MOZARABICA, Arte
Per arte m. si intende convenzionalmente l'arte cristiana prodotta nella penisola iberica fra il tardo 9° e l'11° secolo. L'aggettivo deriva dal termine spagnolo mozárabes (dall'arabo musta'rib 'arabizzato'), con cui nella zona cristiana della Spagna, a partire almeno dal 1024 (Gómez-Moreno, 1919, p. 123), venivano indicati i cristiani che vivevano sotto la dominazione musulmana.Come termine di uso comune per indicare un periodo dell'arte spagnola, l'aggettivo mozarabico ebbe origine con Gómez-Moreno (1913; 1919), il quale, pur essendo consapevole del fatto che l'arte in questione fosse debitrice delle precedenti tradizioni visigotiche e asturiane, concludeva che poiché "la più specifica [delle influenze] fu quella andalusa, e poiché questo contributo e quello visigotico erano di importazione mozarabica, ne deriva logicamente che essa debba essere definita [arte mozarabica]" (Gómez-Moreno, 1913, p. 100).Gómez-Moreno (1919) andò oltre gli usuali parametri di uno studio storico-artistico per documentare la mozarabizzazione della cultura spagnola del tempo e sottolineò ancora più enfaticamente il debito nei confronti dell'Andalusia. Gli elementi artistici dell'arte m. di cui egli rintracciò l'origine andalusa erano essenzialmente architettonici e comprendevano archi a ferro di cavallo, con un'apertura ancora più ampia rispetto all'arco visigotico, cupole a melone, mensole cilindriche, alfiz (modanatura rettangolare che incornicia un arco), merlature a gradini, impiego dello stucco e di alcune peculiari formule ornamentali. Dal momento che alcuni di questi stessi motivi erano presenti nella pittura, negli avori e nei lavori di oreficeria cristiana, anche queste manifestazioni artistiche furono comprese nell'arte mozarabica.Sebbene Gómez-Moreno (1919) avesse costruito il suo concetto di arte m. attorno alla circostanza storica dell'emigrazione dei mozarabi verso il León e la Castiglia, la presenza di alcune di queste formule islamiche nella contemporanea arte della Catalogna - principalmente l'arco a ferro di cavallo - giustificava per lui l'inclusione di questa regione nella geografia dell'arte mozarabica. Gli studi più importanti sull'arte m. successivi a quelli di Gómez-Moreno hanno accettato le sue ipotesi (Schlunk, 1965; Fontaine, 1977; Regueras, 1990; Noack-Haley, 1992), fino al tentativo (Caballero Zoreda, 1994-1995) di modificare la tradizionale cronologia e di considerare come successive all'invasione, e dunque influenzate dall'arte islamica, molte chiese comunemente datate al periodo visigoto.Se assunta in senso letterale la categoria di mozarabico è tuttavia problematica, poiché quasi tutti gli edifici e gli oggetti discussi da Gómez-Moreno (1913; 1919) vennero prodotti da cristiani che vivevano al di fuori dei territori di dominazione musulmana, da individui la cui formazione culturale andalusa non è facilmente documentabile. Una definizione alternativa, quella di arte de la repoblación (Camón Aznar, 1963; Bango Torviso, 1974), riduce, almeno implicitamente, il debito verso la cultura islamica, con uno slittamento che diviene più evidente nella definizione di 'arte neogota' (Bango Torviso, 1974; Dodds, 1990). D'altro canto, pur non negando l'uso di elementi islamici, Werckmeister (1982) oppone alla suggestione connessa con il mettere in evidenza i prestiti islamici la circostanza che i mozarabi furono indifferenti al lato anti-cristiano della cultura andalusa.Meno problematico è l'uso del termine mozarabico per i monumenti costruiti in Andalusia, sebbene sia trascurabile il numero di quelli di qualche valore artistico. Uno tra i tanti edifici rupestri è la chiesa di Bobastro, nelle Mesas de Villaverde, nei pressi di Malaga (Puertas Tricas, 1979), talvolta identificata con la roccaforte del ribelle musulmano ῾Umar Ibn Ḥafsūn (m. nel 917). Essa presenta un presbiterio tripartito con absidi laterali rettangolari e abside centrale la cui pianta disegna oltre i 3/4 di una circonferenza; lo stesso profilo marcatamente a ferro di cavallo compare nelle arcate, secondo una prassi che si ritrova anche nelle regioni cristiane del Nord e in particolare nella chiesa di San Miguel de Escalada nel León (912-913).Più problematica è Santa María di Melque, a km 36 a S-O di Toledo. Sebbene si sia cercato di riconoscervi un edificio religioso precedente all'invasione (Caballero Zoreda, Latorre Macarrón, 1980) e sebbene la pianta cruciforme e la muratura a conci abbiano senza dubbio paralleli visigoti, le modanature e in particolare la decorazione a fogliami realizzata in stucco, un materiale altrimenti sconosciuto nell'architettura visigota, sembrano confermarne l'identità mozarabica; pertanto l'edificio acquista il valore di eccezione rispetto alle norme musulmane contro la costruzione di chiese (Garen, 1992).In grande maggioranza i monumenti classificati sotto la categoria di arte m. sono