BARBATO da Sulmona
Nacque a Sulmona, non sappiamo se alla fine del sec. XIII o nei primi anni del XIV, da un Iacopo del notaio Berardo.
Erroneamente fu chiamato Marco, e anche Francesco, da una vecchia tradizione erudita, quasi che Barbato fosse il cognome. Fu invece il nome di battesiino, frequente nel Sulmonese per il culto del santo vescovo di Benevento, né risulta che la famiglia, modesta sebbene non volgare, avesse un cognome.Nulla sappiamo dei primi studi, ma fu avviato alla professione dell'avo Berardo, perché il 4 genn. 1325, a Napoli, fu abilitato alla professione di notaio. Poco dopo entrò negli uffici della corte angioina: già nel 1327 si trovava a Firenze al seguito di Carlo duca di Calabria, il figlio del re Roberto, come notaio della tesoreria ducale, ma adoperato anche per altri incaririchi non meglio precisati, e nel 13-28, sempre col duca, a Siena e forse ad Aquila; nel 1335 era a Napoli, deputato dal re all'ufficio dei conti della regina. Nel 1337 il re interviene presso la comunità di Sulmona perché B. sia esonerato da certi tributi straordinari, e nel 1338 un altro privilegio del re gli conferisce a vita la qualifica di giudice ai contratti nelle province di Terra di Lavoro, del Molise e dei due Abruzzi, qualifica che gli fu confermata dalla regina Giovanna I nel 1343. p. il primo segno di una posizione già di prestigio. Tutto fa pensare che il suo avanzamento nella considerazione degli ambienti di corte e nei quadri della burocrazia angioina fosse dovuto, oltre che alle qualità personali e alla capacità mostrata negli uffici ricoperti, anche alle doti di una formazione culturale, che avrà avuto agio di svilupparsi e di arricchirsi proprio in questi anni, con le occasioni fornitegli dall'ambiente e dalla biblioteca della corte e dalle ben note propensioni del re. D'altra parte la cultura un po, tradizionale e pedantesca esemplificata da Roberto presentava una certa base di solidi studi sulla quale dovevano poi inserirsi ed agire i contatti con le culture di Roma, Firenze e Avignone e i più vivaci fermenti degli uomini di una cultura nuova, quali i numerosi fiorentini in rapporto con Napoli e, più lontano e più in alto, il Petrarca. Il carattere di uomo di studi di B. dovette sempre più influire sulla sua carriera di fimzionario, e forse determinarne il passaggio dagli uffici finanziari a quelli della cancelleria; Ai fatto B. fu nominato segretario regio negli ultimi mesi di re Roberto, il 16 nov. 1342, e tale rimase per parecchi anni nell'agitatissimo primo periodo del regno di Giovanna I; lo era ancora nel 1349. Con gli avanzamenti nella carriera burocratica B. aveva raggiunto un benessere sempre maggiore, di cui sono indizio sicuro i suoi acquisti di case in Sulmona e di terre in quel territorio, che cominciano nel 1334 e proseguono nel '40, '43, '48, mentre il favore della corte si manifesta per lui anche con il conferimento al fratello Pietro, canonico e "abate", del beneficio di Santa Maria di Moscufo (il privilegio della regina Giovanna, del 20 apr. 1343, indica espressamente Pietro come "germanus Barbati de Sulmona secretarii et familiaris nostri"). I legami di B. con la terra natale sono confermati dal suo matrimonio, che si dovrà porre a una data non lontana dal 1340 (morendo nel 1363 egli lasciava una delle figlie già sposata), con una donna di Penne, Margherita o Rita; a Penne egli faceva acquisto nel 1352 di una "chiusa" confinante con i beni della moglie.
D'altra parte in quegli stessi anni, gli estremi del vecchio re e i primi della regina Giovanna, B. aggiunge alle sue amicizie con gli uomini di cultura della corte di Napoli (Giovanni Barrili, Niccolò d'Alife, Tommaso de Ioha, più tardi Pietro Piccolo di Monteforte e Luca di Penne), quelle con i grandi toscani Petrarca e Boccaccio: alle testimonianze scritte di queste amicizie è soprattutto legata la fama di B. presso i posteri, e specialniente" quella col Petrarca fu la grande avventura intellettuale che segnò tutta la sua vita di studioso e di letterato. Lo stesso re Roberto li fece conoscere, nei pochi giorni che il Petrarca passò a Napoli nella primavera del 1341 (Fam., XXII,4; Var.,22), e i due dovettero subito sentirsi amici. Di pochi giorni dopo è la prima lettera del Petrarca (Fam., IV, 8, del 30 aprile, da Pisa) con una breve notizia della laurea in Campidoglio, della quale lo stesso giorno scriveva più ampiamente anche al re. E la loro amicizia doveva durare ventidue anni. È stato detto giustamente che, dopo la morte di Dionigi da Borgo S. Sepolcro, "l'amico più saldo del Petrarca nell'Italia meridionale e il più zelante diffusore lì della sua fama e dei suoi scritti fu Barbato da Sulmona" (G. Billanovich, Pietro Piccolo da Monteforte..., p. 3).
