CHIOCCARELLO, Bartolomeo
"Patria neapolitanus" (Napoli, Bibl. naz., ms. XIII. B. 50, f. 34r), nacque il 23 ag. 1575, data controversa, ma sicuramente attestata (Ibid., Brancacciana, ms. IV. A. 3, c. 182). Scarse le notizie sulla sua famiglia: pochi accenni generici riguardano la professione, soprattutto medica e forense, dei suoi congiunti e un fratello minore, Zaccaria, abate benedettino. Dopo i primi studi umanistici presso il collegio napoletano dei gesuiti, ai quali restò sempre assai legato, studiò teologia morale sotto la guida del brindisino Martino Fornario, anch'egli gesuita. Inizialmente tentato dal sacerdozio (ma non risulta che prendesse gli ordini), si addottorò poi in utroque iure iniziando la carriera forense sotto la protezione di G. B. Migliore, il quale ebbe in seguito notevole influenza sui suoi interessi giurisdizionalistici.
Ma il diritto e l'avvocatura non erano in grado di esaurire compiutamente gli stimoli e le curiosità intellettuali del C.: tipica figura di eclettico ed erudito umanista, accanto agli interessi più strettamente letterari coltivava la passione per le scienze esatte e la filosofia come allievo di G. B. Della Porta, il geniale e bizzarro inventore e drammaturgo napoletano, del quale - secondo G. V. Meola - curo un edizione postuma delle opere scientifiche, data alle stampe in Germania. Nel 1607 si rese urgente sostituire, per scarso rendimento, l'archiviario della Regia Camera della Sommaria G. de Raymo: desideroso di tranquillità economica e di tempo libero da dedicare a svariate ricerche, deluso contemporaneamente dalla vita nei tribunali, che considerava "barbara" e colpevole di averlo allontanato dagli studi classici, il C. accettò di buon grado quest'incarico, rispondente alle sue esigenze ed alla sua natura puntigliosa ed ordinata, ricoprendolo fino al 1635.
In effetti, nonostante l'impegno forense, il C. in quegli anni si era già messo in luce con due opere inedite, diverse nei temi affrontati, ma egualmente inserite da protagoniste nell'atmosfera culturale del momento: le Vitae aliquot virorum Neapolis urbis et provinciarum Regni, che si affiancava, nel filone storiografico sulla cultura partenopea, al coevo Dell'antico Ginnasio napoletano di P. Lasena (ed. post., Roma 1641), e il De Sacro Consilio Neapolitano eiusque origine, cum catalogo omnium eius praesidum, ac senatorum, che fu al centro di un clamoroso caso di furto e di plagio letterario.
Dopo la segnalazione elogiativa fattane da G. A. Summonte nella Historia della città e Regno di Napoli, III, Napoli 1602, p. 96, il manoscritto fu rubato all'autore e, successivamente, si riscontrarono non poche inquietanti analogie nel secondo tomo dei De origine tribunalium di N. Toppi (Napoli 1659): sospetti avvalorati dall'insolita acrimonia dei giudizi espressi da quest'ultimo sulla personalità scientifica del C., di cui sottolineava soltanto l'aspetto più piattamente ricognitivo ed archivistico, e che definiva incapace di ogni, sintesi significativa.
Lo spiacevole episodio non turbò la paziente alacrità del C., né il suo ambizioso progetto di una "triplicem historiam ... Sacram, litterariam ac forensem" (Napoli, Bibl. naz., ms. XIII. B. 50, f 34r). Numerose opere, sebbene non pubblicate, lo resero ugualmente noto nell'ambiente cittadino come ricercatore attento ed infaticabile e come giurista colto e competente, doti che, unite alla sicura fede di cattolico, gli valsero l'incarico delicato e prestigioso di raccogliere e di unificare l'archivio della Real Giurisdizione. Il 15 maggio 1626, infatti, il segretario del Regno, duca di Caivano, a nome di Filippo IV e del viceré, duca D'Alba, ne ordinò al C. la redazione, dando istruzioni, il 26 dello stesso mese, al luogotenente della Sommaria, al propresidente del Sacro Regio Consiglio, al reggente della Gran Corte della Vicaria e cappellano maggiore di mettere a disposizione del C. gli archivi dei loro tribunali, affinché questi potesse condurre a termine rapidamente e nella forma più completa il lavoro affidatogli.