edifici creati nella zona cristiana libera della penisola iberica. Le fondazioni della prima metà del sec. 10° nel territorio leonese costituiscono un nodo cruciale per la formulazione dell'arte mozarabica. Esse sono infatti abbastanza numerose e così raggruppate cronologicamente da poter essere considerate come opere di una vera e propria scuola: San Román de Hornija (Valladolid), fondata nel 900 ca.; la chiesa dedicata ai ss. Giuliano e Basilisa di Sahagún (León), consacrata nel 935; San Miguel de Escalada; San Pedro de Eslonza, consacrato nel 912-913; San Cebrián de Mazote (Valladolid), fondato nel 915 ca.; San Martín de Castañeda, del 921 (perduto); Santa María di Wamba (Valladolid), la cui parte orientale si può riferire al 928 ca.; Santa María de Lebeña (Santander), costruita dopo il 924; Santiago de Peñalba (León), del 935-937.Le chiese di Sahagún, Escalada, Mazote e Castañeda sono documentate come fondazioni di monaci andalusi emigrati. Il carattere monastico di molti di questi siti contrasta con l'origine più curtense dei maggiori monumenti del precedente periodo asturiano, anche se alcune delle chiese di questo gruppo (Hornija, Sahagún) furono finanziate dal re delle Asturie e di León Alfonso III (866-910).La maggior parte di queste fondazioni, come le altre chiese mozarabiche, determina nell'osservatore l'evidente sensazione di un cambiamento stilistico che avesse investito l'ambiente per il culto, anche se la liturgia manteneva la sua forma. In ogni caso, i primi segnali della partecipazione mozarabica fanno la loro comparsa in edifici ancora asturiani sia per stile sia per datazione: è il caso per es. di San Adrián de Tuñon (Oviedo), nelle merlature a gradini dipinte nell'abside (891), e di San Salvador de Valdediós, nelle merlature a gradini, nell'alfiz che incornicia le finestre e nella formulazione 'islamica' dei tralci di vite nei capitelli del portico (893).Cambiamenti, non semplicemente di ordine estetico, fecero la loro comparsa lungo la frontiera leonese, con la realizzazione di chiese che avevano una concezione meno oscura dello spazio e una massa meno pesante. Tale alleggerimento fu favorito dalla sostituzione delle coperture a tetto con volte a botte nelle strutture basilicali. La diffusa presenza dei citati elementi di derivazione islamica accresce la sensazione di una nuova era culturale. Nel caso in cui, come a Escalada, i cambiamenti si estesero all'adozione di tecniche costruttive del tutto nuove - come la cupola a melone e gli archi con archivolti i cui giunti sono allineati a un punto posto al di sotto del centro della circonferenza dell'arco -, è difficile evitare la conclusione che vi fossero coinvolte maestranze educate in Andalusia. Alla stessa conclusione conduce l'impiego del nuovo materiale costituito dallo stucco. Anche quando il vocabolario ornamentale esprime motivi animali e vegetali che si ritrovano nelle fondazioni visigotiche, questi appaiono realizzati con un più sicuro senso del disegno e una più vivace esecuzione, mediante l'impiego dell'intaglio a scalpello, una tecnica islamica frequente nella decorazione cordovana a racemi dei secc. 9° e 10° e solo raramente presente nelle chiese visigotiche, come Santa Comba de Bande (Orense).Un nuovo approccio al disegno e all'intaglio dei capitelli diede vita a uno degli sviluppi più caratteristici, che ebbe origine a Hornija (Noack-Haley, 1991). Qui il maggior rispetto per la struttura del capitello corinzio di epoca tardoantica offre un parallelo con i capitelli islamici, ma negli esempi cristiani esso appare combinato con un approccio al disegno delle foglie che valorizza la superficie e per il quale non vi sono chiari modelli nei precedenti andalusi.A giudicare dalle occasionali sopravvivenze nelle chiese mozarabiche del territorio leonese (Santiago de Peñalba; San Miguel di Celanova), la pittura murale, un mezzo di espressione artistica che si sviluppò nella tradizione asturiana, sopravvisse anche in quella mozarabica, sia pure in forma semplicemente decorativa con l'utilizzo di motivi a intreccio e altri comuni motivi ornamentali (Regueras, 1990, pp. 47-48). I leoni dipinti nell'abside a Santa María di Wamba (Martín González, 1966) sono invece meno certamente di epoca mozarabica.Sebbene il debito verso le pratiche artistiche islamiche sia assai più difficile da rintracciare nei manoscritti prodotti in quest'epoca, nel campo degli studi sulla miniatura vi sono state tuttavia meno resistenze nei confronti del termine mozarabico. La Biblia Hispalense (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 13-1), prodotta a Siviglia nella metà del sec. 10°, dimostra nel suo vocabolario ornamentale che gli scriptoria autenticamente mozarabici, cioè quelli andalusi, dipendevano dal repertorio artistico dell'Andalusia (The Art of Medieval Spain, 1993, nr. 85). Se la medesima ispirazione islamica si può cogliere