GARETH (o Garret), Benet (Cariteo, Chariteo)
Nato a Barcellona, in Catalogna, intorno al 1450, in patria ricevette una prima educazione classica. Il nome Cariteo o Chariteo (allievo delle Grazie), con il quale lo troviamo citato anche negli atti pubblici, gli fu dato dagli accademici napoletani per sottolineare la predilezione delle Grazie nei suoi confronti.
Giunse a Napoli in giovane età, con buona probabilità tra il 1466 e il 1468, e il suo trasferimento è da ritenersi legato alle vaste prospettive di lavoro offerte a un catalano dalla corte aragonese, unite alle molte attrattive culturali della vivace città partenopea. Il G. non ebbe difficoltà a mettersi in luce all'interno della corte, dove svolse dapprima (già dal 1482) gli incarichi di "regio scrivano" e di "familiare del re". Nel 1486, quando il regio segretario di re Ferdinando I, Antonello Petrucci, fu coinvolto nella congiura dei baroni, incarcerato e infine decapitato, il G. gli successe nel suo incarico di percettore delle entrate del regio sigillo. In tale veste (che coprì fino al 1495), il G. si trovò a lavorare a stretto contatto col grande umanista G. Pontano, che era stato nominato regio segretario al posto del Petrucci, entrando a far parte della sua Accademia, grazie anche alla sua ottima conoscenza del latino e al comune culto dei classici. Fondamentale fu lo stretto rapporto di fiducia che il G. instaurò con re Ferrandino (Ferdinando II): salito al trono il 23 genn. 1495, questi rappresentò un tipico esempio di principe rinascimentale, educato alle lettere, colto, amante delle arti e anch'egli scrittore. Quando - nel febbraio del 1495 - le truppe francesi di Carlo VIII occuparono Napoli, il G. seguì il re in esilio. Tanta fedeltà al re fu punita dai Francesi che confiscarono allo scrittore tutti i suoi beni. Ma solo quattro mesi dopo il G. fece rientro a Napoli, accompagnando Ferrandino alla testa del suo esercito vittorioso e il re lo nominò regio segretario al posto del Pontano, che si era compromesso col regime francese. La buona sorte del G. ebbe breve durata, perché nell'ottobre del 1496 Ferrandino morì prematuramente, e lo zio Federico che gli successe preferì come segretario di Stato Vito Pisanelli. Caduti gli Aragonesi (agosto 1501), il G. fece in tempo a lasciare Napoli per Roma prima che le truppe francesi entrassero in città. A Roma visse circa due anni, stringendo proficui rapporti d'amicizia con alcuni letterati, fra cui il poeta anconetano Marco Cavallo e il fiorentino Pietro de' Pazzi, e in particolare con Angelo Colocci. Quando si conobbero, quest'ultimo stava attendendo alla pubblicazione delle rime di Serafino Aquilano, del quale il G. era stato uno dei principali modelli.
L'incontro fra i due letterati - nato sotto questo buon auspicio - si rivelò particolarmente proficuo: il G., che insieme con il nipote Bartolomeo Cassagia contribuì alla rinascita degli studi provenzali in Italia, fu infatti un prezioso insegnante di "lingua limosina" per Colocci, se non colui che, almeno per il suo interessamento, gli fornì alcuni manoscritti provenzali, spagnoli e portoghesi. Certamente dalla vedova del G. il Colocci acquistò il prezioso canzoniere M, il "libro limosino" (oggi alla Bibliothèque nationale di Parigi, Fonds français 12.474). Tornato a Napoli nel settembre del 1503, dopo la cacciata dei Francesi e l'avvento al trono di Ferdinando il Cattolico, il G. fu nominato governatore del contado di Nola. In questi anni fece parte del circolo culturale e mondano che si riuniva intorno a Costanza d'Avalos.
Nel 1506 diede alle stampe a Napoli, presso l'editore Giovanni Antonio da Caneto, la prima stesura della raccolta poetica a cui è legata la sua fama: Libro de sonetti et canzone di Chariteo intitulato Endymione a la Luna. Va però ricordata la testimonianza del codice - proveniente dalla Spagna - acquistato da Tammaro de Marinis e studiato da Gianfranco Contini, datato fra il gennaio 1494 e il gennaio 1495.