Già Filippo II aveva, più volte e senza esito, disposto che in Castelnuovo si creasse un centro di raccolta di tutte le scritture riguardanti la Real Giurisdizione, ma questa di Filippo IV era una decisione di portata, per certi aspetti, storica, destinata a imporre una svolta decisiva non solo nei rapporti politico-diplomatici tra Napoli e la S. Sede, ma nello stesso modo di pensare e di condurre la battaglia giurisdizionalistica. Con la raccolta del C., infatti, la lotta contro l'invadenza e il privilegio ecclesiastici, fonti non secondarie di molti mali del Regno, uscì dall'incertezza legislativa e dall'astrattezza ideologica e si avvalse, da allora in poi, di uno strumento concreto, incontrovertibile, giuridicamente fondato e fondante. Per queste ragioni, e dunque per la delicatezza e il valore del compito, protettore e supervisore della fatica del C. fu nominato Vincenzo Corcione, membro del Sacro Regio Consiglio e della Giunta di giurisdizione, già avvocato fiscale, giurista esperto e giurisdizionalista convinto, spesso indicato in molti esemplari dell'Archivio come coautore.
Varie e complesse le ragioni che indussero il re e il duca d'Alba ad un simile passo, legate sia a tensioni con la Chiesa in materia economica, d'immunità e d'Inquisizione, sia, in modo specifico, alla personalità del viceré e dei ministri in carica in quegli anni. Nel 1625 al nunzio, irritato per la trattenuta "di guerra" imposta anche sulle entrate dei religiosi, il duca d'Alba rispondeva che "se fosse stato necessario avrebbe preso ... gli ori dalle Chiese" (Arch. Segr. Vat., Nunziatura di Napoli, XXIV, cc. 219r-220r), e, poco più tardi, monsignor Bichi si vedeva costretto a scrivere al segretario di Stato, cardinal Barberini, che "se non si piglia[va] alcun temperamento in materia della Giurisdizione ecclesiastica, certo ... tra pochi giorni ... si vedrà da questi Ministri in tutto e per tutto tolta la potestà pontificia, et annullata la immunità ecclesiastica" (Ibid., Nunziature diverse, Istruzioni al Nunzio, CCXLVIII, c. 172r). Altrove, uomini come Fabio Capece Galeota, Vincenzo Corcione, Scipione Rovito, Fulvio Lanario, ossia i protagonisti della battaglia giurisdizionalistica, erano definiti "pessimi Consiglieri", e del viceré si diceva esser "animato ... di pessimi concetti", perché sosteneva non si verificasse "delitto ben atroce... non commesso o a cui no' partecipi un Prete o un Frate" (Napoli, Soc. nap. di storia patria, ms. XXIII.B.8. ff. 53r-55r). Gli veniva inoltre rimproverato l'interessamento per la scarcerazione di Tommaso Campanella, avvenuta proprio nel giugno 1626, e la coerente opposizione a ogni tentativo d'intensificare, in questo e in altri casi, l'attività semiclandestina dell'Inquisizione.
Singolare fu, invece, l'assenza di ogni reazione, ufficiale e non, della S. Sede all'incarico affidato al C., e in questo atteggiamento giocavano sia la tranquillità sull'ortodossia cattolica dell'archivista napoletano, sia i probabili frequenti contatti che egli ebbe, nel corso della sua fatica, con le autorità ecclesiastiche. Il nunzio Tramalli, infatti, pur omettendone il nome, faceva spesso riferimento, nei dispacci segreti di quegli anni, a un "libro manuscritto accomodato... da un amico nel quale sono riportate tutte le cose occorse in materia di giurisditione ecclesiastica", e in alcuni casi delicati fu addirittura in grado di esibire al viceré "listarelle" di episodi analoghi risolti a favore della Chiesa, "senza dire da chi fussero date" (Arch. Segr. Vat., Nunziatura di Napoli, XXIV, cc. 326r, 351r). Ma la dimostrazione evidente delle difficoltà e delle contraddizioni in cui si dibatteva il C. a causa della sua fervente fede religiosa si ebbe nel 1628, in un momento di grave tensione tra il governo napoletano e quello romano per l'attività svolta nel Regno dal tribunale dell'Inquisizione.
