BARISINI, Tomaso, detto Tomaso da Modena
Nacque a Modena tra il 1325 e il 1326, da Barisino de' Barisini pittore, nominato per la prima volta in documenti modenesi del 1317. La data di nascita del B. si deduce da due docuinenti, l'uno del 9 marzo 1339 in cui risulta non avere compiuto quattordici anni, l'altro del 9 maggio 1340 in cui i quattordici anni risultano compiuti. Tra il maggio e il giugno del 1343 muore il padre. Il B. risiede a Modena sino al 1344; in seguito se ne allontana. Ciò risulta evidente dal fatto che la famiglia compie atti in sua assenza. Un documento modenese del 1349 lo ricorda a Treviso. Nello stesso 1349 il B., nominato ora nei documenti con il titolo di "pictor", si reca a Modena per breve tempo e ritorna subito dopo a Treviso ove sarà operoso per alcuni anni. Nel 1352 firma qui un ciclo di affreschi con personaggi illustri dell'Ordine domenicano sulle pareti della sala capitolare del convento di S. Niccolò. Nel 1353 Si trova citato in un atto notarile di Treviso come testimone. Il soggiorno trevigiano, si prolungò per un certo tempo e l'ultimo documento che ne attesta la presenza nella città veneta è del 15 maggio 1358. Il 27 luglio dello stesso anno è di nuovo a Modena, e qui si trova anche il 10 genn. 1359; nel 1360 si sposa con una modenese: Caterina di Pietro da Nonantola. Mancano quindi documenti per alcuni anni finché non ricominciano a infittirsi tra il 1366 e il 1368 testimoniando la presenza a Modena del pittore in quegli anni. Mancano, di nuovo notizie fino alla morte sopravvenuta nel 1379, attorno al mese di luglio, in quanto il 16 di quel mese il figlio, Bonifacio, interviene a ratificare e a confermare un documento essendo morto, evidentemente da poco tempo, il padre Tommaso.
Fin qui i documenti essenziali, pubblicati per la massima parte da G. Bertoni e P. E. Vicini nel 1904. L'interesse per l'artista non comincia però certo da quell'epoca anche se la letteratura artistica ne ignorò per secoli il nome. Il problema della sua nazionalità si trovò infatti sulla fine del Settecento al centro di una appassionata polemica sulle origini nordiche o mediterranee della pittura ad olio. In questo contesto venne particolarmente discussa una sua opera firmata, un trittico con la Madonna col Bambino tra i ss. Venceslao e Palmazio, proveniente dal castello imperiale di Karlstein in Boemia, trasportato a Vienna sul finire del sec. XVIII e oggi nuovamente a Karlstein.
Il trittico reca per disteso il nome del suo autore in una iscrizione che suona: "Quis opus hoc finxit? Thomas de Mutina p*um*t, Quale vides lector, Barisini filius auctor", ed ebbe la singolare sorte, nonostante fosse dipinto a tempera, di essere a lungo considerato come la più antica testimonianza della pittura ad olio. Il "Mutina" che indicava la città d'origine del suo autore fu interpretato come "Mauthen" o come "Mutterdorf", cioè come nome latino di una località boema. Questa errata interpretazione fu dovuta in primis ad un antiquario svizzero, Chrétien de Mechel, che aveva avuto l'incarico di redigere il catalogo della Galleria Reale e Imperiale di Vienna (1783)e venne immediatamente accettata negli ambienti germanici (cfr. W. E. J. baron von Wael, 1784-90; Chr. G. Koch, 1790).Gli studiosi italiani reagirono a questa bizzarra interpretazione e il Tiraboschi (1786)e soprattutto il Federici (1803),aiutato anche dal nunzio apostolico a Vienna cardinal Giuseppe Garampl" ristabilirono la verità sull'origine italiana del pittore. Il Federici, che fu il primo serio studioso dell'opera trevigiana del B., volle addirittura fame un proprio concittadino di remota origine modenese, ipotesi che venne definitivamente respinta solo dalla pubblicazione dei documenti degli archivi modenesi fatta circa un secolo dopo da Bertoni e Vicini. Fra i molti meriti dello studioso trevigiano fu anche quello di aver pubblicato una prima riproduzione a incisione del ciclo del capitolo di S. Niccolò (di cui un primo accenno si trova al principio del Seicento nell'opera del Burchelati) e di aver attentamente esaminato le altre opere che in Treviso si collegavano con questo monumento.
