BASINIO da Parma
Nacque nel 1425, di famiglia di origine mantovana, nel castello di Tizzano, ora Tizzano Val Parma, da Vincenzo di Basino, che era stato come uomo d'arme al servizio di Ottone Terzi: i Terzi ebbero signoria su vari castelli del Parmense, tra cui Tizzano, Vezzano (a torto creduta patria di B.) e Guardasone, dove ritroveremo B. più tardi. Il padre morì nel 1453; la madre, donna Margherita, figura già morta nel 1457; due fratelli gli sopravvissero in patria.
Nei documenti il nome è Basino (Baxinus) o Basinio (Baxinio, Baxinius), nei codici e nei testi letterari sempre Basinius Parmensis. Il cognome Basini, adottato da alcuni studiosi moderni, non appare mai nei documenti. Lo si potrebbe accettare con riserva, poiché una famiglia Basini probabilmente discendente dai fratelli di B. è ricordata a Tizzano ai primi del sec. XVII e vi si estinse nel XVIII, e un'altra viveva negli stessi secoli nella non lontana Bardi. È tuttavia preferibile chiamarlo col nome da lui adottato in vita e adeguato alla situazione del tempo.
Fece i primi studi in patria presso modesti maestri; ben presto, tuttavia, poté proseguirli con maggiore frutto a Mantova, alla scuola di Vittorino da Feltre: segno evidente questo o dell'agiatezza della famiglia o della protezione che le aderenze del padre avevano potuto procurargli. A Mantova fu anche scolaro di Teodoro Gaza e si innamorò del greco. Per questi due maestri B. mostrò anche più tardi grande venerazione. Alla morte di Vittorino (2 febbr. 1446) seguì il Gaza a Ferrara, dove udì certamente anche Guarino.
A Ferrara, dove si trattenne quasi quattro anni, proseguì gli studi greci e latini e diede inizio alla propria attività letteraria, partecipando vivamente alla vita del fervido ambiente umanistico estense. Appartengono a questi anni una dozzina di elegie amorose per una fanciulla, che chiamò Ciride (Cyris), che non fu la sola donna da lui amata (un'altra elegia, per una Lissa, è in Var., I); e molte composizioni minori in distici o in esametri, che forniscono, oltre alla storia dell'amore per Ciride, parecchie notizie biografiche di questo periodo e, soprattutto, testimoniano i suoi rapporti con la corte estense e con i dotti e gli artisti di quella cerchia, come l'elegia al Gaza (Var., IV), quella al medico Girolamo da Castello (Var., III), al quale inviava da rivedere i primi due libri del poema sulla morte di Meleagro, mentre attendeva alla composizione del terzo, e quella al Pisanello ("ad Pisanum pictorem ingeniosum et optimum", Var., VIII), che include quasi un catalogo delle sue medaglie e dei motivi di animali cari al pittore. Si aggiunga l'amicizia col condiscepolo T. V. Strozzi che ci è nota per altra via. Per il principe stesso, Leonello d'Este, B. scrisse un breve carme che fu recitato pubblicamente in occasione delle nozze di una figlia di Giovanni Romei, quale prologo a una composizione volgare di Malatesta Ariosti (Var., XIII, non dopo l'estate 1449; v. Massèra, I poeti..., pp. 43-45), un'elegia (Var., VII) e un'epistola in esametri (Var., XVI), preannunzio o inizio di un più vasto poema celebrativo. Lo stesso annunzio e in alcuni versi che concludono la Meleagris (III, 928-936), ma non si trovano in tutti i manoscritti. Questa vasta composizione, compiuta nel 1448, "ovidiana per il soggetto, omerica per gli ornati" (Rossi, Il Quattrocento, p. 243; all'ispirazione omerica accenna il poeta stesso nei versi citati: "Tempore dum dederat magni mihi carmen Homeri Ocia"), è la prima testimonianza della disposizione di B. a versare in larghe ed eleganti composizioni narrative la sua facile vena e i frutti dello studio appassionato degli autori classici e della mitologia antica. Di un poema dello stesso genere, da lui iniziato l'anno seguente, e che senza dubbio si sarebbe intitolato Polidoreis, ci parla un passo in greco di una sua lettera al Tortelli del 5 ag. 1449 (citazioni e tratti in greco sono un vezzo che appare, e non sarà un caso, in tutte le lettere di B. a noi pervenute): 'Ti mandai la morte di Polidoro figlio di Ecuba; vedrai il solo principio del poemetto; più tardi il resto. Nel proemio espongo molte cause della guerra' ecc., e seguita "Poetam novum tibi commendo" (cioè se stesso). Il frammento non ci è pervenuto e certo B. non proseguì l'opera: o perché fosse venuto a sapere che il tema era stato già trattato da Antonio Baratella o perché il nuovo corso della sua vita, incominciato di lì a poco, non gliene lasciasse la possibilità.
Il 6 ag. 1448, certo in gradimento degli invii fatti e delle dediche promesse, il marchese Leonello disponeva che fossero date, secondo l'uso, sette braccia di panno "litteratissimo Basinio parmensi, qui in utraque lingua, latina scilicet et greca, probe callet": il mandato è scritto dal ben noto funzionario estense e protettore di umanisti Lodovico Casella, e in un libro amministrativo B. è designato, a proposito di questo dono, quale "maistro de poitria" (G. Bertoni, in Archivum romanicum, I [1917], p. 70; Id., Guarino da Verona, Ginevra 1921, pp. 88 s.). "Maistro de poitria" è qualcosa di più che semplice grammatico e potrebbe far pensare a un insegnamento nello Studio; ma non è così, giacché i documenti ufficiali attestano, solo l'insegnamento della grammatica, e forse degli auctores, nella scuola primaria del Comune, per cui B. fu condotto per un anno il 25 sett. 1448.
Forse qualcosa dovette accadere, di cui non abbiamo notizia, perché nell'agosto 1449 B., con la lettera già citata a Giovanni Tortelli, sembrava cercare il favore di Niccolò V e, all'incirca nello stesso tempo, mandava al papa un'egloga scritta in suo onore (Var., XIX). Di fatto B. nel settembre-ottobre si trovava nel castello di Guardasone, tenuto da Nicolò Guerriero Terzi e assediato dalle genti sforzesche: egli stesso racconta di aver preso parte alle operazioni di guerra (elegia Cyr., VIII, a Girolamo da Castello). Non risulta che al cessare dell'assedio B. tornasse a Ferrara, mentre d'altra parte è certo che l'insegnamento da lui sin'allora tenuto a Ferrara fu conferito ad altri per il nuovo anno scolastico.
