ROTA, Berardino
ROTA, Berardino. – Nacque a Napoli nel 1509 da Antonio e da Lucrezia Brancia. La famiglia, che la tradizione vuole originaria di Asti e scesa a Napoli con gli Angioini, era di cospicua e antica nobiltà, ma fuori seggio. Ebbe tre sorelle (Isabella, Giulia e Laura) e cinque fratelli maggiori che non ebbero figli: Giovanni Battista, morto in battaglia a Ravenna nel 1512; Giovan Francesco, morto in battaglia contro Luigi di Lorena conte di Vaudémont (Valdimonte) nel 1527; Ferdinando (Ferrante), presidente della Regia Camera nel 1535, 1542 e 1543; Salvatore, abate di Castelfiore in Calabria, morto nel 1552; Alfonso, combattente a Tunisi, maestro portolano in Terra di Lavoro. Diventò titolare dei feudi di famiglia solo alla morte di Alfonso, ultimo fratello sopravvissuto, avvenuta il 22 agosto 1565.
La data di nascita e le notizie sulla famiglia sono fornite da Giovanni Rosalba (1899). Per quanto riguarda la data, essa viene desunta dall’iscrizione sepolcrale in S. Domenico Maggiore a Napoli: «moritur MDLXXV ann. agens LXVI». In realtà, come si vedrà più oltre, Berardino morì il 26 dicembre 1574; ma l’indicazione «ann. agens LXVI» potrebbe significare «a sessantacinque anni compiuti» anziché «a sessantasei anni», come vuole Rosalba, sicché la data di nascita potrebbe essere proprio il 1509.
I feudi di famiglia sono Risciolo e Marano in Abruzzo, di cui Alfonso risultava barone nella pratica per l’ammissione ai seggi. Ai quali si aggiunsero anche Prata, Valle, Pagliara e Trentenara. Contro Berardino, erede di Alfonso, vi è una significatoria riguardante le entrate di Risciolo in Abruzzo Ultra (Archivio di Stato di Napoli, Spoglio delle significatorie dei relevi, anni 1509-1768, vol. I, c. 368v); contro Antonio, figlio ed erede di Berardino, vi è una significatoria riguardante le entrate feudali di Prata, Valle e Pagliara in Terra di Lavoro (Archivio di Stato di Napoli, Petizioni e significatorie, II serie, vol. 21, cc. 72v-74r).
Sul finire degli anni Venti fu allievo del poeta Marcantonio Epicuro, e cominciò a essere conosciuto come promettente poeta latino: nel 1527 Pietro Gravina mandò a Berardino una lettera e un carme latino in cui lodava la morte in battaglia del fratello Giovan Francesco, esempio di amor patrio (l’anno si deduce appunto congetturalmente dalla notizia della morte, che sappiamo avvenuta durante l’invasione di Valdimonte), e si raccomandava a Epicuro; Paolo Giovio nominava Rota in un breve catalogo in forma dialogica di letterati napoletani come degno allievo di Epicuro. Il dialogo fu scritto nel 1528 e immaginato nel 1527, quando l’autore era riparato a Ischia dopo il sacco di Roma: «Rotilius noster» è Berardino Rota. Contatti tra Rota, Gravina e Giovio sono testimoniati anche da una lettera di questi al primo del 16 giugno 1548.
Un epigramma di Rota compare nella prima edizione (1529) del De bello neapolitano di Camillo Querno: Non tibi magna novis Caesar gaudere triumphis.
Nell’opera si legge anche un elogio di Marcantonio Epicuro e dei fratelli Rota suoi discepoli. L’elogio riguarda le virtù militari di Giovanni Battista, Giovan Francesco, Alfonso e Ferrante; non si menziona Berardino, dal che si potrebbe dedurre che non avesse avuto un grande ruolo né nell’assedio di Odet de Foix, conte di Lautrec, né nell’invasione di Valdimonte.
Due anni dopo, nelle Stanze [...] sovra la bellezza di Napoli di Giovan Berardino Fuscano (Roma, Blado) venne citato come poeta latino illustre insieme a Marcantonio Epicuro e Giulio Cesare Caracciolo e nominato in un catalogo di poeti latini nell’Oronte gigante di Antonino Lenio (Venezia, Aurelio Pincio Veneto, 1531).
