AVERLINO (Averulino), Antonio, detto Filarete
Figlio di Pietro Averlino, nacque intorno al 1400, con ogni probabilità a Firenze.
Fiorentino lo dicono, in effetti, tutte le fonti coeve e tale si affermò più volte egli stesso, così, per es., sottoscrivendo alcune tra le sue opere di maggior impegno come anche stilando, nel 1465, la dedica del suo Trattato di Architettura a Piero de' Medici: "dal tuo filareto architetto, Antonio Averlino Fiorentino". È, quest'ultima, una testimonianza implicita anche dell'origine di quel secondo nome "Filarete" che, liberamente adottato dall'A. con intenti di decoro umanistico, divenne poi d'uso quasi esclusivo, giungendo spesso a far dimenticare lo stesso nome paterno.
L'unica notizia, anch'essa imprecisa, sulla giovinezza dell'A. risale al Vasari, che lo nomina tra i "molti allora giovani che poi furono maestri eccellenti" (Brunelleschi, Masolino, Niccolò Lamberti, Parri Spinello, Paolo Uccello, il Pollaiolo), aiuti del Ghiberti durante i lavori per la prima porta del Battistero di Firenze. Si tratta di un inizio peraltro assai probabile anche se non documentato, non solo per motivi d'ordine stilistico - in base al quale soltanto furono suggeriti rapporti dell'A. con Nanni di Banco (Schubring in Thieme-Becker) e Bernardo Rossellino (Venturi 1908) -, ma anche per il fatto che nel 1433, mentre a Roma si trovavano scultori di ben altro valore e rinomanza (quale lo stesso Donatello), gli fu affidato da Eugenio IV l'incarico di modellare la Porta bronzea di S. Pietro in Vaticano. Che tale scelta fosse in parte condizionata dalla collaborazione prestata dall'A. alla porta del Ghiberti è suggerito anche dal Vasari, aspramente deplorante che si fossero trascurati artisti quali Donato per assegnare simile compito ad "artefici vili ed inetti... e plebei" che egli giudica avere in definitiva lavorato "in sciaurata maniera". Il Vasari attribuisce la porta alla collaborazione tra l'A. e un certo Simone "fratello di Donato", in cui si son visti riuniti due artisti diversi, Simone di Giovanni di Simone Ghini, orefice attivo a Roma già nel 1427 (Martinelli) e Simone di Nanni Ferruccio da Fiesole, scolaro del Ghiberti (Ragghianti). Il nome di Simone non è però inciso nel bassorilievo, che sul retro dei due battenti raffigura in festoso corteo, nominandoli uno ad uno, l'A. e gli aiuti: Angniolus, Iannellus, Passquinus (sic), Iacobus (forse Iacopo da Pietrasanta o Iacopo d'Antonio da Fiesole [Tschudi]), Iohannes e Varrus "Florentie", scultore attivo a Roma ancora nel 1450-54.
