ARREDAMENTO
L'a. della casa antica ci è noto attraverso tre specie di testimonianze: il materiale di scavo, gli accenni e le descrizioni che di esso fanno gli scrittori, e le rappresentazioni figurate. Il materiale di scavo offre un'idea incompleta, perché due grandi gruppi di suppellettili domestiche, quali i mobili in legno e le stoffe usate per tendaggi e cuscini, per la deteriorabilità della materia usata per la loro fabbricazione, sono in esso scarsamente rappresentati. Gli accenni e le descrizioni degli scrittori e le rappresentazioni figurate sono quindi indispensabili per colmare le lacune. Le trattazioni più antiche dovettero essenzialmente attingere a queste fonti indirette, sinché i grandi scavi compiuti durante le due scorse generazioni aggiunsero ai risultati archeologici di Pompei e di Ercolano, quelli di Delo, Priene, Ostia, Olinto e Dura Europos. Il quadro storico di questo aspetto della vita antica ha in tal modo acquistato un fondamento più ampio e più sicuro, sebbene manchi ancora una trattazione riassuntiva tanto per l'intero campo di studio quanto per i singoli periodi.
Egitto, Mesopotamia, Oriente mediterraneo, Egeo. - Dall'Egitto, dove le condizioni climatiche favorivano la conservazione del mobile di legno ci sono giunte numerose suppellettili di questo materiale, risalenti fino all'epoca più antica. Oltre la tomba di Tutankhamon, alcune tombe private del Nuovo Regno hanno restituito, fra l'altro materiale di scavo, varî oggetti di questo genere in uno stato di conservazione davvero sorprendente. Non esiste ancora, però, una storia del mobile egiziano, sebbene si disponga già di un ricco materiale. Sono stati creati in Egitto, fra i tipi che divennero poi usuali: la gamba per sedie e per letti a forma di piede di animale - dapprima a forma di zoccolo bovino e in seguito anche di artiglio di animale da preda -; la sedia pieghevole; il cassone e l'armadio. Per quanto riguarda la forma, l'accentuazione della costruzione a quattro lati e del rapporto fra cornice e corpo prevale sulla espressione del rapporto tra forza portante e massa, cioè della funzione tettonica.
Nell'Asia Anteriore lo sviluppo meno coerente delle forme artistiche rende ancora più difficile una sintesi della storia del mobile. I mobili assiri si conoscono relativamente meglio di altri, grazie ad alcune rappresentazioni figurate e ad alcuni frammenti di originali pervenuti fino a noi. Il motivo dell' artiglio di animale felino come piede del mobile è ripreso dall'Egitto, mentre non sono egiziani i motivi derivati dall'uso del tornio, poiché sedie a gambe rotonde non compaiono in Egitto prima del Nuovo Regno e sono, in ogni caso, un'eccezione. In Assiria e nelle zone limitrofe esse si accostano ai motivi derivati dalla colonna fitomorfa, e specialmente con corona di foglie ripiegate. Queste forme hanno determinato il modello del trono e del letto nell'arte degli Achemènidi. Intagli in avorio, prodotti specialmente in Siria, ebbero grande importanza nell'ornamentazione dei mobili di lusso dell'Asia Anteriore, nella prima metà del primo millennio a. C. Essi sono noti da vari ritrovamenti, ma solo raramente hanno potuto essere messi in relazione con determinabili forme di mobili (v. Arslan TaŞ Avorî di).
