Argia
. Figlia di Adrasto, re di Argo, sorella di Deifile e sposa del tebano Polinice, da cui ricevette la famosa collana fabbricata da Vulcano come dono di nozze di Venere alla propria figlia Armonia sposa di Cadmo, fondatore di Tebe. Questa splendida collana riuscì fatale a tutte le donne che la possedettero, da Giocasta a Semele, ad A., ad Erifile (Stazio Theb. II 265 ss. " nam tum infaustos donante marito / ornatus, Argia, geris dirumque monile / Harmoniae. Longa est series sed nota malorum ", e cfr. IV 187 ss.). E sventurato addornamento la chiama D. in Pg XII 51, quando, descrivendo uno degli esempi di superbia punita, ricorda come Erifile, moglie di Anfiarao, avuta da Polinice la collana di Armonia, si lasciò corrompere e svelò il luogo, solo a lei noto, dove il vate-guerriero si era nascosto per non partecipare con Polinice alla spedizione dei Sette contro Tebe, poiché prevedeva che vi avrebbe trovato la morte. Scomparve, infatti, sotto le mura di Tebe, insieme col cocchio e i cavalli, inghiottito da una voragine che Giove gli aprì dinanzi con un fulmine nel momento in cui stava per essere trafitto dall'asta di Periclimeno (cfr. If XX 31-36). Erifile fu poi uccisa dal figlio Alcmeone, al quale il padre aveva affidato il compito di vendicarlo e che per non perder pietà, si fé spietato (cfr. Pd IV 103-105; il commento del Buti ad l.; Ovid. Met. IX 407; Virg. Aen. VI 445-446).
Virgilio, rispondendo a Stazio, mentre i tre salgono la scala che conduce alla sesta cornice del Purgatorio e con squisito tratto di gentilezza mostrandogli di conoscere profondamente la sua opera, ricorda A. insieme con Deifile e altre figure del mito come uno dei personaggi de le genti tue (Pg XXII 109-114), cioè della Tebaide e dell'Achilleide, che completano la serie degli eroi e delle donne più famose dell'antichità, di cui in If IV 121-144.
A. e la sorella Deifile sono ricordate da D., insieme con Adrasto, in Cv IV XXV 8, quando il poeta illustra la sua definizione di pudore. Condotte dalla nutrice Aceste, dinanzi da li occhi del santo padre, al cospetto di Polinice e Tideo, fuggiaschi, l'uno di Tebe e l'altro di Calidone, quegli vestito della pelle di un leone, questi della pelle di un cinghiale, le vergini [cioè A. e Deifile, che sarebbero poi divenute loro spose, a compimento di un oracolo di Apollo che aveva predetto ad Adrasto che le figlie avrebbero sposato un leone e un cinghiale] palide e rubicunde si fecero, e li loro occhi fuggiro da ogni altrui sguardo, e solo ne la paterna faccia, quasi come sicuri, si tennero (cfr. Stazio Theb. I 536 ss. " Nova deinde pudori / visa virum facies: pariter pallorque ruborque / purpureas hausere genas, oculique verentes / ad sanctum rediere patrem "). Come si vede, l'episodio staziano aveva suscitato profonda suggestione nella fantasia di D., se è possibile individuare nel passo del Convivio termini, espressioni, strutture e tonalità che trovano piena rispondenza nei versi della Tebaide.