Vedi MESOPOTAMICA, Arte dell'anno: 1961 - 1995
MESOPOTAMICA, Arte (v. vol. IV, p. 1049)
Dal periodo accadico al periodo neο assiro. - Plastica della dinastia di Accad. - Lo studio sistematico dell'ampia e assai dispersa documentazione glittica databile al periodo accadico, il ritrovamento di alcuni nuovi resti, pur sempre assai frammentarî, di opere a tutto tondo e a rilievo, in rame e in pietra, riferibili alle officine reali dell'età di Accad e il riordino e il riesame critico dei materiali scultorei, in maggioranza trovati a Susa, conservati al Louvre, hanno posto le basi per una rinnovata, anche se appena avviata, considerazione storica dell'elevatissima produzione plastica della grande dinastia di Sargon. Nell'ambito di questa considerazione sembrano, tuttavia, accertati due aspetti di maggiore rilievo. Da un lato, gli elementi profondamente innovativi dell'arte accadica non sono da datare agli inizî della dinastia, ma sono il frutto della progressiva operosità delle officine reali dei sovrani soprattutto della seconda e terza generazione di Accad, al tempo di Rimuš e Maništusu inizialmente e quindi negli anni di Naram-Sin, mentre nel regno di Sargon, ancora fortemente legato alla tradizione protodinastica, appena si percepiscono i primi fermenti della nuova concezione artistica. Dall'altro, questa concezione artistica, che si esprime in forme di plasticismo naturalistico, è certamente vincolata e dipendente da una serie di mutamenti ideologici che investono sia la regalità sia il mondo divino e pongono l'uomo come protagonista degli eventi della storia e la natura come scenario delle azioni umane e mitiche.
Benché siano pervenuti fino a noi pochi e frammentarî monumenti di questo tipo, è la stele di vittoria la tipologia scultorea più caratteristica del periodo, in cui, dapprima, si affermano la caratterizzazione individuale dei protagonisti, vincitori e vinti, e la predilezione dei duelli singoli rispetto alle scene più anonime e tipizzate della precedente età protodinastica e, successivamente, assumono particolare valore l'abolizione della costrittiva composizione tradizionale per registri sovrapposti, l'espressione dell'ambiente naturale attraverso particolari silvestri e soprattutto la definizione dei corpi in uno spazio non più astratto e geometrizzante. Così ancora al tempo di Sargon viene accolta la concezione della rappresentazione delle vittorie militari mediante la duplice raffigurazione del destino determinato in cielo e della battaglia verificatasi in terra, ma anziché il dio stesso che brandisce la paralizzante rete di Ningirsu, come nella Stele di Eannatum, è lo stesso grande Sargon che con la mazza in pugno serra la fatale rete divina che immobilizza e annienta i nemici davanti all'immagine in trono della dea Ištar, la patrona della dinastia di Accad e titolare del grande tempio Eulmaš della capitale. Al tempo dei due figli di Sargon, Rimuš e Maništusu, la tradizione della partizione del campo figurativo in registri permane, come dimostrano i frammenti della bella stele di Nāsirīya, ma comincia ad affermarsi quella particolare concezione formale dell'età accadica matura che si definisce del naturalismo sintetico, in cui l'impianto formale del naturalismo analitico della tarda età protodinastica giunge a maturazione e si raggiunge il risultato della forma organicamente concepita attraverso l'intersezione e la confluenza dei piani in una forma di realismo di aulico equilibrio plastico. Quasi certamente solo con l'attività dei maestri dell'officina reale di Accad dell'età di Naram-Sin, cui si deve il capolavoro della
Stele di Susa, originariamente eretta nel tempio É-Babbar di Sippar e trafugata in Elam da Sutruk-Nakhkhunte nel XII sec. a.C., si arriva all'abolizione dei registri, alla rappresentazione dello spazio naturalistico e all'impiego della visione spaziale per raffigurare a un tempo, attraverso una sofisticata corrispondenza di linee visuali di tensione, l'inarrestabile foga dell'invincibile esercito accadico e lo slancio del sovrano divinizzato di Accad verso il mondo divino. Lo stabilizzarsi della visione formale realizzata nella rappresentazione piana al tempo di Naram-Sin è documentato al tempo dell'ultimo grande sovrano di Accad, Šarkališarri, in mancanza di testimonianze della grande arte, da una serie di documenti glittici, nei quali le nuove forme della raffigurazione sono adottate anche nell'intaglio dei sigilli per collocare nello spazio naturalistico le gesta degli dei nelle prime compiute rappresentazioni di episodi mitici della storia artistica mesopotamica, che sviluppano più incerti tentativi della fine dell'età protodinastica.
Parallelamente alle realizzazioni artistiche delle stele trionfali, anche la plastica delle statue votive regali manifesta le stesse tendenze nella recuperata statua frammentaria in diorite di Maništusu trafugata a Susa dagli Elamiti in età mediobabilonese, che si fa apprezzare per la sua del tutto nuova collocazione nello spazio suggerita da un abile accenno di panneggio del pesante mantello, mentre lo stesso gusto è rivelato da una non meno frammentaria statua seduta, nel medesimo materiale, dello stesso sovrano, dove è nuova la plastica evidenza attribuita all'insolito tipo di seggio. Queste rilevanti innovazioni plastiche nella statuaria regale di Maništusu fanno ritenere plausibile l'attribuzione allo stesso re della celebre testa in rame, detta di Sargon, trovata a Ninive, dove forse fu dedicata nel famoso e antichissimo Tempio di Ištar, che una documentata tradizione antica sapeva radicalmente ricostruito dallo stesso Maništusu: la piena maturità stilistica di questo capolavoro unita al suo carattere severo rende molto probabile la sua attribuzione a Maništusu, o meno verosimilmente a Naram-Sin, mentre sembra escludere che possa essere ascritta al fondatore della dinastia, di cui nessuna fonte afferma che abbia controllato Ninive, dove l'opera fu intenzionalmente sfigurata al tempo della conquista a opera dei Medi e dei Babilonesi nel 612 a.C. L'alta qualità delle produzioni realizzate al tempo di Naram-Sin dall'officina reale di Accad, che era evidentemente attiva anche per committenze destinate a città lontane dal centro dell'impero, è attestata dalla sfortunatamente incompleta ammirevole statua in rame di una figura eroica dell'ambiente del dio Enki, Lakhmu, che è stata ritrovata accidentalmente a Bassetki, in alta Assiria, non lontanissimo dal luogo di ritrovamento della stele dello stesso sovrano, Pīr Ḥussayn presso Diyarbakir. In quest'opera di ancora dubbia funzione la splendida torsione del corpo inginocchiato e la resa naturalistica del nudo mostrano che le produzioni dell'officina reale di Accad conseguivano analoghi livelli di eccellenza sia nella statuaria, sia nel rilievo, sia nella glittica.
