BELLI, Valerio, detto Valerio Vicentino
Nacque a Vicenza nel 1468, da Antonio di Alberto, merciaio, ma discendente da nobile famiglia di origine nulanese. Secondo l'antica testimonianza del Gualdo (1650), egli si applicò sin dalla prima giovinezza all'arte, dell'intaglio su cristalli e pietre dure; i documenti lo indicano comunque indifferentemente non solo quale "gemmarum sculptor", ma anche quale "aurifex".
Non si dimentichi quanto, sul declinare del sec. XV, fosse ancora fiorente in Vicenza la fraglia degli orefici: gloriosa corporazione la cui attività era cominciata all'alba del sec. XIV e che, nella seconda metà del sec. XV, aveva appena ricevuto fecondo apporto di nuove forze, soprattutto lombarde ed emiliane. Ma il giovane B. dovette, guardare anche al più vasto ambiente veneziano.
Certo l'attività del B. quale orefice non appare molto intensa né documentabile: solo sappiamo di un tabernacolo d'argento dorato da lui eseguito per una chiesa vicentina, ed andato poi disperso durante i saccheggi dell'armata francese, nel 1799. Così tra i "capricci" conseguenti all'infatuazione umanistica andranno poste quelle "medaglie de' dodici imperatori co' loro rovesci... e gran numero di medaglie greche", coniate su modelli antichi dall'artista negli anni di apprendistato: anche se il Vasari (1568) le citò con ammirazione (Berlino, Staatliche Museen).
Nei primi mesi del 1520 il B. è a Roma, ove giunge probabilmente dopo un lungo soggiorno veneziano, accompagnato dall'amico umanista G. Lascaris. Sempre il Gualdo ci ricorda che a Roma il B. "havendo portato seco molte belle cose, con quelle s'aperse la via a quanto hamava": facendosi conoscere ed. ammirare da Leone X, entrando in fervorosa amicizia addirittura con Michelangelo e Raffaello. I quali ne ebbero tanta stima da ritrarlo: Raffaello in "un tondo di bosso di giro di due palmi", Michelangelo in un bassorilievo di marmo di Carrara, conservati fino alla metà del '700 nel vicentino museo di casa Gualdo. Durante il soggiorno romano, Clemente VII commise al B. una croce in cristallo di rocca., eseguita verso il 1524 e pagata 1111 ducati assieme con tre medaglioni ovali rappresentanti Storie di Cristo (il Viaggio al Calvario, il Bacio di Giuda, la Deposizione). Il mirabile complesso è oggi presso la Biblioteca Vaticana; tanto la croce quanto i medaglioni sono firmati, rispettivamente, "Valerius Vin. F." e "Valerius de Bellis Vicen. F. ".
Fin da questa sua prima opera di grande impegno il B. non solo giustifica la lode di "politezza e facilità" di lavoro tributatagli dal Vasari, ma si rivela anche espertissimo nel far risaltare la bellezza, un po, rigida e fredda e tuttavia sempre elegantissima, del cristallo inciso. È, qui una sensibilità precisa della materia trattata; gli evidenti richiami a motivi di derivazione già vagamente "manieristica", le inflessioni, anzi le citazioni puntuali dagli amici venerati Raffaello e Michelangelo (il B. fu appunto rimproverato di scarsa capacità inventiva) si trasformano, senza alcun residuo apparente, in un sommesso accordo, di inconfondibile aristocratica finezza, tra bianche superfici, ora lucide ora opache: con uno strano, poetico effetto di incantato "purismo", quasi un tono vaghissimo di "notturno" modulato nella fredda luce lunare. Gli stessi generici precedenti veneti, intesi sulla falsariga di un comodo "cromatismo" che ripete il Sansovino ed ammira Tiziano, vengono superati proprio nella necessaria limitazione della gamma tonale: ove tutt'al più s'accendono squilli smorzati di bianco argenteo.
