BENEDETTO da Benevento, santo
Nacque a Benevento forse intorno al 970: circa il 1000 era nel fiore della giovinezza, a detta di Bruno di Querfurt, autore della Vita quinque fratrum, composta nel 1008, cinque anni circa dopo la morte di Benedetto.
Da Bruno sappiamo che B. "ab infancia Christo philosophari cepit", che apprese cioè le lettere sacre, e che giovanissimo, non ancora in età canonica, fu ordinato sacerdote: il vescovo si prestò a tale violazione delle regole su sollecitazione dei parenti di B., che offrirono denaro per l'ordinazione. E Bruno nota che egli espiò in seguito l'illecito traffico "per congruam penitentiam". In un primo tempo, canonico a Benevento, decise di lasciare il secolo e si ritirò nel monastero di S. Salvatore di quella stessa città, dove ottenne di poter condurre vita eremitica nella sua cella. Poi, disgustato dell'ambiente, si ritirò sul monte Soratte, dove, per un periodo di circa tre anni ("ceu recordari posum ipso dicente", nota Bruno), rimase a lottare con ogni genere di tentazioni. Richiamato dall'abate, continuò a condurre vita eremitica in una cella non lungi dal monastero.
Grande influenza ebbe su di lui il veneziano Giovanni Gradenigo, che aveva lasciato il secolo al seguito del doge Pietro Orseolo I (978), dedicandosi alla vita eremitica, e che risiedeva allora presso Montecassino. Nel frequentarlo, B. venne a sapere di s. Romualdo - che il Gradenigo considerava suo maestro - e dei suoi ideali eremitici. E quando Romualdo in persona da S. Apollinare in Classe venne a Montecassino, B. si affrettò a raggiungerlo, per unirsi a lui come a maestro.
Bruno racconta del duro apprendistato presso il maestro severo, e, d'altra parte, della stima che Romualdo concepì per il giovane B., che riteneva "in ieiuniis et vigiliis quasi saxum esse" e che portava ad esempio di castità e di obbedienza. In occasione di una grave malattia di Romualdo, nell'autunno dell'anno 1000, B. fu tra coloro che lo assistettero e quando, dopo la guarigione, Romualdo si recò a Roma (inverno 1000-1001), non si separò da lui, seguendolo poi anche nel suo ritorno a Ravenna, al romitorio dell'isola del Pereo.
Al Pereo iniziarono i suoi rapporti con Bruno di Querfurt, venuto in Italia come cappellano di Ottone III già dal 997-998, poi monaco a S. Alessio sull'Aventino, ed ora discepolo di Romualdo. Bruno fu affidato alla direzione di B., e posto a condividere la sua cella: "ut caelestia discerem" come egli dirà. Ottone III, da Ravenna, intratteneva rapporti frequenti con il romitorio del Pereo (Bruno ritorna più volte sulla tensione creata nell'animo del sovrano dall'aspirazione alla vita monastica), intraprendendo presso di esso la fondazione di un monastero, intitolato a s. Adalberto, il vescovo suo amico, di recente (997) martirizzato nel corso di un'attività missionaria in Prussia. Era intenzione di Romualdo preporre il pur giovane B. quale abate al complesso formato dall'eremo e dal nuovo cenobio.
Ma questi rifiutò di accettare la carica "pro custodia humilitatis", dice Bruno, e perché si sentiva ad essa immaturo. Al suo posto allora fu eletto abate un monaco ben più indegno, e quando Romualdo venne a conoscenza del fatto ordinò di flagellare nudi sia B., sia Bruno, che, racconta egli stesso, aveva cercato di dissuadere l'imperatore dall'accettare l'elezione di Benedetto.
Bruno aveva infatti in mente un disegno di cui voleva partecipe l'amico: un progetto di missione verso l'est, verso i paesi slavi. Pier Damiani nella Vita Romualdi riporta questa iniziativa alla richiesta rivolta da Boleslao Chrobry, duca di Polonia, all'imperatore, perché gli fossero inviati "spirituales viri" ad evangelizzare il suo popolo; Bruno, da parte sua, la riallacciava in modo tutto particolare alla vocazione monastica di Ottone III stesso, differita sì nel tempo, ma confermata da una promessa: nel frattempo, come la fondazione dei monastero di S. Adalberto al Pereo, così doveva rientrare nei piani dell'imperatore l'invio di religiosi che, a continuare l'opera di s. Adalberto, lo precedessero "in Sclavoniam", dove "in christiana terra iuxta terminum paganorum." sarebbe sorto un monastero anch'esso comprendente eremo e cenobio; una risultanza, dunque, dell'ideale eremitico romualdino a contatto con gli interessi missionari propri dell'ambiente ecclesiastico ottoniano, come ha messo in rilievo recentemente il Tabacco. Certo non fu Romualdo a prendere l'iniziativa: fu Ottone che a lui si rivolse perché accordasse il permesso ai suoi monaci, e Bruno rileva che il permesso fu ottenuto facilmente, contrariamente all'aspettativa. Quello che Bruno sottolinea nel racconto a più riprese è il ruolo personale da lui stesso giocato nella risoluzione di B., diffondendosi a riportare le conversazioni intercorse allora fra di loro, e le pressioni da lui esercitate sull'amico per convincerlo a precederlo sulla via che egli stesso intendeva intraprendere.
