ZANNONI, Antonio
ZANNONI, Antonio. – Nacque a Faenza (allora appartenente allo Stato della Chiesa) il 29 dicembre 1833 dall’ingegner Nicola e da Vincenza Orges, entrambi di famiglia borghese con interessi e domicilio in città.
Nutrito di buoni studi letterari nel ‘patrio’ ginnasio comunitativo, frequentò nel contempo la locale scuola di disegno – d’indirizzo classicheggiante – animata dagli epigoni di Pietro Tomba, prima di addottorarsi a Roma (1859) in filosofia e matematica e completare due anni più tardi il proprio ciclo di formazione a Bologna con la laurea in ingegneria e architettura. L’accumulo di nozioni teoriche e sperimentali così maturato, e i numerosi viaggi compiuti nell’Europa continentale (Germania, Francia, Ungheria) «crearono in lui una mentalità [...] intellettualistica e pratica insieme» (Golfieri, 1971, p. 306), aperta all’innovazione e dunque pronta a mettere a frutto opportunità e risorse indotte dal corrente progresso tecnico-scientifico: qualità che unite a spiccate doti creative e imprenditoriali ne fecero uno dei protagonisti del processo di modernizzazione avviatosi nella città petroniana negli immediati decenni postunitari. Pur avendo mantenuto, infatti, sempre saldi legami con il diletto ‘borgo natio’, Bologna fu dal 1861 in avanti luogo di stabile residenza e assieme contesto ambientale entro cui si svolse la più parte della sua instancabile attività professionale e accademica. Qui Zannoni impalmò, ventisettenne, la faentina Emilia Runcaldier, che gli diede due amatissime figlie (Zemina Vincenza e Neofila Rosa), la seconda delle quali deceduta ancora infante. Nel capoluogo emiliano il 27 aprile 1861 prese parimenti avvio la sua carriera di pubblico funzionario, che lo vide per più di tre lustri impiegato nell’Ufficio tecnico municipale, dapprima con funzioni di assistente dell’ingegnere capo Coriolano Monti, successivamente (1874-77) come titolare e responsabile unico del Servizio di edilità e arte.
Il reclutamento su base meritocratica del giovane neolaureato romagnolo, se da un lato contribuiva allo svecchiamento dell’apparato burocratico e amministrativo cittadino, caldeggiato dal governo centrale anche in altri campi, dall’altro immetteva nuova e competente linfa negli organici incaricati di gestire la febbrile stagione di lavori pubblici e privati che tra l’Unità e la fine del secolo si proponevano di mutare, come di fatto mutarono, il volto architettonico e urbanistico della ‘Dotta’. Di tali vasti lavori, concepiti nel tentativo di adeguare la città al ruolo di primo piano per lei pensato nello scacchiere geopolitico della ‘nuova’ Italia, Zannoni fu pronto sollecitatore, valido progettista e non di rado esclusivo artefice/consulente tecnico.
La prima, gravosa, impresa con cui ebbe a misurarsi consistette nell’individuazione del tracciato dell’acquedotto che riforniva la romana Bononia, onde verificarne lo stato di conservazione nella prospettiva di rimetterlo in funzione, facendone la base della nuova rete idrica civica. Dopo avere rintracciato di persona, rilevato e fatto spurgare in più fasi (1862-64, 1865-67) lo speco sotterraneo dell’antico manufatto, nel 1868 Zannoni fu in grado di elaborare un articolato piano per la sua completa riattivazione e per la realizzazione di tutti gli impianti sussidiari: piano che pur oggetto di aspre censure a livello istituzionale (e non) per supposta inconsistenza e per gli ingenti costi previsti, venne comunque approvato dal Comune nel 1871 e concretato in un quadriennio (1877-81), con benefici e prolungati effetti sul piano sociale e igienico-sanitario collettivo, e unanime ascrizione di meriti a Zannoni.
Il fatto di avere via via acquisito, mediante i prefati interventi di sistemazione idraulica, profonda dimestichezza con l’intero ciclo delle attività archeologiche (dalla raccolta informativa preliminare all’indagine territoriale, allo studio analitico di reperti e strutture) mise l’ingegnere faentino nelle condizioni di operare con un approccio misurato e rigoroso, ovvero pragmatico e olistico, nei cantieri edili sottoposti al suo controllo, ove trincee e sbancamenti rivelavano a ritmo incalzante antichi livelli di frequentazione antropica, del tutto normali in una realtà urbana complessa e stratificata quale quella bolognese. Iniziale cimento da archeologo militante, sia pure eterodosso, fu lo scavo sistematico del sepolcreto etrusco fortuitamente rintracciato (1869) nell’area meridionale del cimitero monumentale della Certosa, allora oggetto di ristrutturazione (Bettazzi, 2005, p. 192), scavo che diede la stura a una serie di sue ulteriori, proficue esplorazioni (open area fuori le mura, a sezione obbligata nel centro storico) destinate non solo a richiamare l’attenzione dei cultori della nascente scienza paletnologica (convenuti difatti ex professo sotto le Due Torri, nel 1871, per la quinta sessione del Congresso internazionale di antropologia e archeologia preistoriche), ma anche e soprattutto ad ampliare esponenzialmente gli orizzonti di conoscenza sul passato più remoto della città, superando i limiti imposti dalle fonti letterarie e documentandone i vari stadi di sviluppo culturale, specie quello preromano.
