BARTOLOMEO di Paolo, detto Baccio della Porta (fra, Bartolomeo)
Nacque a Sofignano (Prato) il 28 marzo 1472. Il padre Paolo di Iacopo, morto il 9 luglio 1487, di famiglia di origine genovese, era garzone di un vetturale detto il Fattorino, per cui fu indicato come Paolo del Fattorino, e nel 1476 risulta trasferito a Firenze, abitante presso la porta di San Pier Gattolini. Dall'ubicazione della casa il figlio fu chiamato Baccio (diminutivo fiorentino di Bartolomeo) della Porta. Paolo, dietro consiglio di Benedetto da Maiano, mise B. dodicenne a imparare il mestiere di pittore presso Cosimo Rosselli. Nella, bottega del Rosselli aveva come condiscepoli Piero dì Cosimo, Andrea Feltrini, Mariotto Albertinelli. Ma verso il 1490 abbandonò il maestro assieme con l'Albertinelli, con il quale fece "compagnia". Nel frattempo fu affascinato dalla personalità di fra, Girolamo Savonarola e divenne "piagnone", sciogliendo la società con Mariotto, che invece era "arrabbiato". Egli fu tanto impressionato dalle prediche del Savonarola da partecipare al cosiddetto "bruciamento delle vanità" tutte e due le volte che fu indetto in piazza della Signoria, nel 1496 e nel 1497, distruggendo le sue opere di soggetto non religioso. Del 1497 probabilmente è anche il ritratto che egli fece del Savonarola, oggi in S. Marco. Nondimeno, nel 1494, alla cacciata da Firenze di Piero de' Medici, aveva rinnovato la compagnia con l'arrabbiato Albertinelli. La sciolse di nuovo nel 1500, allorché si fece frate domenicano. La conversione avvenne in seguito a un voto da lui fatto quando nel 1498 era rimasto chiuso con gli altri piagnoni nel convento di S. Marco assediato dagli arrabbiati.
Fu novìzio a Prato, passando nel 1501 a Firenze nel convento di S. Marco. Nel 1500 aveva deciso di abbandonare la pittura e interrotto l'esecuzione dell'affresco con il Giudizio Universale, che gli era stato allogato nel 1497 da Gerozzo Dini per una cappella del cimitero di Santa Maria Nuova (Fìrenze, Museo di S. Marco): il lavoro fu continuato dall'ex socio Albertinelli.
Altre notizie biografiche riguardano i suoi rapporti con il fratellastro Pietro, che Paolo del Fattorino aveva avuto nel 1477 in seguito a un secondo matrimonio. Essendo morti i genitori, il B. si dovette curare di Pietro, dapprima avviato alla carriera ecclesiastica: e ne ebbe molti pensieri e fastidi, essendo Pietro malaticcio e quasi mentecatto. A lui aveva donato tutto il suo patrimonio nel 1501, dopo essersi fatto frate, ma nel 1506 ne dette la procura all'Albertinelli, incaricato inoltre d'insegnare la pittura a Pietro. Questi, infìne, diventando sempre più incapace e folle, costretto ad abbandonare il sacerdozio, fu rinchiuso nel 1512 nell'Ospedale degli Innocenti, né da allora altro si seppe di lui.
Nel 1504 B., divenuto fra', Bartolomeo, per sollecitazione del lucchese fra, Santi Pagnini, poi priore di S. Marco, riprese la pittura con la tavola della Visione di s. Bernardo, allogatagli il 18 novembre per la cappella di Benedetto da Rovezzano, con decorazioni in terracotta di Benedetto Buglioni, fatta erigere da Bernardo del Bianco nella Badia fiorentina. L'opera (Firenze, Gall. dell'Accademia) è interessantissima, perché, collegandosi ancora chiaramente allo stile giovanile di B., segna tuttavia l'inizio di una sua nuova concezione morale-religiosa ancor prima che artistica e rivela come questa sia stata provocata da quella.