Plastica paleobabilonese arcaica e matura. - Limitatissimi sono stati gli apporti di nuove scoperte al corpus della statuaria e del rilievo, dei primi quattro secoli del II millennio a.C., corrispondenti al predominio, nella fase arcaica del periodo paleobabilonese, delle dinastie di Isin e di Larsa e, nella fase matura, della I dinastia di Babilonia. Ma, da un lato, attente analisi filologiche delle fonti scritte contemporanee e, dall’altro, Il riesame Berlino, Vorderasiatisches Museum critico della documentazione artistica disponibile hanno fornito negli anni più recenti contributi per una ricostruzione delle tipologie scultoree paleobabilonesi perdute, soprattutto di committenza reale, e per una più puntuale collocazione cronologica della statuaria pervenuta.
Benché gli scarsi e poveri resti di tale produzione artistica quasi non documentino altro che immagini di sovrani stanti in posizione di preghiera o seduti in atteggiamento di raccoglimento, il confronto tra i pur scarni dati testuali contenuti nei «nomi d'anno» delle dinastie di Isin, Larsa e Babilonia I (cioè le formule di datazione dei re di quelle città che spesso fanno riferimento a opere scultoree dedicate nei santuari della Babilonia) e le sculture raffigurate soprattutto sui contemporanei sigilli cilindrici e sulle placchette a stampo della coroplastica forniscono due serie di dati importanti: l'una relativa ai materiali, l'altra concernente le tipologie che arricchiscono molto il panorama di una produzione artistica in larghissima parte perduta. Per la prima categoria di dati, le fonti attestano che i materiali della statuaria votiva dedicata dai sovrani paleobabilonesi erano il rame, l'oro e l'argento, mentre quanto ci è pervenuto è nella stragrande maggioranza costituito da statuaria in pietra che doveva essere, anche qualitativamente, inferiore alla produzione in metallo. Per la seconda categoria, le statue che vengono menzionate come «re di giustizia», «re davanti all'esercito», «re in preghiera», «re con in mano un capretto offertorio», «re che ispeziona il capretto offertorio», «re in sogno», «re che proclama la prosperità», per non fare che una serie di esempî maggiori, devono essere illustrazioni sommarie di tipologie non solo particolari, ma anche ben differenziate. Tra di esse solo alcune sono ricostruibili con sicurezza: le statue di «re di giustizia» dovevano rappresentare il sovrano in raccoglimento con una mano levata alla bocca come sulla stele del Codice di Hammurapi ed erano quasi sicuramente dedicate nei templi in occasione dell'emanazione di norme giuridiche raccolte nei c.d. codici del tipo appunto di quello del grande re babilonese.
Le immagini di sovrani descritte come recanti il capretto offertorio sono certamente quelle della tipologia del «Buon Pastore», ben conosciuta dalla plastica mesopotamica fin dal periodo protodinastico, mentre nelle statue che fanno riferimento alla conduzione dell'esercito è indubbio che il sovrano era raffigurato incedente con un costume militare simile a quello indossato da Naram-Sin sulla stele di Susa: nessuna immagine a tutto tondo di questo tipo è pervenuta fino a noi, ma la glittica paleobabilonese documenta la tipologia abbondantemente. Molte delle altre descrizioni dei tipi statuarî contenute nei «nomi d'anno» sono problematiche da interpretare e da ricostruire sulla base della documentazione figurativa disponibile. Tra queste, tuttavia, si segnalano le allusioni enigmatiche alle «regali rappresentazioni di montagne e di numerosi fiumi» e quelle in cui l'immagine divina è menzionata insieme a raffigurazioni di minori divinità protettrici, le c.d. dee Lama: per questi e altri rari casi di immagini votive dedicate per lo più da tardi sovrani paleobabilonesi, si deve pensare a gruppi scultorei, spesso in metallo, evidentemente presenti non di rado nei grandi santuarî della Babilonia, di cui non ci è giunto alcun resto archeologico.
Rispetto alla gravissima perdita, fino a oggi, di ogni testimonianza della plastica regale neosumerica della III dinastia di Ur, se si fa eccezione per assai poveri resti di una statua minore di Šulgi, è importante la ormai certa collocazione in questo periodo della statua di Puzur-Ištar di Mari, trasportata a Babilonia forse al tempo di Hammurapi e là conservata fino in età neobabilonese. La astratta e rigida struttura formale di questa statua, caratterizzata da schematici grafismi anche nella resa della barba e delle frange del mantello, è probabilmente tipica della statuaria neosumerica in generale, che sembra aver ripetuto con freddo accademismo i canoni affermatisi nella Lagaš di Gudea pochi anni prima dell'avvento di Ur-Nammu al trono di Ur. Probabilmente corretta è l'attribuzione alla prima metà del XIX sec. a.C. della celebre testa in diorite da Susa di sovrano paleobabilonese del Louvre, in genere convenzionalmente ascritta a Hammurapi: in questo capolavoro della plastica paleobabilonese, in cui assai audacemente e senza fondamento documentario si è proposto di riconoscere Sumulael di Babilonia, la raffinata resa realistica dei caratteri fisionomici, evidente negli occhi incavati e intensi, ha fatto supporre una suggestiva, anche se di fatto inspiegabile, consonanza stilistica con le contemporanee esperienze stilistiche della tarda XII dinastia egiziana, espresse soprattutto nei vigorosi ritratti di Sesostri III e di Amenemḥet III.
