LAIMIERI, Antonio
Nacque a Brescello, nel Reggiano, nel primo o secondo decennio del XVII secolo, da Pietro Giovanni e da Flaminia Politi.
Ebbe un fratello, Ippolito, proprietario di terre e di una bottega di "speciaria", e padre di due figli; grazie agli appoggi di cui godette alla corte estense il L. procurò a uno dei due l'incarico di tenente della compagnia di cavalli di Brescello e all'altro un canonicato.
Non è noto l'anno dell'ingresso del L. tra i minori conventuali: le prime notizie che lo riguardano si fondano su lettere in suo favore del luglio 1639 (di cui si conservano le minute) dalla corte estense al padre provinciale dell'Ordine, per caldeggiare poi, nel 1642, la sua nomina alla reggenza del collegio di Padova. Il 24 febbr. 1644 fu nominato provinciale di Transilvania, Moldavia e Valacchia, e nell'occasione il duca di Modena Francesco I d'Este lo raccomandò al re di Polonia, Ladislao VII, per le sue "discrete maniere" e "virtuose qualità". In un diploma del sovrano polacco del dicembre 1645, il L. risulta "artium et sacrae thelogiae doctor" e "theologum et concionatorem" del sovrano. Con l'appoggio di Ladislao, di Francesco I e della duchessa di Parma Margherita Aldobrandini, il 21 genn. 1645 il L. ottenne la patente di commissario generale e presidente nel capitolo di Russia. Abbandonò quell'incarico prima del dovuto, perché si sentiva minacciato "nella paternità" della provincia di Bologna, che avrebbe dovuto ottenere allo scadere del mandato in Transilvania. Il duca Francesco I favorì il suo rientro, richiedendolo per suoi particolari interessi al padre generale, e gli fece avere la "figliolanza" del convento di Reggio, dove il L. si trovava nel settembre 1646. Ma l'irregolare abbandono della provincia di Transilvania comportò per il L. l'esclusione dall'incarico di definitore, che spettava a chi aveva rivestito un provincialato. Gli Estensi lo aiutarono nella causa da lui intentata contro il provvedimento, della quale in un primo tempo fu giudice il padre guardiano di Bologna, poi la Congregazione dei minori regolari, presso la quale risultava ancora pendente nel 1650.
Non erano andate meglio le cose nel convento di Reggio, da dove il guardiano e i confratelli scrissero, nel luglio 1647, al duca di Modena lamentando che il L. provocava a tutti "continui disturbi, aggravii e disgusti", rifiutandosi di vivere secondo la regola e di obbedire al guardiano. Nonostante ciò, il L. ottenne nel 1653 il guardianato di quel convento. Nel maggio dello stesso anno fu a Roma per il capitolo generale dell'Ordine e si adoperò per favorire l'elezione di un padre generale "dispostissimo a servire" gli Estensi. Sperava di avere il provincialato di Bologna nel capitolo tenutosi in quella città nel 1654, ma, nonostante l'appoggio estense, non vi riuscì.
Il padre generale dell'Ordine aveva espressamente invitato i suoi protettori a desistere dal favorirlo, sostenendo che il L. era mosso non dallo zelo di servire la religione, ma da interesse e ambizione e che, forte dei suoi sostegni, "fa violenze tali che mai qui tra di noi non si sono sentite simili". Lo descrive inoltre come superbo, rissoso e non osservante la regola; quanto al voto di povertà "basta solo guardare le stanze che lui abita, la cantina particolare che tiene, la dispensa et il suo giardino" e, quanto alla castità, ricorda un pendente processo de crimine pessimo.
Gli Estensi non tennero conto dell'avvertimento, perché nello stesso periodo lo inviarono ambasciatore a Genova per un'importante missione. Nel 1659 il L. divenne guardiano del convento di Bologna, ma quando nel 1660 si trattò di rinnovargli l'incarico, i confratelli gli furono contrari e scrissero al cardinale Rinaldo d'Este di avere sopportato "gli impeti, et improprii trattamenti" del L. solo per la riverenza e gli obblighi che nutrivano nei suoi confronti. Il L. rientrò dunque nel convento di Reggio, dove continuò a servire gli Estensi - chiedendo e ricevendo favori per i propri nipoti -, seguì la nuova fabbrica iniziata nel 1666 e riuscì nel 1669 ad aprirvi un noviziato.
