava i parenti: al nipote Berardo procurò un beneficio a Cambrai (Guiraud, III, n. 2381), a un altro di nome Matteo un beneficio a Salisbury (Potthast, Reg. Pont. Rom., nn. 21050 s.); per il suo abbreviatore Giovanni de Pedemonte ottenne un beneficio a Compiègne (Guiraud, III, n. 1082); per l'arciprete Iacopo da San Germano un altro ad Aquino (Jordan, n. 863). Quando il vescovo Gualtieri di Exeter nel 1266 mandò suoi procuratori in Curia ordinò loro di chiedere prima di tutto il consiglio del "magister" Berardo da Napoli. Nello stesso periodo, il 23 nov. 1265, l'arcivescovo Egidio di Tiro gli indirizzò dalla Terrasanta una lettera, chiedendo il suo intervento presso il pontefice (Layettes, IV, p. 169 n. 5113). Dall'Inghilterra fino alla Palestina il C. era dunque noto come uno dei personaggi più influenti alla corte pontificia. Poté conservare questo ruolo per più di vent'anni.
Opere: Conosciamo con esattezza solo la raccolta delle sue lettere, conservata in numerosi manoscritti, molto diversi l'uno dall'altro; i più antichi e importanti risalgono alla fine del secolo XIII: Reg. Vat. 29A, Bordeaux 761, Vallic. C 49 Paris. lat. 8567. Sul suo contenuto informa con precisione Kaltenbrunner. Manca un'edizione completa della raccolta. Le 748 lettere pontificie redatte dal C. iniziano con Urbano IV, nell'anno 1262, e finiscono nel 1285 con il papa Onorio IV. Ad esse si aggiungono nove lettere private del Caracciolo. Dopo la sua morte la raccolta venne ampliata con materiale più antico e più recente e largamente diffusa sotto il titolo di Dictamina o Epistolae notabiles. Ai manoscritti ricordati da Delisle e Kaltenbrunner vanno aggiunti uno di Firenze (Bibl. naz., Conv. soppressi, E. 4. 784) e un codice conservato nell'Archivio di Stato di Genova (cfr. A. Pflugk-Harttung, Iter Italicum, Stuttgart 1883, p. 29). Annotazioni marginali nei mss. Reg.Vat. 29 e Bordeaux 761 attestano che il C. redasse di sicuro gran parte delle lettere pontificie. Meriterebbero uno studio più approfondito alcune lettere conservate in un codice di Berna (Bürgerbibliothek, 69, ff. 122-125), che si riferiscono alla campagna militare contro Orvieto e al reclutamento delle truppe pontificie e sono redatte dal capitano dell'esercito, che, come ha dimostrato N. Kamp, era il Caracciolo. A lui non va attribuita invece la paternità delle lettere conservate in un codice della Biblioteca Angelica (505, ff. 15-22, ed. da G. De Luca, Un formulariodella Cancelleriafrancescana, in Arch.ital. per la storia della pietà, I [1951], pp. 219-393), redatte con tutta probabilità da autori francesi, Michele da Tolosa ed altri.
Fonti e Bibl.: Per le fonti pontificie si consultino principalmente, ad Indices, i Registres pubblicati nella Bibliothèque des Ecoles françaises d'Athènes et de Rome, e precisamente quelli del pontefice Gregorio IX (a cura di L. Auvray, Paris 1890-1955), di Innocenzo IV (a cura di E. Berger, e altri, ibid. 1884-1921), di Alessandro IV (a cura di C. Bourel de la Roncière ed altri, ibid. 1895-1959), di Urbano IV (a cura di J. Guiraud, ibid. 1899-1958), di Clemente IV (a cura di E. Jordan, ibid. 1893-1945), di Gregorio X (a cura di J. Guiraud, ibid. 1892-1960), di Giovanni XXI (a cura di L. Cadier, ibid. 1892-1960), di Niccolò III (a cura di J. Gay-S. Vitte, ibid. 1898-1938), di Martino IV (a cura di F. Olivier-Martin ed altri, ibid. 1901-1935), di Onorio IV (a cura di M. Prou, ibid. 1888), di Niccolò IV (a cura di E. Langlois, ibid. 1886-1893) e di Bonifacio VIII (a cura di G. Digard ed altri, ibid. 1884-1935); inoltre cfr. Calendar of the entries in the Papal Registers... Papal Letters, London 1893-1955, I, a cura di W. H. Bliss, ad Indicem; E. Pásztor, Ricostr. parziale di un registro pont. deperdito del sec. XIII, in Mélanges E. Tisserant, V, Città del Vaticano 1964, p. 203. Per