Nel corso dell'Ottocento l'opera del B. venne gradatamente chiarita e riscoperta ed un buon profilo se ne trova nell'edizione italiana della Storia della pittura inItalia di G. B. Cavalcaselle (IV, Firenze 1884).L'avvenimento capitale nella storia della fortuna critica del B. nel sec. XIX fu il rinvenimento e il salvataggio di un ciclo di affreschi con Storie di s. Orsola nella ex chiesa di S. Margherita a Treviso. Questi dipinti, scoperti sotto lo scialbo durante la demolizione della chiesa furono staccati e portati nel Museo civico della città.
L'attribuzione del bellissimo ciclo delle Storie di s. Orsola al B., per quanto non unanime (vi contrasta per esempio il Van Marle), èassolutamente accettabile. Un altro ritrovamento, particolarmente significativo dato il luogo dove venne effettuato, avvenne ad opera del Toesca (1912) che riconobbe la mano del B. in un ciclo di affreschi con Storie di un anonimo santo francescano,in una cappella della chiesa di S. Francesco di Mantova (affreschi che recentemente il Paccagnini ha creduto di attribuire al modenese Serafino de' Serafini, o ad altro artista più vicino di Tomaso all'ambiente bolognese). Uno dei problemi più dibattuti in questa fase della critica tomasesca fu quello del suo presunto soggiorno boemo e della sua attività alla corte di Carlo IV. Esistono infatti nel castello di Karlstein due importanti dipinti del B., uno il trittico già preso in considerazione, l'altro un dittico, anch'esso fìrmato, con la Madonna e il Bambino, il Cristo in Pietà,due angeli sulle cimase, due figure di apostoli e quattro angeli musicanti sui pilastrini.
Che il B. fosse andato in Boemia tra il 1352 e il 1357 come volevano principalmente gli studiosi boemi (per es. il Neuwirth), oppure successivamente al 1358, fu problema assai dibattuto. Attualmente l'opinione generale è che la presenza effettiva del B. alla corte imperiale non sia né certa né necessaria e che i due dipinti possano benissimo essere stati inviati dall'Italia. Il problema è però lungi dall'essere stato risolto e occorrerà riprenderlo m considerazione esaminando anche certi affreschi del castello di Karlstein di netta impronta italiana.
La compilazione di un rigoroso catalogo delle opere del B. ha permesso in ogni modo di impostare con maggiore approssimazione il problema del suo linguaggio pittorico, delle sue origini e delle sua caratteristiche. Tale catalogo, accanto ai cicli trevigiani del capitolo di S. Niccolò e del Museo civico, a quello del S. Francesco di Mantova e alle tavole di Karlstein, comprende altri affreschi a Modena (in duomo e in S. Agostino), a Treviso in S. Francesco (Madonna in trono tra i ss. Antonio abate, Caterina, Lorenzo, Giovanni Battista, Ludovico, Giacomo e Cristoforo nella cappella Giacomelli), in S. Niccolò (sul secondo pilastro sinistro, S. Girolamo nello studio, S. Agnese tra i ss. Romualdo e Giovanni Battista),in Santa Caterina (affreschi framm. ritrovati durante l'ultima guerra mondiale), in S. Lucia (angeli reggicortina di una Madonna completamente ridipinta), tavole nelle pinacoteche di Bologna, Modena (opera firmata ma dalla data non chiaramente leggibile), Verona, e un prezioso reliquiario nella Walters Art Gallery di Baltimora (attribuitogli dalla Vavalà nel 1940). Una sua attività di miniatore, di cui è certa testimonianza una Madonna col Bambino dipinta su pergamena nella raccolta Longhi, cui accenna il Federici parlando di una Bibbia in due volumi miniata dal B. e datata nel 1350 (manoscritto di cui ora si sono perse le tracce), è stata di recente ipoteticamente ricostruita dalla Montuschi (1951) che gli ha attribuito un gruppo di miniature di un uffiziolo della Biblioteca di Forli (ms. 853), che molti studiosi esitano però ad assegnare a lui.
