CIRIACI, Augusto
Nato a Roma il 10 ag. 1889 da Giuseppe e Maria Giuggiolini Magnaterra, di origine marchigiana, crebbe nel popolare rione di Testaccio ove i suoi genitori si erano spostati dopo aver abitato a Trastevere e a Ponterotto. La sua famiglia, di umili origini, tale si era conservata anche dopo il trasferimento nella grande città. Dopo aver frequentato, le scuole elementari, il C. cominciò subito a lavorare scegliendo il mestiere di tipografo e percorrendone tutta la strada, da garzone di bottega a proprietario di una piccola impresa e a direttore di una prestigiosa impresa editoriale.
Si iscrisse giovanissimo al circolo S. Maria Liberatrice, che aderiva alla Società della gioventù cattolica italiana, annesso all'omonima parrocchia retta dai padri salesiani. Fu qui che si manifestò appieno la vocazione per l'apostolato tra i giovani e ricevett e una formazione religiosa e politica.
La parrocchia di S. Maria Liberatrice fu diretta, tra il 1910 e il 1916, dal sacerdote Luigi Olivares, una figura di grande rilievo tra i sacerdoti romani nei primi anni del secolo, infaticabile organizzatore ma soprattutto impareggiabile guida spirituale della gioventù: nel 1916 fu creato vescovo di Sutri e Nepi. Fu padre Olivares ad intuire le grandi qualità umane e le capacità possedute dal C. (così come aveva appoggiato la prosecuzione degli studi e le prime attività pastorali del fratello Pietro, che fu negli anni Cinquanta cardinale e prefetto della Congregazione del Concilio) ed a seguirlo nel lavoro che svolgeva all'interno di quel complesso apparato di attività religiose, sociali e assistenziali che i salesiani avevano creato intorno alla chiesa che era stata loro affidata.- Oltre al circolo della Società della gioventù cattolica, caratterizzato dalla presenza quasi assoluta di giovani operai, vi erano diverse congregazioni per le donne e per gli uomini, un centro per la diffusione della cultura cristiana, un altro per quello della stampa cattolica, un'attività di assistenza ad un dormitorio pubblico, una sezione di mutuo soccorso aderente alla Federazione romana, una sezione dell'Unione popolare cattolica che si occupava dei problemi elettorali connessi alle, battaglie per i rinnovi dell'amministrazione del comune di Roma. C'erano infine una filodrammatica, una squadra sportiva, un patronato per l'informazione e l'assistenza agli operai.
In questo clima carico di attivismo e di impegno sociale, il C. fu ben presto impegnato in incarichi di responsabilità, prima a livello della parrocchia e poi, visti gli ottimi risultati, negli organismi di coordinamento per l'intera diocesi di Roma. Nel 1910 era già segretario della Federazione giovanile diocesana di Roma, nel 1913 entrò nel Consiglio superiore della Società della gioventù cattolica divenendone, nel 1915, segretario generale durante la presidenza di Paolo Pericoli. I suoi interessi professionali lo spingevano ad occuparsi con attenzione particolare delle questioni dei lavoratori: nel 1911 era diventato propagandista dell'Unione cattolica del lavoro con Umberto Tupini; lo stesso anno, in seno al secondo congresso cattolico romano (6-7 maggio 1911), il C. proponeva l'istituzione di circoli giovanili formati su base professionale ma senza trovare l'appoggio dell'assemblea, preoccupata più di irrobustire il discorso unitario che della valorizzazione delle esperienze specifiche; ancora in tal senso si caratterizzava la sua azione in seno al Consiglio superiore, sino alla riforma che, nell'immediato dopoguerra, in un clima politico profondamente mutato, finì per realizzare gran parte dei suoi progetti. Nel 1918 fu tra i promotori e i primi dirigenti della Confederazione italiana dei lavoratori, il coronamento degli sforzi del sindacalismo bianco nell'età giolittiana e, per il C., la realizzazione di un progetto accarezzato da lunghissimo tempo.
