LUPARDI, Bartolomeo
Nacque a Roma il 16 ott. 1630 in una casa della Strada Nova (attuale via della Panetteria) da Nicolò e da Angela Azzolini. Il padre era un rigattiere di Lucca, che nel 1645 aprì a Roma una piccola libreria nei pressi di piazza Navona nella quale il L. si formò. Nel 1650, le nozze con Francesca Beneduci (1631-1713), figlia di un libraio della zona, gli consentirono, con la dote della sposa e con la protezione del cardinale Ciriaco Rocci, di mettersi in proprio, prendendo bottega in piazza Navona sotto palazzo De Cupis (1654), ubicazione tra le migliori per il commercio librario. Il L. vi innalzò l'insegna della Pace: due rami d'ulivo in croce di S. Andrea incurvati a racchiudere una stella a cinque punte, bell'emblema che usò anche come marca in alcune sue edizioni.
Il L. si affermò quindi nell'ambito protogiornalistico degli avvisi, scrivendo una notevole relazione sull'arrivo a Roma di Cristina di Svezia (1655) e proseguendo con varie altre relazioni: Maurizio Fagiolo dell'Arco (pp. 414-418) ne menziona alcune scritte fra il 1655 e il 1669, ritenendole "molto esaurienti" o "circostanziate", e riportandone per intero una "solenne" del 1662 (I luminosi splendori del sole, per la nascita dell'infante Carlo di Spagna) come "esempio della retorica del tempo".
Il L. entrò così in contatto con ambienti del potere, dando prova di saper coltivare rapporti in varie direzioni, senza peraltro dipendere troppo dai protettori, e giovandosi anche commercialmente dei frutti del proprio ingegno. Contagiato dal grande fervore teatrale che animava la Roma di Cristina (amante dello spettacolo, prese parte a recite amatoriali e scrisse una commedia), il L. avviò dal 1662 una specifica attività editoriale in quel campo.
Spinto dal grande successo ottenuto in Italia dalla pubblicazione postuma di alcune opere sceniche di G.A. Cicognini, volle dare alle stampe l'intera produzione teatrale di quel fecondo autore. Procuratosi così a Venezia e altrove un consistente gruppo di testi cicogniniani, iniziò la collana nel 1662 con la tragicommedia Il maritarsi per vendetta. Seguirono fino al 1669 ben 36 opere attribuite (più o meno legittimamente) a Cicognini, un corpus davvero imponente che fu l'asse portante dell'attività editoriale del Lupardi. Con le edizioni di Cicognini e di altri autori teatrali la libreria della Pace divenne la principale di Roma per i testi drammatici. Poco prima di morire, nel 1667, papa Alessandro VII, che guardava al L. con simpatia, gli concesse la privativa per la stampa dell'Ordinario ecclesiastico, altro ambito affare, confermato e ampliato da Innocenzo XI nel 1678. L'attività teatrale romana toccò un vertice durante i pontificati di Clemente IX e Clemente X, con cospicue entrate per il L., che ne pubblicava i testi e li vendeva nella propria bottega. Fin dall'agosto 1670 in favore del L. e di un altro libraio-editore, G. Corvo, il governo papale garantì con contratto il subentro nell'appalto della Stamperia camerale alla scadenza dell'incarico dato all'anziano Z. Masotti. In vista di tale negozio, fonte sicura di prestigio e di lucro, il L. e Corvo fecero società, fornendosi il primo di una tipografia (1672) e unendo così all'attività di libraio anche quella di stampatore; anzi per il novennio 1673-82 fu ufficialmente stampatore camerale e vaticano (i due titoli erano riuniti dall'inizio del secolo), al canone annuo di 7880 scudi.
Apertosi intanto, nel 1671, il maggior teatro pubblico di Roma, il Tordinona, voluto e protetto da Cristina di Svezia, il L. ottenne di pubblicare e vendere i libretti delle opere in musica che vi si rappresentavano, dedicando a proprio nome alla regina quello dell'opera inaugurale (Scipione Affricano, su testo di N. Minato e musica di F. Cavalli, con aggiunte di A. Stradella). Sono questi gli anni più intensi della vita del L., che investì in case i cospicui proventi dei suoi affari, avviò l'attività del primogenito Francesco (1656-87), scrisse egli stesso una commedia "ridicolosa" (La pazzia de due vecchi amanti) pubblicata con lo pseudonimo di Accademico Moschino (1676), e infine fu ascritto all'importante Arciconfraternita delle Ss. Stimmate. Per seguire i lavori della Stamperia camerale, che aveva sede in piazza Pasquino, il L. andò ad abitarvi nel 1676, cedendo a Francesco e alla nuora Maddalena Lolli la bottega di piazza Navona, dal 1670 estesa in più ampi locali. Ma Francesco non ebbe l'ingegno e l'energia del padre, e l'attività editoriale della libreria si concluse nel 1679; il L. pubblicò invece fino al 1682 a nome della Stamperia camerale, per poi ritirarsi in una delle case acquistate, un edificio quattrocentesco di qualche interesse artistico in via di Parione (oggi via del Governo Vecchio, n. 104), da lui restaurato con cura e ornato in facciata con una bella serie di medaglioni.