Dal 1625 era inquisitore a Napoli il domenicano Giacinto Petronio, vescovo di Molfetta, il quale si distinse immediatamente nell'esercitare le sue funzioni con particolare protervia e disprezzo delle norme che le regolavano. Dopo l'arresto, il 19 apr. 1626, di un libraio, il Collaterale lamentò che "per conto del S. Officio e S. Inquisitone se carceravano li secolari senza darne parte" al viceré. E quando il Petronio, nel 1628, imprigionò, di nuovo segretamente, un funzionario regio, Tommaso Calandrino, il duca d'Alba, non avendo ottenuto alcuna assicurazione dall'arcivescovo, commissionò a Fabio Capece Galeota una lunga consulta in difesa dell'exequatur regio per la carcerazione dei laici, e ottenne da Filippo IV, il 16 apr. 1628, una lettera in cui si ribadiva il rifiuto dell'introduzione nel Regno del S. Uffizio.
Fu a questo punto che il Collaterale ordinò al C. di consegnare al segretario del Regno tutte le carte in suo possesso riguardanti questo problema e, a seguito di un deciso dinego, il 10 maggio 1628 fu costretto a rinnovare la richiesta, addirittura dietro minaccia di arrestarlo.
L'Archivio della Real Giurisdizione, diviso in diciotto volumi, fu consegnato, il 23 ag. 1631, dal C. al visitatore generale Francesco. Antonio d'Alargon che, il 15 settembre successivo, lo portò con sé in Spagna, dove venne conservato presso il Supremo Consiglio d'Italia, mentre un'altra copia, anch'essa autografa, restò a Napoli, destinata alla Sommaria, ma in realtà depositata nella segreteria di Guerra del viceré. L'autore ricevette dal re 2.000 ducati, e, a riprova dell'obiettività della sua opera e dell'abilità con cui era riuscito a mantenersi in equilibrio tra Stato e Chiesa, offerte di cariche da ambedue i poteri: da parte laica le piazze di giudice di Vicaria e di presidente della Sommaria, da parte vaticana un canonicato della basilica di S. Pietro e un vescovato, onori e dignità che rifiutò a vantaggio dello studio e della ricerca.
Nel 1635, infatti, il C. ebbe l'ordine d'integrare e di aggiornare l'Archivio compito portato a termine in sei volumi, mentre la sua opera si trovava al centro di una lite tra i reggenti e la Camera della Sommaria, relativa al luogo della sua sistemazione; il decreto del Collaterale che, contro lo stesso parere del viceré, respingeva le suppliche dell'avvocato fiscale e del luogotenente della Camera, e designava la Cancelleria del Regno, non poté essere applicato perché l'esemplare della segreteria di Guerra fu vittima di un furto. Per questa ragione, ed anche per creare uno strumento più agile e di più facile consultazione, il C. decise di riassumere i capi principali dell'Archivio in un Indice, il cui autografo si trova presso la Bibl. S. Tommaso di Napoli, ms. A. 6. 39, e fu pubblicato nel 1721 dal prete calabrese Angelo Rocchi, sotto l'anagramma Giovan Carlo Chini, con la falsa indicazione di Venezia. La tarda edizione e le precauzioni che l'accompagnarono confermano la persistente efficacia dello strumento, la diffusione e l'uso di esso da parte degli organi dello Stato e dei singoli giurisdizionalisti, e quanto ancora incidesse sull'equilibrio instabile delle contrapposte pretese giuridiche.
Visti, dunque, la buona prova data e gli indubbi vantaggi che derivavano all'Erario dall'impiego dell'Archivio, Filippo IV ritenne indispensabile un'opera a sé stante sulle Chiese e sui luoghi di patronato regio: il luogotenente della Camera, nel 1639, ne affidò la redazione al C., dietro promessa di un compenso notevole che però, ancora nel 1642, quando il libro era già stato copiato ed inviato in Spagna e l'originale depositato presso la Sommaria, l'autore faticava non poco ad ottenere.