Anche per quanto riguarda la civiltà egea del III e II millennio, il materiale esistente permette di stabilire soltanto alcune particolarità. Una sedia con le gambe rientranti che appare nelle Cicladi nella seconda metà del III millennio trova il suo modello in opere sumeriche. La sedia pieghevole fu importata dall'Egitto nel XIV o XVI sec. Il più celebre di tutti i mobili minoici è il trono in pietra del secondo periodo Tardo Minoico esistente a Cnosso che è la copia di un originale in legno. Esso presenta una forma del tutto cretese, ma, come tipo, è un'opera sui generis. Il fatto che le gambe non siano riprodotte in tutto tondo, ma in bassorilievo appiattito sul blocco di pietra, che dà all'insieme quasi l'aspetto di una facciata ogivale, è notevole perché allo stesso principio (che altrove non viene seguito) s'ispira un modello arcaico di mobile dell'Oriente greco che ebbe notevole efficacia. I letti del periodo Minoico Tardo sono noti attraverso piccole copie in terracotta. Essi appaiono costruiti razionalmente nella forma più semplice. I modelli di sedie che compaiono assieme ad essi presentano un sedile semicircolare e una spalliera arcuata. Questa forma, derivata dalla tecnica dell'intreccio, sembra essere propria dell'Europa preistorica, come lasciano supporre simili modelli di sedie etrusche, databili all'inizio del VII sec. e al VI, che non hanno alcun rapporto con i modelli orientali, e il cui tipo ricompare nell'arte popolare della tarda età imperiale.
Mondo classico. - Nell'architettura greco-romana, per quanto riguarda gli interni i mobili hanno, in generale, un'importanza minore di quanta non ne abbia il tipo fisso di ambiente, anzi il loro carattere sta proprio in questa loro natura accessoria. Prima che fosse introdotto l'uso dell'armadio (ciò avvenne forse in età ellenistica) il letto fu il più sfarzoso fra i mobili greci, a cominciare dall'epoca in cui esso non servì soltanto per dormirvi - e di conseguenza per adagiarvi la persona morta - ma anche come giaciglio durante il pasto e il simposio, secondo un uso che l'età della poesia epica ancora non conosceva, poiché allora, come in Egitto e in origine anche nell'antico Oriente, esisteva soltanto l'uso di sedere a banchetto. La figura del bevitore sdraiato compare per la prima volta nell'arte assira del sec. VII. I primi documenti che riguardano l'adozione di quest'uso da parte della società aristocratica greca sono un frammento di Alcmane (55 D) e le figurazioni di vasi corinzî ed attici dell'inizio del sec. VI. La forma di questa klìne si distingue dal letto più antico, noto dalle scene funebri di vasi geometrici. Per la forma delle gambe simile ad una clava e per l'intelaiatura della cornice, i letti dell' Età Geometrica possono essere accostati ad un letto di bronzo etrusco degli inizî del sec. VII. Siccome, per quest'ultimo, si presuppongono modelli fenici o siriani, modelli simili dovranno essere ammessi anche per i letti dell'Età Geometrica. Le gambe tornite della klìne, forma nuova propria dell'inizio del sec. VI, risalgono evidentemente ad un nuovo influsso orientale. Tutto l'insieme del mobile è divenuto più fastoso, le gambe hanno aumentato il loro volume e nella parte superiore hanno preso la forma di un cilindro dal profilo concavo, che è sorretto da un sostegno che si assottiglia verso il basso e che poggia su di uno zoccolo. Accanto a questa forma, considerata come la forma madre, compare nell'Oriente greco, prima ancora del sec. VI, una seconda forma caratterizzata dal piede a listelli appiattiti. Questa particolarità costruttiva sembra risalire all'Età Egea del Bronzo. Nella metà inferiore i sostegni presentano un profilo a forma di due sigma uniti tra loro per il dorso e ornati di palmette. Da capo della klìne i piedi giungono spesso oltre la cornice, per terminare in una coppia di volute sormontate da palmette. Il profilo a doppio sigma e la forma dei capitelli mostrano, anche in questo tipo, il legame con i modelli orientali. Ambedue le caratteristiche si notano già in antichi mobili assiri e siriani. Nei mobili di lusso e in quelli usati per il culto dei morti questo tipo si mantiene fino all'età ellenistica. Anche il primo tipo resta, ma, a cominciare dalla tarda Età Arcaica, diviene più semplice. Le klìnai delle case borghesi attiche della fine del sec. VI e del V ci sono note dalle rappresentazioni di vasi a figure rosse. A capo del letto esse presentano spesso una spalliera laterale obliqua che, a cominciare dalla fine del sec. V, si accompagna a una spalliera analoga collocata nella parte opposta (κλίνη ἀμϕικέϕαλος).