Tutto porta a credere che alla fine di quell'anno 1449 (e cioè prima della morte di Leonello d'Este avvenuta il 1º ott. 1450) B. si trasferisse a Rimini: probabilmente, almeno in un primo tempo, con un incarico di insegnamento nella scuola pubblica (non accertato da documenti, ma sufficientemente testimoniato), e certo anche attirato, per trattative intercorse o con la speranza di maggiori fortune, dalla munificenza di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Proprio il 19 nov. 1449 moriva in Rimini Giusto dei Conti, il celebrato rimatore e consigliere stimatissimo di Sigismondo, per il quale B. scrisse un epitafio, e pochi mesi prima vi era morto l'umanista veronese Tobia dal Borgo, un altro scolaro di Guarino trasferitosi da Ferrara a Rimini come storiografo e poeta cortigiano.
B. non perdette tempo. Appartengono al primo periodo della dimora riminese (fine 1449-inizio 1452) alcune sue importanti composizioni, come le tre epistole metriche a Sigismondo: Ausoniae decus (Var., XVIII), in cui si offre a celebrare le glorie malatestiane dai remoti antenati a Pandolfo III padre di Sigismondo, a Sigismondo stesso; O decus Asculeum, "inqua reliquus ager Picenus ad Asculum loquitur", che celebra l'investitura di Sigismondo a capitano generale della Chiesa e la presa di Roccacontrada (1445; certo l'epistola fu composta parecchio tempo dopo i fatti); Liquerat Oceanum, "de bello suscipiendo pro salute et protectione Italiae", quello che sarà il secondo periodo della guerra in Toscana tra Firenze-Milano e Napoli-Venezia (1452-53); e il poemetto Diosymposis, elegante descrizione di un banchetto di Giove e degli dei ospiti di Oceano.
In un documento del 13 apr. 1451 l'"elloquentissimus ac egregius vir dominus Baxinus" ecc. appare domiciliato in Rimini e ammogliato con donna Antonia del fu Pietro Gualdi (gentiluomo riminese non ignoto, anche come modesto rimatore), vedova del dottore di leggi Andrea Brancorsi, dal quale aveva avuto un figlio. La moglie sembra sia stata data a B. dallo stesso Sigismondo e, benché più anziana del nuovo marito di almeno una decina d'anni, rappresentava, per la sua condizione sociale e le autorevoli aderenze familiari, un ottimo partito. Anche le parole dell'estensore del documento citato, e particolarmente il titolo di dominus, sono un sicuro riflesso della posizione di prestigio già assunta da B. nella nuova residenza. Nel 1453 egli risulta poi 'cittadino' (non più solo 'abitante') di Rimini. L'acquisto da lui fatto alla fine del 1453 di una possessione in S. Martino di Montelabate nel contado di Rimini, per 350 lire di bolognini, attesta la raggiunta agiatezza: si tratta certo dell'"agrum pulcherrimum, et villam amoenissimam" che due anni dopo, in una lettera all'amico Roberto Orsi, B. vanta quale frutto dei suoi studi greci, attraverso la benevolenza del principe. Ma sembra che più tardi B. si gravasse di debiti, perché non altrimenti si può spiegare la rinunzia della vedova alla sua parte di eredità, alla morte del marito nel 1457.
Frattanto, il quinquennio 1451-55 segna il momento del maggiore benessere e della più animosa produzione letteraria del giovane poeta, in esatta corrispondenza con gli anni del più grande splendore della corte di Rimini, mentre sta sorgendo il Tempio Malatestiano, una folla di artisti - tra cui L. B. Alberti, Agostino di Duccio, Piero della Francesca, Matteo Pasti - conferiscono alla città l'incomparabile prestigio di una nuova civiltà artistica, Roberto Valturio scrive per Sigismondo il De re militari, e gli altri umanisti riminesi e forestieri gareggiano nel celebrare Sigismondo, il signore di Rimini e ormai famoso condottiero, all'apice delle sue fortune militari, politiche ed economiche, che di lì a pochi anni declineranno irrimediabilmente, e la sua donna, la divina Isotta degli Atti.
Tutti, dal più al meno, gli umanisti che gravitano intorno a Sigismondo diedero il loro tributo all'esaltazione della coppia famosa, ma il più singolare prodotto letterario di quelli che sono stati chiamati "i poeti isottei" resta il Liber Isottaeus, un raffinato romanzo amoroso, in tre libri, ognuno di dieci elegie, che, nella forma delle epistole ovidiane, trasferisce in chiave umanistica la tradizione del canzoniere di imitazione petrarchesca, narrando la storia immaginaria, ma pure intessuta di molti e vivaci frammenti di vita reale, dell'amore di Sigismondo e Isotta. Opera in tutto e per tutto di B., oppure composita, iniziata da altri (Tobia dal Borgo) e ripresa e compiuta, in piccola o grande parte, da B., il Liber Isottaeus rimane in ogni caso inseparabile dalla figura di B. e al centro sia della cultura malatestiana di quegli anni, come dell'opera del poeta parmense.
La questione della paternità del Liber Isottaeus lasciò divisi gli eruditi settecenteschi (Affò e Tiraboschi per l'attribuzione totale a B., i due Battaglini per la doppia paternità), e forse fu una delle cause che allora fecero escludere l'opera dall'edizione riminese delle Opera praestantiora di Basinio. Tacque poi per un secolo e risorse ai primi del sec. XX con gli studi del Lonati e dell'Albini (duplicità) e le ricerche appassionate di F. Ferri (unicità). La tesi del Ferri trovò consenzienti decisi il Sabbadini e altri autorevoli studiosi fino ai nostri giorni (anche, con una tenue riserva, V. Rossi), mentre il miglior conoscitore dell'umanesimo riminese, A. F. Massera, se lasciò intendere chiaramente il suo pensiero orientato per la tesi opposta, morì (nel 1928) proprio quando, dopo aver ripreso la pubblicazione dei suoi Poeti isottei, e aver premesso contributi fondamentali alla biografia del Borgo e di B., stava per giungere all'esame di questo problema centrale della sua trattazione.