Nel 1912, in un suo articolo apparso su Noi giovani, una pubblicazione della Federazione giovanile romana, sosteneva la necessità di un "serio lavoro per la organizzazione cristiana dei proletariato romano" e le gravi conseguenze che derivavano dalla mancanza di organizzazioni operaie di ispirazione cristiana e la necessità di iscrizione alla Camera del lavoro. Concludeva con un appello: "Dimostriamo invece con i fatti che sentiamo potente la necessità di organizzarci per tutelare i nostri diritti di lavoratori, troppo spesso, ancora oggi, calpestati, e che non intendiamo davvero godere delle conquiste degli altri. Ma diciamo anche forte, molto forte, che non vogliamo e non possiamo combattere sotto quelle bandiere che sono segnacoli di lotte fratricide e non di conquiste civili; che non vogliamo e non possiamo dare il nostro contributo a quelle Associazioni e a quegli uomini che del popolo si servono come sgabello per salire e che hanno per fine ultimo la scristianizzazione della Società" (Un dovere nuovo per i Circoli giovanili operai, in Noi giovani, numero unico, 1912, p. 4). In seno alla Società della gioventù cattolica divenne ben presto l'uomo dì fiducia del presidente, Pericoli, e mostrò tutte le sue doti di uomo di azione e di intelligente esecutore. Negli stessi anni si formò una famiglia sposando Margherita De Vita, dalla quale ebbe due figli, Giuliana e Mario.
La riorganizzazione dell'Azione cattolica, voluta da Pio XI e completata nell'ottobre del 1923 con l'approvazione dei nuovi statuti, portò alla nascita della Federazione italiana degli uomini cattolici. Il pontefice chiamò a dirigerla il C. che aveva dato ottima prova di capacità organizzative e di atteggiamenti prudenti di fironte alle direttive vaticane nei lunghi anni trascorsi alla segreteria generale della Società della gioventù cattolica.
La Federazione veniva a rispondere a tre esigenze: quella di rappresentare lo sviluppo naturale dell'associazionismo cattolico per l'età adulta; quella di accogliere uominie compiti della disciolta Unione popolare cattolica; infine quella di.organizzare una presenza dei cattolici nella situazione politica e culturale che fosse più docile e meno imbarazzante di quella del Partito popolare, fino a sostituirla completamente. Questo nuovo compito segnò una svolta profonda nella vita del Ciriaci. Egli aveva partecipato, nel 1919, al primo congresso del Partito popolare con l'entusiasmo di chi vedeva realizzarsi un'organizzazione dei cattolici nella vita politica, così come la Confederazione italiana dei lavoratori aveva rappresentato quella lungamente preparata per il mondo del lavoro. Probabilmente non giovò ad entrambe l'essere nate "troppo laiche" o almeno poco docili ai voleri della Curia romana, così che il "papalino" C. non avvertì contraddizioni tra il suo primo entusiasmo e il progressivo raffreddamento che ne seguì fino al definitivo distacco. Il disegno di esautorazione del Partito popolare che passava attraverso la creazione della Federazione degli uomini cattolici lo trovò consenziente così come negli anni successivi lavorò alacremente, insieme con il presidente generale dell'Azione cattolica italiana Luigi Colombo, per la creazioine delle sezioni professionali nelle associazioni e nei circoli cattolici, con compiti anche di tutela per i problemi del lavoro, che significò l'abbandono della C.I.L. di fronte alla progettata egemonia fascista del mondo del lavoro.
Lo statuto della Federazione fissava in quattro punti gli obiettivi che essa si proponeva: a) la formazione morale e religiosa degli iscritti; b) la loro educazione sociale e civile secondo gli insegnamenti della Chiesa; c) la difesa della libertà religiosa; d) la testimonianza e la propaganda dei principi cristiani. Nei primi anni dellasua presidenza, la Federazione ebbe una crescita assai rapida tanto che, nel 1929, contava oltre 3000 circoli e 100.000 tesserati; i collegamenti erano assicurati da un organo di stampa intitolato Noi uomini affiancato prima da un Bollettino e poi, a partire dal 1936 e sempre per volontà del C., dalla rivista Azione sociale.
