MORONE, Bartolomeo
– Nacque a Milano il 27 settembre 1392 da Giovanni, procuratore di cause, e da Giovannina Pietrasanta.
Il suo avvio agli studi legali ebbe luogo in un periodo tormentato da guerre e scontri politici interni, motivi per i quali non poté studiare all’Università di Pavia e fu costretto a recarsi a Padova, città che però dovette lasciare precipitosamente nel 1412 a causa di vari eventi bellici; intanto nel ducato di Milano veniva assassinato il duca Giovanni Maria Visconti. Continuò gli studi a Torino mentre l’Università pavese veniva temporaneamente chiusa. Nello Studio subalpino seguì le lezioni del giurista milanese Cristoforo Castiglioni – a sua volta appena emigrato da Milano – e poté godere della protezione del principe Ludovico di Acaia che stava promuovendo la nuova sede universitaria. Giunse così, nel 1413, a conseguire una delle prime lauree torinesi in diritto civile. Poté allora tornare in patria, dove Filippo Maria Visconti, diventato duca di Milano, si accingeva a recuperare città e territori perduti nel corso delle guerre precedenti. Ripresi gli studi a Pavia, nel 1414 vi conseguì il dottorato in utroque iure, sempre sotto la guida di Castiglioni e di altri famosi docenti dell’ateneo ticinese. Ultimati gli studi, iniziò la sua carriera secondo i canoni più consueti: dal 1414 entrò a far parte dei giurisperiti della Fabbrica del duomo e nello stesso anno fu eletto anche nel Collegio dei dodici di provvisione del Comune di Milano, l’organo di governo cittadino. Nel 1418 fu ammesso nel Collegio milanese dei giureconsulti. Nella Fabbrica del duomo agì per quarant’anni, lasciando infine il posto al figlio Tommaso.
Nel 1416 aveva sposato Caterina, figlia di Tommaso Omodei e di Franceschina Corio, con la quale diede inizio a una vita familiare intensa e piena di soddisfazioni, nella nuova abitazione sita nella contrada che più tardi dai Morone prese il nome, in Porta Nuova. Morone registrò puntualmente nel suo diario date di nascita, battesimi e nomi dei padrini dei figli, scelti tra colleghi giurisperiti, amici di famiglia, funzionari ducali e cortigiani. Ben 12 dei figli raggiunsero l’età adulta; Tommaso (il secondogenito, nato nel 1422 e laureato nel 1446 a Pavia in entrambi i diritti) e Giovanni furono avviati alla professione legale; Antonio e Paolo si dedicarono all’attività mercantile operando in una ditta inserita ai più alti livelli nel circuito bancario internazionale; alcuni figli rivestirono cariche pubbliche, come Giovanni che divenne segretario ducale. Un figlio e una figlia fecero la scelta religiosa, mentre tutti gli altri ebbero assicurati dei matrimoni eccellenti all’interno di un ceto facoltoso, borghese o di nobiltà urbana, con cui i Morone condividevano l’apertura a diverse vocazioni professionali e l’attività pubblica.
Nel libro di ricordi che compilò dal 1412 al 1452 (Pavia, Biblioteca Bonetta, Mss., I.24: Cronaca di Bartolomeo Moroni giureconsulto di Milano scritta di sua mano) ricorda le occasioni solenni in cui pronunciò dotti e apprezzati sermoni, come avvenne nel 1418, quando insieme con i membri del suo collegio prese parte alle cerimonie offerte a Martino V, che il 18 ottobre entrava in Milano, e nel 1433, quando nella basilica di S. Ambrogio fu presente all’incoronazione a re d’Italia di Sigismondo di Lussemburgo.
Vari capitoletti del diario rievocano le imprese vittoriose delle milizie viscontee e ricalcano lo schema ufficiale dei dispacci dell’ufficio di Provvisione, dei quali riprendono sia l’accuratezza dell’informazione, sia un certo tono celebrativo, concludendosi immancabilmente con le processioni e i festeggiamenti ordinati dal principe.