Il suo servizio in corte lo portò, nel novembre 1653, a Genova come ambasciatore straordinario del duca Francesco I, per sottoporre alla Repubblica il progetto di far rivivere la lega dei principi italiani, che l'Estense aveva stretto nel 1642 con Venezia e Firenze in occasione della guerra di Castro. Alla rinnovata lega, che si giustificava - fuori dalle competizioni franco-ispaniche - con la difesa di Venezia contro il Turco, era necessario che partecipasse anche Genova, ma, dato che la corrispondenza fra le due Repubbliche era interrotta già dalla fine del XVI secolo, Francesco I assunse il ruolo di intermediario. Il L. illustrò ai senatori i vantaggi che avrebbero ricavato dall'adesione alla lega, ma il Consiglio del numero duplicato, che discusse le proposte presentate dal L. nelle consulte del 12, 16, 19 e 31 genn. 1654, si dichiarò in maggioranza contrario. Francesco I ottenne solamente di poter far leva di uomini nei territori della Repubblica. Il L. rientrò a Modena il 28 marzo e, nonostante l'insuccesso, l'abilità dimostrata fu molto apprezzata in corte.
Fu inviato nuovamente a Genova nell'aprile 1655, per restarvi fino al dicembre 1656, in un momento in cui i rapporti fra Spagna e il duca Francesco I arrivarono alla rottura. In marzo il governatore di Milano Luis de Benavides, marchese di Caracena, aveva marciato, senza successo, su Reggio (anche il L., con i suoi frati, aveva partecipato alla difesa della città armato di moschetto).
Compito principale della nuova missione fu il reclutamento di remiganti da inviare alla fortezza di Brescello, operazione per la quale il L. rischiò il linciaggio da parte dei parenti delle reclute, per non aver pagato nessuno.
Da Genova il L. informava continuamente la corte estense sui principali avvenimenti europei e a Torino incontrò l'ambasciatore francese. Si occupò anche dell'accoglienza a Genova di Laura Martinozzi, sposa del principe ereditario Alfonso d'Este, il 6 luglio 1655.
Gli Estensi si servirono del L. come ambasciatore anche in altre occasioni. Fra il 1664 e il 1666 - durante la reggenza di Laura Martinozzi per il figlio Francesco II - fu inviato a Napoli per trattare su diverse somme da esigere: gli Estensi rivendicavano gli stipendi dovuti dal re di Spagna al duca Cesare d'Este dal 1606 al 1628, e inoltre 500.000 scudi castigliani della dote di Caterina d'Austria, figlia di Filippo II di Spagna, moglie del duca di Savoia Carlo Emanuele e madre di Isabella che aveva sposato Alfonso III d'Este, nonché 136.000 ducati spesi da Francesco I per la leva dei soldati inviati a Milano nel 1645, su istanza del re di Spagna.
L'ultima lettera che riguarda il L. è del 1687: gli Estensi lo raccomandano, per una non precisata causa, ai cardinali della congregazione dei Vescovi e regolari, che "si compiaccino dispensarlo in premio di tante fatiche e buon servizio prestato alla religione et alla sacra congregazione De propaganda fide".
Si ignorano la data e il luogo di morte del Laimieri.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Ambasciatori, Italia, Genova, bb. 9-10, 12; Roma, b. 262; Bologna, b. 9; Napoli, bb. 28-29; Arch. segreto Estense, Regolari, b. 65; Particolari, b. 704; F. Testi, Lettere, a cura di M.L. Doglio, III, Bari 1967, pp. 455 s., 587 s.; L. Simeoni, Francesco I d'Este e la politica italiana del Mazarino, Bologna s.d. [ma 1921], pp. 156 s.; O. Pastine, Una questione della politica italiana del Seicento, in Riv. stor. italiana, s. 5, IV (1939), pp. 69-76.