Le κλῖναι χιουργεῖς e μιλησιουργεῖς, nominate negli elenchi del tesoro dell'Atena Parthénos, mostrano che anche in epoca classica varie forme di letto di lusso furono attribuite a officine orientali, anche se non è stato ancora accertato a quali tipi si riferiscano questi nomi. Conosciamo le forme della klìne del IV sec. dalle pitture di vasi attici e italioti e dai rilievi con rappresentazioni di banchetti funebri.
Il tipo di letto con le gambe tornite subisce un rinnovamento nell'età ellenistica, divenendo più sontuoso e complesso. Questa forma si accosta a quella dei mobili degli Achemènidi a tal punto che, con ragione, si è potuto ammettere un nuovo influsso dall'Oriente. Ayanzi di simili letti in bronzo sono stati trovati, ad esempio, a Priene e a Pella; e ne conosciamo le copie nelle terracotte ellenistiche e nelle urne etrusche. Nelle città vesuviane questo era il tipo più in uso al momento in cui esse furono sepolte. Di queste klìnai in bronzo e delle parti ornamentali di esse esistono considerevoli avanzi. L'appoggio per la testa, il fulcrum, presentava spesso, nella parte anteriore, ornamenti plastici quali un rilievo od un busto. Anche intarsî di metallo furono usati come ornamento. I piedi possono anche presentare l'aggiunta di sfingi scolpite. È stato possibile ricostruire queste klìnai in maniera abbastanza completa. La più sontuosa di tutte è quella che, erroneamente, viene chiamata bisellium capitolino. Questi modelli di letto erano evidentemente quelli che Plinio indicava come lecti Deliaca specie perché furono diffusi dal commercio delio in tarda epoca ellenistica. In tempi più recenti, a cominciare dall'epoca imperiale, il centro di questa produzione era l'Italia meridionale. Esemplari di legno vennero ornati con intagli, in avorio. In epoca imperiale i fulcra vennero rialzati, e fu loro aggiunta una spalliera, in modo che il letto prendeva, nell'insieme, l'aspetto di un divano. Questi tipi di letto sono specialmente conosciuti dalle loro copie nell'arte sepolcrale. Sarcofagi attici dei secoli II e III d. C. imitano klìnai con piedi a listelli appiattiti convergenti verso il basso e terminanti in zampe di felini. Questa forma di accentuata solennità, che ricorda i tripodi monumentali, non è documentata in altri luoghi. La stabile disposizione delle klìnai nel triclinio sembra essere un uso romano già dell'epoca repubblicana. Ogni letto conviviale soleva, in questo caso, accogliere tre persone, ed i gruppi erano sistemati in modo che la tavola, collocata nel centro, potesse essere usata ugualmente da tutti. L'arredamento di questi triclinî è noto specialmente dalle città vesuviane. In Grecia, la collocazione delle klìnai era, in origine, più libera. Di solito ognuna di esse aveva la sua tavola particolare. Nel corso dell'epoca imperiale, al triclinium fu sostituito il sigma. Un giaciglio isolato, fabbricato in legno o in muratura, a pianta semicircolare, la cui struttura scompariva sotto le coperte e i cuscini, sostitui le klìnai singole. Di questa specie di letto non ci è giunto sinora alcun esemplare e se ne ha notizia, oltre che da alcune fonti letterarie, esclusivamente da rappresentazioni figurate. Rilievi su coperchi di sarcofagi col mito di Meleagro e con scene di caccia, rappresentazioni conviviali paleocristiane, alcune miniature dei codici di Virgilio nella Biblioteca Vaticana e dell'Iliade Ambrosiana, o oggetti di artigianato come il missorium di Cesena, ci hanno conservato questo tipo.