La questione, estremamente difficile e complessa, non trova aiuto esplicito nella tradizione manoscritta perché le elegie dei due amanti e quella del padre di Isotta figurano scritte in persona loro propria, e l'altro interlocutore, il "Poeta", doveva quindi ufficialmente rimanere anonimo per non scoprire la finzione. Tuttavia in una serie di manoscritti, che cominciano con l'autorevolissimo Parmense 195, scritto vivente B., nel 1455e forse a Rimini, si è insinuato il nome di "Tobias poeta Veronensis" nel titolo dell'elegia I, 3, e nella tradizione estravagante di due elegie (II, 9-10) nel più tardo ma importante codice Bevilacqua, come nella trascrizione del testo completo nello stesso manoscritto, appare il nome di B. nei titoli in cui è ricordato il poeta anche come destinatario. Fu merito del Ferri individuare nel testo del codice Bevilacqua una redazione diversa dalla volgata, che egli allora (1917) ritenne la primitiva (come è certamente), mentre più tardi, nelle sue edizioni del 1922 e del 1925, pure basate sulla volgata, pervenne alla convinzione che fosse invece seriore, e non seppe valutare la portata di quella situazione. D'altra parte i dati contrastanti della tradizione, pur diversamente spiegati o spiegabili, trovano conferma in testimonianze di contemporanei che attribuiscono tanto a Tobia, quanto a B. la qualità di cantori degli amori di Sigismondo e Isotta. Una medaglia di Matteo Pasti con l'effigie di Isotta e la data 1446 reca sul rovescio un libro chiuso con la scritta "Elegiae", che è da riferire certamente al Liber Isottaeus, ma la medaglia è altrettanto certamente di fattura posteriore a quella data. Qui non è possibile anticipare e tanto meno integrare i risultati delle ricerche del Massèra. Basti dire che egli ritenne di poter dimostrare che le due elegie II, 9-10, per la morte del padre di Isotta (evento di cui poté accertare la data al 1448) siano state composte, in concorrenza con una dello stesso soggetto di T. V. Strozzi (Erot., III, 3 = II, 11 Ald.), nello stesso anno 1448 e quindi a Ferrara, prima che prendesse corpo l'idea di un organico canzoniere, (ciò che, per conseguenza, apporterebbe un elemento importante anche per l'origine dei rapporti tra B. e il signore di Rimini). D'altra parte, l'interpretazione storica di altre elegie (particolarmente I, 2) lo conduceva all'opinione che fossero composte in Rimini prima della venuta di B., e quindi non da lui. Resterà sempre difficile distinguere le parti dei due poeti; certamente i rapporti, indiscutibili, tra molti luoghi del Liber Isottaeus e luoghi di opere sicure di B. (indagati minuziosamente, con risultati certo importanti, dal Ferri) non possono costituire sempre prova di unicità di autore, perché argomenti in parte reversibili e neppure di attribuzione di singole elegie, perché B. avrebbe comunque sistemato tutta la materia per la pubblicazione dopo la morte di Tobia, e può quindi avere rielaborato liberamente anche testi non suoi, tanto più in quanto destinati a restare anonimi.
Nel 1453, o forse meglio nel 1454, si deve porre l'epistola metrica al papa Niccolò V, al quale B. aveva già dedicato un'egloga: epistola di tipo oraziano, preziosa per gli elementi autobiografici di cui è intessuta quanto nessun altro scritto di B., e documento "di somma importanza per la storia della critica letteraria" degli umanisti (Zabughin, Vergilio..., I, p. 314 n. 78). L'epistola, che tra l'altro spiega le ragioni per cui egli non tradurrebbe Omero, è stata messa in rapporto con un presunto invito del papa a quella versione, che negli stessi anni fu affidata a Carlo Marsuppini e a Francesco Filelfo.
Al 1455 spetta la pubblicazione degli Astronomica, poema in due libri nel quale B., volgendosi "dal culto della grande arte omerica, all'amore delle cesellature alessandrine" (Rossi, Il Quattrocento, p. 484), diede una trattazione didascalica della materia astronomica (non astrologica) basata principalmente su Arato, con derivazioni mitografiche da Igino e scientifiche da Marziano Capella. Dello stesso anno, se non del seguente, è un singolare episodio letterario che diede origine a due tra i più interessanti degli scritti minori di B.: l'aspra polemica, di grande interesse nella storia del movimento umanistico, pro e contro lo studio del greco, che B. sosteneva indispensabile ai cultori della lingua latina. Furono suoi avversari i due anziani umanisti Tommaso Seneca da Camerino (che già nel 1440 si trovava a Rimini quale segretario di Sigismondo e vi dimorò saltuariamente fino al 1472) e l'avventuriero napoletano Porcelio Pandoni, che vi era giunto nel 1453 o '54, raccomandato a Sigismondo dal Valturio e dallo stesso B., e che vi aveva composto, tra altre smaccate adulazioni, una sorta di poema in 12 elegie, De amore Iovis in Isottam. La controversia, originata da beghe di ombrosità letteraria fra i tre umanisti, e a quanto pare permessa, forse non senza ironia, da Sigismondo, invocato giudice dalle parti, diede occasione a tre composizioni poetiche indirizzate al principe (quella di Porcelio anche a Isotta!) - una nuova epistola metrica di B., Quis ferat indocti, "inqua ostendit poetas Latinos sine litteris Graecis nihil omnino posse" e due "satyrae", come le chiama B., rispettivamente in esametri e in distici, del Seneca e del Pandoni. B. stesso, sicuro del fatto suo, diffuse copie degli scritti degli avversari (e certo anche dei propri) come racconta in una lunga e interessante epistola in prosa all'amico Roberto Orsi del 27 ottobre (1455 o 1456), che ci dà insieme la storia della controversia e l'ultima battuta di essa (si noti che il testo dei due avversari, che vi è più volte letteralmente citato, riflette una redazione anteriore a quella a noi pervenuta).
La nuova epistola metrica e la lettera all'Orsi sono una ulteriore testimonianza delle idee letterarie di B. e dei suoi studi. Si deve aggiungere un breve trattato inedito di prosodia latina, De carminibus, diretto a un Giulio Cesare, a quanto sembra il Varano, che di lì a poco diverrà genero di Sigismondo: è notevole che fin dalle prime parole B. vi si richiami all'insegnamento di Vittorino. Altri scritti di questo tempo, come una nuova epistola al Gaza (Var., XVII), al quale raccomanda Andrea Contrario, e un epigramma a Maffeo Vegio, ci informano di sue amicizie umanistiche. Altri carmi minori illustrano i suoi rapporti riminesi, come l'epigramma per un cane del consigliere di Sigismondo Piero Gennari e quello in lode dell'opera del Valturio. Altre fonti ci informano dell'amicizia con gli umanisti riminesi Piero Perleoni e Roberto Orsi (per quest'ultimo, oltre la lettera citata, due epigrammi dell'Orsi per il matrimonio e la morte di Basinio). Probabilmente maggiore fu l'intimità con il Valturio, al quale B. morente affiderà il codice autografo dei due ultimi poemi. Per la sua partecipazione all'attività costruttiva e artistica riminese di quel quinquennio glorioso, si possono citare un distico epigrafico per un ritratto di Sigismondo recentemente scoperto nel Tempio, che è da ritenere scritto da lui, e la solenne iscrizione votiva e celebrativa in greco, ripetuta sulle due fiancate del Tempio, che già fu proposto di attribuire a Basinio.