Attorno al 1533 Scipione Ammirato situa la composizione delle Egloghe pescatorie, narrandone la genesi (furono recitate per la prima volta ventisette anni prima alla presenza di Vittoria Colonna) nella dedicatoria della princeps del 1560, per i tipi di Giovan Maria Scotto; ma la fama del giovane poeta riguardava ancora principalmente la produzione latina: sempre nel 1533 Giovanni Filocalo da Troia, nel Carmen nuptiale in Fabritii Maramauri [...] et Portiae Cantelmae [...] nuptiis [...] decantatum anno MDXXXIII (Napoli, Sutzbach) nominò Rota tra gli esponenti dell’ultima generazione dei poeti latini attivi a Napoli; e nel 1535, quando l’imperatore Carlo V entrò trionfalmente in città, per l’apparato del trionfo Berardino compose iscrizioni latine: si tratta di Fama ad Carolum Caes. loquitur e Gigantes depicti, ad Carolum V. Nel 1537 un carme latino di Rota comparve nel De verbo dei di Giacomo Prefetto: si tratta dell’epigramma Ut patris aetherei verbo formata sub alvo.
Solo nel 1536 Rota fu implicato, piuttosto indirettamente, in una manifestazione documentata di poesia volgare: nelle Cose volgare di Messere Agostino Landulfo Vescovo di Monte Piloso (Napoli, Cancer) egli compare come personaggio, uno dei paggi che cantano le lodi di Margherita d’Austria figlia di Carlo V, che recita un madrigale. Nel 1538 Rota venne nominato nell’Amore prigioniero di Mario di Leo da Barletta (Napoli, Sultzbach), in un passo che allude chiaramente alle sue Egloghe pescatorie, allora ancora inedite. Gli antichi biografi riferiscono anche di un giovanile curriculum militare sotto le insegne spagnole: secondo alcuni, Berardino combatté, con il fratello Ferrante, alle dipendenze di Alfonso d’Avalos marchese del Vasto, contro Lautrec nell’assedio del 1528; nel 1530 partecipò all’assedio di Firenze. Il servizio militare era indispensabile requisito per essere insigniti dell’ambito e prestigioso ordine cavalleresco di S. Giacomo e compiere un anno di noviziato: Berardino ottenne l’abito dall’imperatore il 24 gennaio 1539 e venne armato cavaliere il 17 ottobre dell’anno seguente a Roma, nella chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli. Nel decennio successivo (ma sono incerte le date) fu ancora a Roma, verosimilmente risiedendovi con una certa continuità, ove frequentò ambienti letterari e conobbe i Capilupi, Francesco Maria Molza e Pietro Bembo.
Nel 1543 sposò Porzia Capece (dei Capece di Capuana e non di Nido); dal matrimonio nacquero Giovanfrancesco, morto a tre anni (a lui Rota dedicò il sonetto CXXIV), Giovan Battista, Antonio, Alfonso, Ferrante e due figlie femmine. La moglie sarebbe morta di parto il 17 luglio 1559, secondo quanto si dice nel sonetto LXXIIr delle Rime.
Nel 1546 Rota era socio dell’Accademia dei Sereni (agli accademici dedicò il sonetto CXXIIr e l’epigramma Servate aeterni vestigia nostra Sereni); ne fu console all’atto della sua fondazione, e poi, durante quell’anno, due volte principe (le cariche avevano una durata di quattro mesi). Berardino vi tenne una relazione consuntiva, all’atto di lasciare la sua carica di principe per la seconda volta. Proprio durante gli anni dell’Accademia cominciò, tardivamente, a farsi conoscere pure come poeta volgare, in corrispondenza con altri poeti petrarchisti.
Risalgono agli anni 1546-47 i primi rapporti documentati tra Rota e il poeta Angelo di Costanzo. La corrispondenza consiste nello scambio di sonetti e in questioni relative all’Accademia.