Partendo per l'Europa orientale, B. si accordò con Bruno affinché questi, legato ancora ad Ottone, lo raggiungesse appena possibile; egli gli raccomandava di iniziare lo studio della lingua slava e, soprattutto, di recargli la licentia apostolica per intraprendere la vera e propria azione missionaria. Solo un altro monaco del Pereo lo accompagnava: un certo Giovanni, cieco di un occhio, che Bruno presenta come inferiore a B., ma per le sue doti felicemente complementare.
Partiti alla fine del 1001, i due monaci trovarono in Polonia accoglienza e protezione da parte di Boleslao, che mise loro a disposizione un eremo ed i mezzi per condurre una vita puramente contemplativa: "sine labore", a differenza di Adalberto, che nel suo sforzo di accostamento alla popolazione aveva scelto di lavorare "manibus propriis", per procurarsi il vitto "ad instar apostolorum" (cfr. Vita Adalberti di Bruno di Querfurt, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, IV, p. 609). Ma per il resto anch'essi, come già Adalberto, oltre ad intraprendere lo studio della lingua, adottarono fogge locali e "secolari" nelle vesti e nella capigliatura, per semplificare - in funzione dei loro intenti di evangelizzazione - il processo di avvicinamento alla popolazione. Presso di loro cominciarono presto a raccogliersi alcuni discepoli. Incerto è il luogo dove si stabilirono: si discute fra Kazimiers sulla Warta, nella diocesi di Gniezno, indicata da un'antica tradizione, e Meseritz, nella diocesi di Poznań.
Sopravvenuta nel frattempo (24 genn. 1002) la morte di Ottone III, per i torbidi successivi Bruno si trovò dapprima impedito nel suo progettato viaggio a Roma per ottenere l'autorizzazione pontificia.
Per questo periodo, per cui doveva servirsi di testimonianze orali raccolte in seguito in Polonia, Bruno insiste nel rappresentare lo stato di inquietudine, di tensione dei due compagni - ma di B. soprattutto, ché Giovanni era soccorso dalla tranquillità dei suo temperamento, mentre B. era tormentato dal suo stesso fervore e dalla sua ansia di martirio - all'apprendere la morte dell'imperatore, "pro cuius amore et salute tantae peregrinationis laborem sumsere", e dal tardare, insieme, dell'autorizzazione apostolica e dell'amico, su sollecitazione del quale avevano affrontato tutta l'impresa.
Ottenuta dal pontefice Silvestro II la licentia evangelizandi ed insieme la nomina ad arcivescovo per i pagani, Bruno si metteva in viaggio alla volta della Polonia (inverno 1002-03), ma giunto a Ratisbona lo stato di ostilità esistente fra Enrico II ed il duca Boleslao gli impediva di raggiungere la meta, facendogli deviare l'itinerario verso l'Ungheria. B. da parte sua, rimasto senza notizie, aveva deciso di porsi lui stesso in viaggio, per ottenere l'autorizzazione papale e per rintracciare l'amico: ottenuta in un primo tempo l'approvazione di Boleslao, che gli finanziò il viaggio con dieci libbre d'argento, poté però giungere soltanto fino a Praga, poiché a quel punto il duca si oppose Bruno non dice il motivo - ad un proseguimento, con grandissima contrarietà di B., che decideva allora di inviare in sua vece un messo.
Diversa versione del fatto si ha da Pier Damiani, che pone un preciso motivo dietro il comportamento del duca. Boleslao avrebbe infatti chiesto egli stesso ai due eremiti di recarsi a Roma, ma per ottenergli dal pontefice il titolo regio: e i due avrebbero rifiutato la missione, poiché non ad essi, in quanto "in sacro ordine positi", spettava occuparsi di "saecularia negotia".