La nuova datazione alla séconda metà del XIX sec. a.C. avanzata per la testa di governatore barbato in alabastro di Adab, tradizionalmente ritenuta di età accadica, si fonda su convincenti confronti con la coroplastica e induce a considerare attive in regioni provinciali, poco prima dell'età di Hammurapi, scuole di notevoli qualità, che avrebbero efficacemente rielaborato il formalismo neosumerico secondo esperienze più astratte e di indubbio valore artistico, anche se distanti dal naturalismo della scuola babilonese, sempre che sia documentata l'attribuzione a Babilonia della «Testa di Hammurapi». Questa plausibile ipotesi di una rilevante vivacità di scuole periferiche sembra confortata dalla stratigraficamente documentata attribuzione agli stessi anni di una testina, anch'essa di governatore, in calcare grigio dipinto, dal Tempio di Ištar Kititum da Iščali, certo pertinente all'importante ambiente artistico di Ešnunna. Proprio da Ešnunna provenivano alcune statue, sfortunatamente tutte acefale, trafugate a Susa dagli Elamiti, una delle quali in diorite di piccole dimensioni, a differenza di una maggiore forse di tradizione neosumerica, è probabilmente dello stesso periodo della «Testa di Hammurapi», cui sembra connessa da analogie stilistiche non secondarie.
La ricostruzione della cronologia della statuaria paleobabilonese arcaica e matura permette, attraverso la restituzione anche di almeno alcune delle coordinate spaziali e temporali, di delineare, pur nella povertà dei resti conservati, ipotesi di uno sviluppo stilistico delle produzioni plastiche delle officine reali della Babilonia che culminano nella stele del Codice di Hammurapi. In quest'opera, il cui significato storico comunque è impari al valore artistico, si constatano innovazioni del linguaggio figurativo, quali la resa in visione laterale anziché frontale della tiara a corna multiple, che indicano innovazioni non secondarie delle tendenze delle botteghe reali di Babilonia, che hanno indubbi riscontri nelle produzioni glittiche, spesso di notevole qualità, destinate ad alti funzionari del re babilonese. È probabile che queste innovazioni siano dipese dal confluire nella città di Hammurapi, a seguito delle conquiste del grande sovrano, di maestranze regali delle città sottomesse, da Larsa a Ešnunna a Mari, e che a esse si debbano le numerose opere di statuaria, anche in gruppi scultorei, che solo le fonti scritte attribuiscono agli ultimi sovrani della I dinastia di Babilonia, fino agli ultimi anni prima della conquista ittita del 1595 a.C.
Pittura del periodo paleobabilonese. - La rarità della documentazione pittorica mesopotamica conferisce una posizione di primaria importanza ai resti, pur frammentari e in parte dispersi, di dipinti parietali raccolti nel c.d. Palazzo di Zimri-Lim a Mari, la grande residenza reale del centro del medio Eufrate, certamente utilizzata come sede del potere politico e amministrativo almeno al tempo di Yakhdun-Lim, dell'interregno assiro e, infine, dello stesso Zimri-Lim fino alla definitiva distruzione a opera di Hammurapi di Babilonia. Le recenti analisi della struttura iconografica e stilistica di queste opere, il riesame delle caratteristiche tecniche delle pitture e i tentativi di interpretazione iconologica in relazione alla disposizione negli spazi architettonici palatini hanno consentito negli ultimi anni una più adeguata collocazione diacronica dei resti in rapporto a diverse tendenze di gusto che si sarebbero affermate a Mari in relazione alle sue tormentate vicende politiche tra la fine del XIX sec. a.C. e il 1757 a.C., quando le mura della città furono rase al suolo dal grande re babilonese.
La pittura più antica tra quelle presenti sulle mura del c.d. Palazzo di Zimri-Lim al tempo della conquista dell'esercito di Babilonia è senz'altro quella della Sala 132, con due registri maggiori e almeno uno di assai minori dimensioni, nei quali sono rappresentate scene di carattere sacrificale, in alto per una grande dea dalla tiara a corna multiple del tipo di Ištar e, in basso, per un dio barbato con una strana corona divina decorata sulla sommità da una sorta di falce lunare, che non sembra comunque si possa identificare con Nanna/Sin: il protagonista umano della libagione davanti alla divinità maschile è senz'altro una figura di sovrano dalla lunga barba e dalla tiara a calotta con falda ispessita alla base, che è una variante della classica tiara mesopotamica del periodo neosumerico e paleobabilonese. Gli elementi iconografici relativi ai singoli personaggi, la ieratica e scandita struttura compositiva, i dati stilistici di un formalismo piuttosto astratto hanno fatto ritenere che questa pittura non possa che appartenere alla temperie di gusto tipica della III dinastia di Ur e debba pertanto essere datata all'età degli šakkanakku di Mari dell'epoca neosumerica. D'altro lato, diversi elementi stilistici e alcune particolarità iconografiche, come le figure minori di quadrupedi mitici alati nel registro con la dea, che preannunciano immagini dell'età di Zimri-Lim, fanno piuttosto ritenere che il dipinto sia sì opera di struttura stilistica fortemente dipendente dalla tradizione neosumerica, ma realizzata più tardi da maestranze di indubbia formazione babilonese probabilmente durante il periodo di Larsa.