le fonti imperiali si vedano, ad Indices, E. Winkelmann, Acta Imperii inedita, I, Innsbruck 1880; O. Redlich, Regesta Imperii, VI, 1, ibid. 1898; Mon. Germ. Hist., Legum sectio IV, 4, Constitutiones ab a. 1273 usque ad a. 1298, a cura di J. Schwalm, Hannoverae 1904-1906. Per quelle italiane: G. Caetani, Regesta chartarum dell'Archivio Caetani, I, Perugia 1922, pp. 36, 41; F. Nitti de Vito, Codice diplom. barese, XIII, Trani 1936, pp. 23 n. 12, 86 n. 61; R. Filangieri, I registri della cancelleria angioina, IV, Napoli 1952, p. 154; X, ibid. 1957, pp. 204 n. 794, 267 n. 20. Per quelle aragonesi, I. Carini, Gli archivi e biblioteche di Spagna in rapporto alla storia d'Italia, II, Palermo 1884, pp. 17-18. Infine, per le fonti francesi ed inglesi, si vedano: Layettes du trèsor des chartes, I-IV, Paris 1883-1909, ad Indices; F. Kern, Acta Imperii Angliae et Franciae ab anno 1267 ad annum 1313, Tübingen 1911, ad Indicem; Th. Rymer, Foedera et acta publica inter reges Angliae et alios, I, 1-3, Hagae Comitis 1745, ad Ind.; Calendar of the Patent Rolls: Edward I a. D. 1272-81, I, London 1901, p. 336; Calendar of the Close Rolls: Edward I a. D. 1269-88, II, London 1902, pp. 119, 279, 318; Diplomatic Documents preserved in the Public Record Office, a cura di P. Chaplais, I, London 1964, p. 244 (con un'importante notizia del 24 genn. 1262: "magister Berardus de Neapoli factus est notarius loco magistri Iohannis de Sancto Germano qui decessit"). Si consultino inoltre i registri vescovili inglesi editi dalla Canterbury and York Society: per la diocesi di Winchester, il Registrum Iohannis de Pontissara, a cura di C. Deedes, London 1915-1924, pp. 804, 813 s., 831 s.; e il Registrum Henrici Woodlock, a cura di A. W. Goodman, I, Oxford 1940, p. 572; II, ibid. 1941, pp. 1023-1027 (con quattro atti di Innocenzo IV, del 1250 e del 1253, relativi al C. nella sua qualità di priore di Andover e al suo procuratore, il suddiacono pontificio Iohannes Sarracenus); per la diocesi di Hereford il Registrum Thome de Cantilupo, a cura di R. G. Griffiths, London 1907, p. 274; per quella di Exeter The Registers of W. Bronescombe and P. Quivil,bishops of Exeter, a cura di F. C. Hingeston-Randolph, London 1889, p. 236.
Sulla famiglia del C. si vedano: F. de' Pietri, Cronologia della famiglia Caracciolo, Napoli 1803, pp.14-15; F. Caracciolo, Memorie della famiglia Caracciolo, I-II, Napoli 1839-94, p. 305; P. Litta, Le famiglie celebri italiane,sub voce Caracciolo, tavv. XXI, XXIII, XL; F. Fabris, La geneal. della fam. Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. XXI. Sul C. stesso e sulle sue lettere, infine: L. Delisle, Notice sur cinqmanuscrits de la Bibl. nat. et sur un manuscrit de laBibliothèque de Bordeaux contenant des recueilsépistolaires de Bérard de Naples, in Noticesetextraits des manuscrits de la Bibliothèque nationalet autres bibliothèques, XXVII (1879), 2, pp. 87-167; F. Kaltenbrunner, Römische Studien, III, Die Briefsammlung des Berardus de Neapoli, in Mitteilungen des Instituts für oesterreichische Geschichtsforschung, VII (1886), pp. 21-118, 555, 635; H. Otto, Berardus-Studien,ibid., XXII (1901), pp. 247-268; E. Jordan, Zur Chronologieder Briefe der Berardus-Sammlung,ibid., XXIII (1902), pp. 481-86; H. Omont, Nouveau document sur Bérard de Naples, in Bibl. de l'Ecole deschartes, LXXVI (1915), pp. 257-259; F. Bock, Annotationes zu der Sammlung Berards von Neapel, in Orientalia Christiana Periodica, XXII (1956), pp. 214-223; N. Kamp, in Festschrift P. E. Schramm, I, Wiesbaden 1964, p. 163 (sulla campagna contro Orvieto); D. Lohrmam, Berard von Neapel,ein päpstlicher Notar und Vertrauter Karls von Anjou, in Adel und Kirche. Festschrift für Gerd Tellenbach, Freiburg 1968, p. 477-498; Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccl., VIII, coll. 321 s.