appressare
Ricorre ventotto volte; nella prosa appare soltanto cinque volte. Si noti che otto volte è in rima. Nel significato fondamentale di " avvicinare ", " accostare ", il verbo è usato due sole volte nella forma transitiva: con senso proprio in If XXVIII 129 [Bertram dal Bornio] levò 'l braccio alto con tutta la testa per appressarne le parole sue; con senso traslato in Cv IV XXIII 15 [la Chiesa, sogg.] la sesta ora... li suoi offici appressa [" avvicina ", " raggruppa "] quivi da ogni parte, cioè da prima e di poi, quanto puote; quattro volte in quella intransitiva: in Pd XXIV 117 - dove si trova in un contesto figurato - E quel baron [s. Pietro] che sì di ramo in ramo, / esaminando, già tratto m'avea, / che a l'ultime fronde appressavamo, / ricominciò; al gerundio, in If XXXI 38 più e più appressando ver' la sponda [del pozzo dei giganti], / fuggiemi errore e crescémi paura; in Fiore LVI 5 Il marinaio... / per fuggir da terra, o appressando [da intendersi, forse, equivalente di " accostare " come termine marinaro] / in quella guisa ch'allor gli è più sana, / così governa mese e settimana; e, infine, in accezione estensiva nel senso di "venire vicino nel tempo ", in If XXIV 108 la fenice more e poi rinasce, / quando al cinquecentesimo anno appressa.
In tutte le altre occorrenze compare nella forma intransitiva pronominale; nel senso proprio di " avvicinarsi nello spazio ", in Rime LXXVII 6 E già la gente si guarda da lui, / chi ha borsa a lato, là dov'e' s'appressa; Vn XXIII 18 10 E altre donne... / appressarsi per farmi sentire [quel che dicevano]; If VIII 68 Omai, figliuolo, / s'appressa la città c'ha nome Dite; XII 76 Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle; XVII 126 vidi poi... / lo scendere e 'l girar per li gran mali / che s'appressavan da diversi canti, dove i mali vengono presentati come se realmente s'avvicinassero ai due poeti che scendono nelle Malebolge sul dorso di Gerione; e inoltre, ancora in If XXII 29 e 131, XXIII 134, Pg VI 8 (come variante di fa pressa), IX 73, X 9, XVI 120, XXII 139, XXVI 102; Cv IV XII 18, XXVIII 11 (in contesto allegorico: la nobile anima... al porto, ove s'appressa, venire non si potea con tanta ricchezza né con tanto guadagno), XXVIII 12. In Pg XXVIII 59 [Matelda] fece i prieghi miei esser contenti, / sì appressando sé, che 'l dolce suono / veniva a me co' suoi intendimenti, e Pd I 7 appressando sé al suo disire [Dio], / nostro intelletto si profonda tanto, / che dietro la memoria non può ire, la posizione enfatica del pronome, non enclitico e in cesura, intende probabilmente sottolineare la volontà di Matelda di far comprendere a D. le parole del suo canto, la volontà e il desiderio che trascinano l'intelletto al pieno possesso di Dio; nel secondo passo il verbo è usato in accezione traslata. In Cv III XV 6 Dio e la etternitate e la prima materia... per quello che sono intendere noi non potemo; [e nullo] se non cose negando si può appressare a la sua conoscenza, e non altrimenti, il verbo è in senso figurato; e la lezione del Busnelli è pienamente legittima (precedenti studiosi, tra cui il Parodi e il Pellegrini, correggevano il testo, certamente erroneo, consegnando di alcuni codici in come sognando), giacché sorretta dalla dottrina aristotelico-tomistica della conoscenza, che si ha per via remotionis o per negationes: cfr. Busnelli-Vandelli, ad 1.
Nel senso estensivo di " avvicinarsi nel tempo " appare in If X 103 Quando [le cose] s'appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; XXXII 43 l'ora s'appressava / che 'l cibo ne solëa essere addotto; Pd XVII 26 la voglia mia saria contenta / d'intender qual fortuna mi s'appressa.