Diversi riferimenti culturali hanno, invece, i numerosi, ma assai più disarticolati quanto a conservazione, frammenti pittorici della Sala 220 e della Corte 106. Benché la maggior parte di questi resti siano stati attribuiti all'età dell'interregno assiro a Mari alla committenza di Yasmakh-Addu, figlio del grande Šamši-Addu I d'Assiria, è certo che queste opere sono strettamente connesse, per elementi iconografici e stilistici, all'ambiente paleosiriano assai più che a quello paleoassiro. Altrettanto indubbio è che questi frammenti siano da datare agli inizî del XVIII sec. a.C., ma non può essere escluso che le pitture siano state eseguite da maestranze dell'ambito culturale di Aleppo, il cui sovrano, Yarim-Lim I, sostenne con successo Zimri-Lim nella sua azione per riassumere il controllo della sua città e inviò probabilmente a Mari funzionari e maestranze al seguito della figlia Šibtu, che divenne la prima sposa dell'ultimo re mariota.
Il più recente dei cicli pittorici del Palazzo di Mari è certo quello della «Pittura dell'Investitura» della Corte 106, incentrata sulla scena di Zimri-Lim che riceve le insegne del potere dalla dea Ištar. In quest'opera, largamente conservata, i prevalenti elementi iconografici paleobabilonesi si fondono con minori elementi paleosiriani probabilmente di tradizione mariota, ma la struttura compositiva e stilistica è di forte impronta babilonese. Ciò che dimostra quanto la politica filobabilonese di Zimri-Lim, che non valse a sottrarre il regno di Mari dalle mire espansionistiche del signore di Babilonia, si accompagnasse a un'accentuata tendenza anche del gusto artistico a usare come modelli esperienze figurative della bassa Mesopotamia.
Palazzi e rilievi neoassiri. - La ripresa degli scavi a Nimrud dopo la seconda guerra mondiale e la pubblicazione, ormai quasi completata, dei materiali documentan inediti degli antichi scavi di Khorsābād, di Nimrud e di Quyunğiq hanno consentito di riconsiderare la valutazione tipologica e spaziale dei grandi organismi architettonici palaziali dell'Assiria dal IX al VII sec. a.C. e di rinnovare profondamente la considerazione critica dei programmi figurativi degli stessi palazzi, identificando una serie rilevante di elementi di evoluzione storica precedentemente non individuati. Fin dalla più antica grande fabbrica palatina neoassira, il Palazzo Nord-Ovest di Assurnasirpal II, costruito nel secondo quarto del IX sec. a.C. e definito poi «Palazzo di Ginepro» da Sargon II che a lungo vi risiedette mentre veniva costruita la nuova capitale di Dūr Šarrukīn, sembra essere canonizzato lo schema planimetrico fondamentale neoassiro degli edifici palaziali. Tale schema basilare è costituito dalla successione nella zona centrale dell'organismo di una corte esterna, forse da identificare con il babānu dei testi, e di una corte interna, probabilmente definita con il termine di bitānu, e dalla presenza costante tra l'una e l'altra del dispositivo della sala del trono, che peraltro si può ritrovare, in forme meno monumentali, anche in altri settori interni attorno al bitānu. Nella forma più semplice tale dispositivo consiste in una grande sala rettangolare esterna con tre portali di struttura monumentale su uno dei lati lunghi che rappresentano ingressi trasversali rispetto all'asse longitudinale del vano orientato verso uno dei lati minori, di norma alla sinistra dell'entrata, contro il quale è disposto il podio regale, e in una seconda sala rettangolare minore interna, adiacente alla precedente, spesso affiancata almeno da un vano più piccolo; di regola al centro del lato minore della grande sala opposto a quello del podio è una porta che si apre su un vano-scala che doveva portare a un secondo piano del quartiere del bitānu. In generale, attorno al babānu erano serie di vani destinati a uffici amministrativi, mentre attorno al bitānu, oltre ad altre ali cerimoniali di rappresentanza, dovevano iniziare i quartieri domestici reali che continuavano anche in settori posteriori. Già il Palazzo Nord-Ovest, tuttavia, non constava, come a lungo si è ritenuto, solo di due quartieri incentrati sul babānu e sul bitānu, ma doveva avere almeno un'altra corte
ancora più esterna, verso E, due altri quartieri attorno a due corti molto mal conservate a O contro la cinta della cittadella e alcune ali domestiche a S. Questa forte articolazione dell'edificio fa comprendere perché la «Stele del Banchetto», eretta da Assurnasirpal II per commemorare la fastosa festa di inaugurazione dell'edificio, ricorda che esso constava di «otto settori», probabilmente ciascuno incentrato su una corte, e fa supporre che l'entrata principale fosse rivolta a E, verso il centro dell'acropoli, mentre l'ingresso Ν non doveva essere altro che una porta secondaria verso il tempio e la ziqqurat di Ninurta.
Apparentemente innovativo, come articolazione degli spazî interni, è il palazzo della città bassa («Forte Salmanassar») di Nimrud eretto da Salmanassar III e restaurato e ampliato da Asarhaddon, che lo definisce un ekal mašarti, cioè un «palazzo-arsenale», perché in effetti questo edificio straordinariamente esteso con le sue quattro corti esterne e con il monumentale corpo di fabbrica aggettante sul retro dovette essere, forse già nell'VIII sec. a.C., adibito a magazzino reale e a luogo di adunata delle truppe.
Mentre quasi nulla è noto del c.d. Palazzo Centrale di Nimrud, costruito a S del Palazzo Nord-Ovest da Tiglatpileser III nel terzo quarto dell'VIII sec. a.C., è probabile che esso abbia inglobato importanti elementi di fabbrica eretti già da Assurnasirpal Il di recente riportati alla luce e denominati «Edificio Centrale», erroneamente considerati parti di un edificio religioso.
