MALATESTI, Antonio
Nacque a Firenze nel 1610 da Emilio. La famiglia, originaria di Terranova, nel Valdarno, si chiamava in origine Griffoli; dopo essersi trapiantata a Firenze, dove nel 1531 fu ascritta alla cittadinanza, cambiò il nome in Malatesti, da uno dei suoi membri. Nello stemma sul sepolcro in S. Croce, dove fu deposto anche il M., figura un grifo nero di cinghiale. Ebbe un "corpicciuolo secco, asciutto, su due gambe sottili, tutti stinchi, vere gambe da Stenterello" (Allodoli, in A. M., La Sfinge(, 1913, p. VI).
Fu educato presso i gesuiti del collegio di S. Giovannino. Pur indirizzato agli affari fin dai vent'anni, non trascurò mai gli studi umanistici. Visse nella sua casa all'Apparita, tra Bagno a Ripoli e Rignano sull'Arno, senza perdere i contatti con Firenze; negli anni giovanili ebbe un ufficio nella magistratura del Sale. Abile nel disegno, fu discepolo di Lorenzo Lippi, che forse fu per lui pure un tramite per interessi scientifici. Studiò astronomia con Lodovico Serenai e prestò i suoi servigi ai principi Lorenzo e Mattias de' Medici, per i quali scrisse ottave, canzoni, cartelli in occasione di mascherate, testi per giostre. Al Lippi il M. indirizzò Una lettera familiare, di 238 terzine, in cui narra le sue difficili condizioni economiche e il suo apprendistato letterario, tra desideri e frustrazioni. Le prime prove di un talento non privo di incertezze ma precoce risalgono al 1630: il M. scrisse poesia ionadattica, esempio di gusto burlesco e conviviale, e sonetti in lingua toscana ma fortemente giocosi, di tenore autobiografico.
A metà degli anni Trenta prese parte al sodalizio fiorentino degli Apatisti di Agostino Coltellini, assumendovi i nomi anagrammatici - come era consuetudine di quella Accademia - di Alamonio Transetti e Aminta Setaiolo. Diverse le notizie della sua attività accademica: il 26 maggio 1637 tenne una lezione sul secondo capitolo del Triumphus Cupidinis di Petrarca e sul significato della schiavitù d'Amore; negli stessi mesi Coltellini recitò l'orazione In morte di Raffaello Gherardi, gentiluomo fiorentino, a stampa con alcuni versi del M. (Firenze 1638). Ma questi, oltre che i circoli dotti, amava frequentare anche le brigate che, per divertimento, recitavano versi a S. Trinita e a S. Croce. Per le vie di Firenze il M. si fece interprete di bottegai e barbieri, ma anche di falliti e depressi, nel poemetto La compagnia di Belfiore, in dieci ottave. Al contempo, attento alla tradizione letteraria e agli autori contemporanei, iniziò a trascrivere e collezionare liriche boscherecce e versi satirici.
Di ritorno nella campagna di Bagno a Ripoli, nel settembre 1637, scrisse La Tina, "equivoci" maliziosi, ossia cinquanta sonetti d'argomento erotico e ambientazione rusticale. In quei mesi era in Italia il poeta John Milton, accolto dagli Apatisti (Milton avrebbe ricordato Coltellini e altri accademici, tra cui il M., nella corrispondenza con Carlo Dati dall'Inghilterra dieci anni dopo) e in visita presso Galileo Galilei. Al letterato inglese il M. recò forse in dono il manoscritto originale di questa raccolta.
La Tina è un gioco greve che culmina in ogni poesia nelle sconcezze della strofa finale. La chiarezza espressiva delle liriche contrasta con la natura oscura dell'ispirazione, misogina e ossessiva. La donna è un oggetto da usare, trastullo o nemico, solo deuteragonista in una trama fatta di burle e pratiche sessuali che rivelano disprezzo e, forse, tendenze omosessuali. L'omaggio a Milton è concepibile solo nell'ambito di un milieu libertino, lì dove erano quasi d'obbligo una duplice personalità, l'abito conformista e uno spirito anticonformista.
La circolazione del testo fu, comprensibilmente, manoscritta, quasi clandestina. La princeps dell'opera, a cura di Bartolomeo Gamba, uscì solo dopo due secoli (a Venezia, forse nel 1837), in cinquanta esemplari e con coordinate tipografiche fittizie (Londra, alle spese di Tommaso Edlin, 1757). Come citazione iniziale e in lode di Milton furono stampati versi di Antonio Francini, falsamente attribuiti al Malatesta. Nella prefazione anonima e succinta, in inglese, si racconta che Thomas Brad aveva tratto copia del manoscritto originale custodito a Londra, donandola a Thomas Hollis, che l'avrebbe consegnata al patrizio friulano Giovanni Marsili. Dell'ipotetico manoscritto inglese della Tina non si sa nulla.
