BALBANI, Arrigo (Enrico)
Nacque a Lucca il 13 giugno 1542 da Giovanni di Francesco Balbani, mercante-banchiere, e da Zabetta di Filippo Calandrini. All'età di quattordici anni, nel 1556, fu impiegato nel Banco che il padre aprì quell'anno a Lucca. In seguito fu inviato a dirigere la succursale di Lione, le cui sorti parevano compromesse dalla cattiva direzione del fratello Bonaccorso. Nel 1562 una crisi del credito impedì al B. di ricuperare a tempo i fondi per i quali si era esposto e in conseguenza di poter far fronte alle scadenze di fiera. Egli evitò il fallimento stipulando un accordo con i creditori, ma la casa di Lione dovette essere chiusa e così pure la sede centrale di Lucca e la succursale di Anversa. Tornato a Lucca, il B. aprì assieme al padre nel 1564 una nuova bottega d'arte serica. Nel marzo dello stesso anno partì per la fiera di Lione, come collaboratore della nuova ditta "Filippo, Turco B., e C.", diretta da Turco Balbani. Terminati i negozi della fiera, compì un viaggio a Parigi e nel ritorno si soffermò in Savoia. Nel luglio 1564 era di ritorno a Lucca, in compagnia di Gerolamo Buonvisi. Nel maggio del 1565 fu inviato dallo zio Filippo a Lione, per effettuare una supervisione dei conti della ditta, la cui direzione, dopo la morte di Turco Balbani, avvenuta nell'agosto 1564, era rimasta affidata al giovanissimo Agostino, figlio del fratello di Turco, Bernardino Balbani. Nell'agosto 1565 il B. era di ritorno a Lucca e fece a Filippo Balbanì una relazione pessimistica della situazione in cui si trovava la ditta lionese, tanto che quest'ultimo decise, pochi mesi dopo, di fondere la propria con la società lionese dei fratelli Matteo e Tommaso Balbani: la nuova compagnia ebbe il nome di "Figli di Tommaso Balbani e C.".
Il B. collaborò con questa ditta fino al 1585 circa. L'unico documento che getti qualche luce sulla sua attività francese durante questo ventennio è rappresentato da una lettera che egli indirizzò da Blois, il 14 genn. 1581, a Monsieur de Bellievre, consigliere del re e sovrintendente delle finanze. La compagnia Balbani di Lione aveva fornito negli anni precedenti importanti servizi di ordine bancario a personaggi della corte ed aveva concesso alla corona francese prestiti di notevole entità. Il ricupero delle somme si era rivelato difficile; i Balbani avevano allora cercato di ottenere l'appalto delle Dogane di Lione, per potere "rimborsarsi" parzialmente, grazie ai lucrosi margini di beneficio assicurati dall'appalto. Il B., che rappresentava gli interessi della compagnia presso la corte, era stato incaricato di queste trattative, ma si era visto sfuggire l'affare per l'intervento di un concorrente che aveva ottenuto l'appalto concedendo a quel fine un nuovo prestito alla corona. Presentando le rimostranze della compagnia lionese, egli cercò a questo punto di intavolare nuove trattative con il sovrintendente delle finanze per ottenere la concessione dell'appalto l'anno seguente.
In quel periodo il B. risiedeva con la moglie a Parigi. Non è chiaro se egli si limitasse ad assicurare la rappresentanza dei Balbani di Lione su quella piazza, o se vi dirigesse anche - come sembra probabile - una società distinta dalla prima. Questa rappresentanza, o società, designata come "Balbani di Parigi", era in relazione con la compagnia di Tommaso Balbani di Anversa. A partire dal 1579 essa funse da collegamento tra la ditta delle Fiandre ed il banchiere spagnolo Simon Ruiz di Medina del Campo per il traffico degli asientos nei Paesi Bassi. Il B. collaborava anche con il fratello Manfredi, che era in stretti rapporti commerciali con la ditta Arnolfini-Michaeli di Lione e con i Michaeli di Ginevra. L'attività di Manfredi, così come un vasto settore dell'attività del B. in questo periodo, ci sfuggono totalmente, anche se le scarse tracce conservate dai documenti a noi noti attestano la loro presenza in varie piazze d'Europa: Anversa, Norimberga, Ginevra, Basilea, Parigi, Lione. La conoscenza delle loro relazioni con la banca parigina dei Burlamacchi (Lucchesi aderenti alla religione riformata) sarebbe a questo proposito illuminante, poiché i due fratelli Balbani sembrano avere svolto un particolare servizio di collegamento tra le ditte lucchesi stabilite nel mondo protestante e quelle del mondo cattolico, dove le condanne e i bandi emessi dalla repubblica di Lucca contro i sudditi eretici minacciavano di trovare applicazione.
Dal 1585 la collaborazione del B. con i Balbani di Lione sembra cessare, contemporaneamente al suo definitivo trasferimento da Parigi a Ginevra, in seguito al quale la rappresentanza della ditta sulla piazza di Parigi fu assicurata da Scipione di Alessandro di Agostino Balbani (n. 1556 - m. dopo il 1608), con cui collaborò a partire dal 1599 il fratello Antonio (1560-1608). Pare probabile che fossero motivi di ordine religioso a determinare il distacco del B. dal potente consorzio lucchese di Lione ed Anversa che, all'aprirsi della fase più violenta della guerra di religione in Francia, aveva apertamente aderito al partito cattolico-spagnolo, assumendo la funzione di vera e propria banca della Lega. Da parecchi anni, infatti, il B. aveva aderito al credo religioso riformato: probabilmente fin dai suoi primi viaggi a Lione, tra il 1560 ed il 1565. In quel periodo, infatti, egli non poté non subire l'influenza dell'apostolato svolto da Turco Balbani - suo socio in affari - e fu certamente sensibile agli echi delle prediche e delle polemiche appassionate che un altro parente, Niccolò Balbani, ministro della Chiesa ginevrina, sostenne nel 1564 a Lione contro le tesi cattoliche difese pubblicamente dal gesuita Possevino.