Quando Sargon II, fin dall'inizio del suo regno, diede inizio a Khorsābād alla straordinaria impresa della costruzione della nuova capitale di Dūr Šarrukīn sul sito di un precedente villaggio, Maganubba, gli architetti sargonici si ispirarono, per la generale concezione della nuova città, forse alla struttura urbana della stessa Babilonia quanto alla conformazione quadrangolare dell'insediamento e alla collocazione periferica della cittadella amministrativa e residenziale reale e certamente alla disposizione planimetrica complessiva e particolare di Nimrud. Infatti, le posizioni rispettive della cittadella principale con il Palazzo Reale e della cittadella minore con il Palazzo F di Khorsābād sono un calco dell'acropoli e della cittadella secondaria di «Forte Salmanassar» di Nimrud, così come la collocazione delle residenze principesche e del Tempio di Nabu di Dūr Šarrukīn ripetono con poche varianti quella degli edifici amministrativi minori e del Tempio di Nabu di Nimrud. Mentre diversi indizî indicano che il Palazzo F di Khorsābād, probabile residenza del principe ereditario, fu concepito a imitazione di «Forte Salmanassar», con le grandi corti anteriori e il corpo aggettante posteriore, nel grande Palazzo Reale di Dūr Šarrukīn si hanno, a un tempo, la massima sintesi della tradizionale architettura palatina neoassira e l'affermazione di alcune sostanziali innovazioni spaziali che preannunciano i monumentali edifici palaziali di Ninive del VII sec. a.C. La visione architettonica che è alla base del Palazzo Reale di Sargon II è fondata sui principi di gerarchizzazione e di monumentalizzazione degli spazi esterni, che esaltano gli schemi tradizionali, ma essi sono alterati da una nuova concezione della composizione architettonica, caratterizzata da criteri di simmetria e di assialità, prevalenti nei quartieri del bitānu e del corpo aggettante posteriore, desunto con innovazioni da «Forte Salmanassar».
I fermenti innovativi presenti nel Palazzo Reale di Khorsābād furono ereditati, agli inizî del VII sec. a.C., nella magnifica residenza ninivita di Sennacherib, il Palazzo Sud-Ovest di Quyunğiq, che il figlio e successore di Sargon II chiamò «Palazzo senza Rivali» riprendendo l'orgogliosa denominazione usata per la prima volta dal padre nei mattoni impiegati a Khorsābād. I princìpi prevalenti di simmetria e di assialità, adottati solo parzialmente a Dūr Šarrukīn, a Quyunğiq sono applicati sistematicamente e diffusi, con eccezioni minori, in quasi tutta la nuova fabbrica palaziale che costituì il culmine di un profondo rinnovamento ambientale e urbanistico attuato da Sennacherib a Ninive, dove furono regolamentati i corsi di un affluente del Tigri che attraversava la città, fu impiantato un rigoglioso parco con piante esotiche, fu ricostruita la cinta fortificata con le nuove porte urbiche. È questa concezione che conferisce al Palazzo Sud-Ovest di Ninive quel particolare carattere di diffusa permeabilità spaziale che costituisce la sua maggiore originalità, facendone un immenso e fastoso luogo di rappresentanza, anziché un eclettico complesso amministrativo, residenziale e cerimoniale come era stato sempre il caso per i precedenti edifici palatini neoassiri. I troppo scarsi resti del Palazzo Sud-Ovest di Nimrud, costruito da Asarhaddon nel secondo quarto del VII sec. a.C., permettono solo di affermare che le maestranze ninivite trasferirono anche nel tradizionale ambiente di Kalkhu le innovazioni realizzate audacemente a Quyunğiq. D'altro lato, la solo parziale esplorazione dell'altra grande residenza reale di Ninive, il Palazzo Nord radicalmente ricostruito da Assurbanipal, non consente di individuare come l'ultimo grande sovrano assiro, che certo promosse una completa reinterpretazione e una piena sintesi delle precedenti tendenze architettoniche e scultoree delle officine reali, rielaborò le innovazioni spaziali degli architetti di Sennacherib.
La ricostruzione dell'organizzazione della decorazione scultorea dei grandi edifici palatini neoassiri di Nimrud, di Khorsābād e di Quyunğiq, con il ripristino nelle collocazioni originarie non solo dei rilievi effettivamente conservati, ma anche dei rilievi perduti e tramandati solo dalla testimonianza dei disegni ottocenteschi, ha permesso di definire almeno le linee generali di imo sviluppo dei programmi figurativi che i re d'Assiria concepirono per i propri palazzi nella prospettiva di un'efficace realizzazione di una mirata propaganda commisurata a settori di pubblico sensibilizzati al recepimento di un determinato messaggio. Così è indubbio che nel Palazzo Nord-Ovest di Nimrud tutta l'ampia e articolata ala E del bitānu presentava una decorazione a temi fortemente ripetitivi con scene di cui erano protagonisti il re, la pianta sacra, i demoni alati a testa umana o aquilina (apkallê) e alcuni dignitari in contesti figurativi molto probabilmente allusivi alla purificazione del sovrano stesso e delle armi dell'esercito assiro. Nella sala del trono dello stesso palazzo, invece, come in vani minori dell'ala O del bitānu, la decorazione, quasi certamente completata da pitture anche di soggetto narrativo nelle parti superiori consisteva, su tutte le pareti, in due interminabili fasce di rilievi storici sovrapposti, separati da una lunga iscrizione cuneiforme riproducente la c.d. Iscrizione Standard. In questi rilievi, che sono il primo grande ciclo narrativo parietale dell'arte assira, non sono raffigurate, come a lungo si è creduto, tipizzate scene di guerra, ma singoli episodi concreti delle campagne militari del sovrano, riconoscibili da particolari che si ritrovano nelle narrazioni degli Annali. D'altro lato, la complessa struttura compositiva delle rappresentazioni, per sfasamenti, alternanze, direzioni, consentiva certo a diversi ambiti di fruitori, oltre puntuali letture di singoli eventi bellici, anche letture più sfumate e generalizzate di tutto l'insieme dei rilievi co·; me una grande epopea, segnata da un ritmo compositivo fortemente scandito da slanci e pause metricamente alternati.
