atto (sostant.)
È assai frequente in tutte le opere di D., in poesia e in prosa, in varie accezioni corrispondenti ai valori semantici di actio e actus e in concorrenza con ‛ operazione ' (vocabolo anch'esso assai frequente, a cui si rimanda). In D. e nei contemporanei a., nel suo più ampio significato lessicale e filosofico, indica l'espressione e la realizzazione delle possibilità dell'essere a tutti i livelli.
1. Nel senso generico di " azione " (quest'ultima voce non si trova in D.) è in If V 18, ove atto di cotanto officio è l'azione del giudicare che svolge Minosse, e in Pg III 11 (ad ogn'atto); in Pd I 52 si riferisce al guardare di Beatrice e, di riflesso, al guardare di D., così come in X 39 indica l'istantaneo salire di lei (che l'atto suo per tempo non si sporge); in Rime LVIII 8, LXX 11; in Cv I VIII 14 (tre volte), 15 e 17, II VII 8. Ancora, lo stesso senso generico di " azione " ha al plurale, in Pg XXVI 88 Or sai nostri atti e di che fummo rei, Pd XIX 73 e tutti suoi voleri e atti buoni, Cv III XIV 8 li filosofi eccellentissimi ne li loro atti, IV VI 3 e 5, VIII 1, XX 7, XXIV 8, XXV 2 Rimuovi da te la mala bocca, e li altri atti villani siano di lungi da te (parole di Salomone [cfr. Prov. 4, 24] liberamente tradotte da D.: " Remove a te os pravum, et detrahentia labia sint procul a te ") e, poco più oltre, XXV 9 Nullo atto è laido, che non sia laido quello nominare; D. rimanda per questa frase al I libro del De Officiis, dove però Cicerone dice: " quodque facere turpe non est, modo occulte, id dicere obscenum est " (I XXXV 127).
Con un senso più particolare, a. vale spesso " atteggiamento ", " contegno ", come in If IX 39, a proposito delle Furie che membra femmine avieno e atto, in XXI 32 riferito al diavol nero che è ne l'atto acerbo, in XXIII 29 ai pensieri che attraversano la mente di Virgilio, in Pg X 38 e 43 alle figure dell'angelo e di Maria scolpite nel marmo: il primo intagliato in un atto soave, l'altra che avea in atto impressa esta favella; e ancora in Pg XV 88 con atto / dolce di madre, XXIX 135 in atto onesto e sodo, cioè con un " contegno " dignitoso e austero, XXX 70 regalmente ne l'atto ancor proterva, Pd XXXI 62 in atto pio / quale a tenero padre si convene Rime LXXI 1 e 12; Vn XXII 9 8 perch'io vi veggio andar sanz'atto vile; Cv II XII 6 e non la poteva imaginare in atto alcuno se non misericordioso. In questo stesso senso a. è usato spesso al plurale, equivalendo a " modi ", " atteggiamenti ", " espressioni ": Pg IV 121 Li atti suoi pigri e le corte parole; VII 88 Di questo balzo meglio li atti e' volti / conoscerete voi di tutti quanti; X 138, XII 82, XIII 56, XXXI 131; Pd XIV 21 levati la voce e rallegrano li atti; XXXI 51 e ancora in Vn II 10, XXI 8, XXVI 13 12 è ne li atti suoi tanto gentile, e 15, XXXV 5 3 li atti e la statura / ch'io faccio per dolor; Rime LXIX 10, LXXVII 8, LXXXIII 63 e 109, XC 32, CIII 2, Cv III VII 10, XIV 12, IV Le dolci rime 5, II 4; v. anche Fiore C 13.
Nel senso di " gesto ", " segno ", " movimento " in genere, si trova in If XXIII 88 Costui par vivo a l'atto de la gola; Pg XXIV 27 sì ch'io però non vidi un atto bruno, cioè nessun " segno " di scontento; XXV 14; Pd III 94 così fec'io con atto e con parola (per l'accostamento con parola' cfr. anche XVIII 54 o per parlare o per atto, e XXX 37 con atto e voce di spedito duce), XVIII 35 quello ch'io nomerò, lì farà l'atto / che fa in nube il suo foco veloce, XX 7 e questo atto del ciel mi venne a mente.