Subito dopo la croce della Vaticana, fin dal 1525 il B. si impegnava ad un nuovo lavoro per Clemente VII: la cassettina in argento dorato, smalti e cristalli attualmente conservata presso il fiorentino Museo degli argenti, in palazzo Pitti. Ma per vari motivi l'artista dovette attendere di ritornare nella sua Vicenza, circa il 1530, per iniziare l'opera, finita due anni dopo e salutata dal Bembo (lettera al B. del 12 marzo 1532, in P. Bembo, Opera, Venezia 1729, III, 3, pp. 215 s.) con parole di stupefatto elogio (il pontefice la pagò ben 2000 scudi).
Ha la forma di un piccolo sarcofago, con il coperchio a spioventi: lungo i lati maggiori, una semplice orditura architettonica di colonnine doriche divide sei riquadri (tre per parte) con scene evangeliche; ed altre appaiono superiormente. Il metallo ha una patina fredda che ben s'accorda agli incisi cristalli: unica concessione decorativa, sempre però tenuta entro l'astratto rigore dell'assieme, le due fasce a smalti policromi, intese come base e fregio dell'ordine dorico. Entro le scene (su disegno altrui, come afferma il Vasari) muovono figure di squisita grazia, diafane, nella luce: gli allungati moduli, le sinuose cadenze ricordano il Parmigianino, il pittore tanto importante per l'evoluzione "manieristica" dell'ambiente vicentino cinquecentesco. Proprio del Parmigianino il B. possedeva quel Ritratto allo specchio, ora a Vienna, passato in eredità al figlio Elio e da questo venduto, tramite Andrea Palladio, nel 1560ad Alessandro Vittoria che lo lasciò all'imberatore Rodolfo d'Asburgo (cfr. Vasari, Le vite..., a cura di L. Ragghianti, II, Milano-Roma 1942, p. 415).Travagliate furono le vicende di questo cofanetto eseguito per Clemente VII: il papa lo donò a Francesco I re di Francia per le nozze della nipote Caterina de' Medici con il delfino; fu Cristina di Lorena a riportarlo a Firenze, dopo averlo forse riavuto dalla stessa Caterina de' Medici, regina di Francia.
Nel 1533 il B. si scusava con il duca di Mantova di non poterloservire dovendo fare per il pontefice Clemente VII "una croce et doi candelieri et una pace tuti de cristallo" (cfr. Archivio storico lombardo, XV[1888], p. 1014): notevole impresa giunta però a termine solo nel 1546, quando, il 29 luglio, Paolo III Famese ne saldava, per 1155 scudi, il compenso al figlio dell'artista, Elio.
La croce, che ricorda quella precedente della Vaticana, è, con un candeliere, al Victoria and Albert Museurn di Londra: un altro candeliere è presso la londinese collezione Rothschild; dispersi, e forse perduti, sono i nove cristalli che si incastonavano nei piedistalli della croce e dei candelabri. Lo Zorzi (ma è discutibile) pensa (1920)che alcuni di essi siano da ravvisare tra quelli venduti nel 1865alla parigina Maison Pourtalès: sono comunque tutti riprodotti in incisioni dal Leroux-D'Agincourt, nella sua Storia dell'arte (Milano 1825, p. 67), che li trasse dai relativi calchi in gesso, posseduti dal principe polacco Stanislao Poniatowski. Dalla collezione Farnese di Parma provengono poi i due cristalli (vicinissimi ai precedenti per forma e dimensioni) oggi al Museo Civico di Vicenza.
Fonti e documenti di vario genere segnalano numerosissime altre opere del B., delle quali, purtroppo è smarrita ogni traccia. Segnaliamo tra le principali: una Scena di sacrificio sudisegno di Michelangelo, un pugnale per il duca di Mantova, due paci (con l'Adorazione dei Magi e la Presentazione di Gesù al tempio) raccolte nella dispersa collezione Gualdo di Vicenza con altre medaglie, cammei, corniole, lapislazzuli e un'ametista. Del resto, basti ricordare che, secondo il Vasari, il B. "aveva una pratica tanto terribile, che non fu mai nessuno del suo mestiero, che facesse più opere di lui". E dai suoi cristalli furono ricavate in seguito numerosissime placchette in bronzo, ora disseminate nei principali musei d'Europa.