La tematica simbolico-rituale di parte dei rilievi di Assurnasirpal II sembra essere stata abbadonata già al tempo di Tiglatpileser III, quando i definitivamente prevalenti soggetti narrativi bellici si dovettero diffondere più estesamente al di fuori della sola sala del trono e cominciarono a essere organizzati secondo campagne militari separate nei singoli vani del Palazzo Centrale. Ma è a Khorsābād che in maniera più documentata queste innovazioni distributive e compositive si affermano definitivamente: ognuna delle grandi sale del corpo aggettante e dei settori vicini è decorata con una serie di eventi di un'unica campagna militare, celebrata in tutti i suoi aspetti, compreso il fastoso banchetto finale dei dignitari dell'impero. Altre innovazioni importanti della decorazione sargonica sono, quanto a tematiche, il ricevimento dei nobili e dei funzionari da parte del sovrano, che diviene un'occasione per una straordinaria illustrazione dell'apparato amministrativo del regno, lo svolgimento di cacce a opera dei grandi dell'impero in ambienti silvestri accuratamente e dettagliatamente descritti e la rappresentazione di scene di navigazione marina con il trasporto di grandi tronchi di legno, che consente di concepire scenari di insolita ampiezza spaziale. Per quanto attiene, invece, agli spazi architettonici, l'innovazione più rilevante è l'incomparabile estensione delle superfici scolpite a rilievo nelle corti con prevalenza dei cortei a figure di grandi dimensioni, che sono finalizzate a un'eloquente e nuova esaltazione della regalità non più soltanto come protagonista degli eventi bellici, ma anche come centro di una potente struttura di governo.
Con il sontuoso progetto decorativo del Palazzo Sud-Ovest di Quyunğiq si affermano altre fondamentali innovazioni che, per quanto concerne gli aspetti stilistici e compositivi, sono caratterizzate, da un lato, dalla maniera miniaturistica, in parte ereditata dai maestri del tempo di Assurbanipal, e, dall'altro, dalla visione spaziale del punto di vista estremamente elevato ed estremamente distante. Per quanto, invece, attiene alla collocazione negli spazi architettonici, diviene abituale la decorazione degli spazi aperti delle corti, ma, in luogo delle tipiche teorie di dignitari, di soldati e di tributari prevalenti a Khorsābād, le tematiche prescelte sono ora le grandi scene dell'estrazione dei blocchi dalle cave di marmo e i trasporti delle sculture colossali degli esseri mitici taurini alati. D'altro lato, la frantumazione dei soggetti militari, inizialmente, nel Palazzo Nord-Ovest di Nimrud, raccolti unitariamente nell'unica sala del trono e più tardi, a Khorsābād, suddivisi per singole campagne nei diversi vani dell'edificio palatino, continua fino all'estrema conseguenza. Ogni sala ora ospita un unico soggetto bellico, che è, non più un'intera campagna militare, ma un solo significativo e culminante episodio di guerra: tipico ed esemplare è il caso della sala XXXIII del «Palazzo senza Rivali», dove tutta la decorazione scultorea è destinata alla narrazione analitica unitaria dell'assedio di Lakiš, evento centrale della campagna in Palestina che aveva visto anche il fallito tentativo della conquista di Gerusalemme.
Con l'ultimo grande regno di un sovrano neoassiro, Assurbanipal, le officine ninivite ebbero il duplice incarico di completare e in parte sostituire il progetto scultoreo di Sennacherib nel Palazzo Sud-Ovest e di curare la decorazione del rinnovato e ricostruito Palazzo Nord di Quyunğiq. I maestri del tempo di Assurbanipál nel terzo quarto del VII sec. a.C. procedettero secondo tre principali direttrici, in parte proseguendo le linee di ricerca delle esperte e innovatrici maestranze di Sennacherib e in parte, ancora una volta, rinnovando profondamente la ormai secolare tradizione scultorea neoassira.
In primo luogo, nel solco della tradizione così felicemente inaugurata da Sennacherib, seguirono la via del rilievo miniaturistico e della visione elevata e distante, applicando magistralmente quei criteri rappresentativi alla raffigurazione delle campagne militari nelle paludose regioni della bassa Mesopotamia, creando mirabili affreschi scultorei di ambienti lacustri dominati da palmizî e canneti. In secondo luogo, fondendo i canoni arcaici della rappresentazione per registri con quelli recenti delle composizioni spazialmente indefinite, presentarono i trionfi del sovrano nell'Elam in gigantesche e minuziose rappresentazioni di carneficine cui il sovrano non partecipa più come un tempo, ma solo assiste da lontano sul suo carro, distante e sicuro stratega di azioni di guerra che promuove e conduce senza dovervisi più mescolare come un singolo guerriero. In terzo luogo e soprattutto, ancora una volta assumendo originalmente la maniera antica della composizione per registri, impiegarono quello schema di base per modificare radicalmente la concezione spaziale arcaica nelle celebri rappresentazioni delle cacce ai leoni e agli animali selvaggi, nelle quali, abolendo ogni riferimento paesaggistico, crearono con felicissima ispirazione lo spazio astratto e naturalistico dell'ultima grande fase dello sviluppo storico del rilievo narrativo neoassiro, insuperata invenzione delle scuole di scultori niniviti.
