DAL ZOTTO, Antonio
Nacque a Venezia, il 7 maggio 1841, in famiglia di origine camica, da Giovanni e da Rosa De Chiara. Ancora fanciullo imparò a maneggiare lo scalpello nella bottega del padre marmista.
Frequentò l'Accademia e fu allievo di M. Grigoletti, L. Ferrari e di L. Borro, che nell'ambiente artistico veneziano, saturo di eclettismo accademico e d'imitazione canoviana, tentavano d'introdurre un linguaggio più realistico. Dalla loro lezione il D. derivò, oltre all'accuratezza scrupolosa nell'esecuzione, quel desiderio di aderire fedelmente al vero, che rimarrà costante in tutta la sua lunga carriera d'artista.
A sedici anni diede la prima prova del suo talento modellando una bella statua di S. Antonio da Padova col Bambino. Nel 1864 eseguì una statua di Petrarca morente e una di Galileo in carcere, che gli meritò l'esonero dal servizio militare; nello stesso anno vinse il Gran Premio di Roma (cfr. Seconda esposiz. ... Venezia, Cat., 1897, p. 106). Grazie ad una pensione del governo austriaco, il D. poté soggiornare dai primi del gennaio 1866 a Roma, dove frequentava, in via Margutta, una scuola di nudo (De Cesare, 1907). Dopo la terza guerra d'indipendenza il D. rientrò a Venezia.
Nel 1870 fu nominato professore di modello e di anatomia alla scuola d'arte applicata all'industria e nel 1879 passò all'Accademia di belle arti, dove insegnò per quarantacinque anni.
Cominciò allora un'intensa e fortunata attività scultorea soprattutto di carattere celebrativo, commemorativo e sepolcrale. Nel 1880 eseguì il busto di Vittorio Emanuele II, collocato nell'atrio del municipio di Este; nello stesso anno realizzò la statua in bronzo di Tiziano Vecellio, inaugurata il 5 settembre a Pieve di Cadore.
Con il monumento in bronzo a Carlo Goldoni, fuso da P. Arquati e inaugurato nel 1883 in campo S. Bartolomeo a Venezia, sopra un elegante piedistallo rococò dell'architetto Pellegrino Orefice, il D. creò quello che unanimememte è ritenuto il suo capolavoro. La figura del commediografo, atteggiata in modo spigliato e arguta nell'espressione del volto, modellata con grande perizia nei particolari e nell'insieme, felicemente s'inserisce nello spazio del campo veneziano, in un rapporto vivo con gli uomini e l'atmosfera della città (il modello in gesso si trova al Museo civico di Bassano del Grappa, mentre altri due modellini in gesso sono al Museo civico Revoltella di Trieste e alla Galleria civica d'arte moderna di Torino).
Allo stesso periodo appartengono altre opere commemorative come il ritratto in bronzo del Generale Giuseppe Sirtori e quello di Francesco Avesani, collocati presso la Bocca di piazza S. Marco; il busto di Alvise Querini, alla Biblioteca Querini-Stampalia; il monumento sepolcrale della famiglia Andretta al cimitero di Venezia e quello per la famiglia Giulay al cimitero di Budapest.
Alla sesta Esposizione nazionale di Venezia, nel 1887, il D. presentò, oltre ad una piccola riproduzione in bronzo del Goldoni, tre opere molto ammirate: Non ti scordar di me, un grazioso busto bronzeo di fanciulla; un elegante bassorilievo in marmo di Carrara, con i due ritratti dell'Imperatore d'Austria Francesco Giuseppe e del Re d'Italia Umberto I; Narciso al fonte, statua in gesso che l'artista intendeva gettare in bronzo, ma non attuò (Chirtani, 1887, p. 30). Quest'opera, d'una straordinaria raffinatezza formale, fu poi bronzata dallo scultore Francesco Scarpa Bolla per esporla in occasione del XL anniversario della Biennale e nel 1937 venne donata al Museo civico di Bassano del Grappa dalla signora Ines Battaglia, parente e una degli eredi del D., insieme con i gessi dei Goldoni, del Tartini, del Venier e del Petrarca morente. Sfortunatamente nel bombardamento subito nel 1945 dal Museo bassanese il Narciso andò distrutto.
Avvenimento importante nella vita dei D. fu il suo incontro con Ida Lessiak, vedova del famoso fotografo Carlo Naya, donna bellissima e colta, che teneva nel suo palazzo in campo S. Maurizio un salotto frequentato da artisti e da intellettuali veneziani. Si sposarono nel 1889, e quando nel 1893 Ida morì, lasciò il D. unico erede della prestigiosa ditta fotografica, di un cospicuo patrimonio immobiliare in Venezia e di una villa ad Asolo (ove, sulla fontana nella piazza sta il Leone alato, opera del Dal Zotto). Affidata la direzione del laboratorio fotografico e del negozio ad Antonio Boschetto, già dipendente dei Naya e bravo fotografo lui stesso, il D. continuò l'attività della ditta, che partecipò e fu premiata a varie esposizioni, come quella Universale di Parigi nel 1900 e quella Internazionale di Torino nel 1911. Egli dimostrò uno spiccato interesse all'immagine fotografica come riproduzione d'arte.