anche nei disegni dei profeti minori Michea (c. 161v), Nahum (c. 162v) e Zaccaria (c. 165v) - secondo una ragionevole conclusione che tuttavia è stata contestata (Werckmeister, 1963) -, essi costituiscono l'unica testimonianza conservatasi di uno stile islamico della figurazione umana nella pittura.Lo stile figurativo di ciò che rimane dei manoscritti per consuetudine definiti mozarabici - tutti eseguiti, a quanto sembra, in scriptoria cristiani ubicati nel territorio cristiano - è abbastanza differente. Questi libri miniati, prodotti nella regione leonese-castigliana nel corso del sec. 10°, aggiunsero un capitolo spettacolare alla storia della pittura medievale. Il primo esempio di lussuosa ostentazione di motivi ornamentali e iconografici è costituito dalla Bibbia prodotta nei pressi di León nel 920 (León, Arch. della cattedrale, 6). Il suo linguaggio figurativo è eclettico e reso con una maniera primitiva, anche se esuberante, che suggerisce l'assenza di una vitale tradizione miniatoria nel precedente periodo asturiano. Allo stesso tempo le sue pagine dei canoni non mostrano né il vocabolario ornamentale né, nei simboli, lo stile della Biblia Hispalense.La tradizione della Bibbia spagnola è rappresentata con maggiore ambizione in Castiglia nel monastero di Valeranica, il cui scriptorium era guidato dallo scriba e pittore Florentius. Nel 943 quest'ultimo produsse una Bibbia con almeno cento illustrazioni senza cornice dell'Antico Testamento. Essa sopravvive soltanto in pochi frammenti, ma una copia (León, Mus.-Bibl. de la Real Colegiata de San Isidro, 2), prodotta nel 960 nello stesso monastero, ne costituisce virtualmente una replica (The Art of Medieval Spain, 1993, nr. 108).La miniatura mozarabica è caratterizzata da una brillante policromia nelle vesti delle figure, che sono concepite senza alcun senso di plasticità. Questo stile raggiunse il suo culmine nell'illustrazione dei Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana (Williams, 1994). In contrasto con la chiara componente islamica nell'architettura mozarabica, è quasi impossibile dimostrare che vi sia stato un contributo islamico allo stile della miniatura mozarabica della Spagna settentrionale, oltre all'inclusione di motivi quali l'arco a ferro di cavallo e le merlature a gradini nelle rappresentazioni di edifici. L'iconografia, comunque, specialmente nelle composizioni che celebrano la Maestà, partecipa delle concezioni islamiche (Williams, 1994, I). Musicanti del tipo raffigurato sugli avori (Kühnel, 1971, nr. 33) vennero aggiunti alle corti celesti che rendevano omaggio a Cristo o all'Agnus Dei. Le iniziali miniate, d'altra parte, mostrano l'influenza di esempi carolingi, specialmente della scuola di Tours, e franco-sassoni.Nel periodo mozarabico si arricchirono anche i tesori delle chiese. Alla fine del sec. 10° la più grande croce della cristianità (Madrid, Mus. Arqueológico Nac.; Parigi, Louvre) venne probabilmente realizzata nel monastero aragonese di San Millán de la Cogolla (Logroño), la cui architettura rappresenta la scuola mozarabica (The Art of Medieval Spain, 1993, nr. 74). Il vocabolario vegetale e animale impiegato per evocare le glorie della creazione divina ricorda da vicino quello presente sui cofanetti islamici. A giudicare dagli oggetti superstiti, un maggior numero di lavori in metallo fu destinato all'arredo delle chiese, sebbene non in forme abbastanza ricche da rivaleggiare con gli oggetti in oro dei tesori reali di Oviedo, sotto i sovrani asturiani, o di León, sotto Ferdinando I (1035-1065). Una croce in ottone (León, Mus. Arqueológico Prov.) fu regalata a Santiago de Peñalba da Ramiro II re di León (931-950), che inoltre fece erigere una chiesa palatina, San Salvador, nella sua capitale (Williams, 1993).Una patena e un calice in argento dorato (Braga, Tesouro da Sé Primaz), con un'iscrizione che li lega al conte portoghese Menendo (m. nel 1008) e a sua moglie Toda, utilizzano un vocabolario mozarabico di uccelli e tralci di vite. Entrambi gli oggetti sono straordinariamente piccoli, probabilmente per essere incassati in una pisside islamica in avorio (Braga, Tesouro da Sé Primaz; The Art of Medieval Spain, 1993, nr. 73). Sebbene la sardonica non fosse usata in Andalusia, la forma a ferro di cavallo delle incorniciature argentee di alcune placche in sardonica (Madrid, Mus. Arqueológico Nac.), già nel tesoro di San Isidro a León e forse appartenenti a una pisside, non può non evocare l'ambiente culturale andaluso (The Art of Medieval Spain, 1993, nr. 120). Il più sorprendente oggetto liturgico di questo periodo, il grande calice di Santo Domingo de Silos (Mus. Arqueológico y de Historia Natural), che segna effettivamente la fine del periodo mozarabico, utilizza anch'esso largamente il motivo degli archi a ferro di cavallo (Gauthier, 1990).
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