Un esame generale della klìne mostra che, dai tempi arcaici fino all'epoca tarda, i tipi non mutano. La forma però cambia in un determinato senso. L'espressione funzionale che l'età classica aveva saputo definire in maniera nuova e più semplice rispetto al senso monumentale arcaico, col ricco e movimentato gioco di forme, proprio delle creazioni ellenistiche, non cessa di esistere, ma viene forse dissimulato acquistando un senso di relatività. Il primo Impero cerca di mantenere l'essenza di questo carattere, ma il letto a forma di divano, che domina a cominciare dal sec. II d. C., non può ormai più negare la sua indifferenza rispetto alla espressione funzionale. Il suo compito consiste nell'offrirsi, in maniera molto sobria, come mobile pratico e comodo, oppure nel trasferire in un nuovo insieme unitario la chiarezza della struttura accentuandone, con la foggia della spalliera, il complesso formale, complesso che presenta un carattere più spaziale che strutturale. L'estinguersi dell'espressione strutturale come conseguenza di quella spaziale è il risultato del processo relativo alla disposizione e alla collocazione delle klìnai, processo che, dall'allineamento e dalla susseguente concentrazione nel triclinio, porta alla completa soppressione dell'antica struttura per dare luogo, nel sigma, ad una nuova e più vasta unità.
Uno stretto legame con la storia del letto greco ha la storia della sedia. Molto resta ancora da fare per rivedere l'abbondante materiale. Le differenze esistenti fra poltrona o trono, semplice sedia e sedia pieghevole, riguardano più l'uso che lo stile. Nel corso del sec. V si formarono (come avvenne per la klìne) i tipi fondamentali di queste tre specie di sedili, che compaiono poi l'uno accanto all'altro fino all'epoca imperiale. Anche qui la forma delle gambe è quella che ha più importanza. Nei troni, già in epoca arcaica, si trovano le due forme di gamba che si notano contemporaneamente anche nelle klìnai. Nei rilievi e nelle pitture il profilo della sedia è legato colla posizione frontale delle gambe, in maniera che queste appaiono girate di un angolo di 90°. La terza forma di gamba per sedia è quella della zampa di felino, che proviene dall'Egitto ma che fu importata in quell'epoca, direttamente dall'Oriente. Un bell'esempio di questo tipo, riservato ad uso di culto, è il trono in marmo del sacerdote di Dioniso nel teatro di Atene. Anche negli sgabelli per appoggiare i piedi la forma classica presenta la zampa di felino. Questa forma di artiglio sembra riprendere il noto tipo dei letti geometrici. Un'innovazione essenzialmente greca è la poltrona con le gambe incurvate all'infuori, nota nella sua forma classica, soprattutto attraverso i vasi attici e i rilievi funerarî. Caratteri simili appaiono già in mobili fra il 540 e il 530; la spalliera si sviluppa solo nell'epoca di passaggio all'età classica. La sedia pieghevole compare già nel secondo venticinquennio del sec. VI, ed ha già il motivo dei piedi raffiguranti zampe di felini, motivo che diviene tipico di questo mobile, che, con molteplici mutamenti, resta generalmente in uso fin nella tarda antichità. L'età imperiale mantiene, nei varî tipi di sedili, quasi tutte le forme greche. Alcune innovazioni, come, ad esempio, le poltrone a forma di paniere, compaiono in ambienti popolari o barbarici dal sec. III in avanti, sino ad incontrare una particolare fortuna nei secoli V e VI.
Alla grande importanza della klìne fa riscontro, nell'arredamento domestico, la limitata importanza della tavola. Nel partecipare ad un pranzo o ad un festino i commensali non si adunavano in gruppo intorno ad una tavola, come avveniva in epoche più tarde, ma formavano un certo numero di unità distese sulle klìnai. Per ogni klìne occorreva perciò una tavola piuttosto piccola che potesse essere rimossa con facilità. Questi tavolini da pranzo greci che, in generale, venivano rappresentati accanto alle klìnai, sono per lo più di legno, formati da una superficie rettangolare poggiante su tre piedi generalmente uniti da listelli orizzontali e terminanti spesso in un artiglio di animale. In età ellenistica questa forma di tavolino cede il posto a quella costituita da una superficie circolare poggiante su tre sostegni a zampe di animali. Questi tavolini rotondi compaiono a cominciare dal sec. IV, ed hanno vario uso. Nell'età ellenistica e romana essi divengono più ricchi. Esistono esemplari in bronzo, argento e pietra. Nella casa romana ed ellenistica troviamo anche tavolini ad un solo piede, di cui abbiamo esempî in bronzo e in pietra. Anche tavolini di legno non saranno certamente mancati. Il sostegno poteva presentare anche una rappresentazione figurata. Per deporvi le stoviglie si usavano, nelle case ellenistiche, tavole rettangolari di pietra con due sostegni fatti a listelli, sostegni decorati solo in una delle parti strette, da cui si deduce che queste tavole erano appoggiate alla parete. Dagli inizî dell'epoca imperiale in poi i sostegni vengono trattati in maniera simmetrica, perché proprio in quest'epoca, negli ambienti grandi, queste tavole erano usate staccate dalle pareti. Accanto ad esemplari di marmo molto sfarzosi esistono anche modelli in bronzo di questo tipo.
