NARDI, Antonio
– Nacque a Cerea, nella Bassa veronese, il 2 giugno 1888 da Domenico e da Clodomira Bellavite.
Nel 1897 la famiglia si trasferì a Verona, dove, dopo aver frequentato il ginnasio alle Stimmate, nel 1903 Nardi s’iscrisse all’Accademia di belle arti Gian Bettino Cignaroli, allora diretta da Alfredo Savini, distinguendosi tra i suoi allievi più dotati. Contemporaneamente seguì corsi di ornato, affresco e tempera presso la Regia Scuola d’arte applicata all’industria della città. Dopo i primi saggi scolastici (Testa di vecchio e Vecchio a torso nudo, 1906, Verona, Accademia di belle arti Gian Bettino Cignaroli), si nota nei paesaggi degli anni successivi un certo riflusso macchiaiolo (Paesaggio con cappella, 1909, Verona, coll. Eredi Nardi) e reminiscenze segantiniane (Ritorno dal pascolo, 1907, già Verona, coll. Tantini).
Nel 1908, anno in cui terminò l’Accademia, eseguì interventi ad affresco nella sala dedicata a Paolo Veronese nel sanmicheliano palazzo Pompei, sede del Museo civico di Verona (oggi Museo civico di storia naturale), ai quali ne seguirono altri nel 1910 nell’oratorio della parrocchiale di Cerea (distrutto). Nello stesso anno iniziò a esporre presso la Società di belle arti in Verona opere che aggiornano la lezione verista di Savini sulla scorta di un naturalismo michettiano venato di notazioni di folklore, come suggerisce Processione (1909, coll. Rinaldo Nardi; ripr. in Kessler, 1967, fig. 2), esposta nel 1912. Attestano, invece, l’emersione di una propria personale poetica due dipinti del 1912: Interno (Verona, già coll. Baja; ripr. ibid., fig. 7), in cui «si evidenzia la volontà di raccontare uno spazio nella casualità del momento, cercando di raffigurare tutto quello che occasionalmente è presente» (Nalin, 1959), e Il giardino di casa 1 (Verona, coll. Eredi Nardi; ripr. in Kessler, 1967, fig. 9), dove la realtà più quotidiana e familiare si tinge d’incanti crepuscolari.
Dal 1912 fino al 1926 insegnò disegno a Verona presso la Scuola d’arte applicata all’industria e nel 1915 partecipò alla LXXXIV Esposizione internazionale di belle arti della Società degli amatori e cultori in Roma con un Ritratto, identificabile con La signorina Campogalliani (Mestre, coll. Eredi Daidone Nardi; ripr. in Kessler, 1967, tav. 9).Nel dipinto, capostipite di una serie di ritratti realizzati tra il 1914 e il 1917 nei quali appaiono significativi, seppur tardi, aggiornamenti di gusto secessionista interpretati in modo disadorno, è evidente l’influenza della presenza a Verona di Felice Casorati, che dal 1911 lavorava per la rivista La Via Lattea pubblicando, sino al 1915, illustrazioni in stile art nouveau, simbolico e decorativo. Riproposto nel 1918 sia alla I Esposizione d’arte Pro assistenza civica di Verona, insieme ad altri due Ritratti di signorina, sia alla Esposizione d’arte delle Tre Venezie di Torino, il dipinto aprì nel 1919 all’artista le porte di Ca’ Pesaro a Venezia, dove espose fino al 1928 nelle mostre organizzate dal critico Nino Barbantini in polemica con la Biennale.
Dopo la fine del primo conflitto mondiale la ricerca di Nardi si mosse verso un impegno realistico sempre più accentuato, che trovò espressione in figure in interno e nature morte, tra le quali si ricorda Zucca sul davanzale (1921, Verona, Galleria d’arte moderna Palazzo Forti), esposta alla XIV Mostra di Ca’ Pesaro promossa dall’Opera Bevilacqua La Masa di Venezia nell’autunno 1923, dove l’isolamento in primo piano della forma sovradimensionata travalica la sua presenza oggettiva. Nel 1921 partecipò alla I Biennale romana (Figure; Bambine o Le due bambine, 1920, Verona, Galleria d’arte moderna Palazzo Forti) e nel 1922 fu invitato alla I Fiorentina primaverile, dove presentò Figure e case (coll. Eredi Nardi; ripr. in catal., tav. LXXXVII).
Dietro il titolo generico il dipinto coniuga l’iconografia ritrattistica del Cinquecento veneto con i gesti stilizzati e lontani del manierismo fiorentino, eludendo l’approfondimento dell’introspezione psicologica dei personaggi e recuperando atmosfere popolari, in sintonia con quanto andavano facendo Carlo Carrà e Ardengo Soffici e con quanto avrebbero fatto dopo il 1926 gli artisti di Strapaese.