Il canzoniere del 1506 è dedicato - con un prologo in prosa - "Al virtuosissimo cavalier messere Cola Dalagno" ed è costituito da 65 componimenti. Dopo un foglio lasciato in bianco, troviamo 32 strambotti e due canzoni encomiastiche, quella in lode di Ferrandino - Canzone di Chariteo della lode del serenissimo signor principe de Capua - preceduta dalla dedicatoria ad Alfonso d'Avalos, e quella che celebra la dinastia aragonese: Canzone di Chariteo intitulata Aragonia. Questa edizione venne ripubblicata almeno quattro volte nel corso del '500. Se si escludono le canzoni che chiudono la raccolta, tutto il canzoniere è incentrato sulla narrazione della triste vicenda amorosa del poeta e sul contrasto fra Amore e Morte. Incerta l'identificazione della donna cantata dal G. e indicata col senhal di Luna: attualmente si tende a confermare quella proposta da E. Percopo (1892, I, p. LXXVI) che ipotizzava, basandosi sui vv. 9-10 del son. XVIII ("D'un monte chiaro et pien de bianca neve / Nasce la Fiamma ardente che mi strugge"), che la donna appartenesse al casato dei Chiaromonte. La raccolta mostra immediatamente al lettore i suoi principali modelli: Properzio e Petrarca. A Petrarca, infatti, si deve l'introduzione in campo letterario del mito di Endimione, il pastorello che Luna / Diana innamorata aveva fatto cadere nel sonno per poterlo baciare; mentre Luna è sinonimo di Cinthia, nome della donna amata da Properzio. Il sonetto proemiale - "Amor, se 'l suspirare e 'l cantar mio" -, presenta il canzoniere come la raccolta delle lamentazioni di un amante infelice. Alcune fondamentali tematiche properziane (l'amore come passione totalizzante e distruttiva, le virtù fisiche e morali dell'amata come ispiratrici del canto), vengono a costituire la trama sottesa al canzoniere. L'apporto di Petrarca rimane invece fondamentalmente legato alla forma e allo stile del testo, diversamente dai petrarchisti in senso stretto. Il canzoniere del G. ripropone infatti tutte le forme metriche petrarchesche: canzoni, sestine, ballate, sonetti e madrigali. La forma metrica dei sonetti è, come in Petrarca, alquanto variata e, per quanto riguarda le canzoni, 15 su 20 ripetono gli schemi petrarcheschi e delle 5 che non hanno un esatto corrispettivo 2 divergono solo poco dagli schemi del Petrarca. I versi del G. sono attraversati continuamente da una vena di disperazione che nasce, in concreto, dall'impossibilità di accordare i due modelli: Petrarca, che sublima nell'ascesi interiore il proprio desiderio, e Properzio, a cui invece era concesso di godere pienamente l'oggetto della propria passione. Seppur preponderanti, non furono Properzio e Petrarca gli unici poeti a influenzare il G., nei cui versi ritroviamo echi ovidiani, lucreziani e provenzali.
Nel novembre del 1509 lo stampatore napoletano Sigismondo Mayr pubblicò - per cura di Pietro Summonte - l'edizione di Tutte le opere volgari di Chariteo. Vi troviamo una nuova redazione dell'Endimione con il titolo Primo libro di sonetti e canzoni intitulato Endimione, comprendente 247 componimenti, cioè tutti quelli in metri illustri già presenti nell'edizione del 1506, ma non le sei frottole, né l'appendice di strambotti, probabilmente considerati dallo stesso G. un tentativo poetico giovanile.
Questa seconda edizione testimonia il mutamento avvenuto nella vicenda amorosa del poeta, segnata dall'allontanamento di Luna, partita per la Spagna per sposarsi il 10 ott. 1492. Seguendo l'uso petrarchesco, il G. comporrà, di anno in anno, altre canzoni per ricordare l'amata lontana e l'amore mai sopito nei suoi confronti. Con la scomparsa dalla scena di Luna però il tono del canzoniere cambia radicalmente, e la poesia del G., da polemica e conflittuale quale era, giunge progressivamente a sublimare la donna mai raggiunta e a sostituirla con un altro ideale, quello della gloria poetica, in un processo che nuovamente lo accosta a Properzio. La scelta di indirizzare in senso celebrativo il canzoniere, fa sì che il G. introduca nuovi personaggi, primi fra tutti i principi della casa d'Aragona, come nella canzone XVI, in cui è celebrata l'ascesa al trono di Alfonso II (1494), dando modo al poeta di insistere sul valore eternizzante della poesia. Da questo momento in poi la vicenda amorosa passa in secondo piano e salgono alla ribalta i temi civili. Rivedendo il testo dell'edizione del 1506, il G. opera anche un'attenta e metodica revisione linguistica e stilistica dei 61 componimenti che passano nella nuova edizione, avendo a modello il fiorentino letterario del Quattrocento.