Nonostante il suo profilo di uomo d’ordine, alla morte dell’ultimo Visconti, Filippo Maria, nell’autunno del 1447, Morone non esitò a partecipare alla costituzione della Repubblica di S. Ambrogio. Pur senza fare di lui una sorta di prototipo del politico ‘ambrosiano’, si può osservare che la sua adesione al governo repubblicano è sintomo della continuità tra la nuova esperienza politica e le precedenti istituzioni viscontee. È vero che la Repubblica esordì con alcuni moti, come l’abbattimento del castello di Porta Giovia e la distruzione dei libri fiscali, ma ciò attesta solo che i notabili ambrosiani dovevano dare sfogo al furore del popolo mentre costruivano il nuovo assetto politico adattando le istituzioni ducali e facendo riferimento allo stesso ceto di governo. Anche Morone, forte della sua pratica di gestione della cosa pubblica, diede il suo contributo alle istituzioni repubblicane, ebbe i suoi turni nei comitati di governo e ricevette in particolare l’incarico di apporre il sigillo sugli atti emanati dalle autorità ambrosiane.
Sul finire del 1448 Francesco Sforza si accordò con i veneziani e abbandonò la Repubblica alla sua sorte: il governo designò Morone insieme con il collega Giacomo Cusani per raggiungere il capitano al campo ed esprimergli la protesta e il disappunto dei milanesi, ma Sforza rispose con una dura requisitoria, enumerando i torti che riteneva di avere ricevuto dal governo ambrosiano a dispetto delle sue luminose vittorie militari.
Nonostante l’intensità del suo impegno, le attività di Morone e il suo coinvolgimento personale nella vicenda repubblicana non trovano alcuna eco nel suo diario, nel quale egli non fa cenno agli onori ricevuti e alle cariche occupate durante il turbolento triennio, né ai drammatici sviluppi del 1449 di cui fu, suo malgrado, protagonista. Come molti dei nobili che avevano inaugurato la Repubblica milanese, anche Morone non si sentì rappresentato dalla svolta popolare e guelfa dell’inizio di quell’anno, segnata dai processi intentati contro alcuni importanti uomini politici della prima ora, che si videro duramente proscritti e in alcuni casi condannati a morte.
Gli eventi della primavera del 1449 sono tutt’altro che chiari nei loro sviluppi, e non è facile capire le dinamiche degli schieramenti cittadini. In estate, comunque, la componente ghibellina e nobiliare riuscì a tornare brevemente a capo del governo repubblicano, ma nel contesto di aspri scontri: il 31 agosto 1449, in occasione dell’elezione dei nuovi capitani e priori, scoppiò un tumulto dentro i palazzi dell’Arengo. I rivoltosi assaltarono alcuni dei magistrati che concludevano il loro mandato, tra cui il banchiere Galeotto Toscano, che essendo anziano e malato non potè fuggire e fu trucidato. Morone, personalmente legato a Toscano, suo consuocero, e ad altri membri del comitato di governo uscente, scampò al pericolo, ma non riuscì a evitare che la folla irrompesse nella sua abitazione di Porta Nuova, portando via non solo beni e suppellettili, ma anche molte carte pubbliche che egli custodiva in quanto detentore del sigillo. Si mise allora sotto la protezione di Francesco Sforza, le cui milizie assediavano Milano. Il governo popolare tornato al potere colpì e bandì i fuggitivi, e Morone, con i figli maggiori, fu inserito negli elenchi dei ribelli mentre veniva emanato un bando che ordinava, a chi se ne trovasse in possesso, di consegnare senza indugi i suoi beni e soprattutto le carte asportate dalla sua abitazione.
La rottura di Morone con l’esperienza repubblicana probabilmente si era già consumata da quando era emerso il governo ‘plebeo’ degli Ossona e degli Appiani, dietro il quale si intravedeva l’iniziativa di nobili potenti, come i Cotta e i Trivulzio, di orientamento guelfo. I mesi successivi furono drammatici per la vita quotidiana della città assediata: il governo repubblicano si dimostrò incapace di tenere a bada i tumulti e di provvedere efficacemente alla difesa di Milano e nel marzo del 1450 Francesco Sforza ottenne la resa della città e poté assumere il titolo ducale. Tra i suoi primi atti di governo ci fu la nomina di Morone, insieme con altri tre giureconsulti milanesi, nel Consiglio ducale di giustizia, mentre il figlio Tommaso veniva ammesso tra gli avvocati fiscali. Inoltre Morone e i suoi familiari ed eredi si videro confermate le ampie esenzioni fiscali che fin dal 1426 avevano ottenuto dai Visconti, privilegi che attestavano tra l’altro la loro condizione di possidenti. Come consigliere ducale, Morone operò per oltre un decennio dando il suo consulto al principe, svolgendo numerosi incarichi, stilando pareri e consulenze, occupandosi di cause che toccavano gli interessi di personalità e famiglie altolocate.