Quanto al problema delle origini culturali e della formazione del B., uno dei primi studiosi che se ne occupò fu Julius von Schiosser (cui va il merito di avere veramente collocato il B. in una prospettiva europea), che credette di poter attribuire alla sua attività giovanile un ciclo di affreschi con Storie di s. Orsola nella cappella del castello di Collalto, ciclo che, distrutto durante la prima guerra mondiale, è stato più giustamente messo in rapporto con la cultura riminese-romagnola; maggior luce è venuta dagli studi del Coletti e più generalmente dalla ricostruzione del Trecento emiliano fatta dal Longhi. Si è potuta chiarire così l'originaria formazione del B. svoltasi nell'ambito del grande Vitale e dei miniaturisti bolognesi, ambiente da cui il modenese presto si distaccò per qualità personalissime di genio. Avvertibile, anche se rivissuta individualmente, la conoscenza di opere senesi di cui non mancavano esempi nella stessa Treviso, ma che può essere stata approfondita attraverso la diretta esperienza di un viaggio nell'Italia centrale; né è da escludere che, se il B. si recò di persona a Karlstein, potesse qui venire a contatto con opere di maestri senesi d'Avignone. Le sue eccezionali inclinazioni naturalistiche si manifestano appieno nel ciclo del capitolo di S. Niccolò con quaranta personaggi insigni dell'Ordine domenicano, che sono stati dall'artista ritratti ognuno immerso nello studio nella propria cella.
Alla precocissima data dei 1352 la moderna ricerca del B. indugia sui tratti personali e salienti dei personaggi con attenzione minuta e vigorosa, li caratterizza con inconsueta espressività cogliendoli l'uno intento alla lettura, l'altro attonito mentre riflette su quanto ha appreso, chi invece occupato a scrivere, chi ad aguzzare lo stilo, chi concentrato in meditazione. Una analoga attenzione determina in modo perspicuo e penetrante forme e relazioni degli oggetti nello spazio, sottolineandone con l'ombra il concreto volume, componendo mirabili nature morte con gli arredi dei singoli studioli, libri, calamai, penne, leggii, mensole, scrittoi. La copia e la lunghezza delle iscrizioni che illustrano storicamente i personaggi sottolineano l'intenzione di dare un'autentica glorificazione di un aspetto della cultura medievale, raggiunta per contrasto con mezzi pittorici di singolare modernità, con un tono francamente 〈daico" e una novità di linguaggio che si svela anche in molti brani della Leggenda di s. Orsola al Museo civico, o negli affreschi sul pilone di S. Niccolò. Limite al moderno naturalismo del B. è semmai la frammentarietà dell'osservazione, la tendenza a trasformare tutto in episodio, che si manifesta per esempio nello scarso interesse a organizzare nello spazio vaste scene. Ciò è particolarmente evidente nel Ciclo di s. Orsola,ove il rapporto tra i personaggi e lo spazio in cui sono compresi è allentato e incerto rispetto a quello più rigoroso stabilito tra il singolo personaggio e la piccola cella nel ciclo del capitolo di S. Niccolò. Una certa complessità, fonte di molte discussioni, offre la seriazione cronologica delle opere del B. a causa della relativa mancanza di riferimenti certi e della difficoltà di ricostruire, valendosi delle opere ancora esistenti, un coerente percorso affidato più a una rigorosa maturazione interna che a un succedersi di influenze esterne e databili.
P, con tutta probabilità opera giovanile l'anconetta firmata della Pinacoteca di Modena la cui data è difficilmente leggibile, ma potrebbe essere 1345; segue l'affresco del 1351 in S. Francesco di Treviso e il cielo del capitolo domenicano (1352). Successivo, per sfumata armonia di colorito e più raggiunte qualità di morbidezza atmosferica, è il Ciclo di s. Orsola al Museo civico; le opere di Karlstein devono essere successive al 1355, data della traslazione da Treviri a Karlstein delle reliquie di s. Palmazio, la cui figura appare nel trittico; infine la più tarda tra le sue opere deve essere il ciclo di Mantova; a quest'epoca il Coletti attribuisce anche un affresco con la Decollazione del Battista nel duomo di Trento che altri studiosi esitano a credere del Barisini.