Invero la precedente produzione di B. si confonde talvolta con quella del compagno Mariotto, che si sa aver collaborato anche a dipinti firmati soltanto da Bartolomeo. Fra queste prime opere, quella con la data più antica, il 1497, è l'Annunciazione del duomo di Volterra, dove sembra prevalere lo stile dell'Albertinelli; ma una scritta contemporanea nel retro, "Bartolomeo me fece", conferma l'esecuzione di entrambi gli artisti.
Comunque, l'attività giovanile di B. non si presenta affatto legata ai modi piuttosto convenzionali di Cosimo Rosselli: al contrario, rivela un pittore che, dotato di acuta intelligenza, unita a una schietta semplicità espressiva, aveva considerato e assimilato le conquiste più recenti dell'ambiente artistico fiorentino. Pertanto egli sembra essersi sforzato di superare un diffuso gusto ghirlandaiesco (molto vicina a quella del Ghirlandaio è la tecnica dei suoi disegni giovanili, per esempio), sviluppandolo verso un effetto di forma movimentata, secondo l'esempio di Filippino Lippi o, meglio, di Piero di Cosimo. Ma per chi era provvisto di un temperamento misurato e sostanzialmente classico e aveva certamente considerato la serena e ferma luce negli spazi della pittura del Perugino., il movimento doveva necessariamente risolversi in ritmo contenuto nella plasticità di volumi pieni, continui: privi, cioè, della libera cadenza lineare tipica di Filippino o di Botticelli, e anche di Piero di Cosimo. Come questi, indubbiamente B. dovette presto interessarsi ai primi risultati di Leonardo da Vinci. Lo dice il Vasari (Le vite..., a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, pp. 175-202) convincendo: un effetto di fluidità nella forma e nel rapporto stesso di essa con il proprio ambiente era possibile soltanto dopo esempi del genere dell'Annunciazione di Leonardo agli Uffizi. In ogni modo, un precoce contatto almeno con l'ambiente del primo Leonardo fiorentino dovette esserci: a parte certe rispondenze con Piero di Cosimo, qualche motivo di panneggio nei dipinti giovanili di B. fa pensare che egli abbia guardato all'opera del Verrocchio. Non manca in questo periodo anche un interesse al colore vivace, quasi smaltato, di derivazione ghirlandaiesca forse, ma perfezionato dallo studio diretto di esempi fiamminghi: pur la minutezza dei primi paesaggi di sfondo (cfr. il Noli me tangere del Louvre) fa pensare al gusto dei Fiamminghi.
Nella sua prima fase Bartolomeo si dimostra soprattutto pittore di cose piccole: dìttici, altaroli familiari, sportelli di tabernacoli, pale di modesti altari. In questo genere sono notevoli gli sportelli dipinti per Piero del Pugliese (poi passati al duca Cosimo I e quindi agli Uffizi) per una Madonnina a rilievo di Donatello: all'interno hanno la Natività e la Circoncisione, all'esterno l'Annunciazione, in chiaroscuro.
Del primo periodo, infatti, l'unica pittura monumentale risulta essere il Giudizio universale di Santa Maria Nuova, condotto a termine dall'Albertinelli: in realtà monumentale solo per misura della parete e schema, contrastanti con la finitezza e la secchezza della forma proprie all'artista abituato a lavorare in piccolo. Dall'osservazione della prima opera del secondo periodo, la citata Visione di s. Bernardo, si deduce che l'inattività di B. come pittore non significò assenza di meditazione sulla pittura. Ché sempre egli si dimostrò fervido di pensieri sull'arte, e specialmente nell'età matura.