Dal 1530 il B. soggiornò sempre nella sua casa vicentina, in contrada di Santa Corona, proprio di fronte all'ombroso giardino della chiesa dei domenicani. Lì si dedicò con impegno a risollevare le depresse sorti di quella fraglia degli orefici nel cui seno si era educato all'arte e che le fortunose vicende della storia veneta nei primi decenni del sec. XVI, e di Vicenza in particolare, avevano contratto ad appena, cinque superstiti iscritti. Solo nel 1539, come testimoniato da Francisco de Hollanda e da un documento dell'Archivio notarile di Vicenza (in data 3 nov. 1539) scoperto dallo Zorzi (1920), il B. si rimise in viaggio per Roma, chiamatovi da Paolo III a prestare la sua opera di coniatore nella zecca pontificia. Ma ritornò ben presto nella città natale; nel 1542, stando alla giusta supposizione del Morsolin (1894), il Vasari, viaggiando da Mantova verso Venezia, dovette onorarlo di una sua visita: troppo infatti è spontaneo e circostanziato il passo delle Vite in cui l'aretino descrive lo studio vicentino delB., "tanto" vago di procacciare antichità di marmi ed impronte di gesso antiche e moderne e disegni e pitture di mano di rari uomini, che non guardava a spesa niuna; ondela sua casa... è piena e di tante cose adorna che è uno stupore".
Alla morte dell'artista, nel luglio 1546, tutto questo prezioso materiale, tranne il già ricordato ritratto del Parmigianino, passò al figlio naturale Marc'Antonio, che purtroppo, invece di conservarlo a Vicenza, subito lo vendette per 470 ducati a Cristoforo Madruzzo, cardinale vescovo di Trento, tramite Ludovico Chiericati, arcivescovo di Antivari e primate di Serbia, ma anche dilettante incisore ed allievo, a suo tempo, dello stesso Belli. Già nel febbr. 1547 il Madruzzo aveva ricevuto a Trento quanto acquistato a Vicenza: ma in seguito, per colmo di sventura, ogni cosa è andata dispersa e, praticamente, perduta.
Una miniatura, di Raffaello con ritratto del B. si trova a Londra nella coll.di sir K.Clark (cfr. O.Fischel, Raphael, London 1948, I, p. 122; II, ill. 119 A).A tutt'oggi restano da chiarire con esattezza critica gli apporti del B. all'humus culturale vicentino della prima metà del 1500: uno degli ambienti certo più interessanti del Rinascimento veneto, specie riguardo alla diffusione ed allo sviluppo degli elementi "manieristici" centro-italiani.
Elio, figlio legittimo del B. e di cuis'è avuto occasione di far cenno, fu letterato e medico insigne, uno dei fondatori dell'Accademia Olimpica (1555)di cui fuprincipe nel 1559 e tra i promotori, più tardi, del glorioso Teatro Olimpico. Nel carnevale 1557(febbraio) Elio, nella sua qualità di vice-principe dell'Accademia Olimpica, mise anzi la sua casa di S.Corona a disposizione degli accademici per una rappresentazione dell'Andriadi Terenzio. Il Palladio (1570)ricorda Elio come "studiosissimo" di architettura, assieme con altri signori vicentini; certo si trattò della passione, tutta culturale, di un umanista, non di una applicazione con esiti pratici. Fra i figli di Elio (m. 1576)ricordiamo: Onorio, che fu pure medico, e Valerio, dotto umanista, che nell'agosto 1580tenne nella chiesa di S.Corona l'orazione funebre in morte di Andrea Palladio.