Infine, con altri sensi più determinati : in Pd v 30 a. è l' " espressione " della libera volontà di chi fa voto (ché, nel fermar tra Dio e l'omo il patto, / vittima fassi di questo tesoro, / tal quale io dico; e fassi col suo atto); in VII 33 riguarda l'incarnazione del Verbo che è " opera " dello Spirito Santo ([il Verbo] la natura, che dal suo fattore / s'era allungata, unì a sé in persona / con l'atto sol del suo etterno amore), e poco più oltre, al v. 46, indica il " fatto ", l' " evento " della crocifissione che produsse effetti diversi (però d'un atto uscir cose diverse); in XXIX 48 indica, con pregnanza filosofica, l' " aspetto " dell'oggetto sensibile comune (in questo caso i candelabri che prima sembravano alberi) : ma quand'i' fui sì presso di lor fatto, / che l'obietto comun, che 'l senso inganna, / non perdea per distanza alcun suo atto... Nel senso di " atto della volontà divina " è variante di esser, in Pd XXIX 23 usciro ad atto che non avia fallo (cfr. Petrocchi, ad l.).
2. La dottrina filosofica dell'a. e della potenza (v.) è stata elaborata da Aristotele ed è ricorrente nelle opere dello stagirita, costituendo uno dei cardini della sua interpretazione della realtà.
La terminologia aristotelica è alquanto oscillante: l'a. come realizzazione di una possibilità è designato generalmente con ἐνέργεια, ma anche, frequentemente, con ἐντελέχεια (cfr., ad es., la definizione di ‛ anima ' in Anima II 1, 412a 23 e b 5, ἐντελέχεια ἡ πρότη e in Metaph. VIII 3, 1043a 35, ούσία χαὶ ἐνέργεια), sebbene tra i due termini Aristotele stesso ponga talora una distinzione, nel qual caso ἐντελέχεια designa l'azione o attività con cui si giunge alla realizzazione piena di una possibilità e ἐντελέχεια questa stessa pienezza e perfezione (cfr. Metaph. IX 3, 1047a 30, "ἡ ἐνέργεια… ἡ πρὸζ τὴν ἐντελέχειαν ϭυντιϑεμένη" e 8, 1050a 23 "ἐνέργεια… ϭυντείνει πρὸζ τὴν ἐντελέχειαν").
Da questa distinzione aristotelica dei due termini ἐνέργεια ed ἐντελέχεια deriva che il primo di essi si trova spesso in rapporto vuoi con χίνησιζ (movimento, mutamento, del quale è usato come sinonimo: Metaph. IX 3, 1047a 30-33, in part. 33, " δοχεῖ γὰρ ἡ ἐνέργεια μάλιϭτα ἡ χίνησιζ εἰναι "; XI 9, 1065b 16, "ἐνέργειαν λέγω χίνησιζ ", cfr. anche Phys. VII 1, 251a 9, dove χίνησιζ però è definita "ἐντελέχεια τοῦ χίνητοῦ ἡ χίνητον"), vuoi con ἔργον, insieme operazione ed effetto di essa (Metaph. IX 8, 1050a 21- 23 " τὸ γὰρ ἔργον τέλοζ, ἡ δὲ ἐνέργεια τὸ ἔργον, διὸ χαὶ τοὒνομα ἐνέργεια λέγεται χατὰ τὸ ἔργον"; cfr. anche il prosieguo del testo, 1050a 25 ss., dove Aristotele distingue da ciò il cui risultato è la produzione di qualcosa d'altro, quello il cui fine è l'uso [χρῆϭιζ] come per la vista la visione, per il pensante il pensiero, per l'anima la vita : queste non hanno alcun effetto oltre all'essere in a. [ibid. 34-35 " μὴ ἔοτιν ἄλλο τι ἔργον παρὰ τὴν ἐνέργειαν]).
