BOSSI, Benigno
Nato il 23 febbr. 1788 a Como dal marchese Giovanni e da Clara Rossini, studiò legge all'università di Pavia, ma dopo la morte del padre abbandonò gli studi per dedicarsi, quale maggiore di sette fratelli, all'amministrazione dei beni aviti.
Fu avverso al governo napoleonico, tanto da rifiutare di entrare nella guardia d'onore del Regno italico. Ma furono soprattutto, dopo il 1812, le decimazioni dell'esercito italico sui campi di Spagna e di Russia, che acuirono e dettero un fondamento razionale alla sua gallofobia. Il B. fu perciò in prima fila durante la rivoluzione milanese del 1814, allorché insieme con il gen. D. Pino, con L. Porro-Lambertenghi, con Giacomo Ciani, F. Confalonieri e con altri firmò l'indirizzo al Senato di Milano, in cui si chiedeva la convocazione dei Collegi elettorali per decidere sulla sorte futura del Regno italico ed evitare il consolidarsi sul trono del viceré Eugenio di Beauharnais.
Nella famosa giornata del 20 aprile, mentre il Senato era riunito per prendere i gravi provvedimenti richiesti dal precipitare della situazione, il B., come capitano della guardia civica, chiese a nome di questa e in modo piuttosto perentorio che il picchetto dei soldati di linea di presidio al Senato fosse sostituito da un reparto della guardia civica, comandato da lui stesso. Questo reparto permise ai popolani milanesi - sobillati dal partito italico e da quello austriacante, concordi nel volere la decadenza del viceré Eugenio - di invadere il cortile del Senato, imponendo fra urla e minacce la desiderata convocazione dei Collegi elettorali. Di questa volontà popolare si fecero interpreti, presentandosi nell'aula di fronte ai senatori, il Confalonieri e il Bossi.
Ma ben presto, a differenza del Confalonieri, il B., che invano aveva cercato di strappare l'infelice ministro Prina dalle mani del popolaccio che lo doveva poi assassinare, ebbe a giudicare la vicenda del 20 aprile 1814 un "grave errore politico", che favorì l'insediarsi della dominazione austriaca nell'Italia settentrionale.
L'arrivo degli Austriaci trovò il B. nuovamente all'opposizione. Difatti egli figura tra i presentatori al generale inglese Mac Farlane di un indirizzo indipendentista redatto, a nome della guardia civica milanese, da Ugo Foscolo.
Nel 1820, quando era già iniziato il moto costituzionale di Napoli, il B. fu di nuovo al centro di un notevole scandalo politico, essendosi opposto insieme con il suo amico Giuseppe Pecchio alla decisione del governo austriaco di ammettere d'autorità nel "casino dei nobili" gli ufficiali austriaci residenti a Milano. Ma non solo non si volle tener conto di questa opposizione, che pure raccoglieva il maggior numero degli iscritti al circolo, ma, impostasi la volontà governativa, furono anche respinte le dimissioni dei soci protestatari. Di qui un'azione legale contro le autorità austriache patrocinata dal B. per incarico dei suoi amici.
Questo episodio spinse sempre più il B. a stringere i vincoli d'amicizia e i contatti politici con il Confalonieri e il Pecchio, il quale ultimo lo aggregò senza formalità alcuna alla società segreta dei federati. Poco dopo fu invitato a fare parte del comitato insurrezionale. In quella circostanza si adoperò per fare confluire nella federazione lombarda un gruppo di democratici repubblicani ed estremisti capeggiati da G. Vismara e da C. Mantovani, i quali fino allora operavano nel segreto e per proprio conto. Data la vicinanza della sua proprietà di Induno al confine piemontese, al B. venne affidato l'incarico di tenere i contatti con i patrioti del regno sardo e per tale motivo più volte si recò a Novara.