Del 1637 sono anche alcuni versi in forma d'"indovinello". La raccolta uscì a Venezia, presso il tipografo Giacomo Sarzina, con il titolo La Sfinge, enimmi e la dedica dell'editore Giovan Battista Pusterla, in data Firenze, 8 sett. 1640, al senatore fiorentino Filippo Pandolfini, bibliofilo ed erudito. Accompagnano l'opera un sonetto e un epigramma di Coltellini, che non legano la raccolta al solo ambito degli Apatisti; vi è poi una lettera di C. Dati, che rivela gli inizi di una solida e duratura amicizia, discorre sul valore letterario degli enigmi, affiancando agli indovinelli del M. gli oracoli antichi, i Deipnosofisti di Ateneo, Marziale, Plutarco e Quintiliano, ma anche Boccaccio, il Burchiello e L. Alamanni.
La Sfinge è una centuria di sonetti, di cui tredici caudati. "Piacevoli e galanti" (Nigro, p. 237), propongono dilemmi e forniscono le soluzioni in una sezione successiva chiamata l'Edipo. Malgrado una vigile selezione, è probabile che alcune liriche non fossero gradite alle autorità religiose: talvolta l'editore gioca tra l'enigma (lì dove, al posto di un lemma, utilizza puntini sospensivi) e la soluzione a chiave. La raccolta ebbe una ristampa nel 1641 con le stesse coordinate editoriali ma con ulteriori censure. Una seconda centuria de La Sfinge fu edita a Firenze presso la Stamperia granducale nel 1643. A corredo di questa edizione è un sonetto (p. 10) con cui Galilei rispose al quinto degli "enimmi" della prima centuria, dedicato al cannocchiale. La circolazione informale, ma probabilmente anche la preparazione alla stampa giustificano l'esistenza di numerose copie manoscritte della centuria. Il gran numero d'indovinelli prodotti negli anni dal M., esclusi per motivi diversi (ma soprattutto per ragioni censorie) dalle edizioni in vita, ha stimolato nel tempo il lavoro di numerosi studiosi, che hanno pubblicato postumi gli indovinelli scartati dalle stampe.
Quando Lippi iniziò a comporre e leggere nell'Accademia degli Apatisti i primi cantari del suo poema in ottave Il Malmantile racquistato, nel 1649, il M. fu coinvolto nell'impresa con la scrittura dei dodici argomenti. Lippi immaginò la presa del maniero e la sua riconquista a opera di Baldone, giunto in soccorso della regina Celidora, con un esercito di ciechi, ghiottoni e ubriachi, capeggiato proprio dal M., sotto lo pseudonimo di Amostante Latoni, in veste di ridicolo guerriero (e giocatore di carte incallito). Nel poema l'uso della lingua ionadattica, la sapienza delle riscritture, il labor limae, l'impegno diretto di amici nella stesura non furono pratiche ignote al M., che fu anche autore di un "enimma" iniziale d'accompagnamento del poema e dell'ottava LXI nel primo cantare, assai autocelebrativa.
Gli ultimi anni di vita furono ancora a Firenze: il M. fu spesso con Agostino Nelli e Michele Dati, in quel periodo al lavoro con altri per la terza edizione del Vocabolario della Crusca (1691). Frequentò la bottega del libraio Stefano Felici, mentre probabilmente continuava a partecipare a tornate degli Apatisti. Fornì versi per la festa seguita alla monacazione, il 4 sett. 1672, di suor Maria Felice Nelli. Leggeva e prestava volumi di storie argute, che sempre lo conquistavano: il 26 sett. 1672, per esempio, diede in lettura ad A. Nelli una copia del Novellino.
Un colpo apoplettico lo colse a Firenze il giorno di Natale del 1672. Ricevuti i sacramenti, si spense dopo due giorni, per essere sepolto nella tomba dei Griffoli e dei Malatesti in S. Croce.
Quasi contemporaneamente ai funerali, A. Nelli ebbe l'incarico di catalogare la biblioteca del defunto e il 21 marzo dell'anno seguente scrisse a Michele Dati che "si erano venduti i libri del Sig.r Antonio Malatesti" (Nelli, vol. b, p. 221). L'opera del M. è oggi custodita in gran parte nei fondi Magliabechi, Marmi e Biscioni della Biblioteca nazionale di Firenze. Si segnalano il poema Rinaldo infuriato in dieci canti, emulazione del modello ariostesco, e La Chimera, o vero La selva dei sogni, poema satirocomico di Astianatte Molino, altro anagramma dell'autore.