La data in cui fu iniziata la porta (ricollocata da Paolo V nel 1602, previa l'aggiunta di scomparti in altezza, nella nuova basilica) si ricava dal fatto che i lavori, protrattisi secondo il Vasari per dodici anni, terminarono senza dubbio nel 1445: come ricorda, se non altro l'iscrizione incisa nella porta stessa "Antonius Petri de Florentia fecit MCCCCXLV". Taluni tuttavia (tra gli altri Lazzaroni-Muñoz) la ritengono senz'altro iniziata dopo il 1439, dato che due dei bassorilievi che l'ornano si riferiscono ad avvenimenti di quell'anno: il concilio di Firenze e l'incontro, a Ferrara, tra Eugenio IV e l'imperatore Giovanni Paleologo. Nulla, tuttavia, vieta che il soggetto di questi scomparti sia stato aggiunto in un secondo tempo nel complesso programma narrativo (seguente peraltro un tema ben preciso, e cioè l'unione tra le chiese d'Oriente e d'Occidente) commissionato senza dubbio all'A. da Eugenio IV. A parte la non alta qualità delle sculture singole - rivelanti un modesto artista forse molto più soggiogato di quanto non si tenda a credere da modi ghibertiani, e comunque di formazione, in questo senso, schiettamente toscana -, interessano l'ordinamento complessivo e i concetti di distribuzione dello spazio. Qui infatti l'A. rivela decisa indipendenza dagli esempi toscani e una altrettanto evidente suggestione della ritmica imperiale romana: elementi che costituiranno, entrambi, costanti significative nella successiva, ricca produzione architettonica dell'A., ove si ripeteranno inoltre, immutate, la mancanza di organicità, l'incapacità di sintesi che contraddistinguono la porta romana. I due battenti sono in essa trattati, per così dire, quali ampie lastre a bassorilievo continuo, entro ciascuna delle quali si inscrivono, su di un unico asse mediale, tre riquadri (profilati da lisce cornici aggettanti) di larghezza tra loro uguale ma di altezza sempre differente, e inoltre variata senza alcun apparente ordine ritmico o logico. Sopra un primo scomparto quadrato (il Martirio di s. Paolo a sinistra, il Martirio di s. Pietro a destra) insiste un riquadro rettangolare alto circa il doppio (S. Paolo; S. Pietro consegnante le chiavi a Eugenio IV inginocchiato), mentre il terzo scomparto (il Redentore benedicente e la Vergine, entrambi assisi in trono), pure rettangolare, è però nuovamente più basso, misurando circa due terzi di quello centrale. Tra l'uno e l'altro riquadro si stendono bassorilievi, raffiguranti vicende del pontificato di Eugenio IV, figurativamente non distinti in alcun modo dall'ampio fregio a girali frondosi (includente busti classicheggianti e scenette mitologiche) che riquadra i due battenti. Si è spesso sottolineata, qui, l'indubbia derivazione da portali romani sul tipo di quelli del Pantheon e della Curia (quest'ultimo oggi in S. Giovanni in Laterano), e in genere sono evidenti i rapporti con i concetti compositivi tipici della scultura decorativa romana, specie di età adrianea e successiva.
L'A. tuttavia si accosta a tali esempi con un'inconfondibile tendenza a costruire per giustapposizione, in slegata paratassi, senza intenderne cioè attraverso le libere variazioni ritmiche, l'intima unità organica. Non manca inoltre certa colorazione dilettantesca - da amatore, da curioso di antichità - nelle continue citazioni classicheggianti, iconografiche e formali e talora tecniche, quale, ad esempio, il caratteristico impiego di smalti policromi (ora pressoché scomparsi). Anziché sottolineare la chiarezza logica dell'impianto latino, l'A. ne sente, al contrario, il valore scenico, l'implicita suggestività drammatica. E questo è, forse, il lato più positivo della sua figura d'artista, così come è certamente il più ricco di interesse storico.
A questo periodo va ascritto il bronzetto decorato a smalto conservato a Dresda (Albertinum), copia del Marc'Aurelio oggi in Campidoglio e allora situato nei pressi di S. Giovanni in Laterano. La datazione è indicata anche nella scritta che l'A. vi incise nel 1465, inviandolo a Piero de' Medici: "Antonius Averlinus architectus... quo tempore iussu Eugenii IV fabricatus est Romae aeneas vulvas templi S. Petri". Sia la fattura, d'altronde, sia il tipico afflato classicheggiante basterebbero ad inserire la statuetta negli anni stessi in cui l'A. iniziò, in S. Giovanni in Laterano, il monumento al card. Antonio Chiaves (m. 1447); ma, egli accusato di furto di reliquie, fu costretto ad abbandonare Roma e il lavoro appena intrapreso che venne condotto innanzi da Isaia da Pisa, con ogni probabilità secondo il programma iconografico e compositivo già predisposto dall'Averlino. Seguirono anni di viaggi continui, a Firenze prima, quindi a Rimini, Todi, Mantova e infine nel Veneto. Qui la sua presenza è anzitutto documentata dalla Croce processionale del duomo di Bassano che egli sottoscrisse e datò nel 1449 (e che dopo il trasfigurante restauro seicentesco è oggi ricordata, nelle originarie linee filaretiane, dal Battesimo di s. Lucilla di Iacopo Da Ponte nel Museo Civico di Bassano); pare inoltre abbia avuto rapporti di lavoro a Venezia con i maestri vetrari Angelo e Marino Barovier da Murano (Pope Hennessy). Nel 1451 l'invito di Francesco Sforza a Milano diede inizio a un nuovo periodo nella vita dell'A. che, stabilitosi per lunghi anni nella capitale sforzesca, vi esercitò attività prevalentemente (ma non esclusivamente) architettonica. All'anno stesso del suo arrivo si data, comunemente, l'inizio della stesura del suo Trattato di Architettura (secondo lo Spencer scritto invece tra il 1460 e il '65), di cui possediamo cinque manoscritti oltre a sei codici della traduzione latina per Mattia Corvino curata da Antonio Bonfini di Ascoli. Attualmente l'unica ediz. a stampa è quella del von Oettingen (1896) che però non dà il testo completo (v. Saalman, 1959). Nel Trattato, scritto per lo Sforza, l'A. realizza, ad un tempo, un pittoresco "autoritratto" e un suggestivo quadro dell'ambiente artistico e "cortese" proprio di Milano e in genere della Lombardia sforzesca.