Per quanto riguarda ἐντελέχεια, Aristotele invece, in Anima II 1, 412a 22 ss. afferma : " αὕτη δὲ λέγεται διχῶζ ἡ μὲν ὡζ ἐπιστἡμη, ἡ δ᾽ὡζ τὸ ϑεωρεῖν". L'anima è a. primo rispetto alle sue operazioni come lo è la scienza (che è habitus, ἒξιζ) rispetto al pensiero in atto.
Di qui la distinzione tra a. ‛ primo ' e a. ‛ secondo ': il primo è la forma di un essere, il secondo la sua operazione (cfr. Alb. Magno Anima II I 1, 192a " Et hoc est duplex, quorum unum sequitur alterum: unum est enim actus primus qui est esse: et aliud est actus secundus qui est actio essentialis secundum illud esse "; s. Tommaso Comm. de anima II, lect. I e Sum. theol. I 48 5 c ecc.).
Essendo questi i valori fondamentali della terminologia aristotelica relativa alla dottrina dell'a., va segnalato che sono spesso sinonimi di esso εἲδοζ, μορφή, λόγοζ, τὸ τί ήν εῖναι, οὐσία ma anche πρᾶξιζ eχρῆσιζ; sono invece suoi opposti δύναμιζ (potenza) e ὓλη (materia).
Per Aristotele duplice è l'a.: imperfetto, misto a potenza, o perfetto e determinato (ἐνέργεια ἀφωρισμένη) come lo è la forma sostanziale realizzata rispetto alla materia (Metaph. IX 6, 1048b 5-9). E se la materia, che è potenza, nelle sostanze sensibili individua l'a. (VIII 2, 1043a 12s.), l'a. è migliore della potenza (IX9, 1051a 4 e 15); anzi, Metaph. IX 8 illustra in quanti modi l'a. sia primo (cfr. anche Interpr. 23a 22 ss.) e superiore a essa: logicamente, talora cronologicamente, per essenza (cfr. anche Metaph. XII 6, 1071b 10ss.) e per dignità. Perciò dalla potenza all'a. si passa solo ad opera di qualcosa che sia già in a. (IX 8, 1049b 24 ss.). Perciò, anche, Aristotele definisce Dio, motore immobile, a. per eccellenza, che ha la vita in sé stesso (XII 7, 1072b 25-30) non contaminato da altro, pensiero di sé stesso (9, 1074b 33 ss.).
La dottrina aristotelica dell'a. è stata recepita dalla cultura medievale. I termini ἐνέργεια - ἐντελέχεια sono stati resi, nelle traduzioni latine dal greco, in genere con actus (già Boezio aveva reso ἐνέργεια con actus nella traduzione degli scritti logici). Ma, in particolare, ἐντελέχεια è resa qualche volta con entelechia (cfr. Aristotelis Phys., trans. vat., " Aristoteles latinus " VII, 2, ad indicem, e l'uso che di questo termine fa Alberto Magno in Metaphysica), mentre nelle traduzioni dall'arabo l'equivalente è reso con perfectio (cfr. Avicenna, Livre des directives et remarques, pp. 425-426 n., e Averrois Commentarium magnum in Arist. de anima p. 137 " debet adiungi in diffinitione quod anima est prima perfectio "; ambedue le tradizioni sono testimoniate da Alberto Magno Anima cit.: " Species autem est endelechia: hoc autem Latine sonat actus vel perfectio, quae dat esse specificum substantiale, secundum quod homo vel asinus dicitur aliquid ". In definitiva, si può affermare che perfectio, actus, forma sono in genere " termini perfettamente equivalenti nel linguaggio medievale " (B. Nardi, D. e la cultura medievale, p. 117).