Sono giunte a noi 22 epistole del Petrarca a B., contando anche alcune Metriche: il Petrarca stesso ne inserì 9 tra le Familiari (della XXII, 4, ci è pervenuto anche il testo primitivo), 6 tra le Metriche; altre 7 fanno parte dei gruppi che ora si sogliono indicare come Varie e Miscell. (due sono frammentarie). L'industria dei ricercatori moderni (Vattasso, Weiss) è riuscita a recuperare anche tre lettere di B. al Petrarca, e una quarta, scritta da B. al Petrarca per incarico altrui. Altre 6 o 7, perdute, sono in qualche modo testimoniate (di una di esse si conoscono le prime parole, "Extremuni Olimpiadis"). Il carteggio ha dato luogo nei tempi moderni, soprattutto per quel che riguarda la cronologia, a discussioni numerose che sono riassunte nei repertori di E. H. Wilkins, Petrarch's correspondence, 3 ediz., Padova 1960; The "Epistolae metricae"of Petrarch, Roma 1956, e a uno studio attentissimo dello stesso Wilkins (Studies in the life and works of Petrarch, Cambridge, Mass., 1955, pp. 213-253), che tratta anche dei non pochi riferimenti a B. che occorrono in altre lettere del Petrarca. L'insieme del carteggio riveste, anche per il suo carattere di piena confidenza e intin-ùtà, una considerevole importanza per la biografia reale, intellettuale e morale dei due amici e di alcuni uomini della loro cerchia comune, e per altri aspetti; in particolare per la storia della tradizione degli scritti del Petrarca, che B. studiosamente raccoglieva e contribuì a diffondere; per fare un solo esempio, il frammento sulla morte di Magone, Africa, VI, 885-918 (cfr. N. Festa, nella sua ediz. de L'Africa, Firenze 1926, pp. XXXV-XLI, LXXIV-LXXVI, 2): la sola parte dell'incompiuto e tanto atteso poema che sia uscita dagli scrigni del poeta prima della sua morte.
Il secondo e più lungo soggiorno napoletano del Petrarca, mandato in missione da Clemente VI dopo la morte di re Roberto (egli si trattenne a Napoli dal 9 ottobre alla metà circa del dicembre 1343), segnò il consolidarsi dell'amicizia e intimità con B. e fu insieme la seconda, la più lunga, e per tutta la loro vita la sola occasione di un nuovo incontro personale. Le incertezze e le ansie di un momento difficile per le sorti del Regno non tolsero ai due amici la possibilità di incontri quotidiani (Sen., II, i al Boccaccio) e quindi di lunghi scambi intellettuali e di confidenze affettuose, e il sollievo di conversazioni con un amico comune come il Barrili, e persino di gite piacevoli come quella dei tre amici a Baia e a Pozzuoli e nella regione circostante, memorabile per gli interessi antiquari del Petrarca (Metr.,11, 7 a B.; 11, 15 a Rinaldo da Villafranca; Fam., V, 4 a Giovanni Colonna). Riuscito vano ogni loro sforzo per trattenerlo, gli amici chiesero almeno il suo intervento perché persuadesse un amico letterato, il grammatico veronese Rinaldo da Villafranca, a recarsi a Napoli (Metr.,11, 15 a Rinaldo). Di quella felice familiarità dei tre amicì sarà di lì a pochi anni testimonianza splendida l'egloga Argus (Buc. carm., 2) che il Petrarca invierà nel 1347 a B. per mezzo del suo Lelio (Var.,49): nell'egloga, scritta in memoria del re Roberto, il Barrili èchiamato "Idaeus", B. "Pythias", e il Petrarca per sé aggiunge, "non Damon elegi esse (riferimento a "Pythias") sed Silvius". Si lasciarono tra i timori di un dramma incombente, che non tardò a venire con l'assassinio del re Andrea, il primo marito di Giovanna (21 ag. 1345; Fam., VI, 5).