I primi ventun libri - svolti in forma di dialogo fra l'architetto Onitona, Francesco Sforza e il giovane Galeazzo di cui ci si propone di formare gusto e cultura - sono basati su di un tema caro alla letteratura umanistica, la fondazione, cioè, di una città ideale, qui chiamata Sforzinda. Seguono tre libri di carattere tecnico (relativi a leggi d'ottica, metodi di disegno e di pittura a fresco, ad olio, ecc.) e infine un libro (aggiunto evidentemente dopo la partenza da Milano e inoltre presente solo in alcuni codici) dedicato a monumenti e raccolte d'arte della famiglia Medici. Soprattutto dal primo nucleo del Trattato risultano con piena evidenza gli elementi salienti della personalità artistica dell'A.: descrivendo sia Sforzinda sia una seconda città immaginaria, Zogalia, egli svela infatti anzitutto, chiaramente, i fondamenti culturali della propria visione architettonica e denunciandone i limiti, mette nel contempo in luce anche certa gustosa originalità di impostazione, non priva di interesse specie in rapporto ai futuri sviluppi dell'architettura rinascimentale di Lombardia. La pianta stellare di queste città (rigidamente geometriche e organizzate su schemi centrici attorno a una piazza dominata da una torre altissima) rivela di primo acchito la loro prima origine albertiana; così come avviene, d'altronde, anche per l'analoga planimetria e l'alzato e talora anche per le singole soluzioni figurative delle basiliche e della maggior parte dei monumenti religiosi e civili qui ideati. E in tale derivazione troviamo senza dubbio un primo elemento nuovo nei confronti dell'opera romana dell'Averlino. Ad esso si sovrappongono inoltre senza soste, e senza amalgamarsi mai, gli influssi più vari e contrastanti: dalle libere rievocazíoni classiche, talora di schietta origine romana, ma per lo più di fonte letteraria, a quelle medievali, romaniche e gotiche, quasi costantemente di accento padano. Il Trattato non mancò di esercitare influssi notevoli non solo in ambiente lombardo, ma più ampiamente, in genere, in alta Italia e forse in particolare nel Veneto. Tra l'altro nel "palazzo in luogo lacustre", che vi è descritto nel libro XXI, è stata riconosciuta (Franco) la casa che lo Sforza avrebbe voluto che l'A. gli costruisse sul Canal Grande, inducendolo a tal fine a recarsi a Venezia nel 1458 (secondo lo Schubring, in Thieme-Becker, nel 1461). Interessante anche per i ricchi elenchi di artisti contemporanei, italiani e d'Oltralpe, l'opera diviene spesso preziosa fonte per la ricostruzione ideale di monumenti oggi trasfigurati o addirittura scomparsi: come è il caso, per es., del Banco Mediceo a Milano, per cui è stata talora ipotizzata un'attribuzione all'A. basata quasi esclusivamente sul fatto che un Antonio da Firenze figura all'anno 1463, in un registro mediceo relativo alla fabbrica, lautamente compensato per i lavori ivi prestati.