Ma la maggiore celebrazione di Sigismondo che sia stata prodotta dalla letteratura umanistica fu il grande poema Hesperis in 13 libri, che è insieme la più estesa delle opere di B. e quella a cui egli intese principalmente affidare la sua fama di poeta.
Il titolo Hesperis, o Hesperidos libri XIII, vale quanto 'Italiade', e sottolinea, oltre la materia che è costituita principalmente dalle recenti guerre in Italia, lo spirito con cui la narrazione è costantemente condotta: la guerra è per B. quella dei "Latini", "Ausonii", "Itali", cioè degli italiani, contro i "barbari", "Iberi", "Celtae", "Taraconii", cioè gli Aragonesi di re Alfonso di Napoli e di suo figlio Ferdinando, e l'eroe vincitore e trionfatore, Sigismondo, è rappresentato come un campione nazionale della latinità. Si tratta in realtà di modesti avvenimenti, quali le due fasi della guerra condotta in Toscana da Sigismondo, quella del 1448 che termina con l'abbandono dell'assedio marittimo di Piombino ("Populonia") da parte di Alfonso, e quella del 1452-53 con le vittoriose imprese di Fogliano e di Vada contro Ferdinando. La retorica amplificazione e la trasfigurazione fantastica sono realizzate da B. con tutti gli accorgimenti e gli ingredienti e mezzi esornativi della tradizione epica, principalissimi gli interventi dei numi e la νέκυιαomerico-virgiliana, cioè la discesa di Sigismondo agli inferi, che occupa tre interi libri del poema (VII-IX), inserita come intermezzo tra le due guerre (se ne veda l'analisi e ricerca delle fonti in Zabughin, Vergilio..., I, pp. 289-293). Con opportuni accorgimenti sono ricordate imprese anteriori di Sigismondo o sono celebrati i suoi antenati (il padre Pandolfo, il fratello, venerato quale beato, Galeotto Roberto, il più vecchio Malatesta Ungaro), o avvenimenti salienti della signoria di Sigismondo quali la riedificazione di Senigallia e la costruzione del Tempio (pagine notevolissime, che chiudono il libro XIII, 319-342, 343-360), o ricordate figure dell'ambiente malatestiano, come nell'episodio della morte, all'assedio di Vada, di Antonello da Narni ("Narnius"), uno dei giovani capi di Sigismondo (XII, 532-586); e persino appaiono beghe letterarie del poeta, come nell'attacco al vecchio maestro Carino (X, 170-230: quasi sicuramente Guarino, a cui solo poco tempo prima B. aveva rivolto una affettuosa lettera), o nell'episodio infamante di Seneuco (XI, 279-372: sicuramente Tommaso Seneca). Di fronte a tanta ricchezza di motivi, ben poco importa a noi posteri che il poema non sia stato condotto alla perfezione (e forse neppure finito, come appare dagli argomenti monostici scritti da B., che prevedono 14 libri, e dall'esame dell'autografo).
Molto, se non tutto, è stato fatto per la valutazione critica del poema e per l'indagine delle fonti classiche (persino, qua e là, ci sono traduzioni dirette da Omero), come per lo studio di qualche particolare tratto o episodio e per l'esame dei rapporti di questa con le altre opere di B., che trasporta liberamente, qui come altrove, versi suoi da altre opere o viceversa cancella dei tratti per usarli altrove (Finsler, Ferri, Zabughin). Ma la Hesperis è anche una fonte storica diretta, fondata probabilmente in gran parte su racconti orali di Sigismondo stesso e della sua cerchia, e lo è anche, indipendentemente dal racconto, come documento della propaganda malatestiana, al quale più o meno direttamente dovette contribuire lo stesso Sigismondo. Per questi ultimi aspetti, il poema resta quasi inesplorato, e certo si tratta di un'esplorazione difficile (si possono vedere le osservazioni, ancora oggi importanti, di F. G. Battaglini, in Basini Parmensis Opera praestantiora, II, pp. 268-272). Si aggiunga che le indagini sul contenuto storico dovrebbero essere estese alle interessanti miniature che adornano alcuni esemplari manoscritti del poema, secondo un piano che poté ben risalire all'autore o al suo eroe, anche se furono realizzate solo alcuni anni dopo la morte del poeta (v. Campana, presso Pächt, Giovanni da Fano's..., pp. 109-111).
Probabilmente prima di aver terminata la Hesperis, B. si accingeva, con quella febbre di lavoro che sembra aver caratterizzato, con ritmo crescente, l'ultima intensa stagione della sua breve vita, a un nuovo poema, gli Argonautica. Lo stesso B. nel prologo, I, 1-7, si dice preso da ancora maggiore 'furore' di ispirazione poetica che per i due precedenti poemi, Hesperis e Astronomica (èsignificativo che non ricordi altre opere). Il tema degli Argonauti era già stato affrontato in parte dall'amico suo Maffeo Vegio, l'umanista che più di ogni altro dei suoi contemporanei coltivò l'epica e che occupa almeno letterariamente un posto appena inferiore a Basinio. Qui la fonte principale èOmero, più ancora che Apollonio Rodio, non senza qualche derivazione da Valerio Flacco. Ma dell'opera ci sono rimasti solo tre libri largamente incompiuti e una serie di frammenti, e l'autografo mostra bene l'aspetto tumultuario della composizione.
Diciottomila versi (attenendosi a un calcolo prudente) di poesia dotta, di alto livello formale e certo con ambizioni d'arte quali appaiono anche dal lavoro di lima nell'autografo dei due ultimi poemi, fortunatamente giunto fino a noi, non sono pochi per un poeta morto a trentadue anni. Si può pensare che tale mole di lavoro, e più il ritmo febbrile degli ultimi anni, abbiano influito sulla salute di B. e mutato qualche cosa del suo equilibrio fisico. Ma queste sono ipotesi: come non sappiamo nulla del suo aspetto, del quale non ci è pervenuta nessuna immagine, neppure la medaglia che, giovanissimo, chiedeva all'amico Pisanello, così neppure della malattia, forse improvvisa e rapida, che lo condusse a morte. Il 24 maggio 1457 B., ammalato, fece testamento: morì in Rimini lo stesso giorno o in ogni caso prima della fine di quel mese. Il 30 maggio, a norma degli Statuti, la vedova fece redigere l'inventario dei suoi beni mobili: colpisce in questo documento, quale ne sia la causa, la mancanza di libri, ad eccezione di cinque, tutti greci (un Apollonio, un Porfirio, un libro di astronomia, altri due non meglio indicati).