Nel 1643, dedicato all'arcivescovo Ascanio Filomarino, usciva l'unico volume pubblicato dal C. nel corso della sua vita, l'Antistitum praeclarissimae Neppolitanae Ecclesiae Catalogus, in cui, sulla scorta di memorie e di documenti originali, tracciava una storia non solo della Chiesa di Napoli, di Cuma e di Miseno, ma dello stesso ducato cittadino nel Medioevo, lasciando intravedere, al di sotto della mera elencazione, un approccio reale ad una tematica di livello europeo quale, appunto, la polemica sull'interpretazione dell'età di mezzo.
Sulla data di morte del C. sussistono molte incertezze: la versione più attendibile è del Giustiniani che, in base alla mancanza di riferimenti successivi al 1647 nel De illustribus scriptoribus, l'ultima opera pubblicata postuma, la colloca in quest'anno.
Tracciare un profilo esauriente dell'attività scientifica del C. e ricostruirne la cronologia presenta alcune difficoltà dal momento che le sue opere, tranne alcune eccezioni, rimasero manoscritte, e come tali sono andate per larga parte perdute. Ce ne dà notizia lo stesso C. in uno scritto autografo (Napoli, Bibl. naz., ms. XIII.B.50, f 34rv), da cui emergono concretamente i tre filoni del suo progetto intellettuale: sacro, letterario e forense. Ai primi due appartengono rispettivamente le sole opere che, oltre l'Indice, vennero pubblicate: l'Antistitum praeclarissimae Neapolitanae Ecclesiae Catalogus, ab Apostolorum temporibus ad hanc tasqw nostram aetatem, et adannum 1643 (Neapoli 1643), e la prima parte del De illustribus scriptoribus qui in civita, te et Regno Neapolis ab orbe condito ad annum usque MDCXXXXVI floruerunt (ibid. 1780). Quest'ultimo lavoro aveva ottenuto l'approvazione del revisore laico nel 1643 ed era stato sottoposto nel 1647 all'esame del cardinale Filomarino. Essendo nel frattempo morto l'autore, l'autografo restò nella biblioteca del duca della Torre che ne decise la pubblicazione. In un primo momento pare se ne dovesse occupare Ferdinando Galiani (F. Galiani, Del dialetto napoletano, a cura di E. Malato Roma 1970, p. 92 n. 198), ma l'incarico fu poi affidato a Gian Vincenzo Meola, che lo portò a termine solo parzialmente, lasciando cioè inedite ben trecentottantanove biografie rispetto alle cinquecentosettantasei pubblicate. La ragione di quest'omissione del Meola sta probabilmente nello scarso successo ottenuto dall'opera, anche se formalmente fu attribuita alla sproporzione che si sarebbe verificata tra il primo ed il secondo volume. Il De illustribus scriptoribus fu il primo esempio napoletano di quella forma di biografia collettiva, erudita e bibliografica, che, abbandonando ogni pretesa umanistica di storia della civiltà, fiorì in Europa nel periodo della Controriforma; in esso confluì in larga parte il manoscritto precedente delle Vitae aliquot virorum Neapolis urbis et provinciarum Regni, e fu abbondantemente utilizzato dagli scrittori successivi, anche dal Galiani, soprattutto per quanto riguardava gli autori quattrocenteschi. La parte non pubblicata esiste in due esemplari presso la Bibl. statale del Monumento naz. dei girolamini, ms. XXVIII. 4.22, ff. 204r-225v e la Bibl. naz. di Napoli, ms. XIV. A.28.