A una delle lettere del Petrarca a B., la Fam., VII, 1, si collega uno dei pochi scritti letterari di B. che si sono conservati. Il Petrarca, che ben conosceva i timori dell'amico per l'avvenire e probabilmente il suo desiderio di lasciare l'atmosfera pesante della corte, si era offerto di trovargli un impiego, certo di cancelleria, presso il nuovo arbitro di Roma, Cola di Rienzo. La lettera è dell'11 sett. (o novembre) 1347, e di lì a poco il progetto, con la caduta di Cola, sarebbe divenuto inattuabile. Ma in quegli stessi mesi, e forse anche non senza connessione con esso, B. compose e forse mandò o ebbe intenzione di mandare a Cola una curiosa composizione in forma epistolare, Romana res publica urbi Rome.
Se ne può immaginare agevolmente lo spirito, che è di deplorazione della decadenza moderna della città e di esortazione in un senso "umanistico" ad attingere dai forti e giusti esempi antichi lo stimolo per le nuove fortune che sembravano annunciarsi. L'aspetto più curioso è il consiglio (vero sogno umanistico) che l'antica repubblica rivolge alla moderna città, di valersi dei due uomini dell'ora, il Petrarca e Cola, come in una specie di diarchia tra la mente del Poeta e il braccio del Tribuno: "ut scilicet quecumque Laureatus consulit Tribunus exequatur". Fanno seguito all'epistola due epigranuni, rispettivamente di quattro distici e di otto esametri.
Questi due modesti epigrammi, se gli appartengono, come sembra certo, sono i soli componimenti poetici che di lui ci siano pervenuti.
Ma a B. probabilmente non mancarono maggiori ambizioni, e forse ce ne resta una traccia (fin qui passata inosservata) in due Metriche del Petrarca, I 1, 7 (Iam mihi), 25-29, allo stesso B., e 11, 15 (Nuper ab etherii), 87-94, a Rinaldo da Villafranca: qui infatti il Petrarca sembra accennare a un poema di vasto respiro e lo esorta a vincere la modestia e a terminare un lavoro che a suo giudizio avrebbe fatto meritare l'alloro poetico all'amico che egli considera per Sulmona un secondo Ovidio.
Alcuni anni dopo B. trovò una nuova occasione letteraria per esprimere la sua immensa devozione e ammirazione per il suo Petrarca. Quando, dopo il nuovo matrimonio di Giovanna con Ludovico di Taranto e l'associazione di questo al trono, le cose del Regno ebbero un assetto relativamente stabile per l'opera del gran siniscalco Niccolò Acciaiuoli, il Petrarca scrisse all'Acciaiuoli la famosa e diffusissima epistola Iantandem (Fam., XII,2), alla quale nella raccolta delle Familiari volle dare il titolo programmatico di Institutio regia (per altri titoli che occorrono nella tradizione manoscritta estravagante, cfr. Rossi, Le Familiari, III, p. 5, e per la tradizione stessa, ibid., I, CVII s.; Billanovich, Petrarca letterato, I. Lo scrittoio del Petrarca, Roma 1947, p. 178 n. I e XX). B. ebbe allora l'idea di comporne un commento, che è il solo suo scritto di una certa ampiezza pervenuto fino a noi.
Si tratta di un lavoro ovviamente modesto e scolastico, ma non privo di quella sostenutezza, o ricercatezza, di forma che si trova anche nelle sue poche lettere, e testimonianza non vana di buona conoscenza degli autori antichi, specialmente degli storici. Anche è notevole, nel proemio, la presentazione ammirata dell'autore illustre, ed è stato osservato che lo scritto è documento non inutile dei tempi, perché vi affiora qua e là la conoscenza diretta di cose vissute e sofferte e la personale posizione non conformista di B. nei riguardi della corte e di Ludovico. È buona conferma di ciò la lettera accompagnatoria, quasi una dedica, che segue al commento nell'unico manoscritto conosciuto, a Pietro di Monteforte, nella quale B. gli raccomanda cautela nel comunicare lo scritto ad altri, "quia veritas (osserva con Terenzio) omni, sed isto presertim, tempore odium parit": faccia eccezione con gli amici che sa, come il giudice Tommaso de Ioha.