Si era intanto sparsa la voce che presso gli eremiti si trovassero delle ricchezze: i doni destinati da Boleslao al papa, secondo il racconto di Pier Damiani, o, secondo Bruno, il denaro già dato a B. per il viaggio poi non compiuto, e da questo subito restituito al duca. Cosicché nella notte fra il 10 e l'11 novembre 1003 (la vigilia di s. Martino) avvenne che dei malfattori invasero il romitorio, trucidando i due eremiti e due fratelli polacchi di nome Isacco e Matteo che a loro si erano uniti; con loro, dopo un vano tentativo di difesa, fu ucciso anche il cuoco Cristino, accorso in aiuto. La loro sepoltura avvenne solennemente il 12 novembre con l'intervento del vescovo Unger di Poznań.
Su questa morte, e sui fatti miracolosi che ad essa seguirono, Bruno scrive distesamente, e sulla base di immediate tradizioni e testimonianze locali (fra le altre, anche quella degli stessi assassini, ravvedutisi per un coni plesso di segni miracolosi e rimasti a servire nel luogo del loro delitto): ché certo la Vita quinque fratrum fu composta subito dopo o - secondo il Voigt - durante una visita a quei luoghi. Nel racconto di Bruno l'avvenimento assume il carattere di una grazia divina, che avrebbe risposto al desiderio ardente di martirio dei santi: pur non subita per la fede, per mano di pagani, questa morte, in quanto desiderata ed abbracciata senza opporre resistenza, è posta pienamente sul piano stesso del martirio. E come martiri difatti i "cinque fratelli" vengono considerati in tutta l'agiografia posteriore.
Fonti e Bibl.: Bruno di Querfurt, Vita quinque fratrum, a c. di R. Kade, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XV, 2, Hannoverae 1888, pp. 709-738 (ed. a c. di W. Kętrzyński, in Mon. Pol. Histor., VI, Kraków 1893, pp. 383 ss.; trad. ital., a c. di B. Ignesti, Camaldoli 1951); Id., Epistola ad Heinricum II imperatorem, ed. in app. a W. Giesebrecht, Gesch. der deutschen Kaiserzeit, II, Leipzig 1885, p. 704 (trad. ital., a cura di B. Ignesti, I. cit., p. 103); Annales Kamezenses, in Mon. Germ. Histor., Scriptores, XIX, Hannoverae 1866, p. 581; Annales Sanctae Crucis Polonici, ibid., p. 678; Cosmae Pragensis Chronica Boemorum, a c. di B. Bretholz, ibid., Scriptores rer. German. nova series, 2, Berolini 1923, pp. 68 ss.; P. Damiani, Vita Romualdi, a c. di G. Tabacco, Roma 1957, in Fonti per la Storia d'Italia, XCIV, pp. 61 ss.; T. Mini, Le vite de' Santi Giovanni e Benedetto, discepoli del padre S. Romualdo, Florentiae 1605; Martinus Baronius, Vitae Sanctorum Polonorum, Cracoviae 1609, pp. 9 ss.; G. B. Mittarelli-A. Costadoni, Annales Gamaldulenses, I, Venetiis 1755, pp. 195 s., 224, 245 s., 249 s., 260 ss., 292 ss., 300, 305 s., 309; II, ibid. 1756, pp. 64, 80 ss.; H. G. Voigt, Brun von Querfurt, Stuttgart 1907, pp. 59-69. 76-80. 117-121 e passim;J. Kirchberg, Kaiseridee und Mission unter den Sachsenkaisern, Berlin 1934, pp. 67 ss.; A. Zimmermann, Kalendarium Benedictinum, III, Metten 1937, pp. 291-294; P. David, Les Bénédictins et l'Ordre de Cluny dans la Pologne médiévale, Paris 1939, pp. 2 ss.; Martyrologium Romanum..., Bruxelles 1940, pp. 515 s., n. 5; M. Uhlirz, Jahrbücher des deutschen Reichs unter Otto II. und Otto III., II, Berlin 1954, pp. 384 ss., 388 s.; G. Tabacco, "Privilegrum Amoris". Aspetti della spiritualità romualdina, in Il Saggiatore, IV (1954), pp. 324 ss.; R. Wenskus, Studien zur historische-Politischen Gedankenwelt Bruns v. Querfurt, Münster-Köln 1956, pp. 129, 134, 143, 182 s.; V. Meysztowicz, La vocation monastique d'Otton III, in Antemurale, IV (1958), pp. 27-69; J. Leclercq, St. Romuald et le monach. miss., in Rev. Bénédictine, LXXII (1962), pp. 307 ss.; G. Tabacco, Romualdo di Ravenna e gli inizi dell'eremitismo camaldolese, in L'eremitismo in Occidente nei secc. XI e XII..., Milano 1965, pp. 86 ss.; J. Kloczowski, L'éremitisme dans les territoires slaves occidentaux, ibid., pp. 337 s.; Diction. D'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, coll. 3-5; Lexikon für Theol. u. Kirche, II, col. 181; Bibl. Sanctorum, II, coll. 1216-1218.