Le tavole quadrangolari che sopra abbiamo nominato non servivano in genere come tavole da pranzo. Esse erano tuttavia necessarie nei banchetti per appoggiarvi sopra il vasellame: sia quello di uso immediato sia quello che veniva soltanto esposto. A questo scopo si usavano tavole angolari e rotonde. Tavole per vasellame che servivano anche per il culto sono note dai rilievi fittili locresi dell'inizio del sec. V. Sotto il loro piano si trova un piccolo armadio munito di sportello a due battenti, in modo che tutto il mobile acquista una forma che sta fra il tavolo e l'armadio. La cosiddetta Coupe des Ptolémées nella Bibliothèque Nationale di Parigi, opera della prima età imperiale, una pittura parietale di Pesto ed alcune raffigurazioni pompeiane ci mostrano la forma corrente di tali buffets a cominciare dalla tarda età classica.
In generale l'armadio è raramente usato dai Greci prima dell'età ellenistica. Tanto più frequenti sono i cassoni. La loro forma usuale è rettangolare con coperchio piatto. Le pareti sono formate da cornici e da specchi e i piedi possono presentare la forma di zoccolo o di artiglio. Esempi classici sono i cassoni sui quali siedono, nel frontone orientale del Partenone, le divinità eleusine. La decorazione è spesso eseguita con intarsi, come nell'Arca di Cipselo. Anche l'arca con coperchio a doppio spiovente, com'essa ci è nota a partire dalla fine del sec. IV attraverso i sarcofagi lignei, sarà stata una suppellettile domestica. Negli atrî delle ricche case pompeiane si trovavano, già nell'età ellenistica, sfarzosi cassoni di legno con applicazioni di metallo, i quali poggiavano su zoccoli di pietra e servivano soprattutto come ripostigli di oggetti preziosi. Alcuni esemplari, con ricca decorazione a chiodi bronzei ed a rilievi pure bronzei applicati, ci sono pervenuti in uno stato di conservazione straordinario.
Anche grandi armadî di legno furono notati durante gli scavi nelle città vesuviane. Talvolta se ne fece un calco in gesso o un disegno. Ad Ercolano si poté salvare, in gran parte, il legno di un esemplare particolarmente ricco che, al disopra dell'armadio vero e proprio, presenta un'edicola prostila munita di uno sportello, nella quale erano esposte le immagini dei Lari. Ad esso si aggiunge una serie di rappresentazioni di armadi romani. Armadî di questo genere servivano anche per riporvi libri e maschere. Da essi si sviluppò lo scrigno ebraico della Türāh, che conosciamo specialmente attraverso vetri dorati, miniature (codice Amiatinus della Biblioteca Laurenziana di Firenze) e, divenuto cristiano, in un mosaico del cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Sul modello di simili armadî ellenistici si foggiarono gli armadietti per le immagini degli antenati, che si trovavano nelle case romane.
Scrigni egiziani, testimoniati già per l'Antico Regno, sono i prototipi di armadi greci la cui esistenza è provata già alla fine del sec. V a. C. da una iscrizione contenente la lista dei beni confiscati ad Alcibiade. La forma ellenistica, che noi conosciamo attraverso le imitazioni della prima età imperiale, dovrà essere riportata ad un rinnovato influsso egiziano. Dal punto di vista dello sviluppo stonco, si tratta dunque di un'analogia rispetto all'adozione delle forme achemènidi nella klìne ellenistica.