Il termine volgare a. conserva la ricchezza e la pregnanza dei vari significati di cui è portatore il corrispondente latino nella cultura del tempo di Dante. Ed è da tenere presente l'articolazione della dottrina aristotelica al fine di comprendere alcune particolari occorrenze.
Oltre al rapporto potenza-a. cui D. si richiama in Vn XX 6 e 8 (potenzia si riduce in atto), Cv I X 9 (in cui D. afferma di realizzare in quest'opera le possibilità del volgare : quello elli di bontade avea in podere e occulto, io lo fo avere in atto e palese ne la sua propria operazione), e Pg XVIII 21, XXV 84, vi sono nelle opere dantesche alcuni gruppi di occorrenze in cui la dottrina dell'a, è presente in modo determinante.
Dio e il mondo. - In Pd XXIX 33-35 Beatrice spiega a D. che l'azione creatrice di Dio ha avuto un triplice effetto : da un lato ha dato l'essere agli angeli, pure forme o intelligenze separate (v. 33 in che puro atto fu produtto) che occupano il gradino più alto nella gerarchia degli esseri creati; altro effetto è stato la pura potenza o materia prima che tenne la parte ima della creazione, occupando il mondo sublunare; mentre tra pura potenza e puro a. sono collocati i cieli, composti di potenza e a. legati tra loro da vincolo indissolubile, e perciò incorruttibili (vv. 35-36 nel mezzo strinse potenza con atto / tal vime, che già mai non si divima); che a. e ‛ forma ' siano per D. sinonimi risulta dal confronto del v. 33 (‛ a. puro ') con il v. 22 (Forma e materia, congiunte e purette), e da Cv IV XI 4 l'oro, le margherite e li campi perfettamente forma e atto abbiano in loro essere (per il luogo, cfr. Boezio Cons. phil. II pr. 5); è da notare inoltre che " l'espressione ‛ puro atto ' per indicare le intelligenze separate è di conio averroistico " (B. Nardi, La filosofia di D., p. 1173), mentre di Dio si dice che in lui è sommo atto (Cv III XII 12) : Dio è a. per eccellenza (cfr. Anselmo d'Aosta Monologion c. 16: ciò che è in Dio è Dio stesso) dal quale tutto ha tratto origine, anche gli a. puri '. In Pd XIII 62, s. Tommaso, esponendo la dottrina della creazione, afferma che la luce della bontà del Verbo non è comunicata direttamente al mondo sublunare, ma tramite i cieli : essa discende all'ultime potenze giù d'atto in atto (di cielo in cielo, come si ricava dai vv. 65-66 le cose... che produce / con seme e santa seme il ciel movendo : cfr. Buti: il cielo è chiamato a. perché " ciascuno è attivo et àe a fare l'atto suo et operare la virtù sua che li è infusa da quelli di sopra ") in modo da formare brevi contingenze (esseri corruttibili; v. CONTINGENZA).
A. primo e secondo. - In Cv III VI 11, D. riprende dal secondo libro del De Anima di Aristotele che l'anima è atto del corpo, e aggiunge : e se ella è atto, è sua cagione (per il rapporto a.-cagione, v. CAGIONE); così pure in XXX 48, dove il significato è quello precisato di ‛ a. primo '. Altrove invece D. usa a. nel senso di ‛ a. secondo ', anche se questa espressione non ricorre mai nelle sue opere (ricorre invece l'espressione ‛ perfezione seconda '; v. PERFEZIONE) : II VII 3 Onde, quando si dice l'uomo vivere, si dee intendere l'uomo usare la ragione, che è sua speziale vita e atto de la sua più nobile parte, e 4 Dirittamente dico, però che lo pensiero è proprio atto de la ragione (come il vedere è a. proprio della vista : cfr. Pd XXVIII 110, ove si parla della visione beatifica : Quinci si può veder come si fonda / l'esser beato ne l'atto che vede; e XXIX 139); Cv IV IX 5 operazioni che essa [la ragione] considera e fa nel proprio atto suo, le quali si chiamano razionali, e 7 Sono anche operazioni che la nostra [ragione] considera ne l'atto de la volontade, dove a. della volontà ' è da intendere come l'a. altrettanto vitale (‛ a. secondo ') per essa quanto quello della ragione lo è per la ragione.