A questa nuova organizzazione dell'Endimione il G. fa seguire la produzione di carattere religioso ed edificante, ossia le sei canzoni sulla Natività de la gloriosa Madre di Jhesu Christo, e quella sulla Santa Natività di Jhesu Christo. Malgrado le principali fonti d'ispirazione di questi componimenti siano costituite dai libri sacri e dagli inni della Chiesa e - dal punto di vista formale - dalla Canzone alla Vergine di Petrarca, l'eco dei classici è ancora viva e forte. Segue il Libro de la Metamorphosi, in quattro canti in terza rima, dedicato alla narrazione dei principali avvenimenti relativi al crollo degli Aragonesi a Napoli, e di cui il G. fu spesso testimone. Oltre a influssi pontaniani, è evidente, e dichiarato sin dal titolo, il debito del G. nei confronti di Ovidio. Alle Metamorphosi seguono il canto In la morte de don Innico de Avalos e la Resposta contra li malivoli, in cui il G. inveisce contro due poeti invidiosi che avevano disprezzato le sue poesie sostenendo che egli sarebbe stato presto dimenticato. Il canzoniere si chiude con i sei canti del poemetto storico-religioso, in terza rima, Pascha databile fra l'ottobre 1503 e il novembre 1509. Scopo del poemetto è mostrare l'origine divina del casato aragonese, secondo i modelli dell'epica religiosa latina. La Pascha risente di una certa stanchezza d'ispirazione (forse anche per essere stata scritta dal G. in età avanzata), e i versi migliori sono quelli in cui il tono celebrativo lascia il passo alla rievocazione della patria lontana e degli anni felici della gioventù.
Il G. passò gli ultimi anni in precarie condizioni di salute, circondato dalle affettuose cure della moglie, la spagnola Petronilla Vignoles (de Marinis, 1898, p. 401) e delle numerose figlie. L'ultimo documento in cui lo troviamo citato è un "instrumento rogato" del 20 apr. 1512, mentre nella lettera di Pietro Summonte a Colocci del 28 luglio 1515 il G. è chiamato "lo bon messer Chariteo di felice memoria": dal che si desume che a quella data era già morto da qualche tempo.
Come si è visto, il G. si inserì con grande facilità nell'ambiente culturale napoletano: ciò è testimoniato anche dalla frequenza con cui lo troviamo citato nelle opere dei suoi sodali. Ricordiamo, a titolo di esempio, l'importante ruolo di teologo che gli attribuisce il Pontano nell'Aegidius, e i versi della canzone XII del libro I dei Baiarum in cui esalta la leggiadria dei suoi compimenti. A Pontano il G. dedica alcuni sonetti e una canzone. Col Sannazzaro il legame fu strettissimo, poiché il G. aveva trovato in lui, fin dai primi anni napoletani, una sicura guida alla conoscenza della poesia volgare. Il G. lo ricordò in molti dei suoi componimenti, e Sannazzaro lo inserì fra i personaggi dell'Arcadia come il "bifolco venuto da la fruttifera Hispania", e lo menzionò in alcune poesie latine. I componimenti del G. dovettero avere una certa circolazione nelle corti italiane prima ancora che fossero dati alle stampe, e ciò fece sì che la sua fama (anche come musicista) fosse già considerevole alla fine del '400. Fino alla fine del Seicento l'opera del G. fu pressoché dimenticata (fatte salve le annotazioni di B. Di Falco), anche per il definitivo affermarsi del canone bembiano, nel quale la sua poesia non trovava posto. Si deve a L. Nicodemo la prima compiuta descrizione del canzoniere del G., eseguita sull'edizione del 1506. Nel corso del '700 si assistette a un risorgere d'interesse nei confronti del G., testimoniato dalla pubblicazione di alcuni suoi sonetti e canzoni in raccolte antologiche, come il I vol. della Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo, pubblicato nel 1727 a Venezia e il vol. VI del Parnaso italiano, edito, sempre a Venezia, nel 1784. Fra la fine del '700, con le ricerche di R.D. Caballero, e l'800 si apre la stagione dell'approfondimento dell'opera del G., culminata, nel 1892, con la pubblicazione integrale del suo canzoniere a opera del Percopo, al quale si deve anche il primo studio complessivo che individua il ruolo fondamentale svolto dalla poesia del G. nell'ambito dell'umanesimo napoletano. Da allora l'opera del G. è stata sottoposta a successive indagini, che hanno fondamentalmente approfondito i suoi legami con la poesia provenzale (Debenedetti), col mondo classico (La Penna, Consolo), e con Petrarca (Tateo, Guardiani), fino a giungere al volume di G. Parenti che costituisce un riesame complessivo delle varie questioni.