Fonti e Bibl.: La fonte princ. per la vita e le opere del B. è il Vasari, Vite di Valerio Vicentino, di Giovanni da Castel Bolognese, di Matteo dal Nassaro veronese e di altri eccellenti intagliatori di camei e gioie, nelle due ediz. 1550 e 1568 (ediz. a cura di C. L. Ragghianti, II, Milano-Roma 1942, pp. 511, 515s.). Un cenno al B. fa sempre il Vasari nella Vita di Benvenuto Garofalo…, dove ricorda di aver "veduto in mano di Valerio Vicentino un molto bel libro d'antichità, disegnato e misurato di mano di Bramantino, nel quale erano le cose di Lombardia, e le piante di molti edifizi notabili, le quali io disegnai da quel libro, essendo giovinetto" (ediz. a cura di C. L. Ragghianti, III, Milano-Roma 1943, p. 195).Seguono tra le fonti, in ordine cronologico: A. Palladio, I quattro libri dell'architettura, Venezia 1570, I, p. 5; G. Marzari, La Historia di Vincenza, II, Vincenza 1604, p. 171; Venezia, Bibl. Marciana, ms. It.IV, 127, fasc. III, G. Gualdo, Giardino di Ca'Gualdo, cioè Raccolta di Pittori, Scultori, Architetti, esistenti nella Galleria Gualdo di Vicenza (1650; pubblicato poi da B. Morsolin, Il Museo Gualdo in Vicenza, Venezia 1894, v. soprattutto pp. 47 s.).
Tra i moderni, fondamentali i due lavori di G. G. Zorzi, Come lo "studio" di V. B. trasmigrò, a Trento, in L'Arte, XVIII(1915), pp. 253-257; e, particolarmente, Alcuni rilievi sulla vita e le opere di V. B. detto Vicentino, ibid., XXIII(1920), pp. 181-194: saggio seguito da un ampia e accurato excursus bibliografico sull'argomento, cui si rimanda; Id., V. B. e la corporazione degli orefici di Vicenza, in Questa è Vicenza, catal., Vicenza 1955, estr.; C. G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia, I, 1, Roma 1958, tav. 15; E. Steingräber, Das Kreuzreliquiar des Marco Antonio Morosini in der Schatzkammer von S. Marco (V. B.?), in Arte Veneta, XV(1961), pp. 53-58. Si segnalano inoltre, perché ancor oggi possono risultar utili: I. Cabianca, Di Valerio Vicentino intagliatore di cristallo, in Atti d. I. R. Accad. di belle arti di Venezia, Venezia, 1864, pp. 5-54; B. Morsolin, Discorso letto nella chiesa di S. Faustino in Vicenza il dì 18 giugno 1865 per l'inaugurazione di una lapide a V. B., Vicenza 1865; Id., Valerio Vicentino. Discorso letto il 18 sett. 1887 alla Società generale di mutuo soccorso degli artigiani vicentini, in Rassegna Nazionale, XXXVIII(1887), pp. 21-40. Già nel 1886 il Morsolin aveva del resto pubblicata l'interessantissimo opuscolo: V. B. nelle Vite di Giorgio Vasari, in Atti del R. Istit. veneto di scienze e lettere, s. 6, IV(1886), pp. 1093-1121, ove sono raccolti alcuni documenti inediti e lettere del B. a Michelangelo.
Oltre allo Zorzi, vedi anche: la voce B. V., in U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, III, Leipzig 1909, pp. 249 s., compilata su notizie fornite da S. Rumor, con bibliografia esauriente, regesto ed elenco delle principali sigle usate dall'artista; la voce di F. Rossi, B. V., in Encicl. Ital., VI, Roma 1930, pp. 555 s., con bibliografia aggiornata fino al 1929; M. Accascina, L'oreficeria italiana, in Nuovissima Encicl. monografica illustr., Firenze 1934, pp. 48-50.
Su Elio, oltre alla ricordata citaz. del Palladio (1570), v. P. Calvi, Bibl. e storia di scrittori vicentini, IV, Vicenza 1778, pp. 112 s.; A. Magrini, Memorie intorno la vita e le opere di Andrea Palladio, Padova 1845, pp. 9, 39, 40, 225, 227; Id., Dell'architettura in Vicenza. Discorso, in Raccolta di opuscoli e versi per nozze Carlotti-Sparavieri, Verona 1845, pp. 186 s.; Vicenza, Bibl. Bertoliana, Libreria Gonzati, G.da Schio, I Memorabili (ms., sec. XIX), sub voce; voce Belli Elio, in U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, III, Leipzig 1909, p. 247, a cura di S. Rumor. Quanto all'ambito in cui poté maturare la passione di Elio per gli studi di architettura, intesi quale completamento "accademico" della cultura, ne è stato tratteggiato un profilo da F. Barbieri, Vincenzo Scamozzi, Vicenza 1952, pp. 21-37.