Qualche anno dopo (1358) il Petrarca manda a B. ancora un'egloga, la Parthenias (Bue. carm., 1),trascritta di sua mano, e, ancora maggiore testimonianza di amicizia, la Metr., I, i a lui diretta, insieme proemio e dedicatoria dell'intero primo libro delle Metriche.
L'amicizia di B. col Boccaccio sembra essere cominciata a Napoli nel 1344 (B. L. Ullman, Studies in the Italian Renaissance,Roma 1955, p. 175), e ivi si rividero nel 1355. Ma per molti anni di questa amicizia ci rimangono solo tracce indirette. Quello che resta del loro carteggio (una lettera del Boccaccio e due di B.) appartiene per intero al 1362 e si collega ad uno dei molti tentativi di persuadere il Petrarca alla pubblicazione dell'Africa. Tre illustri personaggi (l'Acciaiuoli e i due Orsini, Napoleone conte di Manuppello e Nicola conte di Nola), convenuti in un certo giomo, probabilmente nel 1361, a Sulmona nel giardino di B., decisero di rivolgergli un appello, della stesura del quale fu incaricato B., che ce ne ha conservato il testo. Ma anche le tre lettere scambiate tra lui e il Boccaccio riguardano per intero, oltre che questa vicenda, le opere del Petrarca e l'ansioso desiderio di B. di procurarsene in sempre maggior copia: Boccaccio gli promette il Bucolicum carmen.
Al tempo delle ultime lettere dei due suoi maggiori corrispondenti, B. dimorava stabilmente a Sulmona, ma egli vi si era ritirato probabilmente già da molti anni, forse dal 1352 o poco dopo, né sappiamo se a poco a poco oppure da un momento all'altro lasciasse il servizio di corte: i titoli di secretarius regius o anche reginalis, della regina, che appaiono nei documenti sino alla fine della sua vita, certo gli saranno rimasti come titolo d'onore. A sicuro ad ogni modo che nel 1360 B. fece nuovi acquisti di parti di case in Sulmona nel rione di porta Manaresca (o Magnaresca), probabilmente per ampliare la sua dimora. Di case nuove parla il suo testamento (1363): "domorum suarum novarum cum orto in quibus ipse testator solitus est habitare cum sua familia" e col fratello abate Pietro; il giardino è certo quello dei convegno or ora ricordato. Si ammalò gravemente nel settembre 1363 e fece testamento lasciando erede usufruttuaria la moglie, oltre alla restituzione della dote, e costituendo eredi in tre parti il fratello e le figlie Angelella, in età pupillare, e Caterina, già sposata, con varie sostituzioni secondo la consuetudine; a Caterma i preziosi (molti anni dopo, nel 1383, morti Angelera, Margherita e infine Pietro, le parti da loro godute furono acquistate dal genero Giuliano); piccoli legati riservò a due nipoti, Antonio e Barbato (figli di Caterina?). Elesse sepoltura nella chiesa di S. Domenico "in cappella depitta in qua est seppultura omnium de domo sua".
B. morì probabilmente poco dopo la data del testamento (18 sett. 1363). Il suo grande amico, Petrarca, scrisse allora a un sulmonese allievo e vecchio amico di B., probabilmente Francesco Sanità, che lo aveva pregato di comporne l'elogio funebre, declinando l'incarico e riversandolo sullo stesso richiedente; ma alcune parole della stessa lettera avrebbero potuto di per sé essere usate per l'epitafio di B.: "Nihil mitius, nihil integrius nihilque candidius sol vidit, nihil amantius literarum, quibus ut lautissimis vescebatur cibis. Huius appetentissimus, reliquarum omnium negligens voluptatum. Inanis glorie fugitans. Insolentie nescius ac livoris. Ad hoc et ingenio acer et stilo dulcis et doctrina uber et memoria promptus fuit".