Statuaria neoassira. - In una pur quantitativamente limitata documentazione, la statuaria del periodo neoassiro, che sembra aver seguito canoni iconografici assai fissi nell'ambito prevalentemente della rappresentazione del sovrano, è pervenuta in resti sufficienti a individuare caratteristiche distinte nelle opere delle botteghe di Assur, di Kalkhu, di Dūr Šarrukīn e di Ninive. La scuola di Assur, cui si deve la più antica e assai danneggiata statua regale, forse di Assurnirari IV, agli inizî del X sec. a.C., rivela il più accentuato convenzionalismo, che permane ancora dopo le innovazioni delle botteghe di Kalkhu del secondo quarto del IX sec. a.C.: tipica in questo senso per l'accentuato conservatorismo è la statua seduta, ritenuta di Salmanassar III, ma in realtà forse di una divinità minore eretta nell'area della Porta Tabira. La pregevole e integra statua stante dedicata da Assurnasirpal II nel Tempio della Belit-mati a Kalkhu, che certo doveva essere opera minore, forse replica di un originale in oro, con il capo scoperto e le insegne regali presenta i caratteri classici della statuaria regale. Mentre al tempo di Salmanassar III, nella statua stante del re sempre dalla Porta Tabira di Assur sembra presente l'influenza della scuola di Nimrud anche nella città santa d'Assiria, le opere prodotte e scoperte a Kalkhu sono artisticamente assai modeste: questo giudizio vale sia per la statua del «Forte Salmanassar», in cui è riesumato il tradizionale atteggiamento protodinastico dell'orante con le mani poste l'una nell'altra, sia per la frammentaria immagine del re, insolitamente cinta della corona regia assira, dall'area SE dell'Acropoli.
Benché piuttosto fredda e accademica, la statua di Assurnasirpal II ha un'eleganza e un rigore formale, che non si ritrovano nelle opere del successore: sola la statuetta in ambra molto probabilmente di Salmanassar III del museo di Boston, pur se assai ritoccata in età moderna, conserva almeno in parte la dignità di forme delle opere degli scultori di Assurnasirpal II. A maestranze provinciali non particolarmente dotate dell'alta Mesopotamia, e probabilmente della stessa Tell Ḥalaf, deve attribuirsi, forse tra l'850 e l’825 a.C. la statua basaltica di Hadadyis'i, figlio di Šamašnuri, governatore di Guzana, con una lunga iscrizione bilingue in assiro e aramaico, nella quale è evidente l'intento di imitare le produzioni regali di Nimrud.
Mentre la statuaria divina minore di valore architettonico, sia a Kalkhu, nel Tempio di Nabu, sia nel centro provinciale di Khadatu, forse nel Tempio di Ištar, è qualitativamente assai trascurata, diverso è il caso delle produzioni di serie delle coppie di dèi barbati con le ampolle delle acque zampillanti dell'area sacra di Dūr Šarrukīn: qui la lavorazione è sì accademica e ripetitiva, ma le forme e le finiture sono sobrie ed eleganti denunciando ancora una volta l'alto livello di tutte le maestranze delle officine reali di Khorsābād.
Nei rari resti della statuaria del VII sec. si osserva una singolare unità stilistica, che traspare in teste relative a personaggi imberbi e floridi, nelle quali si notano convenzioni fortemente stilizzate, dalle orbite rialzate alle guance piene e alla bocca carnosa. Questi tratti, quasi certamente imposti dalle officine di Ninive, si ritrovano anche ad Assur, come nella testina dell'area delle mura, ma sono esaltati nelle opere di Quyunğiq, quali il volto monumentale, appartenuto certamente a un'immagine di grandi dimensioni elaborata in materiali diversi che potrebbe aver rappresentato una sfinge.
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(P. Matthiae)
Dal periodo achemenide al periodo partico. - Nel 539 a.C., con la conquista di Ciro, la Mesopotamia perde la preminenza politica conquistata nell'Asia Anteriore dalle armi assire e confermata dalla dinastia neobabilonese. L'evento è scelto convenzionalmente a segnare la fine della millenaria civiltà mesopotamica. Certo esso rappresenta un punto cruciale per la storia del paese, occorre però insistere sul valore convenzionale del giudizio. La nuova dinastia è straniera, ma la città di Babilonia non perde la dignità del suo rango e resta residenza reale, anche se non la sola e inoltre la Babilonia prospera ora come una delle satrapie più ricche dell'impero achemenide. La cultura mesopotamica è lontana dall'esaurirsi, anzi è tanto vitale da produrre un'influenza fondamentale sull'arte di corte achemenide. È solo l'estrema scarsità dei dati a non permettere di illustrare puntualmente l'evolversi della situazione in Mesopotamia.
Il padiglione costruito dagli Achemenidi nell'area del palazzo reale di Babilonia è troppo malconservato per dare informazioni precise oltre all'uso di colonne persepolitane e di una decorazione nella vecchia tecnica di mattoni smaltati. Il grande edificio recentemente messo in luce ad Abu Qubūr nella regione di Sippar mostra però caratteri di rappresentanza: in particolare l'antico schema elamico della sala à quatre saillants, che l'età neoassira aveva diffuso a livello internazionale. I lavori patrocinati dagli Achemenidi nei grandi santuari babilonesi si svolgono nel pieno rispetto delle pratiche locali, mentre l'edilizia domestica non trova significativi mutamenti di tendenze. Comunque, nel complesso i documenti architettonici noti non consentono ancora di tracciare un quadro appropriato delle caratteristiche dell'architettura della Mesopotamia achemenide.
La situazione è solo in parte meglio documentata in campo artistico grazie alla glittica. Da un lato l'uso del cilindro segna una ripresa, in particolare nell'amministrazione ufficiale, ma con soggetti che rientrano generalmente nell'ambito dell'arte di corte achemenide. In questa classe è talora possibile riconoscere sul piano dello stile o della produzione il contributo specifico della Mesopotamia. Soprattutto a livello privato, continua l'uso del sigillo a stampo e, più in particolare, si diffonde l'anello per sigillare sia tavolette cuneiformi sia documenti scritti in aramaico su altri supporti.
Soggetti e stile sono in questo caso prevalentemente babilonesi, ma nel vecchio repertorio neobabilonese si opera una scelta che privilegia i motivi devozionali più semplici. Si diffondono tuttavia anche motivi achemenidi e altri che per iconografia e per stile sono chiaramente greci. Usati sicuramente per sigilli, que¡ sti temi erano però impiegati anche indipendentemente come ornamento o amuleto, a giudicare dal tesoretto di cretule da Ur, che dovevano servire da campionario a un gioielliere.