Scoppiata l'insurrezione nel Piemonte, insieme con il Pecchio varcò clandestinamente la frontiera per andare a Torino, dove ebbe contatti col principe Carlo Alberto, cui ebbe modo di presentare i patrioti via via che giungevano nella capitale.
A Torino fu iniziato alla carboneria, questa volta con tutti i rituali del caso e fu inviato in missione a Parma per favorire anche colà l'estendersi del moto costituzionale. Ma, precipitando la situazione dopo lo scontro di Novara, il B., con il Pecchio e il Vismara, dovette rifugiarsi a Genova, dove s'imbarcò per Antibes, e infine, passando per Lione, si recò a Ginevra. Qui, tramite l'esule lombardo L. Porro, entrò in contatto con Filippo Buonarroti, che cercava di raccogliere intorno a sé i patrioti italiani in esilio. Il B., subendo il suo fascino, aderì alla società segreta che il Buonarroti dirigeva, il Gran Firmamento (il B. nelle sue memorie la chiama erroneamente Comitato direttivo).
Poco dopo la sua iniziazione settaria di Ginevra, il B. si recò a Parigi ritrovandovi il compagno di congiura Filippo Ugoni e facendo la conoscenza di Stendhal. Qui entrò anche in contatto con il centro organizzativo delle varie sette europee, il Comité directeur, dal quale gli vennero affidati i denari da consegnare al Buonarroti per la missione in Italia dell'Andryane. Per questa missione il B. avrebbe avuto l'incarico di redigere le istruzioni, che purtroppo non salvarono il cospiratore francese dall'arresto e dalla deportazione allo Spielberg.
Proprio nel fervore dell'organizzazione cospirativa, per le concomitanti pressioni diplomatiche dei governi della Santa Alleanza, al B. e ad altri esuli politici fu ingiunto dalle autorità cantonali di allontanarsi dalla città di Ginevra. Egli allora cercò rifugio nel cantone di Vaud, donde continuò a recarsi clandestinamente a Ginevra e dal Buonarroti. Nel frattempo, il 21 genn. 1824 era resa pubblica la sentenza, con la quale il B. - insieme con gli altri congiurati lombardi - veniva condannato a morte in effigie per avere cospirato contro il governo austriaco.
Fuggito a Londra, sposò Adelina Bertrand-Sartoris, una nipote del Sismondi, che l'aveva seguito in Inghilterra. A Londra frequentò vecchi e nuovi amici, i fratelli Ciani, il generale De Meester, Luigi Angeloni e altri. Recatosi, quindi, per ragioni economiche a Edimburgo, il B. frequentò anche la casa di W. Scott e, presso la Società culturale italo-inglese, tenne due conferenze sulle condizioni di Milano nel sec. XVIII.
Lasciata l'Inghilterra nel 1828, il B. soggiornò per più di un anno a Bruxelles ove, fra gli altri esuli italiani, rivide gli Arconati, gli Arrivabene e il vecchio Buonarroti, che fin dal 1825 era statoespulso dalla Svizzera. Nel 1830 il B. poté ritornare a Ginevra, dove acquistò la tenuta di Loex, riprendendo la sua attività di proprietario agricoltore.
Nominato membro della Société des Arts (classe Agricoltura), vi tenne varie relazioni su nuove tecniche agrarie. Soprattutto, forte della sua esperienza di agricoltore lombardo, si fece promotore della rinascita della sericoltura, già fiorente a Ginevra alla fine del sec. XVIII, promuovendo la coltivazione dei gelsi e la bachicoltura. Ma l'esperimento non ebbe successo per i motivi che egli stesso analizzò in vari saggi sul Bulletin de la Société des Arts, dove da questo momento compaiono altri suoi scritti di tecnica agraria.