Manoscritti e Edizioni: La superstite produzione letteraria di B. ci è stata conservata, insieme con alcuni rari pezzi del suo carteggio, da quattro preziosi manoscritti isolati e indipendenti, tutti e quattro miscellanee umanistiche cartacee del sec. XV. Il primo e più importante, ora nella Biblioteca Vaticana, Mus. Borg. P. F.329, fu da prima usato in uno scritto, poi dimenticato, di F. De Romanis, Epistola inedita e sconosciuta di Francesco Petrarca a Barbato Sulmonese colla risposta di B. da,[sic] codice mss. All'egregio signor abate Francesco Cancellieri,in Effemeridi letterarie di Roma, VI (gennaio-marzo 1822), pp. 78-83; e riscoperto da M. Vattasso, Del Petrarca e di alcuni suoi amici, Roma 1904, pp. 7-33, che ne trasse due lettere del Petrarca e una del Boccaccio a B., e di B. stesso due al Petrarca, due al Boccaccio, e quella scritta per commissione dell'Acciaiuoli e dei due Orsini al Petrarca; il codice (su cui è da vedere anche, dello stesso Vattasso, I codd. petrarcheschi d. Bibl. Vat., Roma 1908, pp. 126 s.; A. Foresti, Aneddoti..., pp. 407 s. e Uliman, Studies, p.174 n. 82) risale ovviamente e direttamente a materiali dell'eredità di B., ma fu composto parecchi decenni dopo; si deve aggiungere (cosa non osservata finora) che fu scritto a Sulmona stessa dalla mano di quel medesimo "Antonius Marianicus Sulmontinus", che scrisse nel 1440 il solo codice conosciuto dell'opera poetica del secondo umanista sulmonese dei Trecento, Giovanni Quatrario, proveniente, come il codice Vat. dal convento dei minori osservanti di S. Niccolò di Sulmona (v. su di esso G. Pansa, Giovanni Quatrario di Sulmona,Sulmona 1912, spec. pp. 1-12 e tavv.; R. Weiss, B.da Sulmona, 1950, p. 19 n. 3); quel modesto e benemerito copista ci ha dunque salvato quasi tutto il patrimonio superstite della letteratura umanistica sulmonese di due generazioni e ci fornisce elementi preziosi sulla continuità della tradizione culturale cittadina; ne deduciamo inoltre con certezza l'età esatta del codice Vat. Dal secondo codice, il Canonic. lat. Misc. 220 della Bodleian Library di Oxford, R. Weiss, Some new correspondence of Petrarch and B. da Sulmona, in The modern language review, XLIII (1948), pp. 60-66, ha tratto una lettera di B. a un ignoto miles, forse il Barrili, una di B. al Petrarca, e una, non completa, del Petrarca a Barbato. Il cod. Corsiniano 33. E. 27 (Rossi 229) della Bibl. dell'Acc. dei Lincei è il solo che contenga l'epistola di B. Romana res publica urbi Rome e i due epigrammi relativi; estratti della lettera e gli epigrammi sono pubbl. dallo stesso Weiss, B. da Sulmona, il Petrarca e la rivoluzione di Cola di Rienzo, in Studi petrarcheschi, III (1950), pp. 13-22. Infine, il commento alla Fam., XII, 2 del Petrarca Uantandem) ci è stato conservato, con la lettera accompagnatoria a Pietro da Monteforte, dal solo ms. Paris. lat.14845; del commento ha pubblicato il proemio e la parte iniziale il Faraglia, B. da Sulmona,1884, pp. 353-357 (Poi in I miei studii storici..., pp.154-157), ma si veda anche G. Billanovich, Pietro Piccolo di Monteforte tra il Petrarca e il Boccaccio, in Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1955, 1, p. 5 n. 5; la lett. a Pietro, già pubbl. da A. Hortis, Studj sulle opere latine del Boccaccio, Trieste 1879, pp. 347 s., è ora meglio in Billanovich, ibid., pp. 6-8. Alcuni dei testi nuovi del primo codice hanno avuto nuove ediz. per cura di A. F. Massèra: G. Boccaccio, Opere latine minori, Bari 1928, pp. 144-146 (ep. XI), 332-334 (le 2 epp. di B. al Boccaccio) e di G. Billanovích, ibid., pp. 9 s. (lettera di B. al Petrarca In maximis). Non occorre dare la bibliografia a tutti nota delle lettere del Petrarca di tradizione canonica.