L’accentuazione realistica, testimoniale, documentaria, innervata da Nardi nella tradizione verista, si evidenzia, in particolare, nel dipinto Nel mio studio (o Angolo quieto, già Verona, coll. Baja; ripr. in La Quadriennale, 1931) – giocato sul silente dialogo intrattenuto dagli oggetti con il vuoto in primo piano – inviato nel 1921 alla XXXVII Esposizione di belle arti in Verona e nel 1923 alla Quadriennale della Società promotrice di belle arti di Torino. Esposte alla personale dell’artista, organizzata nel 1923 dall’Opera Bevilacqua La Masa, queste opere rivelano la lenta maturazione dello spirito assorto di Nardi, giunto a trasferire su un piano di bloccata oggettività l’acuta analisi del reale mutuata dalla pratica accademica. Questa tendenza è riscontrabile anche in Figure nel mio studio (Verona, coll. Eredi Nardi; ripr. in Fagiolo dell’Arco, 1989, p. 220 tav. 34), esposto nel 1922 alla XIII Biennale di Venezia e che nel 1923 valse all’artista la medaglia d’oro alla XXXVIII Esposizione d’arte organizzata dalla Società delle belle arti in Verona; e nel grande Nudo del 1924 (Verona, Accademia Cignaroli), in cui la sensualità del soggetto sfiora effetti stereoscopici.
Alla morte di Savini, nel 1924, Nardi divenne docente di pittura presso l’Accademia Cignaroli. Alla scrupolosa capacità descrittiva dei dipinti precedenti, reagì ora tentando d’infondere una morbida luminosità d’ascendenza impressionistica ai propri soggetti – come accade in Cortile (1924, Verona, Fondazione Domus Cariverona), inviato alla XIV Biennale veneziana del 1924 – ora bloccando la formulazione pittorica nell’essenzialità di un’atmosfera sospesa. È quel che avviene in Figura nel mio studio, opera presentata nel 1926 a Padova alla IV Esposizione d’arte delle Tre Venezie e acquistata dalla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma; nel dipinto, la raffigurazione, sulla pagina di un libro, del Ritratto di giovane uomo senza barba (Kronberg, Hessische Hausstiftung) di Lucas Cranach il Vecchio, costituisce al contempo un enigma e un’affermazione di poetica. Poetica che trova esplicito riferimento casoratiano in Donna con uova, esposta nel 1927 alla XVIII Mostra di Ca’ Pesaro.
Muovendosi tra realismo magico e naturalismo, alla fine degli anni Venti Nardi riscoprì l’opera tarda di Paul Cézanne (La collina ad Avesa, 1929, Verona, coll. Giuseppe Nardi; ripr. in Kessler, 1967, fig. 24), in sintonia con la coeva ricerca di Orazio Pigato e Guido Farina. Riferibili a questa particolare temperie sono le opere esposte nel 1929 alla XLI Biennale di Verona(Paesaggio, identificabile con Collina veronese, 1928, Verona, Galleria d’arte moderna Palazzo Forti; Ritratto, Piatto di frutta, Ragazza, Natura morta, ubicazione ignota) promossa dalla Società di belle arti in Verona e dal Sindacato fascista artisti veronesi, del quale Nardi fu presidente dalla fondazione fino al 1961 – quando era divenuto Sindacato di Verona della Federazione nazionale artisti – esponendovi regolarmente.
Dopo la XIX Biennale di Venezia del 1934 (Natura morta, coll. Eredi Oreste Finato) fu invitato nel 1935 alla Mostra che celebrava i quarant’anni della rassegna lagunare, dove presentò una selezione di otto dipinti rappresentativa delle sua ultima ricerca (si ricordano: Uva e mele, 1931, Fiore sul davanzale, 1934, Natura morta, 1935, ubicazione ignota).
Nel 1940, quando l’Accademia Cignaroli fu trasferita temporaneamente a Castel San Pietro, Nardi poté disporre di un ampio studio personale, dove lavorò fino al 1942, anno in cui i tedeschi requisirono l’edificio e chiusero l’Accademia (Viviani, 2006, p. 590). Risalgono a questi anni una serie di piccoli quadri di carattere compendiario, mentre un rinnovato impegno di ricerca si riflette nei ritratti realizzati dopo il 1945, quando a guerra ormai finita Nardi aveva potuto riprendere la sua attività di professore e riabbracciare amici di lunga data come il pittore Guido Trentini.
Sono opere caratterizzate da un taglio più moderno e, soprattutto, da colori luminosi ripresi certo dalla tradizione veneta ma aggiornati sull’uso del tono cromatico quale «determinante plastica» delle forme e dell’atmosfera del dipinto, in sintonia con quanto teorizzato nel 1933 dal Manifesto del primordialismo plastico. La variazione dell’intensità luminosa diviene mezzo utile a conquistare una nuova visione della realtà, più soggettiva e venata d’intimismo (Bambina con le trecce, 1948, Verona, coll. Giuseppe Nardi). Tale visione trova riferimento puntuale nella ricerca di Giorgio Morandi, alla cui poetica Nardi si accostò a metà degli anni Quaranta in opere quali Natura morta con vasetti e bottiglie (o Natura morta con bottiglie, 1947,già Rho, coll. Magni), che esplicitano un sentimento della luce, delle cose semplici e dei luoghi familiari teso a esaltare la qualità eminentemente pittorica della rappresentazione.