Analogo è il discorso per III XIII 6 Onde quando l'anima nostra non hae atto di speculazione, non si può dire veramente che sia in filosofia, se non in quanto ha l'abito di quella e la potenza di poter lei svegliare: la conoscenza filosofica abituale sta a quella attuale (§ 7 ispeculazione attuale... atto della speculazione, e III XIV 11 dove la filosofia è in atto) come l'anima sta alle sue operazioni, l'a. primo al secondo (cfr. s. Tommaso Sum. theol. I II 49 3 ad 1 " habitus est actus quidam, inquantum est qualitas : et secundum hoc potest esse principium operationis. Sed est in potentia per respectum ad operationem. Unde habitus dicitur actus primus et operatio actus secundus "): D. spiega che chi attualmente non filosofa è filosofo in quanto ne ha l'abito; aggiunge infatti (Cv III XIII 8) : Veramente, sempre è l'uomo che ha costei [la filosofia] per donna da chiamare filosofo, non ostante che tuttavia non sia ne l'ultimo atto di filosofia, però che da l'abito maggiormente è altri da denominare.
Il testo pone un problema, non attinente alla dottrina metafisica dell'a., ma squisitamente logico-grammaticale : il problema dei termini paronimi o denominativi, di quei nomi cioè che derivano da altri (detti nomi principali, dai quali si differenziano per la parte terminale. Posto da Aristotele in Cat. I, 1a 12-15, il problema è così illustrato da Boezio In Arist. Cat., P.L. 64, c. 168: " Tria sunt autem necessaria ut denominativa vocabula constituantur: primus ut re participet, post ut nomine, postremo ut sit quaedam nominis transfiguratio, ut cum aliquis dicitur a fortitudine fortis, est enim quaedam fortitudo quae fortis illa participet, habet quoque nominis participationem, fortis enim dicitur. At est quaedam transfiguratio, fortis enim et fortitudo non eisdem syllabis terminantur ". Esso ha costituito un tema spesso scottante per i filosofi medievali: si ricordi il De Grammatico di Anselmo d'Aosta, in cui ci si chiede che cosa significhi ‛ grammaticus ', se uomo o grammatica, e la disputa sui nomi divini e su deus-deitas nel secolo XII, fino all'interpretazione che del rapporto tra nomi concreti e astratti ha dato Guglielmo d'Occam al secolo XIV.
D., nel rifarsi alla dottrina della denominazione, afferma che chi, per dirla in termini boeziani, ‛ partecipa ' della filosofia, in quanto scienza o habitus, ne assume il nome. Ma D. stesso s'era richiamato a questa tematica in Cv III XI 6, dove però il termine ritenuto principale dalla tradizione logica boeziana è posto come denominativo e viceversa secondo la tradizione dei grammatici (cfr. Prisciano Inst. gramm. IV, in H. Keil Grammatici Latini, II, pp. 117-118): Da questo nasce lo vocabulo del suo proprio atto, Filosofia, sì come de lo amico nasce lo vocabulo del suo proprio atto, cioè Amicizia. Sulla possibilità di trovare usato il nome dell'a. o della passione per designarne l'oggetto (termine) : talvolta l'uno e l'altro termine de li atti e de le passioni si chiamano e per lo vocabulo de l'atto medesimo e de la passione (sì come fa Virgilio nel secondo de lo Eneidos, che chiama Enea [a Ettore] : " O luce ", ch'è atto, e " speranza de' Troiani ", che è passione...), Cv III XI 16.