Fra gli oggetti che servivano all'illuminazione, le comuni lampade di terracotta e di metallo possono essere attribuite alla suppellettile domestica soltanto in quel senso più largo nel quale le si attribuiscono il vasellarne per la tavola e gli utensili da cucina. Rientrano invece nell'ambiente degli interni i lampadarî e i candelabri. All'inizio della storia del lampadario si trova un gruppo di lucerne marmoree di forma semicircolare e ornate di teste a rilievo. A giudicare dal loro stile esse sono databili tra la fine dell'VII e la prima metà del VI sec. a. C. I dati di scavo ci dicono che esse erano usate nei santuarî. Ma, se pure non ci fossero tipi analoghi lavorati semplicemente, si potrebbe sospettare che questo modello avesse avuto anche un uso profano. Lucerne a forma circolare, probabilmente fabbricate nelle medesime officine, presentano nel mezzo un foro per potere essere fissate su di un sostegno a forma di bastoncello, avvicinandosi così a un tipo non raro di lucerne fittili. Questa forma di lucerna sopra un supporto è molto simile a quella del candelabro (v.). Un eccezionale e splendido lampadario, appartenente per lo stile al tardo arcaismo ma databile già al sec. V avanzato, è quello di Cortona (Cortona, museo), in bronzo fuso. Esso presenta 16 becchi, fra i quali sono rappresentate a rilievo le figure di Sirene musicanti e di Sileni. Il lavoro è etrusco; il tipo, tuttavia, deve essere considerato greco. L'evoluzione ellenistica di esso ci è nota per due lampadarî fittili nel sepolcro dei Volumni a Perugia e per i motivi ornamentali di una pittura pompeiana del secondo stile che li imitano. Qui una figura alata è aggiunta al di sopra del lampadario: un'aggiunta che, se dal punto di vista strutturale è poco soddisfacente, doveva apparire invece, nella realtà, piena di significato, quando s'immagini il lampadario con le luci accese posto in un ambiente buio. Si aveva allora l'impressione quasi di un miracoloso librarsi della figura volante dall'oscurità alla luce.
Il candelabro antico è formato da un triplice piede ispirato per lo più al motivo dell'artiglio di felino, e da un fusto sormontato da un elemento terminale. Esso era eseguito, in origine, in bronzo fuso e compare per la prima volta in esemplari etruschi della tarda epoca arcaica fabbricati a Vulci. Il centro di esso racchiude una statuetta o un gruppo di statuette. Di qui si partono quattro bracci appuntiti diretti verso l'esterno, nei quali, dilato, si infilavano le candele. Questo tipo deve essere nato in un'officina della Magna Grecia che risentiva notevolmente dell'influsso insulare o ionico, officina della quale però conosciamo solamente prodotti alquanto più recenti. Nel sec. V i candelabri etruschi erano molto noti in Atene. Su vasi attici della tarda epoca arcaica si vedono oggetti simili già usati come supporti di lampade a olio. In questo modo si completa il tipo che, con lievi modifiche, era ancora in uso nelle città vesuviane al momento della loro distruzione. L'elemento terminale sul quale la lucerna era collocata assunse un aspetto di calice o di capitello. Per gli ambienti più fastosi dell'età imperiale furono creati, a imitazione dei precedenti, candelabri marmorei quali, per esempio, i due esemplari barberiniani di età adrianea, conservati nei Musei Vaticani. In stretto contatto di tipo e di sviluppo storico col candelabro sono i supporti bronzei di incensieri, quelli che servivano ad appendervi oggetti del simposio e lucerne, nonché i fusti, con i relativi accessori, per il gioco del kòttabos. Nei sostegni figurati degli incensieri è evidente il rapporto con antichi prototipi orientali. Anche i sostegni di lebeti in forma conica o di colonnino. di balaustra e di treppiede devono essere ricordati come oggetti di arredamento delle stanze da pranzo. I sostegni a treppiede continuano una forma nata in Siria già nella tarda Età del Bronzo. Anche i tripodi "a verghette", che costituiscono una grande famiglia databile fra la tarda età micenea e l'epoca romana, hanno non di rado servito a questi scopi profani.