Nella Visione di s. Bernardo gli elementi stilistici rimangono i precedenti, ma danno un sentore di sviluppi diversi. Il soggetto forse, pur essendo differentemente trattato, ha fatto cercare a B. ritmi lineari filippineschi (cfr. Visione di s. Bernardo di Filippino in Badia) negli angioli, particolarmente, e nella figura del santo. Eppure già nel singolarissimo gruppo di sinistra della Vergine col Bambino, trasportata e sostenuta dagli angioli come una statua in processione, è un'idea di monumentalità figurativa e di trapasso del movimento in foga: ossia, di attribuire alla forma un'intensità visiva e sentimentale. Un'altra parte significativa del quadro è il paesaggio: certo già atmosferico, come aveva insegnato Leonardo, con le forme filtrate e illimpidite da una luce diffusa, ma lontano dalla fantasia trasfiguratrice di Leonardo; bensì veduta esatta, nei suoi elementi componenti e reali, di una vita giornaliera, documentativa, tanto da potersi già chiamare "paesaggio storico", come poi nel '600. Che in questa prima prova della ripresa di B. si avverta l'inizio di un'evoluzione nuova, tale da distaccarlo sia dall'anteriore produzione sia dallo sviluppo che l'influenza di questa aveva preso nell'Albertinelli, non deve meravigliare se si tiene sempre presente il suo temperamento riflessivo e dottrinale: ragione per cui, sebbene inattivo, non potevano essergli passati inosservati alcuni avvenimenti troppo importanti per l'arte in quei primi anni dei secolo a Firenze. Allora già Michelangelo aveva stupito col gigantesco David e stava lavorando al S. Matteo, al Tondo Doni, alla Battaglia di Cascina, mentre Leonardo lavorava alla Battaglia d'Anghiari; era stato a Firenze Raffaello, che vi ritornava proprio in quegli anni della esecuzione della Visione di s. Bernardo, iniziando con B. un'amichevole relazione forte di scambi intellettuali reciproci. Ché se per Raffaello dovette essere preziosa la conoscenza non solo stilistica, ma storica, della pittura fiorentina del domenicano, questi certo ricevette dalla naturale, profonda e aurea classicità del giovanissimo collega un esempio vitale all'organizzazione della propria cultura ed esperienza, alla foga stessa del suo intelletto tumultuoso di idee da quella cultura provocate. In questi anni si svolse tanto per B. quanto per Raffaello l'approfondimento dello studio di Leonardo da Vinci. A tal proposito è da tener presente che B. fu il primo a sviluppare il sistema delle velature trovato da Leonardo, come dice il Vasari: pertanto preparava di scuro il fondo del quadro e vi usava poi sopra colori trasparenti. In tal modo, però, usava il chiaroscuro atmosferico di Leonardo in modo opposto a questo, ossia per dare più forza al rilievo della forma in un contrasto di ombre con il colore (motivo stilistico poi sviluppato dal Rosso giovane con maniera personalissima), sì che giustamente il Vasari (Le vite..., cit., pp. 175-202) trovava le sue "figure colorite... con una gagliarda maniera, che paion di rilievo". Per la forza di simili scuri, però, "adoprò fumo da stampatori, e nero di avorio abruciato", informa il Vasari, il quale già ai suoi tempi lamentava l'eccessivo annerimento delle tavole di Bartolomeo. Oggi bisogna aggiungere che l'alterazione in pesantezza delle ombre disturba in molti quadri del secondo periodo di attività dell'artista, come si nota chiaramente nel San Vincenzo Ferrer predicante (Firenze, Gall. dell'Accademia) del 1514, che pure è uno dei suoi più alti capolavori.
Intanto, per la maturazione del nuovo stile pittorico di B. ebbe un certo peso anche un breve viaggio a Venezia nel 1508: vi andò attratto dalla fama dei grandi pittori veneti di allora. Ma è da pensare che, dopo la sua esperienza con Raffaello, più che Giorgione e il giovane Tiziano, dovette esercitare qualche impressione su di lui l'opera di Giovanni Bellini. Lo si avverte in certi profili netti in controluce, nella purezza di ovali e nella nitidezza di piani battuti dalla luce, nell'ariosa serenità del paesaggio bellissimo della tavola (poi trasportata in tela) coi Padre Eterno in gloria e le sante Caterina e Maddalena: è datata 1509 e contrassegnata dalla frase: "Orate p. pictore", che d'ora in poi diventerà una specie di firma del frate. Gli fu allogata mentre era a Venezia dai padri domenicani di S. Pietro Martire di Murano, ma, essendo stata da questi rifiutata, egli la donò a Santi Pagnini per S. Romano di Lucca (ora in Pinacoteca). Del 1509 è anche la pala per il duomo di Lucca con la Madonna in trono fra i santi Stefano e Giovanni Battista, che veramente si presenta quale una personale interpretazione della classicità di Raffaello e di Giambellino.