Quando, nel 1547, scoppiarono a Napoli i tumulti contro il viceré Pietro di Toledo, i Rota parteggiarono per i rivoltosi, assieme al fiore della nobiltà napoletana. Alfonso venne privato, «per seditione», dell’incarico di mastro portolano. Il sonetto CVII sembra accennare a un esilio patito dai fratelli Alfonso e Salvatore; sembra che pure Berardino abbia avuto parte attiva nei tumulti, anche se non risulta avesse subito conseguenze; ma in un sonetto di Ferrante Carrafa, A par de la divina altera luce (risposta a CXXIr), nel contesto di un reciproco riconoscimento di benemerenze patriottiche, l’amico ricorda la partecipazione di Rota ai moti: «poich’oltra il dotto stile invitto duce/ foste con forte mano e con dir saggio/ incontra al fiero ed orgoglioso oltraggio/ di colui ch’anco a pianger mi conduce». Riguardano i fatti i sonetti C, CVI, XCVIIIr, Cr, CIr, CVIIIr.
Per molto tempo, fino al 1552, la fama di Rota come poeta volgare risulta affidata all’attività accademica e alla corrispondenza privata.
Nel 1548 iniziò una corrispondenza con Annibal Caro, che sarebbe continuata almeno fino al 1560. Caro e Rota si conoscevano comunque già da prima: Rota è nominato in una lettera di Caro a Jacopantonio Frescaruolo del 1538. Il 12 luglio 1551 il poeta Giovanni Antonio Serone scriveva da Gaeta a Rota (Lettere volgari, III, c. 209 r.) chiedendo che gli fosse mandata copia delle sue opere.
Nel 1552 vi fu l’esordio a stampa: trentatré rime di Rota compaiono nelle Rime di diversi illustri signori napoletani, curate da Lodovico Dolce per Gabriele Giolito. Berardino salì alla ribalta pubblica come degno rappresentante della cultura volgare napoletana e da allora sarebbe stato spesso presente nelle antologie di poesia, non solo di ambiente napoletano. Così nel 1553 nove sue rime compaiono nel Sesto libro delle rime di diversi eccellenti autori (Venezia, Al segno del pozzo), e nel 1556 sette componimenti furono pubblicati nel Libro settimo di Giolito. Nel 1554 cinque sonetti suoi furono stampati nel Tempio per Giovanna d’Aragona (Venezia, Pietrasanta). Nello stesso 1554 uscirono presso Giolito alcuni suoi carmi latini, assieme ad altri di Molza, di Antonio e Iunio Albino Terminio e di altri autori. La fama crescente come poeta volgare non oscurò quella del poeta latino; Rota intrecciò una fitta rete di relazioni con ambienti culturali diversi, che fruttò la partecipazione a varie antologie e la presenza di opere sue nelle sezioni di corrispondenza di opere di altri.
Due sonetti sono editi nelle Rime in morte di Irene di Spilimbergo del 1561 (Venezia, Guerra); due tra le Rime in morte di Ippolita Gonzaga del 1564 (Napoli, Scotto); trentanove sue rime figurano tra le Rime spirituali di sette poeti illustri stampate a Napoli da Giovan De Boy nel 1569; un sonetto è edito nelle Rime di Giovanni Della Casa del 1558 (Venezia, Bevilacqua); uno nell’Altea di Nicolò Carbone (1559); uno nelle Rime di Lodovico Paterno del 1560 (Venezia, Guadagnino); uno nella Gloria del cavallo di Pasquale Caracciolo del 1567 (Venezia, Giolito); due nell’Austria di Ferrante Carrafa (Napoli, Cacchi, 1573); uno nelle Rime di Caro del 1572 (Venezia, Manuzio); un sonetto e un epigramma latino nell’Oratione militare di Giovan Battista Attendolo (Napoli, Cacchi, 1573); un epigramma nelle Odi di Giovanni Battista Arcucci stampate da De Boy nel 1568.
La sua fama nell’ambiente napoletano, di poeta, uomo di cultura e cavaliere, lo fece comparire come personaggio in dialoghi di vario argomento, opera di autori napoletani, e fu onorevolmente menzionato in testi di poeti amici suoi.