Il L. morì a Roma il 12 maggio 1706 e fu sepolto nella chiesa delle Stimmate.
Poiché Francesco gli era premorto e gli altri figli avevano preso gli ordini, il L. non ebbe un successore di diritto nell'attività editoriale; di fatto essa fu emulata (fin dal 1670) e proseguita dal cognato F. Leone (che aveva sposato Cinzia, sorella del L.) e dal figlio di lui, Pietro, che fino al 1740 fu il maggiore editore romano di libretti per musica. Degli altri figli del L., Andrea (1662-1739) fece una brillante carriera: laureatosi in legge, divenne avvocato e magistrato della Curia romana e collaborò con il cardinal vicario G.A. Guadagni per la riforma del clero. La famiglia si estinse alla metà del Settecento lasciando erede l'Arciconfraternita delle Stimmate.
L'attività editoriale figurò fino al 1671 a nome del L., poi a nome di Francesco o di entrambi, ma è in sostanza unitaria, giacché la debole personalità del figlio nulla innovò rispetto alla linea del padre. Si tratta di un'attività d'importanza panitaliana, rilevante sia come capacità imprenditoriale (per la quale si distingue dalla maggioranza dei librai-editori dell'epoca, limitati in orizzonti provinciali, e anticipa tratti delle moderne case editrici), sia sul piano storico-culturale, con la diffusione e durevole valorizzazione dei modelli drammaturgici di Cicognini, stimolandone successori e imitatori ed esercitando per generazioni una significativa influenza sul gusto di ampie fasce del mondo letterario e del pubblico di spettatori e di lettori, influenza che, com'è noto, lasciò traccia fino a C. Goldoni (Mémoires, I, 1).
Sotto il profilo imprenditoriale colpisce innanzitutto la sostanziale autonomia del L. dalle istituzioni politiche e dal mecenatismo signorile. La sua attività si reggeva da sola su un mercato che lo stesso editore contribuì a formare e stimolare. Quest'indipendenza si rifletteva nella libera scelta, per la stampa delle sue edizioni, tra tante tipografie di diverse città (Venezia, Vicenza, Bologna, Viterbo, Ronciglione, Bracciano, Terni, Todi e ovviamente Roma), senza legarsi stabilmente ad alcuna, anzi rendendosi dal 1672 autonomo con una propria stamperia. All'inizio della sua attività editoriale, importante fu il rapporto con lo stampatore veneziano N. Pezzana, insieme con il quale saccheggiò le edizioni cicogniniane pubblicate dal libraio G. Batti, del quale il L. fu di fatto il successore. Da Batti (che lo aveva tratto dalla famosa ditta Giunti, d'origine fiorentina) il L. riprese l'uso di un giglio stilizzato, posto a mo' di marca sui suoi libri, in alternanza con l'insegna della sua bottega (la Pace). Vivaci furono poi i contatti con editori d'altre città, che più volte ristamparono le sue edizioni, prolungandone la fortuna: così G. Monti, G. Longhi, A. Pisarri e G. Recaldini a Bologna, il citato Pezzana e G.B. Cestari a Venezia, gli Eredi Grisei e G. Piccini a Macerata, N. de Bonis a Napoli, T. Codelago a Genova.
Tra le centododici edizioni di testi teatrali e libretti per musica spicca l'assoluta prevalenza delle tragicommedie su tragedie, commedie e rappresentazioni agiografiche; prevalenza che risponde al gusto del pubblico dei lettori cui l'editore si rivolgeva e alla sua volontà di operare in un genere "moderno". Del resto, una vera differenza fra le tragedie (tutte in prosa tranne una) e le tragicommedie spesso non sussiste, specie quando nelle tragedie compaiono personaggi comici o popolari.