In questo stesso anno si rinnovò la compagnia tra il frate e Mariotto Albertinelli, nello stesso convento di S. Marco, compagnia che si sciolse definitivamente nel 1512, forse a causa del breve allontanamento dalla pittura di Mariotto. La partecipazione di Mariotto è probabile nella Gloria di Lucca, come pure nello Sposalizio di s. Caterina, dipinto per Jacques Hurault, legato di Luigi XII (ora al Louvre), per quanto anche questo sia firmato dal solo B., con la data: "Orate Pro Pictore MDXI. Bartholome Floren. Or. Prae". Un altro capolavoro di questi anni (1511-12) è la Madonna in gloria fra santi e donatore (jean Ferry Carondolet, cancelliere di Fiandra) nella cattedrale di Besançon, dipinta in società con l'Albertinelli, esecutore però soltanto del timpano con l'Incoronazione della Vergine (Stoccarda, Museo). Ora i quadri di B. mostrano un'interpretazione nuova del tradizionale soggetto della Madonna circondata da santi: per la prima volta, infatti, tale soggetto assume l'aspetto di Sacra Conversazione, in un modo edificante e oratorio che, in quegli anni, è caratteristica principale ed esclusiva di B., anche se lo schema fu presto imitato, persino dai primi manieristi. Più che sviluppare un tema si può dire che B. lo inventò, infondendogli un tono drammatico e austero, che riapparirà nella pittura molti anni dopo, in età controriformistica. E in lui tale singolare risultato figurativo doveva certo coincidere con una meditata maturazione della crisi spirituale avuta ai tempi del Savonarola. Forse la prima idea di svolgere in modo drammatico e oratorio insieme il tema tradizionale gli venne quando ebbe da Pier Soderini, il 26 nov. 1510, perla Sala del Consiglio di Palazzo Vecchio, l'ahogazione della S. Anna Metterza con tutti i santi protettori di Firenze (dice il Vasari che vi fece anche il proprio ritratto). Il quadro non fu compiuto e ne è rimasto solo il cartone a chiaroscuro (Museo di San Marco), dove si nota quella composizione grandiosa e complessa, che B. avrà cara specialmente dopo il 1512-14: ma prima che nei dipinti le sue idee si sono sempre manifestate nei disegni e nei cartoni.
Nel 1514 andò a Roma per vedere le nuove opere di Michelangelo e di Raffaello: qui rimase tanto impressionato sia dai risultati allora raggiunti da quegli artisti sia dall'arte antica che perse fiducia m se stesso fino a volersene ritornare a Firenze, lasciando da terminare a Raffaello il S. Pietro che, unitamente a un S. Paolo, aveva avuto in commissione da Mariano Fetti, frate del Piombo e converso dei domenicani presso S. Silvestro a Monte Cavallo.
Nei due santi (Pinac. Vaticana), situati entro nicchie a guisa di statue, è evidente - specialmente nel S. Paolo - l'impressione ricevuta tanto da Raffaello, nella nitida semplicità della forma, quanto da Michelangelo, nell'effetto statuario e nel risentimento del volume. In verità, dopo il soggiorno romano, sembra essere stato l'esempio del Buonarroti ad incitarlo verso la grandiosità delle forme e l'accentuazione del moto contenuto, che, unendosi alle sue particolari qualità oratorie, talvolta gli fecero rasentare la retorica: riusci a evitarla quasi sempre grazie a una chiarezza compositiva e a una precisa definizione iconica, spontaneamente sostenute da un sincero sentimento religioso.