Nel 1553 è presente nel dialogo sulla scherma Le tre giornate intorno alla disciplina dell’arme di Marc’Antonio Pagano (Napoli, Don Cilio d’Alife), insieme a Costanzo, a Giulio Cesare Caracciolo e a don Costantino Castriota; è il personaggio principale di Il Rota overo delle imprese di Ammirato, stampato a Napoli da Giovanni Maria Scotto nel 1562; è interlocutore nell’Arte poetica di Antonio Minturno, stampata a Venezia da Giovanni Andrea Vavassori nel 1563, e nei Discorsi cavallereschi di Gaspare Toraldo editi da Orazio Salviani nel 1588; è anche citato nell’ultimo canto dell’Amadigi di Bernardo Tasso, edito da Giolito nel 1560; ed è nominato assieme a Ferrante Carrafa come cantore di Maria d’Aragona nel Palagio d’Amore di Paterno, edito nelle Nuove fiamme del 1561; è infine tra i numerosi dedicatari dei Lusus di Giano Pelusio stampati da De Boy nel 1567 e figura nel Thesoro della volgar lingua di Reginaldo Accetto (Napoli, Cacchi, 1572), ove si parla degli autori napoletani viventi.
Una certa risonanza nei vari ambienti letterari italiani ebbero i Sonetti del s. Berardino Rota in morte della s. Portia Capece sua moglie, con il commento di Ammirato, stampati da Mattia Cancer nel 1560; è un’edizione in cento copie, per donarle agli amici, che risposero condolendosi per il lutto e complimentandosi per l’opera.
Nello stesso anno uscirono i Sonetti et canzoni, la prima edizione del canzoniere completo (che si divide in rime in vita, rime in morte di Porzia e rime di diverse materie), e le Egloghe pescatorie, per le cure di Ammirato e i tipi di Giovanni Maria Scotto. La seconda edizione del canzoniere completo (intitolato ancora Sonetti et canzoni, ma con molti componimenti aggiunti), delle Egloghe pescatorie e la prima edizione dei Carmina uscirono nel 1567 a cura di Dionigi Atanagi per Gabriele Giolito. Il frontespizio delle Egloghe reca la data del 1566; l’edizione, a dire il vero, era già in corso in quell’anno: ne parla l’autore stesso in una lettera a Vespasiano Gonzaga mandando un epigramma per la nascita del figlio Luigi. Il 2 ottobre 1569 Rota avrebbe steso un contratto con lo stampatore De Boy per la pubblicazione delle due commedie Lo scilinguato e Gli strabalzi, che però non furono pubblicate.
La terza edizione del canzoniere (Rime frutto di un rifacimento completo e divisa in rime in vita e rime in morte) e delle Egloghe pescatorie e la seconda dei Carmina vengono stampate a Napoli, presso Giuseppe Cacchi dell’Aquila, nel 1572, a cura dell’autore.
Poco si può dire della vita pubblica del poeta: rimasto cadetto per lungo tempo, fino a età più che matura, ebbe un ruolo marginale nelle travagliate vicende della sua patria in anni cruciali, il che naturalmente facilitò la sua carriera letteraria; più interessante sotto l’aspetto politico, stando a quanto risulta dal suo epistolario sparso per le biblioteche di Napoli e Roma, appare la figura del fratello maggiore, Alfonso. Per contro, l’esiguo, al momento, epistolario di Berardino svela sì una abbastanza intensa trama di rapporti, ma, quando non riguarda la letteratura, verte su cortesie, scambi di complimenti e piccoli negozi, per lo più raccomandazioni, e non sempre andate a buon fine. Rimarchevole è una missione a Roma, per la città di Napoli, nei mesi di marzo, aprile, maggio del 1554. Agli eletti Berardino indirizza cinque lettere, ora perdute (del 25 marzo, 1°, 11, 12, 18 maggio). Pure degna di nota è la testimonianza resa dai fratelli Alfonso e Berardino al processo inquisitoriale di Pietro Carnesecchi, a favore di quest’ultimo; Berardino depose l’8 agosto 1560, Alfonso il 20 agosto seguente.
Berardino partecipò, prima sotto la direzione del fratello, poi per proprio conto, a una politica di prestigio familiare che mirava a ottenere maggior peso nella vita cittadina (i Rota, che erano già ascritti, dal 1550, al seggio della nobiltà di Sorrento, nel 1557 avviarono una pratica per essere ammessi ai seggi della città di Napoli, senza successo; copia della lunga pratica è contenuta nei manoscritti XXVIII a 12 e XXI c 16 della Biblioteca della Società napoletana di storia patria), tentando di erodere i privilegi della vecchia nobiltà di seggio, e a gareggiare in magnificenza con questa, abbellendo palazzi e ville e innalzando sepolcri familiari nella chiesa di S. Domenico Maggiore; è forse questa politica che fruttò i rimproveri finali del ritratto che di lui fa Ammirato, certo raccogliendo qualche mormorio proveniente dagli ambienti della nobiltà sedile.