Il B., nondimeno, continuò a mantenere i contatti con i patrioti italiani, unendosi al Mazzini e ai suoi seguaci operanti allora a Ginevra o nelle vicinanze. Fra l'altro, nel febbraio 1833, insieme con il Mazzini, Pepoli, Ciani, Bianco e Regis firmò la circolare della Giovine Italia, emanata al fine di costituire un fondo comune per l'acquisto di armi, che avrebbe dovuto permettere di assumere l'iniziativa rivoluzionaria in Europa. Ma ormai il B. tendeva sempre più ad accostarsi alla parte moderata e aristocratica dell'esulato italiano e in particolare, più che al Mazzini, si legò nell'azione politica a Pellegrino Rossi.
Nel 1840 gli fu concessa la cittadinanza ginevrina e nell'amministrazione cantonale ricoprì la carica di segretario della Commissione della scuola primaria.
L'evolversi delle sue convinzioni politiche si poté ampiamente constatare durante le lotte che sconvolsero Ginevra nel 1842-43 e che videro sanguinosi conflitti fra il partito popolare e quello conservatore. Il B., infatti, militò nelle file di quest'ultimo, che peraltro rimase sconfitto.
Nel moto rivoluzionario del 1848 il B., ritornato a Milano, godette la fiducia del moderato governo provvisorio, che gli affidò una delicata missione diplomatica a Londra, delegandolo come proprio rappresentante presso il governo del Palmerston. Dai suoi dispacci diplomatici si comprende come egli fosse un fautore della fusione fra la Lombardia e il Piemonte sabaudo, auspicando una soluzione regia alla prima guerra d'indipendenza.
Amareggiato, ma non sfiduciato, dopo la catastrofe del 1849, ritornò nella sua patria adottiva, Ginevra, rivedendo l'Italia soltanto durante un breve soggiorno a Genova nel 1859. Nel giugno 1864 fu eletto a rappresentare l'Associazione italiana di soccorso per i soldati feriti o malati in tempo di guerra presso la Società ginevrina di utilità pubblica.
Il B. morì a Ginevra il 9 maggio 1870.
Bibl.: Il B. lasciò manoscritta un'autobiografia, redatta fra il 1858 e il 1860, Miei ricordi,scritti a richiesta di mio figlio Arturo che li conserverà dopo la mia morte,se ciò lo interessa. Essa, che si arresta al 1830, fu utilizzata da A. Vannucci, I martiri della libertà italiana, Milano 1878, II, pp. 70 s., e da G. De Castro, Ricordi autobiografici inediti del marchese B. B., in Arch. stor. lombardo, XVII (1890), pp. 894-937, che si servì, per gli avvenimenti successivi al 1830, anche dei dati contenuti nell'orazione commemorativa del B. tenuta da A. de Candolle, presidente della Società delle Arti di Ginevra, e pubblicata nel Bulletin de la classe d'industrie et commerce de la Société des Arts de Genève, n. 95, luglio 1870, p. 15. Per la partecipazione del B. alla crisi politica di Milano nel 1814, v. D. Spadoni, Milano e la congiura militare del 1814 per l'indipendenza italiana, Modena 1936-37, ad Indicem;e R. Rogora, Il marchese B. B. ..., in Boll. storico per la provincia di Novara, XLV (1955), pp. 203-215. Per il periodo dell'esilio in Svizzera: G. Ferretti, Esuli del Risorgimento in Svizzera, Bologna 1948, ad Indicem;A. Saitta, Filippo Buonarroti, I, Roma 1950, pp. 58, 185; II, ibid. 1951, pp. 183 s.; S. Mastellone, Mazzini e la giovine Italia, Pisa 1960, ad Indicem. Sulla missione a Londra nel 1848: A. Monti, Un italiano: F. Restelli, Milano 1933, pp. 31, 59, 354, 363, 370; R. Moscati, La diplomazia europea ed il problema italiano nel 1848, Firenze 1947, pp. 47 s. M. Vuillemeur, Buonarroti et les sociétés secrètes, in Annales histor. de la Révolution française, LII (1970), pp. 488 ss.