Lo stesso vale per le rappresentazioni agiografiche, che si distinguono dalle tragicommedie solo per la presenza del virtuoso protagonista o per un contenuto moraleggiante; e in questo caso scarsa è la differenza con un'opera "esemplare" come Il convitato di pietra (1663). Anche nei melodrammi, che formano il gruppo più consistente dei libretti per musica (per il resto relativi a cantate e oratori), il gusto tragicomico è prevalente: in molti casi i libretti di opere in musica sono perfette tragicommedie versificate. Se non il primo, certo per la coerenza della sua attività il L. fu un pioniere decisivo per la massiccia affermazione del genere tragicomico a Roma e in Italia nel terzo quarto del XVII secolo. Egli seppe individuare le fasce di pubblico cui rivolgersi, non molto diverse da quelle in cui in Italia e in Europa si affermava all'epoca il romanzo (a Roma edito soprattutto dal socio del L., Corvo): un pubblico che nella lettura dei testi e nella visione degli spettacoli rispondeva a livelli di cultura e sensibilità ben lontani da quelli dell'erudizione umanistica; un pubblico di nobiltà minore e minima (ivi compresi cadetti di casati maggiori, superstiti di stirpi in estinzione, patrizi e signorotti di provincia) o d'altra condizione sociale (medici, avvocati, notai, segretari e camerieri di gran signori, parroci, prelati ai primi gradi della carriera, uomini d'arme, giudici e governatori di città di provincia), cui regolarmente il L. rivolgeva le sue dedicatorie, sicuro di trovarvi, se non l'appoggio politico o finanziario, "la coincidenza del gusto e la benevolenza (o l'incapacità) critica nei confronti di opere spesso spurie e sciatte nella lingua e nella veste tipografico-editoriale" (Franchi, 1994, p. 451).
Oltre a Cicognini, alcuni autori pubblicati dal L. hanno di recente richiamato l'attenzione degli studi storico-letterari. Tra essi il fiorentino G.B. Ricciardi, i lucchesi F. Sbarra e O. Celli, il romano M. Stanchi, il napoletano C. Celano, il milanese T. Santagostini, l'attrice professionista Angela d'Orso; alcune opere apparse a nome di Cicognini erano del veneziano F. Stramboli o del fiorentino P. Susini. Con molte edizioni il L. fece conoscere le opere del calabrese G.F. Savaro, professore di retorica all'Università di Bologna, del quale Bertana sottolinea lo studio psicologico dei personaggi (E. Bertana, La tragedia, Milano 1905, p. 92). Un gruppo di ristampe rilanciò defunti autori di commedie "ridicolose" della prima metà del secolo (G. Briccio, V. Verucci, C. Tiberi). Postume uscirono presso il L. le inedite commedie di T. Ameyden. I libretti per musica, opera di Cicognini e di poeti viventi come G.F. Apolloni, F. Acciaiuoli, G.P. Monesio, F. Sarriani, S. Lazzarini, O. Malvezzi, F.M. Appiani, furono posti in musica da compositori attivi in ambito romano (A. Stradella, B. Pasquini, A. Melani, P. Petti, G. Pacieri, A. Olivieri, F. Foggia e vari altri); l'unica eccezione è per un'opera rappresentata a Città di Castello con musica di D. Evangelisti.
Fuori del campo drammatico le sue edizioni sono meno importanti, con prevalenza di avvisi e di ristampe di ben affermate opere del passato: atteggiamento che denota una prudenza ben diversa da quanto lo stesso editore mostrava in campo teatrale. Tra queste riedizioni di opere di buon successo commerciale si incontrano le Facetie del Piovano Arlotto (1664), la Relatione della corte di Roma( di G. Lunadoro (1664), la Nota delli musei( di G.P. Bellori (1664), le Lettere di complimenti semplici di A. Gabrielli (1665), la Vita dell'anima di fra Bartolomeo da Saluzzo (1673), il Don Chisciotte nella traduzione di A. Adimari (1677) e il Pentamerone di G.B. Basile (1679). Con la Stamperia camerale il L. pubblicò molti testi giuridici e amministrativi; tra essi alcuni a proprie spese, come il De visitatione carceratorum di G.B. Scannaroli (1675). Spiccano le nuove edizioni del Theatrum veritatis et iustitiae del grande giurista G.B. De Luca (I-XVI, 1679), del De salario di P. Zacchia (1679), del Tractatus de citationibus di G. Uberti (1680) e i nuovi Statuti della venerabile Compagnia et Università de' librari di Roma (1674), confraternita professionale della quale fu tra i soci di maggior prestigio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Camerale II, Stamperia camerale, b. 4; S. Franchi, Le impressioni sceniche. Diz. bio-bibliografico degli editori e stampatori romani e laziali di testi drammatici e libretti per musica dal 1579 al 1800 (in collab. con O. Sartori), Roma 1994, pp. 441-470 (con riferimenti bibliografici e alle fonti d'archivio, cui si rinvia, e con elenco di tutte le edizioni drammatiche); II, (Integrazioni, aggiunte, tavole, indici), ibid. 2002, pp. 108 s.; L.E. Lindgren - C.B. Schmidt, A collection of 137 broadsides concerning theatre in late seventeenth-century Italy: an annotated catalogue, in Harvard Library Bulletin, XXVIII (1980), pp. 196 s.; M. Fagiolo dell'Arco, La festa barocca, Roma 1997, pp. 376, 378, 414-418, 424-427, 472 s., 507, 509; Fondazione M. Besso, Le edizioni del Seicento nella Biblioteca della Fondazione, a cura di L. Lalli, Roma 2003, nn. 176, 974, 995.