Fonti e Bibl.: V. Calmeta, Prose edite e inedite (con due appendici di altri inediti), a cura di C. Grayson, Bologna 1959, ad indicem; B. Di Falco, Descrittione de i luoghi antichi di Napoli e del suo amenissimo distretto (Napoli 1549), a cura di O. Morisani, Napoli 1972, p. 81: L. Nicodemo, Addizioni copiose alla Biblioteca Napolitana del dottor Niccolò Toppi, Napoli 1683, pp. 58 s.; R.D. Caballero, Ricerche critiche, s.n.t. (ma Roma 1797), pp. 3-28; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI, 3, Firenze 1809, pp. 843 s.; C. Minieri Riccio, Biografie degli accademici alfonsini, detti poi pontaniani, Napoli 1881, pp. 318-337; A. D'Ancona, Studi sulla letteratura italiana dei primi secoli, Ancona 1884, pp. 144-190; E. Percopo, Le rime di Benedetto G. detto Chariteo secondo le due stampe originali, I-II, Napoli 1892 (cfr. la rec. di V. Rossi, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XXII [1893], pp. 229-236); T. de Marinis, Tre documenti inediti riguardanti il "Chariteo", in Archivio storico per le province napoletane, XXIII (1898), pp. 399-403; F. Mango, Redazione ignota di una canzone del G., in Giorn. stor. della letteratura italiana, XXXI (1898), pp. 460-462; S. Debenedetti, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, Torino 1911, ad indicem; G. Getto, Sulla poesia del Cariteo, in Giorn. stor. della letteratura italiana, CXXIII (1941), pp. 53-68; A. Tortoreto, Introduzione a Lirici cortigiani del Cinquecento, Milano 1942; G. Weise, Elementi tardogotici nella letteratura italiana del '400, in Riv. di letterature moderne e comparate, X (1957), 2, pp. 192 s.; B. Croce, Il Cariteo, in Poeti e scrittori del tardo Rinascimento, I, Bari 1958, pp. 36-43; G. Weise, Manierismo e letteratura, in Rivista di letterature moderrne e comparate, XIII (1960), pp. 14 s.; G. Contini, Il codice de Marinis del Cariteo, in Studi di bibliografia e storia in onore di Tammaro de Marinis, II, Verona 1964, pp. 15-31; B. Croce, La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, Bari 1968, ad indicem; E. Fenzi, La lingua e lo stile del Cariteo dalla prima alla seconda edizione dell'Endimione, in Studi di filologia e letteratura, I (1970), pp. 9-81; P. Manzi, La tipografia napoletana nel '500, Firenze 1971, pp. 128 s.; G. Petrocchi, La letteratura del primo e del tardo Rinascimento, in Storia di Napoli, V, 1, Napoli 1972, pp. 279-311; F. Tateo, La letteratura in volgare da Masuccio salernitano al Chariteo, in Letteratura italiana. Storia e testi, diretta da C. Muscetta, III, 2, Bari 1972, pp. 587-599; M. Santoro, La cultura umanistica, in Storia di Napoli, IV, 2, Napoli 1974, pp. 315; A. Altamura, Ideali classici e petrarchismo nel Cariteo, ibid., pp. 516-520; G. Contini, Letteratura italiana del Quattrocento, Firenze 1976, pp. 554-556; A. La Penna, L'integrazione difficile. Un profilo di Properzio, Torino 1977, pp. 261, 273-275; R. Consolo, Il libro di Endimione: modelli classici, "inventione" ed "elocutione", in Filologia e critica, III (1978), pp. 19-94; V. Fanelli, Ricerche su A. Colocci e sulla Roma cinquecentesca, Città del Vaticano 1979, pp. 156 s., 167; M. Santagata, La lirica aragonese. Studi sulla poesia napoletana del secondo Quattrocento, Padova 1979, pp. 24-87; A. Rossi, Serafino Aquilano e la poesia cortigiana, Brescia 1980, ad indicem; Colocci, Angelo, in Diz. biogr. degli Italiani, XXVII, Roma 1982, pp. 108 s.; C. Fanti, L'elegia properziana nella lirica amorosa del Cariteo, in Italianistica, XIV (1985), pp. 23-44; Cariteo, Benedetto, in Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, I, Torino 1986, pp. 531-533; F. Guardiani, Provençalism vs Petrarchism: notes on the Neapolitan development…, in Quaderni di italianistica, VIII (1987), 2, pp. 239-243; N. De Blasi - A. Varvaro, Napoli e l'Italia meridionale, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, II, 1, Storia e geografia. L'età moderna, Torino 1988, pp. 263 s.; R. Rinaldi, Umanesimo e Rinascimento, in Storia della civiltà letteraria italiana, diretta da G. Bàrberi Squarotti, II, 1, Torino 1990, pp. 643 s.; G. Parenti, B. Garret detto il Cariteo: profilo di un poeta, Firenze 1993.