Il testamento di B., rogato nella casa della sua dimora in contrada S. Innocenza (non lontano da S. Francesco), è documento di alto interesse biografico, umano e letterario. Vuole essere sepolto presso la chiesa di S. Francesco (il Tempio Malatestiano) e chiede al suo signore Sigismondo di fargli erigere un sepolcro con il verso "Parma mihi patria est, sunt sydera carmen et arma" (il riferimento è ancora alla Hesperis e agli Astronomica e la limitazione, qui in punto di morte, è ancora più significativa). Tralasciando alcuni legati consuetudinari o irrilevanti, è da notare che lascia a Sigismondo la Hesperis, 'opera non ancora sottoposta all'ultima lima, che è il massimo di tutti i suoi beni', alla condizione, insistentemente ed energicamente espressa, che non sia permesso ad altri di mettervi le mani per correggerla; altrimenti, sia piuttosto data alle fiamme o alle onde. Lascia il cavallo per le spese del funerale, una veste al figliastro Pier Domenico, ai fratelli Antonio e Manfredo due vesti e tutti i beni mobili ed immobili e diritti a lui spettanti dall'eredità del padre e della madre, al servitore Pietro Alberti di Pavia un mantello, a Sigismondo un libro greco di Omero e Apollonio (ma quest'ultimo legato fu cancellato). Infine si raccomanda ai cittadini di Parma e di Rimini ("et deinde duobus se comendat populis Parmensi et Ariminensi"). Di tutti i rimanenti beni mobili e immobili ecc. istituisce erede universale la moglie donna Antonia. Un codicillo rogato lo stesso giorno riguarda solo cose patrimoniali.
Il signore di Rimini fece per il suo poeta assai più di quello che il testamento gli imponeva. B. fu deposto nel primo dei grandi sarcofagi di tipo romano che avevano cominciato a ornare, forse secondo un piano previsto dall'Alberti, il fianco destro del Tempio; ma contemporaneamente (particolare importante, finora non chiarito) fece esumare e riporre nel secondo sarcofago le ossa di Giusto dei Conti, morto fin dal 1449: Sigismondo diede cioè inizio, con B., al suo programma di destinare quelle arche a sepolture di poeti e di sapienti che facessero corona alle tombe propria e di Isotta, secondo un concetto celebrativo senza esempi a quel tempo; e in questo diede a B. il primo posto (terzo sarà, nel 1465, il dotto filosofo, bizantino Giorgio Gemisto Pletone, da Sigismondo riesumato e portato a Rimini durante la guerra in Grecia; quarto, dopo la morte di Sigismondo stesso, Roberto Valturio). Sul sarcofago di B. fu posta una breve e solenne iscrizione in prosa, composta, è da credere, dal Valturio, senza data e senza il verso voluto da B.: "Basinii Parmensis poetae D(ivi) Sigismundipandulfi Mal(atestae) Pandulfi f(ilii) tempestate vita functi condita hic sunt ossa".
Quanto alla pubblicazione della Hesperis, come è implicito, nelle parole dettate al notaio da B. morente, il confronto con un'altra e parallela situazione classica, quella testimoniata dalla vita vergiliana di Donato (il suo poema imperfetto e l'incompiuta Eneide, Basinio-Virgilio e Augusto-Sigismondo), confronto evidentemente sottolineato dall'autoepitafio (cfr. "Mantua me genuit... cecini pascua, rura, duces"), così certo Sigismondo non era uomo da disdegnare la parte di Augusto e forse B. stesso volle assegnare all'amico Roberto Valturio, segretario e consigliere fedele di Sigismondo, quella di Vario e di Tucca. Il fatto che B. in punto di morte abbia affidato l'autografo del poema al Valturio, che vi scrisse di sua mano "quem ipse dedit mihi Roberto Valturrio", non è forse in contrasto col legato testamentario a Sigismondo: è da credere che egli volesse garantirsi con ciò dell'esecuzione fedele delle sue ultime volontà. Di fatto il testo della Hesperis futrascritto fedelmente secondo l'ultimo stato che si poteva desumere dall'autografo, e se non ebbe una larga diffusione, fu però pubblicato come voleva il poeta ed ebbe anche, per dir così, una edizione illustrata da miniature, della quale alcuni esemplari, certo eseguiti a cura e spese di Sigismondo, sono giunti fino a noi.
Manoscritti. La maggior parte delle poesie giovanili di B. del periodo ferrarese ci è stata conservata unicamente dal cosidetto codice Bevilacqua, ben nota miscellanea umanistica ferrarese (Modena, Estense α.J. 5. 19), una piccola serie delle poesie minori nel Malatest. S. XXIX 19 di Cesena, altri sparsamente in altre miscellanee umanistiche; per tutti questi mss. si può vedere F. Ferri, La giovinezza..., pp. XLV-XLVII, e Le poesie liriche..., pp. 150-152, con una aggiunta in Massèra, I poeti isottei, p. 44 n. Più interessanti alcuni manoscritti autonomi: l'egloga a Niccolò V è solo nel Vat. lat. 1676, esemplare di dedica, che contiene anche la Meleagris con l'aggiunta (autografa) di un distico autobiografico e di note marginali; l'epistola allo stesso, solo nel Vat. lat. 3591, anche questo esemplare di dedica, con titolo e note marg. autografe; autografa è anche la nota finale, importantissima per i propositi di B. in quel momento, "Haec est una ex triginta Basinii epistolis, quae est principium primi libri ad... Nicolaum... quintum": la seconda doveva essere un'epistola a Sigismondo, v. la nota al v. 138 (F. Ferri, La giovinezza..., pp. XVII n. 6, 49, e Le poesie liriche..., p. 152).
Meleagris: oltre il citato Vat. lat. 1676 che proviene da B., un ms. della Palatina di Parma (Parm. 241) che contiene anche l'epistola a Leonello, e il Laur. 33, 29, copia del sec. XVI in. mandata a Leone X da C. Sylvanus Germanicus con l'aggiunta di una sua prefazione e di argomenti metrici; D. Fava, La Bibl. Estense, Modena 1925, p. 35, sospetta che l'Est. α X.2.29 (membr., mut.) sia l'esemplare di dedica a Leonello.
Delle epistole a Sigismondo, una, Ausoniae decus, ci è conservata solo dal ms. riminese (Gambal. 77) della cronaca di G. Broglio, altre due, O decus Asculeum e Liquerat Oceanum, in una serie di mss. del Liber Isottaeus di cui più sotto; ma la seconda anche nel ms. bolognese degli Astron. ecc.; quella polemica per il greco, Quis ferat indocti, nel Casanat. 4059 che contiene anche la lettera all'Orsi, ecc.