Della copiosa produzione inedita, oltre l'Archivio, appartenevano alla storia religiosa il Sacra Regni Neap. monumenta volumina III, a cui ne era stato aggiunto un quarto, l'Idea operis ss. et BB. Regni Neapolitani; i Nomina, stemmata, et patriae Antistitum Surrentinorum; il De rebus gestis ss. Ianuarii, di cui una copia si trova presso la Bibl. naz. di Napoli, ms? XV.C.36 ed un'altra ai ff. 31-362 del ms. A.2.9 della Bibl. S. Tommaso di Napoli, intitolato Acta Sancti Ianuarii;la Censura contro il Tutini. Al filone letterario vanno invece ascritti le Vitae illustrium aliquot virorum ed il De fiorentissimo Niapolitani Gymnasio, mentre tematiche comuni ai due generi sviluppavano le Antiquae lectionis volumina IV in quibus veterum nonnulla opera scriptorum, ad sacram et profanam historiam spectantia ... continentur. Dedicate, infine, ai temi giuridici erano il De Sacro Consilio Neapolitano eiusque origine, cm catalogo omnium esus praesidum, ac senatorum;la Praxis forensis Supremorum Regni tribunalium nempe Sacri Regi Consili et M. C. Vicariae, di cui il C. lamentava la perdita, o, forse anche in questo caso, il furto; gli Obloquia, sive exercitationes in decisiones S. R. Consili Neapolitani per Matthaeum de Afflicto collectas.
Un discorso a parte meritano l'Archivio della Real Giurisdizione e il suo Indice: di quest'ultimo, oltre all'edizione a stampa di G. C. Chini [A. Rocchi], Archivio della Real Giurisdizione ristretto in Indice compendioso (Venezia [ma Napoli] 1721), esiste una seconda con l'indicazione Lisbona 1773, significativa sia per il momento in cui fu curata, gravido di tensione tra la S. Sede e le corti borboniche, a seguito dell'espulsione dei gesuiti, sia perché raccoglie nello stesso volume l'elenco delle consulte di Gaetano Argento e di Niccolò Fraggianni, a sottolineare la continuità ideale del giurisdizionalismo napoletano. Dell'Indice e dell'Archivio esistono numerose copie manoscritte presso varie biblioteche napoletane e le più importanti italiane. Dei sei volumi successivamente aggiunti all'Archivio i mss. I. C.54 della Bibl. naz. di Napoli e A.6.39 della Bibl. S. Tommaso di Napoli riproducono l'elenco delle materie che comprendevano. Legata, infine, allo stesso spirito ed alla stessa impostazione dell'Archivio è la Notitia elaborata et absolutissima omnium Ecclesiarum ac beneficiorum civitatis et Regni Neapolis quae de regiosunt iure patronato (Napoli, Biblioteca nazionale, mss. XIV.H.23-24, XI. B. 68, I.C.70 bis). Del C. si conservano anche. nelle biblioteche napoletane, numerosi autografl costituiti, in gran parte, da appunti di storia del Regno e delle sue famiglie nobili (mss. X.B.75 della Bibl. naz. di Napoli e A.9.21 della Bibl. S. Tommaso, ff. 212-226), dall'epistolario con bibliofili ed eruditi provinciali sulla vita ed il culto di santi e di beati (Napoli, Bibl. naz., ms. XXIII.B.38, c. 105r), da antiche cronache religiose copiate ed annotate (Bibl. stat. del Monum. naz. dei girolamini, ms. XXVIII.I.28).
Fonti e Bibl.: Le indicaz. più ricche sulla vita del C., sulla sua famiglia, sui suoi studi e sulle sue opere sono negli scritti autogr. della Bibl. naz. di Napoli, ms. XIII. B. 50, ff. 31r-41v, già utilizzati da G. V. Meola nella biografia premessa al De illustr. scriproribus, Neapoli 1780, pp. XIII-XXXVIII. Su questa si basano, a loro volta, le successive di F. A. Soria, Mem. storico-critiche degli scrittori napoletani, Napoli 1781, pp. 162169 e di L. Giustiniani, Memorie istor. degli scrittori legali del Regno di Napoli, I, Napoli 1787, pp. 245-251. Brevi profili biobibliogr. sono anche in N. Toppi, De origine tribunalium urbis Neapolis, I, Neapoli 1655, pp. 63 s., e Biblioteca napoletana, Napoli 1678, pp. 39, 238; C. Minieri Riccio, Mem. stor. degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 