Dalle fonti che ci sono pervenute non è facile farsi un'idea dell'a. interno delle abitazioni con tende e tappeti, e della rivestitura di sedili e letti con coperte e cuscini. Per i disegni e la specie dei tappeti, i mosaici soprattutto costituiscono un compenso, alle fonti mancanti. Con i ritrovamenti di Olinto una specie di tappeti tipica dell'epoca classica tarda ha potuto essere definita per via indiretta. L'imbottitura dei mobili non era conosciuta nell'antichità. Le numerose rappresentazioni di cuscini e di materassi rappresentano un tesoro di antichi disegni tessili il cui studio non è stato ancora esaurito dalla storia dell'arte. Dall'epoca ellenistica in avanti nelle klìnai e nelle sedie la struttura del mobile viene in gran parte nascosta; si preferisce distendervi sopra coperte in modo da ottenere un effetto ricco e splendidamente pittorico. Sull'uso dei tendaggi per la decorazione delle stanze abbiamo notizia, oltre che dalle fonti letterarie, specialmente dalle pitture e dai rilievi dell'epoca imperiale. È un uso di lusso, originario dell'Oriente, molto diffuso in età ellenistica, e che ancor più si diffuse in età imperiale. Come nell'evoluzione storica delle forme dei singoli oggetti di arredamento domestico, vediamo che anche nell'architettura interna degli ambienti il gioco consistente nel dissimulare la forma strutturale, porta, in sostanza, all'annullamento di quei valori espressivi ai quali si era giunti prendendo inizio dalla casa stessa e riuscendo così ad ottenere una nuova espressione ambientale di carattere meno visibile, ma più puro, al quale si aggiunse una nuova dimensione spirituale.
Bibl.: I capitoli relativi all'a. nell'antichità in Koeppen e Breuers, Geschichte des Möbels, 1904, sono stati superati da nuovi ritrovamenti e da nuove indagini fatte in questo campo. Un'utile esposizione generale dei differenti tipi e delle loro trasformazioni offre il libro di G. M. A. Richter, Ancient Furniture, Oxford 1926. In A. Feulner, Kunstgeschichte des Möbels3, Berlino 1927, solo poche pagine sono dedicate all'antichità. Non mncano buone ricerche isolate. J. E. Quibell, The Tomb of Yuaa and Thuiu, 1908 (Egitto); E. Schiparelli, La tomba intatta dell'architetto Cha, Torino 1927 (Egitto); G. Kulczycki, Die Möbelformen des ägäischen Kulturkreises, Lwow 1931; Th. Klauser, Die Cathedra im Totenkult, 1927; C. L. Ransom, Couches and Beds of the Greeks Etruscans and Romans, Chicago 1905; G. Rodenwaldt, in Pauly-Wissowa, XI, 1922, cc. 846-861, s. v. Kline; Greifenhagen, in Röm. Mitt., XLV, 1930, p. 137 ss. (letti di Delo); Neugebauer-Greifenhagen, in Ath. mitt., XLVII, 1932, p. 29 ss. (idem); Hug, in Pauly-Wissowa, IV A, 1931, cc. 398-422, s. v. Stuhl; H. Blümner, in Arch. Zeitschrift, XLII, 1884, p. 179 ss., p. 285 (tavola); W. Déonna, Le mobilier délien, in Expédition de Délos, XVIII, 1928, E. Pernice, Die hellenistische Kunst in Pompeii, Berlino-Lipsia 1925: Gefässe und Geräte aus Bronze, V, Berlino-Lipsia 1932; Hellenistische Tische, Zisternenmündugen, Bechenuntersätze, Altäre und Truhen; E. Budde, Armarium und Kibotos, Würzburg 1940; J. D. Beazley, in Journ. Hell. Stud., LX, 1940, p. 22 ss. (lampade di pietra arcaiche); Th. Wiegand, Das Thymiaterion, in Bonner Jahrbücher, CXXII, 1912; K. Schmidt, in Pauly-Wissowa, XI, 1922, cc. 1528-541, s. v. Kottabos; V. Lorents, Barbaron Hyphasmata, in Röm. Mitt., LII, 1937; G. Rodenwaldt, Cortinae, in Nachr. Gött. Gesell. Philol. Hist. Klasse, 1925, I.