Diosymposis: Riccard. 904, copia autografa di B. (nonostante Ferri, La giovinezza di un poeta, pp. XXXIV-XXXVII e tav. 1) con un epigranima d'invio a Melchiorre da Camerino; Parm. 195 del 1455; e molti altri codici della tradizione corrente del Lib. Isott.
Liber Isottaeus: particolarmente importanti il Parm. 195 scritto da Giov. Peruzzo Bartolelli, forse a Rimini, nel 1455 (v. l'ed. Ferri 1922 del Liber Isottaeus, tav. I-II) e il citato ms. Bevilacqua di Modena (unico della prima redazione), che ha prima le el. II, 9-10 e I, 2 (ff. 11r-15r, 17r-19r) e poi le rimanenti (ff. 78r-113r); la tradizione estravagante di II, 9-10 anche nel Parm. 241. Si conoscono inoltre una quindicina di manoscritti, alcuni dei quali perduti o non identificati, contenenti un corpo umanistico malatestiano formato, più o meno, dal De amore Iovis in Isottam e altre cose di Porcelio, a cui seguono il Liber Isottaeus; le due epistole O decus Asculeum e Liquerat Oceanum e la Diosymposis di B.; e componimenti vari di Aurelio Trebanio, Taddeo servita bolognese, Roberto Orsi, Guarino (in sostanza la materia dell'ed. 1539, di cui v. oltre) e occasionalmente anche altri testi. Sui manoscritti in generale v. Ferri, L'autore..., pp. 8-31, 103-105, e meglio Id., Il testo definitivo…, pp. 233-253 (lista a pp. 236-240); molti materiali in Carte Massèra della Bibl. Gambalunghiana di Rimini. Si aggiungano il ms. della Bibl. Com. di Forlì Piancastelli VI 91 e due esemplari del corpo malatestiano, Vat. Ross. 1008 e Londra, Brit. Mus., Add. 16987 (per questo, Massèra, p. 22 n. 1); un altro ms. di Rimini, Bibl. Gambal., 4.A.III.16 del sec. XVI, è una semplice copia della stampa del 1539. Nell'inventario dei beni mobili di Sigismondo trovati in Castel Sismondo alla sua morte (1468) appaiono degli 'Isottei' certo eseguiti in serie ("Tri vilumi cioè tri Isotei", ed. F. G. Battaglini, in Basini Parm. Op. praest., II, p. 678) ma non è certo che si tratti di copie del Lib. Is. o del corpo descritto sopra, perché si può anche pensare a esemplari del Canzoniere volgare dello stesso Sigismondo (cfr. p. 674).
Astronomica: Parm. 1008, scritto a Rimini nel 1458 da Pier Mario Bartolelli, con figure delle costellazioni elegantemente disegnate, e 1197 (ff. 36-72); Bologna, Bibl. Com., A. 173, e altri; v. Affò, in Basini Parm. Op. praest., II, p. 35; Soldati, La poesia astrol..., p. 84 n. 1; Massera, p. 49 n. 1.
Hesperis: per l'autografo riminese, Gambal. 67 (ff. 2r-151v), proveniente dalla bibl. di S. Francesco erede dei codici del Valturio, v. Ferri, La giovinezza..., p. XV n. 8, XXXIX n. 2, tav. 3-4 e sparsi accenni in altri lavori del Ferri; Massèra, R. Valturio [1928], rist. Faenza 1958, p. 11; A. Campana, nel vol. Tesori delle Biblioteche d'Italia. Emilia e Romagna, Milano 1932, p. 113 e fig. 44. Per gli esemplari miniati (Paris, Bibl. de l'Arsenal 630, Oxford Bodl. Canon. class. lat. 81, Vat. lat. 6043) v. C. Ricci, IlTempio Malatestiano, pp. 52-54 e figg. 73-78; Id., Di un codice... (ms. Paris) e O. Pächt, Giovanni da Fano's..., pp. 91-111, con due appendici di A. Campana: Ilnuovo codice Vaticano della "Hesperis" di B., Tavola delle illustrazioni dei codici miniati della "Hesperis" di B. Uno di questi poteva essere il "libro composito per dominum Basinium copertum de veluto azurro cum brochis de ottone" indicato nel citato inventario delle cose di Sigismondo, p. 674; a una produzione in serie di tali esemplari, e non già dell'opera del Valturio, sono da riferire i documenti su cui C. Ricci, Il Tempio Malatestiano, pp. 48 s. Per altri cinque codici, Campana, p. 108; si aggiunga Firenze, Bibl. Naz. II π 46, appartenuto a Galeotto figlio di Sigismondo.
Argonautica: solo l'autografo nel Gambal. 67, ff. 154v-208v, che comprendono anche fogli bianchi e frammenti.
De carminibus: nei codici Parm. 241, Vat. Chig. I.V.158, Napoli, Bibl. Naz., V. C. 40; v. Ferri, La giovinezza..., pp. XXXIX-XL.
Lettere: al Tortelli l'originale autografo era nel Vat. lat. 3908, ne rimane una copia moderna nel Vat. lat. 9065; a Guarino, minuta autografa nel Gambal. 67, ff. 204v-205r; a R. Orsi, nel Casanatense 4059 e in altri codici.
Edizioni. Prima della fine del sec. XVIII erano a stampa di B. solo poche cose nel raro volumetto Trium Poetarum elegantissimorum, Porcelij, Basinij et Trebani opuscula nunc primum diligentia... Christophori Preudhomme... edita, Parisiis 1539, derivato da un ms. del corpo umanistico malatestiano: a ff. 37r-85v il Liber Isottaeus diviso in quattro libri e falsamente attribuito a Porcelio, 85v-87r l'epistola metrica O decus Asculeum, 87v-91v la Liquerat Oceanum, e 92r-101r la Diosymposis; i tre ultimi scritti non sono stati finora ripubblicati. Le due epistole metriche furono tradotte in endecasillabi sciolti da F. G. Battaglini (ms. a Forlì, Bibl. Com., Piancastelli VI 87). Per il Liber Isottaeus abbiamo ora le due edizioni di F. Ferri: Basini Parm. poetae Liber Isottaeus, Città di Castello 1922 (ed. di 100 copie numerate), con tre capitoli introduttivi e due appendici di Richiami storici e Annotazioni critica (si vedano anche le discussioni sul testo, a cui diede occasione questa ed.: G. Albini, Il 'Liber Is.'in una..., pp. 172-192; Id., rec. in La cultura, s. 5, III [1923], pp. 131 s.; e le risposte del Ferri, Un accademico... e Un distico...) e Le poesie liriche di B. (Isottaeus, Cyris, Carmina varia), vol. I dei Testi lat. umanist. dir. da R. Sabbadini, Lib. Is. a pp. 1-74, con apparato pp. 143-150 e note pp. 153-157. Una traduzione italiana in terzine (1858) di C. Tonini è nelle Carte Tonini della Bibl. Gambal. di Rimini, cart. XXXI (con saggio della traduzione, el. I, 1, in bozza di stampa del 1906; il Tonini aveva tradotto anche il De amore Iovis in Isottam di Porcelio).