Il D. aveva un ampio studio a S. Vio, fondamenta Bragadin, dove teneva anche una collezione di marmi antichi, già raccolta da Carlo Naya. Nella "sala anatomica" conservava numerosi calchi in gesso (oggi in buona parte in deposito press o l'Accademia di belle arti di Venezia) soprattutto di volti, ch'egli nella sua passione per il vero andava eseguendo sui cadaveri.
In quegli anni il D. ricoprì cariche pubbliche cittadine: fu consigliere comunale e membro della commissione d'ornato. Partecipava attivamente anche alla vita artistica e culturale della città. Dopo il successo dell'Esposizione nazionale del 1887, egli fu uno dei promotori e membro del comitato ordinatore della prima Esposizione biennale internazionale d'arte della città di Venezia, aperta non senza polemiche nel 1895. Nella seconda Biennale del 1897 figurava ancora come membro del comitato ordinatore e presentò il gesso (oggi conservato al Museo civico di Bassano del Grappa) della statua di Giuseppe Tartini (ill. nel catal.), inaugurato nell'agosto dell'anno precedente a Pirano d'Istria, patria del celebre musicista, dove lo scultore fu portato in trionfo dalla popolazione esultante. Nelle successive Biennali non apparvero in mostra altre opere del D., mentre a quelle del 1905 e del 1907 egli partecipò come membro della commissione artistica ordinatrice della sala veneta.
Intanto, per commissione governativa, aveva realizzato la statua in bronzo del re Vittorio Emanuele II, che nell'anno 1899 venne collocata nella Torre monumentale di San Martino della Battaglia. Se il pregio di quest'opera non andava oltre un facile verismo ottenuto con l'abile padronanza dei mezzi tecnici, un felice equilibrio tra ispirazione eroica e rigore formale lo scultore raggiungeva nello splendido monumento al Doge Sebastiano Venier, eretto nel 1907 nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, quando vi furono trasportate le ceneri del vincitore di Lepanto dalla sua tomba in S. Maria degli angeli di Murano.
Nel 1911 il D. lasciò l'insegnamento ufficiale all'Accademia per andare in pensione, ma poco dopo, non sapendo staccarsi dai suoi allievi, ritornò a prestare, senza compenso, la sua opera di maestro, fino al 1917.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, fu interventista. Dopo Caporetto, per la minaccia di un'invasione nemica, molti veneziani avevano abbandonato la città; non il D. che, convinto della vittoria italiana, attendeva con passione al bozzetto di una grandiosa allegoria della guerra. Ma la mattina del 19 febbr. 1918, colto da malore improvviso, spirò (cfr. Gazzetta di Venezia, 20 febbr. 1918). Nel suo monumento funebre figurano due angeli in bronzo eseguiti su suoi bozzetti dal nipote Ferruccio Battaglia. Questi fu un mediocre scultore, che per una decina d'anni tenne lo studio ereditato dallo zio, poi lo abbandonò: il materiale che vi era contenuto venne disperso. Andò così perduto quello che costituiva un singolarissimo esempio di atelier d'artista e di collezionista tra Ottocento e Novecento.
Fonti e Bibl.: Necrol., in Gazzetta di Venezia, 20, 21 e 22 febbr. 1918; in Illustrazione italiana, 10 marzo 1918, p. 200; L. Chirtani, VI Esposizione nazionale artistica, Venezia 1887, Quadri e statue, Milano 1887, pp. 27-30; Seconda Esposizione internazionale d'arte della città di Venezia, Catalogo illustrato, Venezia 1897, pp. 3, 106, 143; R. De Cesare, Roma e lo Stato dei papa - Dal ritorno di Pio IX al XX Settembre, I, Roma 1907, p. 209; Al nostro Museo Civico, in Il Prealpe, 25 luglio 1937; C. Lotti, Lo scultore veneziano A. D. autore del monumento a Goldoni (Venezia 1841-1941), in Vedetta fascista, 23 dic. 1941; G. Marchiori, Scultura italiana dell'Ottocento, Milano 1960, p. 164; R. Pallucchini, Significato e valore della "Biennale" nella vita artistica veneziana e italiana, in Storia della civiltà veneziana, III,Firenze 1979, p. 389; I. Zannier, Venezia, Archivio Naya, Venezia 1983, p. 29; Venezia nell'Ottocento (catal.), Milano 1983, pp. 216 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXXVI, p. 561 (sub voce Zotto, Antonio dal; con ult. bibl.).