Il profondo rinnovamento della cultura filaretiana nel periodo lombardo risulta evidente soprattutto da un interessante gruppetto di bassorilievi databili in questo giro d'anni: tutti, ad evidenza, suggestionati in modo determinante dalle "novità" del Donatello di Padova.
Mi riferisco ai bassorilievi con il Trionfo di Cesare al Louvre e Odisseo e Iro al Kunsthist. Museum di Vienna, allo sportello bronzeo di tabernacolo con Cristo Portacroce, nella stessa galleria viennese, al bassorilievo con Vergine in trono e angeli (in due repliche autografe, una al Louvre e una negli Staatliche Museen di Berlino); e cioè a uno scarno gruppo di opere di sicura attribuzione da cui vanno ormai esclusi il bronzo Giovanni VI Paleologo (Roma, Propaganda Fide; Lazzaroni-Muñoz 1907), il Cesare della coll. Lazzaroni a Parigi (Venturi 1904), il busto maschile di Vienna (Kunsthist. Museum; Venturi 1907) come il S. Marco in S. Marco a Roma (Lazzaroni-Muñoz 1907).
Sin dal suo primo arrivo in Milano, l'A. fu, praticamente, imposto dal duca agli artisti locali nelle due massime imprese architettoniche allora in atto nella capitale sforzesca: il castello e il Duomo. In entrambe, tuttavia, egli riuscì a lavorare soltanto sino al 1454, allontanatone in seguito bruscamente soprattutto a causa degli inaspriti contrasti con gli artefici lombardi (Lazzaroni-Muñoz). Per quanto riguarda la sua attività per il Duomo, sappiamo solo che, interessatosi alla questione dell'erigendo tiburio, diede per esso almeno un disegno. Nel castello la sua opera si limitò probabilmente, a parte minori lavori sempre ornamentali, alla sola decorazione della torre di ingresso (distrutta nel 1521 e forse meglio ricordata oggi da testimonianze grafiche, come il graffito della cascina Pozzobonelli [v. Portaluppi, p. 54], che non dalla ricostruzione del Beltrami) che restò legata al suo nome, ma la cui ossatura strutturale spettava, in realtà, al disegno e all'opera degli ingegneri ducali Pietro da Cernusco, Iacopo da Cortona, Filippo Scozioli da Ancona, Pandino da Novara. Nel 1454 l'A. è a Cremona ove dà inizio alla costruzione di un arco trionfale rimasto poi incompiuto e di cui oggi non si conserva traccia. Nel '55 appare ancora un'ultima volta sui lavori del castello milanese, mentre nel '56-57 intraprende la fabbrica del Duomo di Bergamo.
Il ricordo di quest'ultimo edificio - dopo la trasfigurante ricostruzione tardoseicentesca del Fontana - è attualmente affidato all'accurata descrizione, anche grafica, fattane dall'A. stesso nel suo Trattato. Abbandonata la consueta pianta centrica, la basilica era disegnata a croce latina, triabsidata e aperta su ogni lato dell'unica navata da tre cappelle semicircolari. Ancora una volta segnato, dunque, da suggestioni albertiane evidenti (con cui era in contrasto, però, la pittoresca decorazione policroma della fronte, così come le quattro sottili torri angolari, di disegno orientaleggiante, sorgenti sulla campata d'incrocio sormontata da ampia cupola), il duomo di Bergamo ricevette le lodi del Vasari che d'altronde - severissimo con l'A. in quanto scultore e trattatista - pienamente approva anche l'altra sua grande creazione architettonica lombarda, l'Ospedale Maggiore di Milano.