Agire umano. - In Cv III VIII 7 l'ultima potenza de la materia, la qual è in tutti quasi dissimile, quivi si riduce in atto; la materia, insegna Aristotele, individua l'a. e si realizza massimamente nel viso dell'uomo (quivi) rendendo ogni viso dissimile dagli altri, perché nel viso l'anima è massimamente in atto. Ma non solo il viso, bensì tutto il portamento dell'uomo esprime la sua natura razionale : III VII 8 nel parlare e ne li atti che reggimenti e portamenti sogliono essere chiamati. Onde è da sapere che solamente l'uomo intra li animali parla, e ha reggimenti e atti che si dicono razionali; cfr. anche § 9 alcuna bestia fa atti o vero reggimenti : in queste occorrenze, a. vale insieme portamento-comportamento e a. vitali o vita in a., nel senso aristotelico precisato di ‛ a. secondo '. Così anche in Vn XIX 7 17 meraviglia nell'atto che procede d'un'anima, meraviglia in a., vivente. E poiché tutto ciò che passa dalla potenza all'a. lo fa grazie a un ente in a., D. afferma in Vn XXI 5 e 6 che gli a. della donna hanno il potere di richiamare in a. le virtualità positive dell'uomo e realizzare in lui Amore. Lo stesso discorso va fatto per la ‛ donna ' di Cv III Amor che ne la mente, in cui discende la virtù divina (v. 37) e che mostra ciò ne li atti sui (v. 40; III VII 11 e XIV 11); cfr. infatti al v. 45 Li atti soavi ch'ella mostra altrui / vanno chiamando Amor ciascuno a prova; III XIV 12 accende amore dovunque ella si mostra, con la suavitade de li atti; VII 13 E suoi atti... fanno amore disvegliare e risentire là dovunque è de la sua potenza seminata per buona natura. In tutti questi luoghi, a. è anche ‛ azione causale ', altrove D. specifica che l'azione causale (‛ atto ') va ricevuta da un ‛ paziente ' ben disposto : cfr., oltre alla ‛ buona natura ' di Cv III VII 13 cit., II IX 7 (due volte) e IV XX 7 (per cui v. AGENTE; CAGIONE). Come si può rilevare, nel contesto di D. è impossibile separare un valore dall'altro del termine ‛ atto '.
Più semplici le altre occorrenze : in Pg XVIII 21 Virgilio spiega che l'animo umano, dotato di facoltà appetitiva, è pronto ad amare tutto ciò che piace, non appena sia richiamato in a. dal suo oggetto, il piacere (tosto che dal piacere in atto è desto); in XXV 84 Stazio dice che dopo la morte le facoltà superiori dell'anima (memoria, intelligenza e volontà) sono in atto molto più che prima agute, attive molto più che durante la vita " perché non sono impedite da alcuna virtù naturale e sensitiva " (Ottimo), mentre le altre facoltà, sfornite di organi, sono tutte quante mute (v. 82), allo stato di pura potenza.
Bibl. - Si tralascia l'indicazione delle opere di carattere generale sulla dottrina dell'a. e ci si limita a dare gli estremi di quelle citate: Alberto Magno, De Anima, in Opera omnia, ed. A. Borgnet, v, Parigi 1890; Id., Methaphysica, ed. B. Geyer, I-II, Monasterii Westf. 1960-64; Averroè, Commentarium magnum in Aristotelis de anima libros, ed. F.S. Crawford, " Corpus Commentariorum Averrois in Aristotelem ", VI, I Cambridge Mass. 1953; IBN Sinã (Avicenna), Livres des directives et remarques, trad. A.M. Goichon, Beyrouth-Parigi 1951; B. Nardi, D. e la cultura medievale, Bari 19492; ID., La filosofia di D., in Grande Antologia Filosofica, IV, Milano 1954, 1173-74; Anselmo, Monologion, in Opera omnia, ed. F.S. Schmitt, I, Edimburgo 1946, 30-31; D. P. Henry, The De grammatico of St. Anselm. The Theory of Paronymy, Notre Dame Ind. 1964; M.-D. Chenu, La théologie au douuième siècle, Parigi 1957, 100-107.
Alfonso Maierù