95; F. Nicolini, B. C., in Novissimo digesto italiano, III, Torino 1959, p. 210. Per la controversia sulla data di nascita, oltre agli autori e alle op. cit.: L. Giustiniani, Diz. geografico ragionato del Regno di Napoli, VI, Napoli 1803, p. 330; G. B. De Tomasi, B. C., in Biografie degli uomini ill. del Regno di Napoli, IX, Napoli 1822. Gli ordini di redazione dell'Archivio e le istruz. ai capi dei Tribunali nei mss. XX. 115 della Bibl. naz. di Napoli e XXII.A.3, ff. 80r-81r della Soc. nap. di st. patria. Sul ruolo di Vincenzo Corcione: Napoli, Bibl. naz., ms. I.C. 54. Sui rapporti tra Stato e Chiesa in questo periodo, mentre resta indispensabile il ricorso alle fonti dell'Arch. Segr. Vaticano, Nunziatura di Napoli, XXIV-XXVI, cfr. anche F. Scaduto, Stato e Chiesa nelle due Sicilie, a cura di A. C. Jemolo, Palermo 1969, I, p. 40; L. Amabile, IlS. Officio dell'Inquisiz. in Napoli, II, Città di Castello 1892, in partic. p. 35, e per il ruolo del C. nel caso del Calandrino p. 44; sullo stesso tema: Arch. di St. di Napoli, Notam. del Collaterale, IX, f. 76r e XIV, ff. 78v, 128v. Per la ricevuta rilasciata dall'Alarcon al C. e per la sua partenza, Ibid., Segreterie del vicerè, XXXIII, sub data; A. Bulifon, Giornali di Napoli dal 1547 al 1706, I, a cura di N. Cortese, Napoli 1932, p. 151. Sulla controversia tra Collaterale e Sommaria e sulle suppliche del C. per avere il compenso pattuito, Napoli, Bibl. S. Tommaso, ms. A.6.39, Sull'attività scientif. del C. e sul suo valore vari cenni in tutte le storie della cultura del Regno: in partic. P. Troyli, Istoria gener. del Reame di Napoli, IV, Napoli 1751, pp. 347 s.; P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli 1770, XIV. pp. 185 s., 231, in cui si sottolinea soprattutto il valore ed il significato dell'Archivio; G. D. Rogadeo, Saggio diun'opera intitolata Il diritto pubblico e politico del Regno di Napoli intorno alla sovranità, all'economia del Governo ed agli ordini civili, Cosmopoli s.d. [ma Lucca 1767], pp. 57 s., che prende in consideraz. quasi esclusivamente gli aspetti giuridici del C.; P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle due Sicilie, V, Napoli 1786, pp. 267-271; L. Giustiniani, La biblioteca stor. e topogr. del Regno di Napoli, Napoli 1793, pp. 179, 188; L. Marcheix, Un parisien à Rome et à Naples en 1632, d'après un manuscrit inédit de J.-J. Bouchard, Paris [1897], p. 100; F. Nicolini, Gli scritti e la fortuna di Pietro Giannone, Bari 1913, p. 21, in cui si pone il problema del debito del Giannone verso il C.; G. Gabrieli, B. C. e la biogr. degli scrittori napoletani nel sec. XVII, in Rend. della R. Acc. naz. dei Lincei, cl. di scienze mor., stor. e filos., VI (1928), 11-12, pp. 596-626, dedicata all'esame della parte inedita del De illustribus scriptoribus; B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari 1931, p. 148, e G. Pepe, Il Mezzogiorno d'Italia sotto gli Spagnoli. La tradiz. storiografica, Firenze 1952, in polemica tra loro sul valore da attribuire all'Archivio nella lotta anticurialistica; G. Fusco, Lo storico O. Melchiori e le sue relaz. con B. C., in Il Rievocatore, VI (1955), 7-9- pp. 33-38, che privilegia il C. storico della Chiesa; R. Trifone, Uno sguardo agli scritti dei giuristi napol. del Seicento, in Scritti minori, Bari 1966, che analizza il ruolo del C. nella cultura giuridica del suo tempo; F. Elias de Teiada, Napoles hispanico, V, Sevilla 1964, pp. 272ss.; T. Pedio, Storia della storiogr. del Regno di Napoli, Catanzaro 1973, pp. 182 ss., 224, 268; A. Lauro, Il giurisdizionalismo pregiannoniano nel Regno di Napoli, Roma 1974, pp. 177, 185, 206, 240 s., utile per la ricognizione degli esemplari dell'Archivio e dell'Indice nelle bibl. napoletane e romane.