La prima pietra del grandioso complesso dell'Ospedale Maggiore di Milano fu posta, con cerimonia ufficiale, nell'aprile 1456; la fabbrica però non ebbe inizio se non nel 1457, dopo che l'A. ebbe tra l'altro compiuto (certo per preciso desiderio dello Sforza) viaggi di studio in Toscana, visitando in particolare gli Ospedali degli Innocenti a Firenze e di S. Maria della Scala a Siena. Lo schema dell'Ospedale Maggiore, tuttavia, par derivare - piuttosto che non direttamente dai modelli toscani (già imitati in Lombardia da altri anche prima che dall'A.; come, ad esempio, dagli architetti dell'Ospedale di S. Matteo a Pavia, iniziato nel 1449) - dalle idee espresse in proposito dall'Alberti nel De re aedificatoria.Anche nella realizzazione figurativa, del resto, l'A. mostra di essere più che mai lontano dalle contemporanee vicende artistiche di Toscana: e in effetti sembrano d'origine prima lombarda persino i chiari accenti michelozziani che arricchiscono qui, e in parte rinnovano, il suo già complesso bagaglio culturale.
Secondo il grandioso progetto dell'A., l'Ospedale Maggiore doveva consistere di tre nuclei fondamentali, completamente costruiti in cotto. Nei due laterali, più ampi, quattro corsie rettilinee, intrecciandosi ad angolo retto, determinano altrettanti cortili interni pure quadrati, ornati da portico a terreno e da loggiato aperto al primo piano. Il nucleo centrale, rettangolare per il lungo, avrebbe dovuto essere costituito da due cortili di pianta e forme analoghe agli altri, dominati però al centro da una chiesa a pianta stellare, rivestita all'esterno da marmi policromi in caratteristico disegno a losanghe. Sempre secondo le idee albertiane, un portico aperto, insistente su di un alto zoccolo, avrebbe recinto l'edificio da un capo all'altro, anche all'esterno ricamandolo d'arcature ombrate in regolare sequenza. Tutto ciò è effettivamente (per quanto in parte) realizzato, oggi, solo nel nucleo quadrilatero di destra, l'unico quattrocentesco. Gli altri due nuclei furono eretti successivamente, dal XVI al XIX secolo, conservando, parzialmente, il progetto filaretiano solo per quanto riguarda il disegno planimetrico. Anche nel nucleo quattrocentesco l'A. non potè curare, all'esterno, se non la zona inferiore a portico; benché rispettino ancora, con ogni probabilità, un suo disegno sia le ricche bifore archiacute in cotto (erette dopo la sua partenza da Francesco Solari, intorno al 1467), sia l'ampio cornicione laterizio di coronamento, dal solenne profilo classicheggiante. I quattro cortili interni - di cui l'A. non vide forse compiuto che quello cosiddetto "dei bagni" (Grassi) - rispettano però tutti, più o meno fedelmente, l'originarío schema filaretiano.
Con ogni probabilità l'A. dovette abbandonare questa impresa - e nel contempo, certo, Milano e la Lombardia - a causa di screzi con Francesco Sforza: screzi di cui esistono tracce anche in lettere ducali del 1464-65 (Lazzaroni-Muñoz). Comunque, il 22 nov. 1465 Guiniforte Solari assumeva ufficialmente, al suo posto, la direzione dei lavori dell'Ospedale Maggiore: e nello stesso anno l'A., si è visto, cambiava la dedica del Trattato che, scritto per lo Sforza, veniva ora offerto a Piero de' Medici. Allo stesso principe l'A. - trasferitosi probabilmente a Firenze - offriva contemporaneamente, oltre alla citata statuetta di Marc'Aurelio,anche una medaglia con Autoritratto (di cui si conoscono due esemplari analoghi, uno al Victoria and Albert Museum a Londra, uno presso i Musei Civici di Milano) che nel bassorilievo e nell'iscrizione incisi nel retro contiene chiari riferimenti al nuovo mecenate: "ut sol auget apes sic nos comodot princeps". Costretto però ben presto, per cause ignote, a lasciare anche la corte medicea, l'A. si recò nuovamente a Roma ove morì - almeno secondo quanto riferisce il Vasari - nel 1469.