Tipiche opere dell'immediata impressione romana sono l'Evangelista Marco (1514 circa) di Pitti e il Salvator Mundi, dipinto nel 1516 con i profeti Isaia e Giobbe per la cappella del mercante Salvadore Billi nella SS. Annunziata (ora a Pitti e all'Accademia). Ma il ricordo del soffitto della Sistina si fa più prepotente nelle figure isolate: in realtà, in quest'ultimo periodo dell'attività di B. la composizione complessa si fa più varia di ritmi spezzati, quasi premanieristici, come in un ritorno ai vecchi motivi filippineschi, però ora organizzati in accezione plastica e monumentale. Così è nella Mater Misericordiae (1516; Lucca, Pinac., già nella chiesa di S. Romano), dove il movimento e la varietà dei personaggi trovano una libera, sciolta, eppure ordinatissima, presentazione. La Mater Misericordiae sembra invero un più arioso e articolato sviluppo di un'idea già trovata nel 1512 con l'ampia Sacra Conversazione (o Sposalizio di s. Caterina) dell'Accademia di Firenze, dove il movimento della scena è soprattutto affidato al gioco contrastato di ombre e di luci, che appare come provocato dal singolare baldacchino sostenuto solamente da angioli volanti, e quindi senza alcun elemento di stabile architettura.
Una ripresa di motivi già sperimentati in passato attraverso l'ultima tormentata fase del Quattrocento fiorentino e l'insegnamento di Leonardo all'inizio del Cinquecento sembra interessare la più tarda produzione del frate, quasi in una ricerca di primitivismo iconico più rispondente alle sue esigenze di religioso professante, senza tuttavia annullare quella forte impressione avuta a Roma da Raffaello e da Michelangelo.
Nell'Annunciazione del Louvre (dalla collezione di Francesco I) dei 1515, ancora presentata da B., come qualsiasi episodio della storia cristiana, in Sacra Conversazione, si fondono le più recenti esperienze del Cinquecento, da Leonardo a Michelangelo a Raffaello, mediante una rinnovata sensibilità dell'immagine, placatasi nell'aspirazione a un purismo neo-quattrocentesco, tanto che ancora il lontano paesaggio di sfondo rievoca vagamente quello peruginesco, e la composizione diventa di nuovo scena contemplabile. Degli ultimi anni molti sono i quadri che, ridotti pur di formato, offrono scene figurativamente e spiritualmente raccolte, persino nella scelta dei soggetti, per lo più Sacre Famiglie e Madonne col Bambino: l'intùna Madonna fra angioli musici del 1515 (Leningrado, Ermitage), quasi come un Correggio privato di spirito pagano; la Sacra Famiglia Doni del 15 16 (Roma, Gall. Corsini), variazione straordinariamente familiare, contro un puro paesaggio sfumato, dell'altra famosa Sacra Famiglia Doni del Buonarroti; il gruppo patetico nei colori vivi e morbidi sullo sfondo bruno del Compianto di Pitti, lasciato incompiuto nel 1517 e finito da Giuliano Bugiardini, che non vi dipinse le figure stanti dei santi Pietro e Paolo, secondo i disegni preparatori del frate.
Egli passò gli ultimi mesi della sua vita, sempre malaticcio a causa di una malaria contratta a Roma nel 1514, nel convento della Maddalena di Pian di Mugnone, villeggiatura dei domenicani di S. Marco, dove lasciò altri capolavori, come il Noli me tangere dell'altare della chiesa, e probabilmente qui morì, il 6 ott. 1517.
Non va taciuto dell'attività di disegnatore di B., che fu continua e varia. Anzi, le sue fervide idee appaiono più copiose, vitali e suggestive nei disegni che nei dipinti: in composizioni complete e parziali, in figure isolate e in particolari, in paesaggi. Dai suoi disegni specialmente i manieristi, ossia quegli artisti che si formarono presso Andrea del Sarto e la Scuola di San Marco, dovettero trarre infiniti spunti e suggerimenti, contribuendo in tal modo, lui classicista, al sorgere della maniera anti-classica. Per tale originalità e vigoria di pensieri sull'arte e per la sua dottrina egli fu un vero maestro, nel senso più autentico e profondo, stimolando la meditazione e la fantasia proprio dei pittori più rivoluzionari nei confronti della sua arte oratoria e tendente all'accademia o al dogma iconografico. Invece in questa ultima accezione la sua arte non ebbe seguito immediato, se non in limitati e timidi discepoli, quali fra, Paolino e suor Plautilla Nelli. Costoro furono l'uno erede del suo studio e l'altra della maggior parte dei suoi disegni, fra i quali i due famosi volumi della raccolta Gaburri, poi Koenigs, infine del Museo Boymans di Rotterdam.
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