Nel 1929 Pio XI lo nominò presidente generale dell'Azione cattolica, in sostituzione di Luigi Colombo. Tre iniziative rimangono legate all'attività del C. negli anni della presidenza dell'A.C.I.: l'istituzione della "giornata per il quotidiano cattolico" per una raccolta di denaro e un'azione di propaganda in favore della stampa promossa o legata all'Azione cattolica; la realizzazione dell'edizione romana de L'Avvenire d'Italia con il proposito di giungere più facilmente in tutte le regioni centromeridionali d'Italia e il passaggio del controllo sul giornale nelle mani. della stessa A.C.I.; la istituzione dei Centro cattolico cinematografico, in sintonia con le direttive esposte da Pio XI nell'enciclica Vigilanti cura.
Sin dal 1929 Pio XI lo aveva nominato direttore della Tipografia poliglotta vaticana. Nel corso del 1936 il C. fu colpito da una gravissima malattia che si era manifestata durante la, primavera e che in pochi mesi lo portò alla morte. Il 31 maggio di quell'anno fu presente alla festa celebrativa dell'ottantesimo genetliaco del pontefice ed alla assemblea nazionale delle giunte diocesane d'Italia, durante la quale tenne una relazione che riassumeva' il cammino percorso dall'Azione cattolica a partire dai patti del Laterano (prevalentemente dedicata agli aspetti interni della vita della organizzazione ma con qualche accenno anche alla situazione del paese: la resistenza all'assedio economico, l'eroismo dimostrato nella guerra d'Etiopia appena conclusa, il coraggio civile del popolo sembravano essere, per il C., "il collaudo storico di quella rinnovata vita nazionale e di quella restaurata unità spirituale che or sono sette anni i Patti Lateranensi hanno provvidenzialmente consacrato"). Un bilancio estremamente positivo quello che egli presentava ai dirigenti diocesani dell'A.C.I. tenendo presente le difficoltà dei tempi e la grande prudenza che aveva caratterizzato la presenza dell'organizzazione, soprattutto dopo i fatti del 1931 e le tensioni che ne erano seguite col regime. Un bilancio che non faceva nessuna superflua concessione alla "provvidenzialità" del regime fascista e che costitui una lezione di misura per molti contemporanei.
Morì il 3 sett. 1936, nella sua casa entro la Città del Vaticano e fu sepolto all'intemo delle mura vaticane, nella vicina chiesa di S. Anna.
Bibl.: Il Boll. ufficiale dell'Azione cattolica ital. dedicò quasi interamente il suo numero di ottobre 1936a rievocare la figura dei Ciriaci. La stessa cosa accadde per la rivista dell'Unione uomini, L'Azione sociale, per il numero dell'ottobre 1936. La stessa Unione, per mano di A. Rovigatti, commemorò il suo presidente con un libretto che divenne il testo celebrativo ufficiale per tutta l'Azione cattolica: era intitolato A. C., Roma 1936. Articoli sulla figura e sull'opera del C. furono pubblicati dall'Osservatore romano (4 e 7 ott. 1936)e da L'Avvenire d'Italia (4 e 5 sett. 1936). Accenni alla sua attività si trovano in F. Magri, L'Azione cattol. in Italia, milano 1953, pp. 415-419, 437;nella stessa opera, un quadro molto sintetico dei lavoro svolto dalle diverse organizzazioni collegate all'A.C.I. nel periodo della sua presenza in quell'organizzazione, è alle pp. 383-389 e 409-474del primo volume e alle pp. 117-120del secondo. Per un inquadramento dei problemi del mondo cattolico negli anni dell'attività pubblica del C., con attenzione particolare rivolta alla organizzazione dei giovani, cfr. La "Gioventù cattolica" dopol'Unità. 1468-1968, a cura di L. Osbat-F. Piva, Roma 1972, pp. 3-137, 205-238.Sulla Unione degli uomini di azione cattolica cfr. A. Bozuffi, I nostrivent'anni, Roma 1942.