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, II, Firenze 1878, pp. 243, 453-463; F. Calvi, Notizie sulla vita e sulle opere dei principali architetti, scultori e pittori che fiorirono in Milano durante il governo dei Visconti e degli Sforza, II, Milano 1865, pp. 75, 76-78; G. Milanesi, Lettere d'artisti ital. dei secoli XIV e XV, in Il Buonarroti, IV(1869), p. 82; G. Mongeri, L'arte in Milano, Milano 1872, pp. 47 ss., 52, 63 ss.; L. Corio, Antonio Filarete da Firenze detto Averlino, scultore e architetto, in Politecnico, XXI (1873), pp. 722-732; P. Canetta, Cenni storici sull'Ospedale Maggiore di Milano, Milano 1880, pp. 3, 4, 5-12; R. Dohme, Filaretes Traktat von der Architektur, in Jahrb. d. kön. preuss. Kunstsamml., I (1880), pp. 225-240; P. Canetta, Cronologia dell'Ospedale Maggiore, Milano 1884, passim; H. von Tschudi, Filaretes Mitarbeiter an den Bronzethüren von St. Peter, in Repertorium f. Kunstwissenschaft, VII(1884), pp. 291-94; L. Beltrami, Il castello di Milano sotto il dominio degli Sforza (1450-1535), Milano 1885, v. Indice; L. Courajod, Quelques sculptures en bronze de Filarete, in Gazette Archéologique, X(1885), pp. 382-391; Id., L'imitation et la contrefaçon des objets d'art antiques au XVe et au XVIe siècle, in Gazette des Beaux Arts, s. 2, XXXIV, 2 (1886), p. 316; F. Calvi, Il Castello di porta Giovia e sue vicende nella storia di Milano, in Arch. stor. lombardo, XIII(1886), p. 240; W. van Oettingen, Ueber das Leben und die Werke des A. A. gen. Filarete, Leipzig 1888; L. Beltrami, La Torre del Filarete nella fronte del Castello di Porta Giovia verso la città, Milano 1889, passim; W.von Oettingen, A. A. Filarete's Tractat über die Baukunst nebst seinen Büchern von der Zeichenkunst und den Bauten der Medici, in Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik..., n. s., III, Wien 1890; E. Müntz, Histoire de l'art pendant la Renaissance, Paris 1891, II, pp. 359 ss.; P. Paoletti di O., L'architettura e la scultura del Rinascimento in Venezia, Venezia 1893, Testo I, pp. 141, 270; L. Beltrami, Il Castello di Milano sotto il dominio dei Visconti e degli Sforza, MCCCLXVIII-MDXXXV, Milano 1894, v. Indice; Id., Chi sia il primo architetto del Castello di Milano, ricostruito da Francesco Sforza, Milano 1895; W. von Bode, Denkmäler der Renaissance - Skulptur Toscanas, München 1892-95, p. 178, tavv. 178 c, 188, 189, 550 a, b, c; B. Sauer, Die Randreliefe an Filarete's Bronzethür von St. Peter, in Repertorium f. Kunstwissenschaft, XX(1897), pp. 1-22; L. Beltrami, La Ca' del Duca sul Canal Grande ed altre reminiscenze sforzesche in Venezia, Milano 1900 (per nozze Albertini-Giacosa); A. G. Meyer, Oberitalienische Frührenaissance - Bauten u. Bildwerke der Lombardei, Berlin 1900, II, pp. 471 ss.; S. Ricci, Di una medaglia autoritratto di A. Averulino nel museo artistico municipale di Milano, in Riv. ital. di numismatica, XV(1902), pp. 227-238; J. Durm, Die Baukunst der Renaissance in Italien, in Handbuch der Architektur, V, Die Baustile, Stuttgart 1903, passim; L. Forrer, Biographical Dictionary