ARIGERNO
Scarse sono le notizie che noi abbiamo su questo conte goto, alto funzionario della corte di Ravenna, ma tutte di grande interesse storico, perché da esse A. appare come esecutore dei programma politico ed espressione della volontà di re Teoderico, sia in occasione dello scisma laurenzi ano, sia in altre posteriori vicende di notevole importanza.
Lo scisma, apertosi nel novembre 498 con la doppia elezione dell'archipresbitero Lorenzo e del diacono Simmaco al soglio pontificio, era sembrato concludersi con l'arbitrato - semplice accertamento degli elementi procedurali delle due elezioni e non giudizio di merito sulla vertenza religiosa - del re Teoderico (fine dei 498- inizi del 499). Ma si era rinnovato, invece, e con violenza anche maggiore, dopo le gravissime accuse di carattere morale - investenti la purezza del papa come uomo - e religioso, lanciate dalla fazione capeggiata dal caput Senatus Festo contro Simmaco. Il re, costretto a intervenire per motivi d'ordine pubblico, nominò il vescovo d'Altino visitatore per la Chiesa di Roma, e convocò a corte Simmaco per interrogarlo sulla validità delle accuse di carattere religioso. Il papa s'affrettò a ottemperare all'invito di Teoderico ma, trattenuto a Rimini nell'attesa di conferire col re e venuto a sapere che lo si voleva interrogare anche intorno alle accuse di carattere personale, tornò a Roma dove dovette trovare un'atmosfera così ostile che non rientrò nella sua sede, l'episcopio Lateranense, ma riparò "intra beati Petri apostoli septa". Questa, che il partito avversario fece apparire come una fuga, indusse il re ad accondiscendere alle tesi degli anti-sinimachiani, convocando, col consenso del papa, un sinodo che giudicasse sul merito della questione. Riunitosi in prima sessione nella basilica di S. Maria in Trastevere (estate 501), il sinodo si sciolse ben presto. Convocato in seconda sessione per il 10 sett. del 501, Teoderico inviò a Roma, coi compito di proteggere l'incolumità fisica del papa, il "vir inlustris" e "maior domus regis"' conte A., insieme ad altri due alti dignitari, i conti Gudila e Bedeulfò. Il sinodo si riaperse nella basilica Sessoriana in una atmosfera rovente di accuse e di controaccuse; il papa, che aveva voluto presentarsi al sinodo senza attendere il conte A., venne attaccato, appena uscito da S. Pietro col suo corteo, dai partigiani di Festo, armati di spade e bastoni. Nello scontro, i simmachiani ebbero la peggio: fra gli altri, caddero anc dignitari ecclesiastici. Seguirono tumulti e disordini con violenze d'ogni genere nei confronti dei fautori dei papa; in questo regime d'intimidazione, che il conte A. non riuscì in un primo tempo a dominare, Simmaco rifiutò tenacemente, nonostante le commissioni di vescovi inviategli e le preghiere di A., di presentarsi al sinodo. Di contro al parere della fazione senatoria, di far condannare il papa in contumacia, prevalse quello della corrente moderata: in terza sessione fu deciso di rimettere all'autorità dei re la redintegratio della Chiesa e la quies di Roma e delle province. Ma Teoderico, fermo nella sua politica di neutralità' ricordò al sinodo la sua incompetenza in materia religiosa, l'invitò a decidere come meglio credesse, e mandò ordini ad A. perché garantisse l'ordine pubblico a Roma e l'incolumità al papa, che, nella quarta sessione del sinodo, ebbe riconosciuto il diritto di esercitare nella sua pienezza il suo ministero pastorale (23 luglio 501).
Intorno al 510~511 troviamo A. nuovamente incaricato di affari di notevole importanza. A.Roma due personaggi di elevata posizione sociale, Basilio e Pretestato, erano stati accusati di pratiche magiche. Il praefectus urbi Argolico, per evitare le noie e le responsabilità d'un processo, deferì la questione al re, scrivendogli che la cosa era di sua competenza e che le sue decisioni sarebbero state più autorevoli; Teoderico replicò ordinandogli d'istruire il processo, secondo la procedura penale, con l'assistenza del collegium quinquevirale di cui chiamava a far parte cinque patrizi, e di condurlo con la severità della legge. Ma i due imputati, corrotti i custodi, riuscirono a fuggire. Teoderico ingiunse che venissero fatte le più rigorose ricerche per il loro arresto e per il loro deferimento al tribunale quinquevirale; ma, nel timore che il giudizio di questa corte fosse influenzato da violenze, non esitò a mandare a Roma A., che aveva già mandato nel 501 e che era reduce dalle vittoriose campagne di Gallia (non siamo meglio informati sulla parte avuta da A. in questa guerra combattuta in favore dei Visigoti contro i Franchi). Il re aveva conferito ad A. i poteri necessari perché provvedesse a ristabilire l'ordine pubblico, reprimendo gli eccessi ed impedendo che i responsabili potessero sfuggire alle meritate sanzioni. Erano compiti che rientravano nelle attribuzioni essenziali del praefectus urbi, il quale veniva posto con questi provvedimenti sotto una vera e propria tutela diretta del governo centrale. Per di più, Teoderico ingiunse al Senato di conformarsi alle misure prese da Arigerno. Non sappiamo come andasse a finire la vicenda.
Sempre in questo torno di tempo a Roma avvenne che alcuni servi cristiani uccidessero i loro padroni ebrei. Il fatto, e ciò èinteressante, fu denunziato al conte A., che fece condannare i colpevoli. La misura provocò violenti disordini: la sinagoga stessa venne data alle fiamme. Questo fatto fece intervenire Teoderico, il quale con una dura lettera impose che il Senato aprisse un'inchiesta e procedesse a norma di legge contro i responsabili perché il volgo non fosse tratto a seguire il nefando esempio, indegno di Roma e dei Romani.
Non possiano stabilire né la carriera di A. posteriore a questi avvenimenti, né la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Cassiodoro, Variae, in Monum. Germ. Hist, Auctores Antiquissimi, XII, Berolini 1894, pp. 97 s., 101, 121, 124, 133, 422 ss.; L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, I,Paris 1955, 260 e ss.; Fragmentum Laurentianum, ibid., pp. 44 ss.; T. Mommsen, Ostgothische Studien, in Neues Archiv für áltere deutsche Geschichtskunde, XIV (1889), pp. 514 ss.; O. Bertolini, Roma difronte a Bisanzio ed ai Longobardi, Bologna s. d. [ma 1941], pp. 48 ss., 65 ss, 68 ss. Per il quadro politico-religioso del periodo in cui operò il conte A. vedi anche: A. Alessandrini, Teoderico e papa Simmaco durante lo scisma Laurenziano, in Arch. d. R. Deput. romana di storia patria, LXVII (1944), pp. 153-207.