Non sappiamo in quale anno il B. abbia abbandonato Lucca per abbracciare definitivamente l'esilio assieme alla moglie, Maria Michaeli - la sorella minore del mercante-banchiere Francesco Michaeli convertito al calvinismo ed emigrato in Svizzera fin dal 1556 - che egli aveva sposato nel 1564 a Lucca; comunque nel 1579 il distacco del B. da Lucca era un fatto compiuto ed egli aveva probabilmente già ottenuto la liquidazione della propria parte dell'eredità patema, se Giovanni, nel redigere in quell'anno il suo ultimo testamento, si limitava ad attribuirgli un legato, riservando l'eredità ai due figli Bonaccorso e Girolamo, rimasti a Lucca.
Solo il 28 apr. 1580 il B. fu condannato e messo al bando come eretico dal governo lucchese. A quello stesso anno risale la prima menzione conosciuta di lui nelle fonti di Ginevra. Qui acquistò nel 1587 il palazzo che era appartenuto al march. G. Caracciolo, assieme al giardino situato alla "porte de la Rive", e vi stabilì la propria dimora. Durante un decennio prese parte alla vita religiosa e politica della città di Calvino. Nel seno della Chiesa italiana esercitò le funzioni di anziano, di diacono e di tesoriere. Il B. era stato preceduto a Ginevra dal fratello Manfredi, il quale aveva compiuto parecchie missioni di natura politica e finanziaria all'estero per conto della signoria ginevrina. Pare probabile che i due fratelli collaborassero nello svolgimento di questa attività. Anche il B. venne incaricato di compiere missioni politiche in Inghilterra e in Francia. Nel 1587 e nel 1588, in considerazione dei servizi resi alla Repubblica, egli venne dispensato dal pagamento di alcune tasse di registro. Nel 1590, durante la fase più critica delle guerre di religione, il B. assicurava, assieme al fratello, i collegamenti tra Enrico IV e la Repubblica. In seguito, dopo il riconoscimento di Enrico IV a re di Francia, esercitò la funzione di agente della Repubblica presso la corte. Tornò a Ginevra nell'estate 1595, poco prima della morte, con lettere di Enrico IV datate da Troyes, 30 maggio 1595, che assicuravano alla Repubblica l'alleanza ed il favore del re.
A Ginevra il B. fu socio della "Grande Boutique", la compagnia commerciale cui partecipavano, con altri, Orazio Michaeli, Cesare Balbani e Michele Burlamacchi, società rappresentata a Lione dagli Arnolfini-Michaeli. A Parigi egli aveva conservato interessi commerciali, e in primo luogo la partecipazione all'appalto del sale, in società con i Cenami ed altri Lucchesi.
Nel suo testamento, redatto dal notaio Jean Jouvenon di Ginevra, il 3 nov. 1595, alla presenza di Orazio Michaeli, Francesco Turrettini di Pompeo, Carlo Diodati, Giacomo e Fabrizio Burlamacchi, il B., che non aveva figli, nominò erede universale il fratello Manfredi. Alla Chiesa italiana di Ginevra lasciò un legato di 800 fiorini, 150 alla Borsa dei poveri francesi, 1.000 scudi a testa ai due fratelli Bonaccorso e Girolamo, rimasti a Lucca, una somma uguale a Cesare Balbani di Ginevra, 500 scudi alla madre, Zabetta Calandrini. Lasciò alla moglie Maria Michaeli il giardino e la casa in cui abitava e le riconobbe un credito di 4.262 scudi avuti da lei come dote all'atto del matrimonio e in tempi successivi. La moglie gli sopravvisse fino al 1604 e lasciò erede Cesare Balbani.
Il B. morì a Ginevra tra il 3 nov. 1595 e l'8 marzo 1596.
Fonti e Bibl.: Genève, Bibl. publique et universitaire, Libro dei dignissimi ricordi delle nostre famiglie, raccolti da V. Burlamacchi, Cronaca della famiglia Balbani, f.31v; Lucca, Bibl. governativa, ms. 1103, G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi, Famiglia Balbani, f.50; Parigi, Bibl. Nat., Fonds français, ms. 15906, f.34; C. Eynard, Lucques et les Burlamacchi. Souvenirs de la reforme en Italie, Genève-Paris 1848, p. 266; J.-B.-G. Galiffe, Le refuge italien de Genève,Genève 1881, p. 152; U. Valois, Inventaire des arrêts du Conseil d'Etat, règne de Henri IV,I,Paris 1886, docc. 275, 3039, 3109; E. Rott, Histoire de la représentation diplom. de la France auprès des Cantons Suisses, de leurs alliés et de leurs confédérés, II, Berne-Paris 1902, pp. 559, 645; E. Picot, Les italiens de France au XVIe siècle, Bordeaux 1902-18, p. 123; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sulla emigrazione religiosa lucchese a Ginevra nel sec. XVI, in Riv. stor. ital.,XLIX (1932), p. 291; L (1933), pp. 52 s., 444, 466; B. Croce, Un calvinista italiano. Il marchese di Vico, Galeazzo Caracciolo, in La Critica, XXXI (1933), p. 335; E. Coornaert, Les français et le commerce international à Anvers - Fin du XVe - XVIe, siècle, II, Paris 1961, p. 20.