of Medallists, London 1904, I, p. 93; II, p. 92; A. Venturi, Di alcune opere di scultura a Parigi, in L'Arte, VII(1904), pp. 473-477; L. Beltrami, Indagini e docum. riguardanti la torre principale del castello di Milano…, Milano 1905, pp. 57 s.; G. Gerola, Una croce processionale del Filarete a Bassano, in L'Arte, IX (1906), pp. 292-96; F. Malaguzzi Valeri, I Solari architetti e scultori lombardi del XV secolo, in Italienische Forschungen, I(1906), pp. 66, 77, 78, 93-96; M. Lazzaroni-A. Muñoz, Un buste en bronze d'Antonio Filarete représentant l'empereur Jean Paléologue, in Académie des inscriptions et belles-lettres, Comptes-rendus, 1907, pp. 300-309; A. Venturi, Notizie da Berlino e da Vienna, in L'Arte, X (1907), p. 312; M. Lazzaroni-A. Muñoz, Filarete scultore e architetto del XV secolo, Roma 1908 (v. le recens. di A. Venturi, in L'Arte, XI[1908], pp. 393-400; di F. Malaguzzi Valeri, in Rass. d'arte, VIII[1908], p. V; e di P. Schubring, in Monatshefte für Kunstwissenschaft, I, 2 [1908], pp. 684 s.); A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VI, La scultura del Quattrocento, Milano 1908, pp. 523-44; D. Sant'Ambrogio, Le maschere funerarie decorative fra le terracotte dell'Ospedale maggiore, in L'Osservatore Cattolico, 25 dic. 1909, p. 2; D. Sant'Ambrogio, La torre di S. Gottardo e la torre del Filarete, ibid., p. 8; C. Grigioni. Chi è uno degli autori del reliquario di Montalto?, in Arte e Storia, XXIX (1910), pp. 97-99; C. Astolfi, Sul Filarete e il reliquario di Montalto. Nuovi e importanti docum., ibid., pp.139-142; R. Magnani, Relazioni private tra la corte sforzesca di Milano e la casa Medici, Milano 1910, p. 9; J. v. Schlosser, Werke der Kleinplastik in den Skulpturensammlungen des allerh. Kaiserhauses, Wien1910, I, p. 1, tav. II; J. Burckhatdt, Geschichte der Renaissance in Italien, Esslingen 1912, v. Indice; F. Malaguzzi-Valeri, La Corte di Lodovico il Moro, I, Milano 1913, pp. 66, 169, 178, 302; II, ibid. 1915, pp. 3-5; P. Portaluppi, L'architettura del Rinascimento nell'ex ducato di Milano 1450-1500, Milano 1914, passim; D. Frey, Bramantes St. Peter-Entwurf und seine Apokryphen, Wien 1915, pp. 74 ss.; P. Schubring, Cassoni. Truhen und Truhenbilder der italien. Frührenaissance, Leipzig 1915, pp. 34, 189, 291, 438-440; r. l. [R. Longhi], recensione a F. Malaguzzi-Valeri, L'arte alla corte di Lod. il Moro, II, Bramante e Leonardo, in L'Arte, XIX(1916), pp. 358 s.; L. Planiscig, Kunsthistoriches Museum in Wien: Die Bronzeplastiken, Wien 1924, pp. 3 s.; A. Venturi, Storia dell'Arte Italiana, VIII, L'Architettura del quattrocento, 2, Milano 1924, pp. 172-178; E. Pecchiai, L'Ospedale Maggiore nella storia e nell'arte, Milano 1927, pp. 491-500; H. Willich, Die Baukunst der Renaissance in Italien, in Handbuch der Kunstwiss., Wildpark-Potsdam 1929, pp. 40, 58, 63, 120, 148-50, 1153, 197; M. Salmi, La chiesa di Villa a Castiglione a Olona e le origini del Rinascim. in Lombardia, in Miscellanea di studi in onore di E. Verga, Milano 1931; J. Schlosser, Sull'antica storiografia italiana dell'arte (traduz. M. Ortiz), Palermo 1932, pp. 151 s.; G. C. Bascapé, L'Ospedale Maggiore di Milano, Roma 1934, pp. 475 ss.; S. Vigezzi, La scultura in Milano, Milano 1934, pp. 171 s., 517 ss.; G. Giovannoni, Saggi sull'architettura del Rinascimento, Milano 1935, pp. 298 ss.; A. Pica, Il Brunellesco o le origini del Rinascimento lombardo, in Atti del I Congresso Nazionale di Storia dell'Architettura, Firenze 