Di XXIX carmi giovanili di B., quasi tutti inediti o solo parzialmente conosciuti, diede un'ed. F. Ferri, La giovinezza di un poeta..., pp. 1-60 e cfr. pp. XLII-XLVII. Più tardi il Ferri li ripubblicò nel vol. Le poesie liriche, dividendoli in due gruppi: Cyris, pp. 77-92 e Carmina varia, pp. 93-129, con apparato pp. 150-152 e note pp. 157-163: nel primo le XII elegie amorose per Ciride (che però non hanno nella tradizione manoscritta una unità autonoma e tanto meno un titolo), nel secondo gli altri XX componimenti (cioè con l'aggiunta di altre tre, X, XII, XV, che nell'ed. 1914 erano fuori serie, rispettivamente a p. 36 n. [cfr. p. XX n. 41, XV n. 9, 60). Le importanti note marg. (autografe) a Var., XX, solo nell'ed. 1914, pp. 48 s. Altre composizioni non incluse in queste raccolte (oltre la Diosymposis e le due epp. metriche dell'ed. 1539) sono: l'ep. Quis ferat indocti, ed. G. Ferri, in Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta, II, Romae 1773, pp. 405-416, e F. Ferri, Una contesa di tre umanisti..., pp. 45-47 e 62; il frammento (43 versi) di un "Urbis Romae ad Venetias epistolion" a proposito della statua del Gattamelata, Id., Un'invettiva latina, pp. 418-424 (l'attribuzione è sicura); l'epigramma a Melchiorre da Camerino, ed. Albini, Il 'Liber Isottaeus' e il suo autore, p. 18 n. 2 e Ferri, La giovinezza..., p. 21 e cfr. XXXV; gli argomenti monostici dei libri della Hesperis, ed. Affò, in Basini Parm. Op. praest, II, p. 34 (sono anche in Mazzuchelli, Notizie, pp. 20-21); il distico con la data della propria nascita in Ferri, Sopra una lettera di B., p. 208 n. 4; il distico inciso intorno a un ritratto di Sigismondo in G. Ravaioli, Una nuova effigie di Sigismondo nel Tempio Malatestiano, in Studi riminesi e bibliogr. in onore di C. Lucchesi, Faenza 1952, p. 184 (per l'attribuzione v. nel testo).
Lettere: a G. Tortelli, ed. Ferri, La giovinezza..., p. 63 e Le poesie liriche, pp. 160 s.; a Guarino, ed. Sabbadini, Epistolario di Guarino Veronese, II, Venezia 1916, pp. 634 s. con la bibl. preced. e Ferri, Una contesa..., p. 68; a R. Orsi, ed. I. L. B., in Anecdota litt., cit., II, pp. 300-312 e F. Ferri, Una contesa..., pp. 58-61 e 63 s. L'iscrizione greca del Tempio Malatestiano in G. M. Garuffi, Lucerna lapidaria, Arimini 1691, p. 62 (poi in Graevii-Burmanni Thesaurus antiq. et hist. Italiae, VII, 2, Lugduni Batav. 1722, col. 39; G. B. Costa, Il Tempio di S. Francesco di Rimino, in Miscellanei di varia lett. di Lucca, V (1765), e a parte, Lucca 1765, tavola, n. III; e presso C. G. Fossati, Le Temple de Malateste de Rimini, Fuligno 1794, p. 37; solo le riprod. fot. in Ricci, op. cit., fig. 258, 259, 356 e cfr. pp. 217 e 240 n. 43 con altra bibl. (per l'attribuzione v. Ferri, Un voto...).
I quattro poemi maggiori, a cura di L. Drudi, in Basini Parmensis poetae Opera praestantiora nunc primum ed. et opportunis commentariis illustrata, I, Arimini 1794, ed. senza note e apparato critico ma accuratissima (pp. I-XI pref., ancora utile per i mss., XIII-XV il testam. di B., 1-288 Hesperis, 288-342 Astron., 339 [sic]-447 Meleagris, 449-506 Argon., con gli argomenti in prosa composti dal Drudi o attinti al cod. Laur. 33, 29 (Mel.); nelle tavole incise riproduzioni di miniature della Hesp.); i 'commentarii' accennati nel titolo occupano il vol. II, stessa data, e sono le tre monografie sulla storia e la cultura malatestiana del Quattrocento di I. Affò, A. Battaglini, F. G. Battaglini; sull'importanza di questa ed., promossa da F. G. Battaglini, come espressione dell'alta cultura riminese del tempo e come episodio saliente degli studi malatestiani, v. C. Tonini, La coltura... in Rimini, II, pp. 526 s., e A. Campana, Vicende e problemi degli studi malatestiani, in Studi romagnoli, II (1951), pp. 7 s.; notevole per la storia di essa il carteggio letterario dei due Battaglini; ora ms. 4302 della Bibl. Univ. di Bologna.