Ormai affermatosi tra i protagonisti della contemporanea pittura veronese, nel 1948 Nardi organizzò una doppia personale con Maria Trevisani presso l’Opera Bevilacqua La Masa (tra le opere esposte: Fiori, 1941, Verona, Fondazione Domus Cariverona; Fiori, 1943, coll. Bellavite; La fattoria rossa, 1944 e Natura morta, 1945, entrambi coll. Eredi Finato), dove ripercorse attraverso una cinquantina di opere la ricerca compiuta in trentaquattro anni di lavoro. La mostra fu seguita a breve distanza dalla partecipazione alla Rassegna nazionale di arti figurative organizzata nel 1948dall’Ente Quadriennale nazionale d’arte di Roma alla Galleria nazionale d’arte moderna, e dall’invito alla XXIV Biennale di Venezia, dove inviò due nature morte dalla soffice fattura pittorica, espressione di una quotidianità appartata carica di enigmatica attesa.
Medesima cifra stilistica è presente in Fiori e calco in gesso (1949, coll. Eredi Nardi; ripr. in Kessler, 1967, fig. 26),dove ogni chiaroscuro accademico scompare in favore di una tenue pastosità luminosa, che è quasi una serenità ritrovata, e in Figura, esposta al Palazzo della Gran Guardia di Verona nel 1951 in occasione della L Biennale nazionale d’arte; al contempo LaNuda (Verona, Accademia Cignaroli), con cui vinse nel 1951 il Premio Roma per le arti, rinnova nel suo rigore francescano il realismo magico della pittura degli anni Venti, investendola di una statica fissità.
Ottenne un altro premio nel 1955 alla XIX Biennale di Milano, dove espose Fanciulla dormiente (1954, Verona, Galleria d’arte moderna Palazzo Forti), Natura morta con vasetti e bottiglie e Zinie appassite, già presentata nel 1953, alla X Biennale d’arte triveneta di Padova. Una luminosità pallida e lattiginosa, dove l’ombra si fa rada fino a spegnere ogni risalto chiaroscurale, segnò la sua ultima attività pittorica (Ragazza in azzurro, 1959, coll. Rinaldo Nardi), che dopo la fine degli anni Cinquanta andò progressivamente scemando.
Alla XIV Biennale d’arte triveneta di Padova del 1961 inviò La figlia del contadino del 1944 (o La figlia del campagnolo, Verona, Fondazione Domus Cariverona), segnata da un tonalismo raffinato e malinconico, e Sentiero fra gli ulivi (coll. Giuseppe Nardi; ripr. in Kessler, 1967, fig. 30), frutto di uno dei suoi ultimi periodi di riposo a Malcesine, sulle rive del Garda, riproposto nel 1961 alla Sindacale di Verona e nel 1962 all’Interregionale d’arte di Cremona. Coronò la sua carriera artistica la medaglia d’oro del presidente della Repubblica che gli fu consegnata nel 1961 dalla Società di belle arti in Verona in occasione della LV Biennale nazionale della città.
Morì a Verona il 28 luglio 1965.
Fonti e Bibl.: Verona, Archivio privato architetto Giuseppe Nardi (nel quale sono presenti le riproduzioni fotografiche di molte delle opere e le notizie relative alle collezioni private); La Quadriennale (catal.), Torino 1931, p. 86; F. Nalin, Seppe cogliere la poesia della quotidianità, in Verona fedele, Verona, 19 gennaio 1959; A.E. Kessler, Mostra commemorativa di A. N. (catal.), a cura dell’Accademia Cignaroli di Verona, Verona 1967; L. Magagnato, in M. Carrà - M. Verdone - G. Maghetti et al., Arte moderna in Italia 1915-1935 (catal.), Firenze 1967, p. 42; Verona anni Venti (catal.), a cura di L. Magagnato - G.P. Marchi, Verona 1971, pp. 7, 9, 20, 34, 36, 42, 47, 56, 61 s.; V. Altichieri, Pittori veronesi del Novecento, Verona 1975, pp. 54-56; Les realismes 1919-1939 (catal., Paris-Berlin), Paris 1980, p. 56; La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, a cura di P. Brugnoli, Verona 1986, I-II, ad ind.; S. Marinelli, in Realismo magico. Pittura e scultura in Italia 1919-1925 (catal., Verona), a cura di M. Fagiolo dell’Arco, Milano 1989, pp. 89, 91, 220, 222, 224, 226, tavv. 34, 309; A. N. i sentieri della solitudine (catal.), Verona 1990; Diz. biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, II, Verona 2006, pp. 589-591.