1936, pp. 165-170, passim; M. Salmi, A. A. detto il Filarete e l'arch. lombarda del primo Rinascimento, ibid., pp.185-196; V. Biagetti, L'Ospedale Maggiore di Milano, Milano 1937, passim; C. Baroni, Il problema di Michelozzo a Milano, in Atti del IV Convegno Nazionale di storia dell'Architettura, Milano 1939, pp. 123-140, passim; F. Franco, L'"interpolazione" del Filarete trattatista fra gli artefici del rinascim. architettonico a Venezia, ibid., pp. 267-280; A. Blunt, Artistic Theory in Italy, 1450-1600, London 1940, pp. 43 s.; M. Salmi, Firenze, Milano e il primo Rinascimento, Milano 1941, pp. 20-25; L. Piccinato, Origini dello schema urbano circolare nel Medioevo, in Palladio, V(1941), pp. 124 s.; C. Assum, Francesco Sforza,Torino 1945, passim; L. Piccinato, Urbanistica, Roma 1947, pp. 124-36; H. Roeder, The Borders of Filarete's bronze doors of St. Peter's, in Journ. of the Warburg and Courtauld Inst., X (1947), pp. 150-153; P. Mezzanotte -G. C. Bascapé, Milano nell'arte e nella storia, Milano 1948, v. Indice; C. L. Ragghianti, ed. di G.Vasari, Le Vite, I, Milano-Roma 1947, pp. 18, 562, 668, 669-73, 708, 953; III, ibid. 1943, p. 191; IV, ibid. 1949, pp. 338 s.; O. Morisani, Michelozzo architetto, Torino 1951, pp. 96 s.; A. R. Natale, I diari di Cieco Simonetta, in Arch. stor. lombardo, s. 8, III (1951-1952), pp. 154-88; V. Alce, La Tomba di S. Pietro Martire e la cappella Portinari in S. Eustorgio a Milano, in Memorie Domenicane, LXIX(1952), pp. 25-29; R. Wittkower, Architectural Principles in the Age of Humanism, London 1952, pp. 9 s., 63; E. Quigini Puliga, Sforzinda, città del Filarete, in La Martinella, VII(1953), pp. 460-66; L. Firpo, La città ideale del Filarete, in Studi in memoria di G. Solari, Torino 1954, pp. 11-59, S. Giedion, Spazio, tempo e architettura, Milano 1954, pp. 44-48; S. Alcina Franch, Ideas estéticas de A. A., in Revista de ideas estéticas, XIII (1955), pp. 121-44; L. Grassi, Aspetti nuovi dell'Antico Ospedale Maggiore sistemato ad uso dell'univ. di Milano, in Arte Lombarda, I(1955), p. 137; J. Schlosser Magnino, La letteratura artistica, Firenze-Wien 1956, pp. 129-134, 136, 160; E. Arslan, Toscani e lombardi prima di Bramante, in Storia di Milano, VII, Milano 1956, pp. 621-627; J. R. Spencer, La datazione del trattato del Filarete desunta dal suo esame interno, in Riv. d'arte, VI (1956), pp. 93-103; S. Spinelli, La Ca' Granda 1456-1956, Milano 1956, passim; L. Grassi, La Ca' Granda - Storia e restauro, Milano 1958, pp. 17-34, 43, 44 e passim; C.Marinesco, Thèmes et types iconographíques d'origine byzantine dans l'oeuvre de Pisanello, Filarete et Piero della Francesca, in Académie des inscriptions et belles lettres, Comptes rendus, 1958, pp. 284-287; J. Pope Hennessy, Italian Renaissance Sculpture, London1958, pp. 77 s., 332 s.; J. R. Spencer, Filarete and central-plan Architecture, in Journal of the Soc. of Architectural Historians, XVII(1958), pp. 10-18; Id., Two Bronzes by Filarete, in The Burlington Magazine, C (1958), pp. 392-395; Id., The Dome of Sforzinda Cathedral, in The Art Bulletin, XLI (1959), pp. 328-330; H. Saalman, Early Renaissance architect. theory and practice in A. Filarete's Trattato di Architettura, ibid., pp.88-106; N. Pevsner, An outline of European Architecture, London 1960, pp. 298-300; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, XI, pp. 552-556 (sub voce Filarete); Enciclopedia Italiana, XV, pp. 260 s. (sub voce Filarete).