Fonti e Bibl.: A parte le fonti letterarie di cui si è detto, i soli documenti relativi a 13. sono quelli dell'Arch. di Stato di Napoli, ora distrutti, e dell'Archívio della SS. Annunziata di Sulmona alcuni sono ed. dal Faraglia, I due amici, pp. 53-57 ( = 1893, pp. 87-89, il privilegio di Roberto e di Giovanna 1, 1338-1343), 58 (1893, p. 90, privil. per l'ab. Pietro); Id., B. da Sulmona, pp. 349-353 ( = 1893, pp. 151-154); Id., Codice diplomatico sulmonese, Lanciano 1888, pp. 158 s., n. CXXVI (pagamento del 1327 a Firenze), 183-185, n. CXLV (ancora il privilegio del 1338-1343); molti altri semplicemente usati negli articoli del Faraglia, passim,e anche nelle opere di R. Caggese, 1930, e di E-G. Léonard. 1932. Per i docc. di Sulmona (anche qualcuno non usato dal Faraglia) si vedano i brevi regesti di G. Pansap. Piccirilli, Elenco cronologico delle pergamene e carte bambagine pertinenti all'archivio della Pia Casa della SS. Annunziata di Sulmona, Lanciano 1891, nn. 134, 181, 201, 222, 226, 267, 311, 320, 339 (enfiteusi dell'abate Pietro), 340, 658.
Dei più antichi biografi, ormai superati dalle moderne ricerche, si possono citare G. B. Tafuri, Istoria degli scritt. nati nel Regno di Napoli, Il, 2, Napoli 1751, pp. 123 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, Il, 1, Brescia 1758, p. 275; I. Di Pietro, Memorie storiche degli uomini illustri della città di Solmona, Aquila 1806, pp. 65 s. (Marco Francesco Barbato... Giurista"); F. De Romanis, 1822.
La bibl. tuttora valida delle più recenti ricerche storiche e filologiche su B. comincia nel 1822 con F. De Romanis, al quale fanno seguito solo molto più tardi le ricerche di N. (poi N. F.) Faraglia, I due amici del Petrarca Giovanni Barrili e Marco Barbato, in Arch. stor. per le prov. napol., IX (1884), pp. 35-38 (ristampato con correzioni in I miei studii storici delle cose abruzzesi, Lanciano 1893, pp. 65-99), e B. di Sulmona e gli uomini di lettere della corte di Roberto d'Angiò, in Arch. stor. ital., V s., III (1889), pp. 313-360 (ediz. 1893, pp. 101-160); L. Mascetta-Caracci, B. da Sulmona e i suoi amici Barrili e Petrarca, in Rass. abruzzese di storia e d'arte, Il (1898), pp. 175-200; G. Persico, Il Petrarca a Napoli, in Napoli nobilissima, XIII (1904), pp. 113-120; M. Vattasso, 1904 (e v. le rec. del Mascetta-Caracci, in Rass. crit. d. lett. ital., XII 1907 pp. 9-26, di G. Traversari, in Giorn. stor. d. lett. it.,XLVII [1906], pp. 371-375, e di E. Proto, in Giorn. Dantesco, XIV [1906], pp. 243-250); G. Pansa, 1912, p. 479 (indice); F. Torraca, Giovanni Quatrario di Sulmona e il suo recente biografò, in Arch. stor., per le prov. napol., XXXVII (1912), pp. 510 s., 515-518,524 (poi in Aneddotidistoria letteraria napoletana, Città di Castello 1925, pp. 139, 144147, 154); A. Foresti, L'egloga ottava di G. Boccaccio, in Giorn. stor. d. lett. it., LXXVIII (1921), pp. 336-338; Id., Per la storia del carteggio tra il Petrarca e B. da Sulmona, in Arch. stor. per le Prov. napol., XLIX (1924), pp. 340-363 (le due parti di questo studio furono poi riprese dal F. e formarono i capitoli XLII e XLVI del suo volume Aneddoti della vita di Francesco Petrarca, Brescia 1928, pp. 348-355, 393-409; si veda anche p. 159); N. Festa, 1926; A. F. Massèra, 1928; R. Caggese, Roberto d'Angiò e i suoi tempi, Il, Firenze 1930, pp. 385-387; E-G. Léonard, Histoire de 7eanne Ire. La jeunesse de la reine 7eanne, I, Monaco-Paris 1932, pp. 239, 318; G. Billanovich, Petrarca letterato, I. Lo scrittoio del Petrarca, Roma 1947, pp. 87-89, 209, 212, 228-229, 251-252, 259, 285, 287 n. 2; R. Weiss, 1948 e 1950; E Pellegrin, Nouveaux manuscrits annotés, Par Pétrarque in Scriptorium, V (1951), pp. 266 e 271; G. Billanovich, 1955, pp. 3-10 (e cfr. G. Martellotti, Piramidi, in Studi petrarcheschi, V [1956] P13. 37-39, per una Parola della lettera di B. al Petrarca In maximis); E. H. Wilkins, Studies in the life and works of Petrarch, Canibridge, Mass., 1955, pp. 213-253 (cap. IX).