L'alta qualità, la modernità precoce, lo spirito laico e realistico di cui testimoniano i cicli trevigiani del B. (accanto a quelli del Giovannetti in Avignone e di Giovanni da Milano a Firenze, i più importanti avvenimenti pittorici della metà del secolo) ne fanno uno dei più significativi pittori del Trecento italiano ed un protagonista di primo piano nella formulazione del nuovo linguaggio "internazionale", le cui influenze sulla pittura veneta da Verona a Padova, da Turone ad Altichiero, e su quella stessa d'Oltralpe dall'Austria alla Boemia furono amplissime.
Bibl.: Una buona bibl. sul B. si trova in L. Coletti, L'arte di Tomaso da Modena (Bologna 1932) - di cui una seconda ediz. con aggiornamento bibliografico è apparsa col titolo Tomaso da Modena (Venezia 1963) a cura di Clara Rosso Coletti - e nella voce biografica che lo stesso Coletti gli dedica nel XXXIII volume del ThiemeBecker, Künstler-Lexikon (Leipzig 1939, pp. 270 ss.). A queste opere si rimanda citando qui di seguito solo i contributi fondamentali ricordati nel corso della voce: B. Burchelati, Commentariorum memorabilium multiplicis historiae Tarvisinae...,Tarvisii 1616, p. 268; Ch. De Mechel, Catalogu* des tableaux de la Galérie impériale et royale de Vienne,Bále 1783, p. 229; W. E. J. baron von Wael, Histoire de l'Ordre Teutonique,ParisReims 1784-1790; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, VI, Modena 1786, pp. 481-484; G. G. Koch, Tavolette cronologiche delle rivoluzioni dell'europa..., Venezia 1798, p. 16; D. M. F. Federici, Memorie trevigiane sulle opere di disegno,Venezia 1803, passim; L. Bailo, Degli affreschi salvati nella demolita chiesa di S. Margherita in Treviso,Treviso 1883; G. B. Cavalcaselle-J. A. Crowe, Storia della Pittura in Italia, IV, Firenze 1884, pp. 100-119; J. Neuwirth, Mittelalterliche WandgemdIde und Talelbilder der Burg Karlstein in Bóhmen. Forschungen zur Kunstgeschichte B.Uhmens, I, Prag 1896, pp. 78 ss.; J. von Schlosser, Tommaso da Modena und die altere Malerei in Treviso, in Yahrbuch d. kunsthist. Samml. d. allerhach. Kaiserh., XIX (1898), pp. 240 ss.; G. Bertonip. E. Vicini, Tommaso da Modena pittore modenese del -sec. XIV,in Atti e mem. d. Deputaz. di storia Patria Per le prov. modenesi, s.s, III (1904), pp. IM-177; P. Toesca, Pittura e miniatura in Lombardia, Milano 1912, pp. 271 ss.; G. Berto~1P. E. Vicini, Tommaso da Modena a Treviso,in L'Arte, XX (1917), p. 350; R. Van Marle, The development of the Italian schools of Painting, IV, The Hague 1924, pp. 202 s., 355-368; E. Sandberg-Vavalà, Panels by Tomaso da Modena,in Journal of the Walters Art Gallery, III (1940), pp. 69-74; L. Coletti, I Primitivi, III, Novara 1947, p. XL; Id., Storiografia artistica trivigiana,in Arch. veneto,XLVI-XLVII (1950), pp. 199-204; R. Longhi, La Mostra del Trecento bolognese,in Paragone, 1 (1950), n. 5, pp. s ss.; B. Montuschi, Il problema di Tommaso da Modena miniatore, ibid., II (1951), n. 17, pp. 13-22; P. Toesca, Il Trecento,Torino 1951, v. Indice (sub voce Tommaso da Modena); F. Zeri, Un'Annunciazione di Turone, in Paragone, VIII (1957), n. 89, pp. 48 ss.; L. Magagnato, Da Altichiero a Pisanello (catal. della mostra, Verona 1959), Venezia 1958, pp. 8 s.; L. Coletti, La mostra da Altichiero a Pisanello, in Arte veneta, XII (1958), pp. 241 ss., 248 ss.; G. Paccagnini, Mantova. Le arti, I, Verona 1960, pp. 269 ss.