Nel quadro di non sempre facili rapporti dialettici con i maggiori ‘antichisti’ felsinei del tempo (Francesco Rocchi, Giovanni Gozzadini, Giovanni Capellini, Edoardo Brizio), oltremodo critici nei confronti del suo fiero e intraprendente autodidattismo, Zannoni innovò profondamente le procedure e le tecniche di conduzione dell’indagine archeologica sul campo fin lì invalse. Mutuò, infatti, dalle scienze della Terra quell’attenzione per la conservazione e la salvaguardia dei reperti ‘in associazione’ e quella cura nella registrazione analitica delle evidenze topostratigrafiche che sole potevano offrire un acconcio novero di informazioni fruibili nel lungo periodo e dunque utilizzabili come solida base conoscitiva in sede di interpretazione storica. Seguendo questi precetti investigò i terreni fuori porta S. Isaia liberi da costruzioni e quelli già urbanizzati di Ponente e Mezzogiorno interessati da opere stradali e fognarie, riportando alla luce cospicue vestigia di capanne protostoriche e di necropoli distribuite cronologicamente tra l’VIII e il IV secolo a.C. Di larga parte di queste scoperte e dei materiali rinvenuti e contestualmente musealizzati diede conto in diversi articoli e in almeno tre ponderose memorie a stampa (Gli scavi della Certosa di Bologna, 1876-1884; La fonderia di Bologna, 1888, 19072; Arcaiche abitazioni di Bologna, 1892, 19072), pregevoli per obiettività descrittiva e per il ricco apparato illustrativo, ma assai deboli nella sostanza a causa del tentativo, mal riuscito, di addentrarsi – con fiducia tutta positivista – nel delicato terreno di questioni etno-cronologiche e storico-artistiche a lui estranee per difetto di cognizioni specifiche.
Di pari passo con il dispiegarsi della sua ‘cieca passione’ antiquaria, Zannoni sviluppò un’altrettanto feconda attività di saggista e libero progettista in rami disciplinari più intimamente connessi alla propria qualifica di base. Assommano, infatti, a più di due terzi sul complesso della pubblicistica da lui prodotta, gli scritti scientifici e giornalistici in materia di urbanistica, mobilità e servizi pubblici d’ambito nazionale e regionale (strade, ferrovie, porti, acquedotti, ospedali, cimiteri, stabilimenti idroterapici ecc.), ove espresse, con una prosa enfatica, idonee e lungimiranti soluzioni ai più svariati problemi pendenti, mentre sono computati in oltre venti gli interventi di ristrutturazione edilizia e nuova costruzione di fabbriche civili e religiose che recano la sua firma a partire dal ‘fatidico’ 1861 (dettagliati ‘repertori’, a cura di C. De Angelis e F. Bertoni, in Atti del Convegno su Antonio Zannoni, 2017, pp. 19-41 e 73-106).
Propugnatore, in architettura, di uno stile che fosse espressione dello spirito presente, in bilico tra caute tendenze revivalistiche ed eclettiche, impresse a ogni sua presa di posizione su piccole e grandi questioni infrastrutturali un deciso indirizzo strategico, evidente soprattutto nei piani razionali di sviluppo del trasporto di merci e persone su rotaia (ferrovia tosco-romagnola, linea Faenza-Ravenna, direttissima Bologna-Firenze-Roma), mai disgiunti da «un’ampia [e meticolosa] indagine di carattere tecnico ed economico sulle caratteristiche vocazionali e produttive delle zone interessate» (A. Bucchi e V. Vignali, ibid., p. 56).
Nell’ultimo trentennio della sua esistenza Zannoni affiancò all’esercizio speculativo e concreto dell’arte del costruire e all’impegno politico diretto nei consigli comunali della città natale (1889-95, 1901-07) e di elezione (1891-95), l’ufficio di docente di materie architettoniche presso la R. Università e la Scuola d’applicazione per gli ingegneri di Bologna. Abilitato, infatti, al libero insegnamento dell’architettura tecnica dal 1883, venne, nello stesso anno, chiamato per chiara fama alla cattedra di tale materia che era stata del defunto Fortunato Lodi: cattedra che egli tenne sino alla morte, dapprima come professore incaricato, poi come straordinario (1892-99) e infine come ordinario. Nel corso di questo lungo magistero, impartito su allievi-ingegneri destinati a brillanti carriere negli anni a venire (Cimbro Gelati, Antonio Masetti Zannini, Remigio Mirri, Attilio Muggia, Pier Luigi Nervi), diede prova di una non comune attitudine didattica, del resto già sperimentata nel corso del suo giovanile apostolato in una scuola d’apprendistato popolare.