Postuma è la stampa de I brindis [sic] de' ciclopi (Firenze 1673), canto a più voci in onore di Polifemo innamorato della ninfa Galatea e vincitore sul rivale Aci. Si tratta di venti sonetti giocosi in silloge compatta e breve; da tranches della corrispondenza di A. Magliabechi con A. Aprosio, tra il 1671 e il 1673, si apprende anche che la raccolta avrebbe dovuto essere parte di un'opera più ampia, già intitolata Polifemo dall'autore. La raccolta è decisiva per delineare un'immagine virile, allegra e misogina dell'autore, esaltatore della guerra e delle amicizie. L'edizione fu realizzata per volontà di G. Cinelli Calvoli, che aveva chiesto quei versi a Magliabechi, il quale, in seguito, si dichiarò scontento dell'operato dell'editore. Ebbe più fortuna nella ristampa, unitamente ad analoghi componimenti di Piero Salvetti (Firenze 1723); le ricche note di corredo ai testi, opera di Giuseppe Bianchini e dell'abate Anton Maria Salvini, palesano il notevole spettro delle letture del M.: oltre ai classici (Anacreonte, Aristotele, Euripide, Alesside, Terenzio, Teognide, gli elegiaci latini, Virgilio, Lucano), Petrarca, Ariosto e Tasso, Sannazzaro, Poliziano, Alamanni, Varchi, Chiabrera, Testi, Redi e Benedetto Menzini.
Nel 1683, sempre a Firenze, fu data alle stampe un'edizione più ricca della Sfinge, con dedica del Morelli al conte bolognese Vincenzio Ferdinando Antonio Ranuzzi, cameriere segreto del granduca Cosimo III, bibliofilo e collezionista. Fu aggiunta una terza parte di cinquantatré sonetti, di cui due caudati, omaggio agli Apatisti e a tutta la città di Firenze, con il relativo Edipo; seguirono una sezione di cinquantasette ottave toscane, tutte autonome tra loro, con pagine di soluzione e un ultimo segmento, i Quaternari delle minchiate, con Edipo, costituito da sessantasei quartine di endecasillabi (pure tra loro autonome), che illustrano un gioco di carte toscano (pp. 399-422). L'intera parte ebbe una ristampa immediata di diverso formato.
Al M. è andata copiosa e costante l'attenzione degli studiosi, con particolare fortuna della Sfinge e della Tina: Enimmi, ossieno Indovinelli piacevoli e galanti finora inediti, a cura di M. Rastrelli, Firenze 1782; La Sfinge, Brindisi de' Ciclopi e la Tina, a cura di P. Fanfani, Milano 1865; La Sfinge, enimmi, con aggiunta la Tina, a cura di E. Allodoli, Lanciano 1913; La Tina, a cura di C. Valacca, Messina 1914; a cura di S. Blancato, Milano 1943; a cura di M. Masieri, Roma 2005, che ignora purtroppo i lavori di Valacca. Inoltre: Lettera familiare di Antonio Malatesti a Lorenzo Lippi descrivendogli la sua vita, a cura di G. Piccini - M. Rimborsi, Firenze 1867. Componimenti del M. si leggono in: Rime burlesche di eccellenti autori, a cura di P. Fanfani, Firenze 1856, pp. 30-32; Poesie inedite di G. Galilei, di F. Redi,( di A. Malatesta, a cura di G. Piccini, Firenze 1867, p. 8.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Naz., II-15: A. Nelli, Diario, voll. a, pp. 200, 291, 328 s., 366; b, pp. 72, 169, 171, 174-176, 179 s., 182, 196, 201-205, 208, 221; Magl., VII.220, 229, 231, 233, 237, 359, 391, 392, 674; Palat., 248, 275; Ibid., Biblioteca Moreniana, Mss., 166, 210, 215, 303; Pavia, Biblioteca universitaria, Fondo Corradi, 94.B.148.; University of Toronto, Thomas Fisher Rare Book Library, Stillman Drake Manuscript Collection, 03193; Austin, University of Texas, Harry Ransom Center, Ph 12684; J. Milton, Pro populo Anglicano. Defensio secunda, London 1654, p. 84; G. Negri, Storia degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 63 s.; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIII, Fiesole 1844, pp. 303 s.; A. Neri, Lettera all'onorevole sig. direttore del Propugnatore, in Il Propugnatore, VI (1873), 1-2, pp. 90-102; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, I, Bologna 1926, pp. 219-226; P. Rebora, Milton a Firenze, in Il Sei-Settecento. Conferenze, Firenze 1956, pp. 249-270; M. Masieri, La Tina, ovvero i sonetti erotici di A. M., in I capricci di Proteo. Percorsi e linguaggi del barocco. Atti del Convegno, Lecce( 2000, Roma 2002, pp. 857-866; S.S. Nigro, Il "dilettevole stile giocoso", in lingua e in dialetto, in Storia generale della letteratura italiana, a cura di N. Borsellino - W. Pedullà, IV, Milano 2004, pp. 237, 251, 259-261.