La conquista dell'impero achemenide da parte di Alessandro ha conseguenze macroscopiche che perdurano nel tempo, non solo in quello relativamente breve dell'impero seleucide ma anche in quello che segue la conquista partica del 141 a.C. Nell'arte ufficiale, il periodo seleucide vede la diffusione sia del repertorio sia dell'estetica ellenistica, mentre quello partico segna l'introduzione di motivi iranici. Proprio in Babilonia prospera addirittura un vivace centro di cultura ellenistica originale: Seleucia sul Tigri, la prima capitale seleucide. La cultura ellenistica si sostituisce quindi a quella achemenide come portato dei tempi nuovi, ma non resta limitata agli ambienti greco-macedoni e gode di una diffusione popolare di gran lunga superiore.
L'arte è caratterizzata soprattutto da motivi iconografici derivanti dalle culture ellenistica e partica, ma fa largo spazio a contenuti in ultima analisi connessi a sviluppi della vecchia tradizione babilonese. Tra i prodotti più tipici è, come nella tradizione, la statua che il devoto dedica nel tempio, anche se la figura ha ora mutato il gesto. La stessa frontalità, che è la caratteristica più tipica del rilievo partico, molto deve alla sensibilità con cui la cultura specificamente mesopotamica affronta la possibilità ellenistica di presentare di fronte le figure di una scena.
La diffusione dell'ellenismo un po' in tutti gli ambienti sociali sviluppa diverse tendenze, ed è soprattutto la coroplastica a documentare la complessità della situazione. Tralasciando le figurine puramente ellenistiche, da un lato si producono soggetti tipicamente mesopotamici, come la figura femminile nuda con le braccia lungo i fianchi, in versioni di stile ora puramente ellenistico, ora irrigidito da una sensibilità locale, ora più chiaramente babilonese. D'altro canto si dà vita a personaggi che, anche quando frutto di mani greche, possono essere compresi solo nella Mesopotamia seleucide e partica, anche se i concetti religiosi che esprimono non sono facili da definire per mancanza di dati nelle fonti, come i diversi tipi di figura femminile recumbente o di hydrophòros seduta su cono.
Anche la glittica, per la cui produzione l'età partica è estremamente lacunosa, documenta caratteri di chiara continuità. Il grande archivio cittadino di Seleucia sul Tigri infatti, malgrado la netta prevalenza di motivi greci, non solo conferma per l'età seleucide l'uso di motivi babilonesi e achemenidi illustrato da altri centri, ma attesta perfino una continuità di quelli greco-persiani.
Accanto a quella greca, non è dunque meno viva la tradizione babilonese, e lo è soprattutto nell'architettura. A Orchoi, la Uruk seleucide, mentre i sigilli impiegati in atti connessi con gli organi di governo sono improntati al gusto greco, l'architettura religiosa illustra una forte persistenza di schemi babilonesi. Qui due membri di una stessa famiglia di notabili, pur assumendo accanto al nome di Anu-uballit quello greco di Kephalon e di Nikarchos, non si limitano ad azioni di ripristino nelle forme esistenti, come avevano fatto in precedenza illustri sovrani, ma l'uno dopo l'altro Si fanno promotori di un rinnovamento completo del Bit Reš e dell'Irigal. I nuovi, grandiosi santuari seguono le regole della tradizione nella tecnica edilizia, la disposizione dell'impianto planimetrico generale e la conformazione degli elevati. Nella molteplicità dei requisiti culturali da soddisfare, nell'accorpamento delle funzioni amministrative e religiose nel medesimo complesso edilizio, nel rispetto del tradizionale schema largo della cella, nella conformazione a nicchie e lesene delle facciate, nella decorazione a fregi e coronamenti di mattoni smaltati e nella composizione dei loro motivi, ovunque rivive in nuove originali soluzioni il patrimonio del passato. Per tacere dell'ultima, gigantesca costruzione di una ziqqurat, il monumento più tipico della Mesopotamia, in onore di Anu.
Questo atteggiamento, che è evidentemente in stretto rapporto con la continuità di concezioni religiose e di pratiche cultuali, si mantiene in tutta la sua purezza in centri come Uruk, ed è da questi ambienti più legati alla cultura «popolare» che vengono portate avanti le esigenze che stanno alla base anche dell'architettura religiosa della Mesopotamia partica. Malgrado l'afflusso prima di gruppi greco-macedoni, e poi di iranici e altri orientali in seguito alla conquista arsacide, le concezioni religiose della popolazione restano in gran parte quelle sviluppatesi dalla tradizione babilonese. Non c'è dunque da stupirsi se l'architettura religiosa delle regioni occidentali dell'impero partico accoglie come qualificanti, fino a età tarda, tratti fondamentali della tradizione, primo fra tutti l'impianto della cella larga. È quanto mostra la documentazione disponibile, soprattutto a Dura-Europos. Ma anche a Hatra, intorno al Grande Tempio che allinea gruppi di iwān di tipo iranico, si costruisce tutta una serie di templi minori a cella larga di ascendenza babilonese in cui sono de1 dicate statue di devoti dello stesso tipo di quelle erette nel grande santuario. L'adesione a culti di diversa origine, d'altronde caratterizzati da fenomeni ampiamente sincretistici, trova perfetta corrispondenza non solo nella coesistenza ma nella comunione di repertori architettonici e artistici distinti.
La continuità della popolazione e del suo stile di vita nella Mesopotamia seleucide e partica spiega anche lo sviluppo continuativo di schemi di architettura domestica dove, se da un lato fanno la loro comparsa tipologie greche e iraniche, lo schema babilonese della casa a cortile centrale continua pur sempre a essere alla base di nuove realizzazioni e variazioni.
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(A. Invernizzi)