Bibl: Una "Bibliografia basiniana" in Ferri, Le poesie liriche di B., Torino 1925, pp. 140-142; per gli scritti del Ferri e le recensioni relative, minutissime notizie del Ferri stesso nell'opuscolo Un accademico delle Scienze di Bologna e il poeta B. Parmense, Città di Castello 1924, pp. 11-14. La Prima biobibl. basiniana a stampa è quella del p. I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, Parma 1789, pp. 18, 5-228 (v. anche A. Pezzana, Continuazione delle Memorie..., VI, 2, Parma 1827, pp. 170-187), ristampata sotto il titolo Notizie intorno la vita e le opere di B. Basini, in Basini Parm. Op. praest., II, pp. 1-42; l'Affò si giovò largamente dell'analogo lavoro preparato dal Mazzuchelli per gli Scrittori d'Italia e allora inedito (Notizie intorno alla vita e agli scritti di B. da Parma estratto dalla serie degli Scrittori d'Italia del Conte Giammaria Mazzuchelli... 6 febbr. 1768 copiate e poste in netto, a cura di F. Ferri per Nozze Dal Pero-Orlandi, Rimini 1911), degli intensi scambi epistolari col Tiraboschi (Lettere di G. Tiraboschi al P. Ireneo Affò, a cura di C. Frati, Modena 1895, pp. 21 s., 141-144, 149-157, pagine ancora importanti, con le note dell'ed., specie per i mss. basiniani), e dei materiali su B. che rimangono nel ms. Parm. 1197; del Tiraboschi si veda la Storia d. lett. ital., 1400-1500, lib. III, c. IV, par. 5. Poi C. de' Rosmini, Idea dell'ottimo precettore... Vittorino da Feltre, Bassano 1801, pp. 462-470; G. Carducci, Delle poesie latine... di L. Ariosto (1875), poi riveduto e con nuovo tit. (1881) e infine rifatto in Opere, XV (1904) (ora Opere, ed. naz., XIII (1936), pp. 169-173, 235-237); C. Tonini, La coltura... in Rimini dal sec. XIV ai primordi del XIX, Rimini 1884, I, pp. 100-108, II, p. 687 (indice); K. Borinski, Das Epos der Renaissance, in Geiger's Vierteljahrschrift, I (1886), pp. 187 ss.; R. J. Albrecht, Zu T. V. Strozza's und B. Basini's lat. Lobgedichten auf Vittore Pisano, in Romanische Forschungen, IV (1891), pp. 341-344; G. Voigt, Die Wiederbelebung des class. Alterthums, 3 ed., Berlin 1893, I, pp. 580-584; II, p. 527, (Indice); V. Lonati, Un romanzo poetico nel Rinascimento, Brescia 1899 (per nozze Pasi-Lonati; sul Liber Isottaeus; v. la rec. di S. Ungaro, in Rass. crit. d. letter. ital., VII [1902], pp. 74-78; cfr. VIII [1903], p. 57); B. Soldati, La poesia astrologica nel Quattrocento, Firenze 1906, pp. 74-104; G. Albini, Il "Liber Isottaeus" e il suo autore, in Mem. d. Accad. d. scienze d. Ist. di Bologna, classe scienze mor., sez. stor.-filol., I, 1 (1906-07), pp. 139-160; F. Ferri, L'autore del Liber Isottaeus, Rimini 1912 (e la rec. di R. Sabbadini, in Rass. bibl. d. letter. ital., n. s., III [1913], pp. 50-54, con nota di F. Flamini, p. 94); G. Finsler, Homer in der Neuzeit, Leipzig 1912, pp. 30-33; Id., Sigismondo Malatesta und sein Homer, in Festgabe für G. Meyer v. Knonau, Zürich 1913, pp. 285-303; F. Ferri, Il poeta B. e la leggenda di S. Patrizio, in Aurea Parma, II (1913), pp. 101-105 (su Hesp. VIII, 176-188); Id., La giovinezza di un poeta. Basinii Parmensis Carmina, Rimini 1914 (e la rec. del Sabbadini, in Giorn. stor. d. letter. ital., LXV [1915], pp. 96-100 e di G. B[ertoni], in Archivum Romanicum, III [1919], pp. 141 s.); Id., Un'invettiva latina contro Erasmo Gattamelata, in Athenaeum, III (1915), pp. 418-24; Id., Un dissidio fra B. e Guarino, ibid., V (1917), pp. 33-43 (con una nota del Sabbadini; su Hesp. X, 170-230); Id., Sopra una lettera di B., ibid., pp. 206-209 (datazione della lettera all'Orsi); Id., Il testo definitivo del "Liber Isott.", in Giorn. stor. d. letter. ital., LXX (1917), pp. 233-253; R. Sabbadini, Epistolario di Guarino Veronese, III, Venezia 1919, pp. 488-490 e Indice, p. 547; F. Ferri, Una contesa di tre umanisti, Basinio Porcellio e Seneca. Contributo alla storia d. studi greci nel Quattrocento in Italia, Pavia 1920; Id., B. e l'Argonautica di Apollonio Rodio, in Rendic. d. Ist. lombardo di scienze e lettere, LIII (1920), pp. 147-165; V. Zabughin, Vergilio nel Rinascimento ital., I, Bologna 1921, pp. 287-293, 312-325 (note); F. Ferri, ed. del Liber Isott., Città di Castello 1922 (pp. VII-XIV sulla questione della paternità, XV-XXVII su B., XXIX-XXXVI sulla doppia redaz.); A. Rafanelli, Gli amori di Sigismondo e d'Isotta nel Lib. Isott. di B. Parmense, Città di Castello 1922; G. Albini, Il 'Liber Isott.'in una recente ediz., in L'Archiginnasio, XVII (1922), pp. 172-192 (e la rec. del 1923); F. Ferri, Un votò di Sigismondo Malatesta, in Arch. stor. per le prov. parmensi, n.s., XXII bis (1923), pp. 369-371; Id., Un accademico delle Scienze di Bologna e il poeta B. Parmense, Città di Castello 1924; Id., Un distico di B., in Athenaeum, n. s., II (1924), p. 196 s.; C. Ricci, Il Tempio Malatestiano, Milano-Roma s. d. [ma 1924], pp. 287-289 e figg. 341-342 (tomba); F. Ferri, LePoesie liriche... (pp. 131-139 "Notizia di B.", adattamento del secondo cap. della ed. 1922; v. la rec. di L. Galante, in Giorn. stor. d. letter. ital., LXXXVI [1925], pp. 370-372); G. Pochettino, L'"Isotteo" di B. Parmense, in Aurea Parma, IX (1935), pp. 16-23, 95-99; G. M[elli], Intorno alla patria di B., ibid., IX (1925), pp. 383 s.; A. F. Massèra, I poeti isottei, in Giorn. stor. d. letter. ital., XCII (1928), pp. 21 (notizie su Tommaso Monaldi cognato di Antonia), 23 s. (Atteone Ugone e suoi epigrammi sulla Meleagris), 25-36 ("IV. Tobia Borgo"), 36-55 ("V. Basinio Parmense", fondamentale per la biografia e per alcune datazioni; accenni alla questione del Lib. Isott. a pp. 31, 36, 52, e per il pensiero di Massèra v. anche V. Zabughin, in Giorn. stor. d. letter. ital., LXXVII [1921], p. 329); C. Ricci, Di un codice malatestiano della "Esperide" di B., in Accad. e Bibl. d'Italia, I, 5-6 (1928), pp. 20-48; V.Rossi, Il Quattrocento, Milano 1933, pp. 92, 241-244, 484 e note; O. Pächt-A. Campana, Giovanni da Fano's illustrations for B.'s epos Hesperis, in Studi romagnoli, II (1951), pp. 91-111; F. Arnaldi, L. Gualdo Rosa, L. Monti Sabia, Poeti latini del Quattrocento, Milano-Napoli 1964, pp. XX-XXIII (Arnaldi: Lib. Isott.), 211-247 (Gualdo Rosa: notizia di B. e scelta di poesie con versione e note, che comprende Cyr. IV e VI, Var. VI e quattro elegie del Lib. Isott.).