AVALOS, Costanza d', duchessa d'Amalfi
Nacque a Napoli nella prima metà del secolo XVI da Iñigo (II), marchese del Vasto, e da Laura Sanseverino.
Educata secondo un ideale fastoso della vita e della cultura, erede di una dinastia che era stata particolarmente propensa alle forme più splendide del mecenatismo e a un costume di magnanimità cavalleresca, l'A. ricevette una raffinata e casta disciplina letteraria orientata verso i maggiori modelli della tradizione petrarchesca e nutrita di un gusto sicuro e aristocratico per la poesia. Gli autori più noti avevano celebrato la famiglia Avalos, dal Pontano a Vittoria Colonna, dal Petrucci al Cariteo, che nel capitolo in morte di Iñigo del Vasto accomunava nel compianto i discendenti del potente marchese: "Partiti presto da i celesti chiostri, / O de l'anima mia dolce dimidio, / Ritorna a governare i pegni nostri...", cioè i tuoi figli: Alfonso del Vasto, Rodrigo e Costanza (Le Rime,ed. Percopo, p. 348). A questi esempi d'arte e di stile l'A. dovette aderire, dissolvendone tuttavia gli atteggiamenti più vistosi e oratori per l'esigenza di una poesia meditata e raccolta che esprimesse nei termini della rinunzia e del rapimento mistico le ansie segrete d'una vita solitaria e nobilmente appartata.
In data non facilmente precisabile sposò Alfonso Piccolomini duca d'Amalfi, il cui avo Antonio, nipote di papa Pio II e genero di re Ferrante d'Aragona, era stato il capostipite del ramo napoletano della sua casata. Non fu però un matrimonio fortunato, nonostante la nascita di due figli ai quali l'A. impose i nomi di Iñigo e di Vittoria (probabilmente in omaggio alla poetessa che era entrata a far parte della famiglia). Il duca d'Amalfi aveva fatto le prime prove d'armi a Siena al servizio degli Spagnoli e nel 1528 fu eletto capitano generale di quella città. Non sembra tuttavia che in un periodo particolarmente delicato della situazione politica senese il Piccolomini riuscisse a mantenersi i favori di Carlo V che nel 1541, a seguito di una lunga serie di contrasti, costringeva il duca ad abbandonare definitivamente la carica sotto l'accusa di aver tramato con i Francesi. Si ritirò a Nisida, ma l'insuccesso politico dové rappresentare per l'A. un ostacolo difficile a superarsi nell'ambito di una famiglia tradizionalmente legata alla politica spagnola, e può aver costituito una componente notevole per comprendere quel progressivo estraniarsi da ogni interesse mondano (sia esso cura domestica o consuetudine sociale) che s'avverte nella biografia dell'Avalos. Da qualche anno ella era in rapporti con i propugnatori della riforma religiosa e aveva forse udito personalmente il Valdés e B. Ochino: ora ricerca e ottiene la familiarità di Vittoria Colonna che di quell'ansia mistica esprimeva le più trepide attese congiunte all'esigenza di un'alta e severa meditazione. E la Colonna, già stimata poetessa e protetta dalla prima Costanza, si offrì come guida spirituale dell'A. alla quale indirizzava, intorno al 1543, tre lettere mistiche: "... sopratutto ti prego ti sforzi veder come la singularissima patrona e regina nostra Maria il mirabil misterio dell'altissimo Verbo [ha] incarnato in lei, et come si liquefa il divino ardore di veder la sua istessa carne fatta un vivo eterno sole, et come vive beata nella riposata et sicura pace del cielo, et quanto gode di veder che dal suo vivo lume nascono i raggi, che fanno bello il Paradiso...".
Questa stessa ispirazione, e non di rado le medesime immagini, si ritrovano nelle Rime dell'A.: pochi sonetti per la prima volta pubblicati a Venezia nel 1558 in appendice alle poesie di Vittoria Colonna e poi più volte ristampati fino ad essere inclusi nella raccolta di Luisa Bergalli (Componimenti poetici delle più illustri rimatrici, Venezia 1726, pp. 74 ss.). È tuttavia da sottolineare come in queste rime l'intenzione poetica si smarrisca (contrariamente a quanto avviene per Vittoria Colonna) sul fondo di un'indole dotata di una scarsa vita affettiva sì che il tema religioso e l'impeto ascetico si svolgono piuttosto come motivi di dottrina che non come momenti d'un progressivo e personale possesso. "Nè può turbarmi sì felice stato / Turbini o venti... / Ch'el mio tranquillo ciel vien da l'amato / Raggio del vivo Sol del vero giorno / Ch'ogn' hor sereno ogni bell'aura desta". Gli spunti storicamente più interessanti della dottrina sono quelli impegnati a svolgere alcuni dei temi caratteristici della riforma e della spiritualità valdesiana che filtrarono nel profondo della cultura napoletana (sentimento personale di Dio, unione mistica col Redentore), anche se idealmente le rime di questo canzoniere debbano piuttosto intendersi come la vicenda individuale di un animo nobile e austero.
In occasione della morte di Irene di Spilimbergo l'A. componeva un sonetto che è tra i più ispirati dei molti versi che si scrissero per quella circostanza (Rime di diversi nobilissimi et eccellentissimi autori in morte della Signora Irene delle Signore di Spilimbergo,Venezia 1561, p. 34).
Si ritirò quindi nel convento di Santa Chiara ove si spense intorno al 1575.
Fonti e Bibl.: V. Colonna, Carteggio, raccolto epubblicato a cura di E. Ferrero e G. Müller, Torino 1892, pp. 292-302; Le Rime del Cariteo,a cura di E. Percopo, Napoli 1892, pp. CCXXXIV, 348, 351;B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, III, Napoli 1750, pp. 457s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia,I, 2, Brescia 1753, p. 1223; A. Reumont, Vittoria Colonna (traduz. di G. Müller e E. Ferrero), Torino 1892, pp. 34, 145, 221, 248;B. Croce, Un canzoniere d'amore per Costanza d'Avalos duchessa di Francavilla, in Atti d. Accad. Pontaniana,XXXIII(1903),mem. n. 6, p. 3;P.Tacchi-Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia,I, Roma 1931, p. 453; Fr. Domingo de S.ta. Teresa, Juan de Valdés, Roma 1957, p. 148.