Dalla sua posizione poteva ragionevolmente aspirare alla promozione al Consiglio segreto, ma quando raggiunse questo ambito traguardo, il 14 luglio 1461, era ormai anziano e malato e aveva già fatto testamento: morì l’8 settembre di quell’anno.
La prima moglie era morta nel 1450 e Morone si era risposato con Giovannina Birago, due volte vedova, appartenente a una cospicua famiglia della corte ducale. Dal secondo matrimonio era nata solo una figlia, morta in fasce. Nel 1457 era morto anche il figlio Tommaso, con il quale aveva condiviso tante esperienze.
Morone frequentò e sostenne chiese e conventi cari alla memoria milanese, in particolare la Fabbrica del duomo, che ricordò anche con un legato nel suo testamento. I suoi figli e nipoti furono quasi tutti battezzati (e alcuni sepolti) nella chiesa vicinale di S. Martino in Nosiggia, ma quando la sua condizione sociale si consolidò Morone volle far costruire un sepolcro di famiglia e scelse la chiesa di S. Maria alla Scala, già di patronato ducale. Nella nuova cappella fu sepolto accanto alla prima moglie. La chiesa non esiste più ma è stato tramandato il testo della lapide che ricorda le sue benemerenze e la data della morte.
Nell’ambito professionale Morone fu soprattutto un pratico, e tuttavia è possibile che la sua riflessione dottrinale sia stata più ampia e significativa di quanto non risulti dai testi conservati. Si conoscono alcuni consilia, due dei quali redatti con Martino Garati e radunati nelle raccolte a stampa di quest’ultimo (M. Garrati, Consilia …, Novara 1568, nn. 28, 29, pp. 84-90, 93-104) mentre una biblioteca monastica pavese custodiva un suo manoscritto dal titolo Dissertatio iuris de lecto Padi a Ticino usque ad urbem Mantuam (Volta, 1892, p. 638). Il codicetto di memorie e annotazioni personali da lui tenuto per anni fu ampiamente illustrato dallo studioso pavese Zanino Volta, che tra il 1886 e il 1904 ne trasse vari spunti per i suoi studi e ne fece un’edizione parziale, cui ha fatto seguito nel 2010 un’edizione integrale: Il libro di ricordi di Bartolomeo Moronegiureconsulto milanese (1412-1455), a cura di N. Covini, Milano 2010.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Famiglie, 125, Moroni; Notarile, 1877, 1° sett. 1492; G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae commentarii, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXI, 2, p. 251; Annali della Fabbrica del duomo di Milano dall’origine fino al presente, II, Milano 1877, p. 10 e passim; Z. Volta, Papa Martino V a Milano, in Arch. storico lombardo, XIV (1886), pp. 837-865; Id., Dei gradi accademici conferiti nello «Studio Generale» di Pavia sotto il dominio visconteo, ibid., XVIII (1890), pp. 551 s., 563-566; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano, IV, Milano 1890, p. 222; Z. Volta, Di B. M. giureconsulto, maggiorente, cronista milanese e della genalogia moronea, in Arch. storico lombardo, XX (1892), pp. 633-692; Id., Note di B. M. sulla storia politica del suo tempo, ibid., XXXI (1904), pp. 360-388; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco, Milano 1948, pp. 6, 39; F. Cognasso, La repubblica di S. Ambrogio, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 400, 428, 438; Famiglie notabili milanesi, a cura di F. Calvi et al., Bologna 1969 (rist. dell’ed. Milano 1875-85), II, tav. I; Acta libertatis Mediolani, a cura di A.R. Natale, Milano 1987, ad ind.; N. Covini, «La balanza drita». Pratiche di governo, leggi e ordinamenti nel ducato sforzesco, Milano 2007, p. 32; B. Del Bo, Élite bancaria a Milano a metà Quattrocento: prime note, in Quaderni/Cahiers del Centro studi sui Lombardi, sul credito e sulla banca, I (2007), pp. 163, 166 s., 171-173, 178 s.; I. Naso - P. Rosso, Insignia doctoralia. Lauree e laureati all’Università di Torino tra Quattro e Cinquecento, Torino 2008, pp. 174 s.