Morì settantasettenne il 17 agosto 1910 nella villa Beccadelli di Ceretolo presso Casalecchio di Reno (Bologna), ove era solito trascorrere con la famiglia i mesi estivi. Vedovo dal 1904, venne tumulato all’ingresso della Galleria degli Angeli della Certosa da lui stesso disegnata e costruita.
Uomo dall’agile e poliedrico ingegno, promotore di aggiornamenti dottrinari e originali linee di pensiero in tutte le numerose branche di sapere praticate, Zannoni va annoverato tra le figure di spicco di quell’élite altamente specializzata che, sull’onda di forti spinte idealistiche, fu protagonista di un ‘nuovo’ Rinascimento nell’Italia postrisorgimentale, attraverso il recupero e la valorizzazione delle radici prime della storia patria e la creazione di salde premesse normative e fattuali per un più progredito vivere civile.
Opere. Un repertorio parziale degli scritti di vario argomento di Antonio Zannoni, compilato da Maurizio Avanzolini, trovasi in Antonio Zannoni nel 150° dell’Unità d’Italia, a cura di P. Furlan, Bologna 2013, pp. 63-73; la sua completa bibliografia archeologica, cronologicamente ordinata, figura in calce alle commemorazioni di Luigi Pigorini e Gherardo Ghirardini.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Istruzione superiore, Div. I (1900-54), Fascicoli personale insegnante, II versamento, 1a serie, b. 154, ad nomen (informazioni sulla carriera universitaria); Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B 3910 (appunti, corrispondenza, carte varie); Gabinetto disegni e stampe, Fotografie Bologna, Raccolta Zannoni (fotografie di architetture zannoniane); Archivio storico dell’Università di Bologna, sez. Architettura, Fondo Zannoni (materiale didattico: cenno descrittivo in Archivi aggregati. La sezione di Architettura e le nuove acquisizioni dei fondi degli architetti moderni, a cura di M.B. Bettazzi, Bologna 2016, pp. 24 s.; l’attività di pubblico funzionario è ampiamente rispecchiata nel Carteggio amministrativo dell’Archivio storico comunale di Bologna: per alcuni riferimenti di dettaglio v. http://www.comune.bologna.it/storiaamministrativa/people, ad indicem.
Necrologi e commemorazioni: Il monitore tecnico, XVI (1910), 24, p. 31; L. Pigorini, in Bullettino di paletnologia italiana, XXXVI (1910), 6-9, pp. 153 s.; E. Zironi, In morte di A. Z., Bologna 1911; G. Ghirardini, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 4, II (1912), 4-6, pp. 555-563; A. Masetti Zannini, in Il Comune di Bologna, XII (1926), 6, pp. 427-431; P. Ducati, ibid., XIV (1928), 8, p. 43 ss.; A. Muggia, Commemorazione dell’ing. prof. arch. A. Z. nel centenario della sua nascita. Tenuta il 29 dicembre 1933-XII a Faenza in una sala del Palazzo Comunale, Bologna 1934. Per una più ampia contestualizzazione e bilanci critici del suo operato in campi tanto diversi tra loro, si vedano: E. Golfieri, Il progettista dell’edificio termale di Riolo: A. Z. (Faenza 1833-Bologna 1910), in Studi romagnoli, XXII (1971), pp. 305-313; C. Morigi Govi, A. Z. e le scoperte archeologiche della Certosa, in La Certosa di Bologna. Immortalità della memoria, a cura di G. Pesci, Bologna 1998, pp. 77 ss.; È. Gran-Aymerich, Dictionnaire biographique d’archéologie: 1798-1945, Paris 2001, pp. 736-738; M.B. Bettazzi, Architetti al lavoro alla Certosa, in Gli spazi della memoria. Architettura dei cimiteri monumentali europei, a cura di M. Felicori, Roma 2005, pp. 191 s.; A. Z. nel 150° dell’Unità d’Italia, cit. (con contributi di P. Furlan, F. Giordano, A. Dore, R. Martorelli, M.B. Bettazzi, M. Avanzolini); A. Dore - C. Morigi Govi, La protostoria a Bologna dalla scoperta di Villanova all’inaugurazione del Museo Civico, in 150 anni di preistoria e protostoria in Italia, a cura di A. Guidi, Firenze 2014, p. 95 ss.; Atti del Convegno su A. Z., Faenza... 2014, in Torricelliana, LXVIII (2017), pp. 5-106 (con interventi di V. Righini, C. De Angelis, A. Bucchi, V. Vignali, M.B. Bettazzi e F. Bertoni, e ampia rassegna della bibliografia precedente); F. Bertoni, A. Z., in L’età neoclassica a Faenza. Le ville, a cura di F. Bertoni - M. Vitali, Ravenna 2019, pp. 218 s.; E. Tamburrino, Alle origini di un metodo: A. Z. e la ricerca degli acquedotti romani nell’Ottocento, in Aquam ducere, III, Proceedings of the Third International Summer School “Water management in arid and semiarid climates in Roman time”, Feltre... 2016, a cura di E. Tamburrino, Seren del Grappa 2019, pp. 169-184.