Rota passò gli ultimi anni della sua vita in siffatte incombenze, attendendo alla pubblicazione delle sue opere e all’accrescimento della proprietà familiare. Soffriva di gotta. Il 24 novembre 1574 fece un testamento, perduto, lasciando 500 ducati al Monte di pietà, con il patto che si dovessero tenere in cassa e che fossero usati esclusivamente per prestiti ai poveri.
Morì il 26 dicembre 1574.
Secondo Costo (1588, c. 86v), Berardino morì il 26 dicembre 1575. L’iscrizione sul sepolcro di S. Domenico Maggiore riporta la data 1575. Il registro dei Bianchi di Giustizia (ms. XV.E.5 della Biblioteca nazionale di Napoli), di cui Rota faceva parte, riporta invece la data 26 dicembre 1575. D’altra parte c’è la lettera di Antonio Rota ad Antonio Carrafa (Biblioteca apostolica Vaticana, Epistolario Carrafa, c. 130), dell’ultimo dell’anno del 1574, in cui comunica la morte del padre avvenuta «la matina di san Stefano»; e soprattutto la petizione di Antonio alla Regia Camera, del 24 dicembre 1575 (Archivio di Stato di Napoli, Petizioni e significatorie, II serie, vol. 21, cc. 72v-74r, cit.), in cui dichiara che la morte di Berardino avvenne «sub die 26 (decem)bris 1574». La discrepanza tra questi documenti e quelli che riportano la data della morte nel 1575 (citati da Fiorentino, 1882 e Rosalba, 1899) non senza qualche confusione) può essere spiegata con la compresenza a Napoli di due sistemi di datazione, uno simile a quello moderno e uno a nativitate.
Opere. Sonetti del s. B. R. in morte della s. Portia Capece sua moglie, Napoli, Cancer, 1560; Sonetti et canzoni del s. B. R. Con l’egloghe pescatorie, Napoli, Scotto, 1560; Berardini Rotae, equitis neapolitani, Poemata. Elegiarum lib. III. Epigrammatum lib. IIII. Sylvarum seu Metamorphoseon lib. I. Naenia quae nuncupatur Portia, Venetiis, apud Gabrielem Giolitum de Ferraris, 1567; Sonetti et canzoni del sig. B. R. cavaliere napolitano, con l’egloghe pescatorie, di nuovo con somma diligentia ristampate. Aggiuntovi molte altre rime del medesimo autore, Venezia, Giolito, 1567; Berardini Rotae, viri patricii, Carmina. Nunc tantum ab ipso edita. Elegiarum lib. III. Epigrammatum liber. Sylvarum seu Metamorphoseon liber. Naenia, quae nuncupatur Portia, Napoli, Cacchi, 1572; Delle egloghe pescatorie del signor B. R. Terza impressione, Napoli, Cacchi 1572; Delle Rime del s. B. R., terza impressione. Questa una sol volta da lui date in luce, mutate, et in minor forma raccolte, Napoli, Cacchi, 1572; Delle poesie del signor B. R., cavaliere Napoletano, Napoli 1725; Rime, a cura di L. Milite, Milano 2000; Egloghe pescatorie, a cura di S. Bianchi, Roma 2005; Carmina, a cura di C. Zampese, Torino 2007; Carmina extravagantia, a cura di M. Scorsone, in Lo stracciafoglio, s.d., n. 8, http: //www. edres.it/stracciafoglio/(21 febbraio 2017).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Petizioni e significatorie, II serie, vol. 21, cc. 72v-74r; Spoglio delle significatorie dei relevi, anni 1509-1768, vol. I, c. 368v; Archivio di Stato di Parma, Epistolario, b. 14; Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Epistolario Carrafa, c. 130; Napoli, Biblioteca della Società napoletana di storia patria, mss. XXVIII a 12 e XXI c 16; Biblioteca nazionale, ms. XV.E.5.
Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, et eccellentissimi ingegni, scritte in diverse materie. Libro Terzo, Venezia, Manuzio, 1564; La nobiltà di Napoli in dialogo del reverendo Padre Fra Luigi Contarino dell’ordine dei Cruciferi, Napoli, Cacchi, 1569; P. Vettori, Epistularum libri X, Orationes XIII, et liber de laudibus Ioannae Austriacae, Firenze, Giunti, 1586; T. Costo, Giunta di tre libri al compendio della storia del Regno di Napoli, Venezia, Barezzi, 1588; Petri Gravinae Panormitani Epistolae atque orationes, Napoli, Cacchi, 1589; S. Ammirato, Ritratti, in Id., Opuscoli, t. II, Firenze 1637, p. 250; F. Campanile, Dell’armi overo dell’insegne de’ nobili, Napoli 1680; F. Fiorentino, B. R., in Giornale napoletano della domenica, 1882, n. 31; Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari da Trino da Monferrato stampatore in Venezia, descritti ed illustrati da Salvatore Bongi, Roma 1890-1895; G. Rosalba, La famiglia di B. R., in Studi di letteratura italiana, I, Napoli 1899, pp. 160-179; Id., B. R. e il monte di pietà, in Napoli nobilissima, 1904, vol. 13; Relazione sul concorso al premio Tenore sul tema «B. R. letterato e gentiluomo napoletano del cinquecento», in Atti dell’Accademia Pontaniana, 1905, vol. 35, pp. 1-7; Cinque lettere inedite di B. R., in Studi dedicati a Francesco Torraca nel XXXVI anniversario della sua laurea, Napoli 1912, pp. 469-473; C. Fenizia, B. R. poeta napoletano (studio critico), Napoli 1933; B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, Bari 1953-1954; Pauli Iovii opera, I-II, a cura di G.G. Ferrero, Roma 1956-1958; A. Caro, Lettere familiari, ed. critica con introduzione e note di A. Greco, Firenze 1957-1971; P. Manzi, Annali di Giovanni Sultzbach (Napoli 1529-1544 - Capua 1547), Firenze 1970; Id., La tipografia napoletana nel ’500. Annali di Giovanni Paolo Suganappo, Raimondo Amato, Giovanni De Boy, Giovanni Maria Scotto e tipografi minori (1533-1570), Firenze 1973; E. Raimondi, Il petrarchismo nell’Italia meridionale, in Atti del Convegno internazionale sul tema: Premarinismo e pregongorismo, Roma 1973, pp. 95-123; P. Manzi, La tipografia napoletana nel ’500. Annali di Orazio Salviani (1566-1594), Firenze 1975; G. Parenti, Caracciolo Giulio Cesare, in Dizionario biografico degli Italiani, XIX, Roma 1976, pp. 394-397; La lirica napoletana del Quattrocento, a cura di A. Altamura, Napoli 1978; P. Giovio, Dialogus de viris et foeminis aetate nostra florentibus, in Pauli Iovii opera, IX, a cura di E. Travi - M. Penco, Roma 1984, pp. 149-231; M. Marti, Gli “epigrammi” napoletani d’Antonino Lenio, in Rinascimento meridionale e altri studi in onore di Mario Santoro, Napoli 1987, pp. 241-262; M. Grippo - T. Toscano, Carlo V nelle delizie aragonesi di Poggio reale. Un’«accademia» poetica di nobili napoletani in un raro opuscolo a stampa del 1536, in Critica letteraria, 1994, n. 83, pp. 279-307; T.R. Toscano, Un’orazione inedita di B. R. «principe» dell’Accademia dei Sereni di Napoli, in Miscellanea di studi critici in onore di Pompeo Giannantonio, III, Letteratura meridionale, in Critica letteraria, 1995, nn. 88-89, ff. 3-4, pp. 81-109; L. Milite, Correzioni manoscritte in due edizioni delle “Rime” di B. R., in Per Cesare Bozzettti. Studi di letteratura e filologia italiana, a cura di S. Albonico et al., Milano 1996, pp. 409-513; M. Firpo - D. Marcatto, I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi, I, Città del Vaticano 1998; C. Zampese, Te quoque Phoebus amat. La poesia latina di B. R., Milano 2012; M. Gambini de Vera d’Aragona, Discorso genealogico sulla famiglia Rota, in Studi in onore di B. R., I, Napoli, in corso di stampa.