CUGNINI, Antonio
Nacque a Campli (prov. Teramo) il 28 giugno 1883.
A Milano frequentò la scuola superiore di agricoltura, conseguendo (1904) la laurea in medicina veterinaria con il massimo dei voti e la lode. Giovanissimo, iniziò la carriera universitaria, come assistente di A. Pirocchi, titolare della cattedra di zootecnia ed igiene del bestiame; contemporaneamente ebbe inizio la sua attività di ricerca scientifica.
Successivamente, presso la stessa scuola di agricoltura di Milano, ebbe l'incarico di insegnamento di anatomia e fisiologia. A Reggio Emilia diresse la scuola di zootecnia e cascificio; nel 1922 vinse il concorso di professore di zootecnia presso la scuola superiore di agricoltura di Perugia. Dopo quattro anni si trasferì come professore ordinario a Bologna, dove rimase fino alla morte, che avvenne il 18 dic. 1955. Nell'anno accademico 1952-53 era stato eletto, preside della facoltà di medicina veterinaria.
La sua attività scientifica fu volta a vari settori della zootecnia con studi sulle caratteristiche morfologiche degli animali, sui criteri di conduzione aziendale e sulla valutazione delle proprietà nutritive dei foraggi e dei mangimi. I primi risalgono al 1909 e riguardano le caratteristiche morfologiche di alcune razze bovine ed equine esistenti in Lombardia, descritte dettagliatamente con approfondita valutazione dei principali pregi e difetti. In questi lavori il C. rileva e biasima l'abitudine di molti allevatori che, invece di utilizzare mangimi ritenuti di scarso valore nutrizionale, ricorrono ad altre fonti alimentari dispendiose. Nelle considerazioni finali il C. invita gli allevatori ad una più oculata conduzione aziendale e a una maggiore attenzione nella scelta degli animali da allevare.
Il suo interesse e la sua alta competenza nella valutazione degli animali a reddito zootecnico furono notati anche dalle autorità; il ministero dell'Agricoltura lo inviò in paesi a più elevato sviluppo zootecnico al fine di trasferire in Italia le esperienze e le tecnologie acquisite. Di notevole interesse sull'argomento è lo studio Alcune notizie sulla popolazione cavallina della Germania settentrionale (in L'Industria lattiera e zootecnica [1913], pp. 1-15), in cui, oltre alle caratteristiche degli stalloni nelle diverse zone esaminate, sono indicati i criteridi conduzione degliallevamenti e le misure intraprese dalle autorità per migliorare le produzioni equine.
Le esperienze acquisite all'estero convinsero il C. dell'importanza delle razze indigene: in un lavoro del 1926sulla razza suina Yorkshire, ottenuta in Inghilterra mediante l'incrocio di razze celtiche con suini asiatici, dopo aver descritto le ottime caratteristiche produttive degli animali, sottolineava la necessità di effettuare incroci della Yorkshire con sumi di razze italiane. Con questa tecnica, infatti, alle elevate produzioni della razza inglese si aggiungevano le doti di rusticità delle razze indigene. Di conseguenza gli incroci di prima generazione sarebbero divenuti molto efficaci nella produzione della carne e anche nell'utilizzazione dei mangimi per il fenomeno genetico del "lussureggiamento degli ibridi".
La crisi della zootecnia in Italia fu oggetto di acute ed importanti riflessioni; i lavori pubblicati denunciano ripetutamente la mancanza di professionalità di gran parte degli allevatori. A differenza di quanto avveniva in altri paesi a maggiore sviluppo zootecnico, era diffuso uno scarso spirito di cooperazione mentre la conduzione aziendale era basata su criteri molto empirici. Di conseguenza si commettevano gravi errori soprattutto nella selezione degli animali, mentre sarebbe stato possibile approfittare delle esperienze e delle conoscenze scientifiche ormai acquisite. Nel tentativo di contribuire al miglioramento della grave situazione esistente nel settore zootecnico, il C. si dedicò ad una vasta e paziente opera di divulgazione tra gli operatori agricoli delle zone in cui l'allevamento degli animali era più largamente praticato. La maggior parte delle conferenze furono infatti tenute in Emilia-Romagna.
Un altro contributo del C. allo sviluppo della zootecnia fu rivolto alla possibilità di recupero di quelle aree collinari o di bassa montagna che sono quasi del tutto inadatte alle colture agricole ed in cui sovente l'unica risorsa è rappresentata dall'allevamento ovino e caprino. Pubblicò un lavoro Su la pastorizia Pecorina dell'alto Appennino reggiano (Reggio Emilia 1918), in cui descriveva le caratteristiche produttive degli animali allevati nelle zone prese in esame; in seguito approfondì questa ricerca, così che nel 1930 Poté pubblicare i dati relativi ai censimenti degli animali effettuati nei primi trenta anni del 1900. Sulla base dei dati pubblicati rilevava la gravità dei graduale impoverimento del patrimonio ovino che nel periodo studiato si era dimezzato. In Gli allevamenti zootecnici della montagna emiliana (in Atti del II Convegno d. R. Acc. di agricoltori di Bologna, Bologna 1942, pp. 3-34), constatando una buona ripresa della zootecnia nelle zone esaminate, analizzava i fattori che avevano permesso il recupero della produttività; li individuava nella aumentata richiesta di carne, di latte e di lana da parte dei consumatori, nonché nellamaggiore preparazione degli allevatori, cui egli stesso aveva senza dubbio contribuito con una costante opera di divulgazione. L'abitudine all'osservazione critica faceva tuttavia rilevare al C. che in alcuni casi si verificava uno sfruttamento irrazionale dei pascoli con il conseguente impoverimento dei cotico erboso.
Uno dei principali problemi della produzione zootecnica è rappresentato dalla possibilità di disporre di alimenti per gli animali a basso costo e di ottima qualità. Come si è detto, fin dall'inizio della sua attività di ricercatore il C. osservava la mancanza di preparazione degli allevatori nel settore dell'alimentazione animale, rilevando che in alcuni casi i bovini erano alimentati per tutto il periodo dell'ingrassamento a latte intero, con aggiunta di panelli e perfino di uova; egli suggeriva invece l'utifizzazione di latte scremato, opportunamente miscelato con altri alimenti di costo minore. Il suo lavoro di ricerca di mangimi a basso costo lo convinse della notevole capacità dei rumine ad utilizzare i principi nutritivi contenuti nelle fonti alimentari di minore pregio. Nel 1920 pubblicò a Reggio Emilia il lavoro Sull'alimentazione delle vacche lattifere con razioni a minimo di azoto, risultato di esperimenti da lui effettuati in comparazione con quelli di altri ricercatori italiani e stranieri. Sottopose gli animali a diete con contenuto in azoto proteico ridotto rispetto a quelle normali ed osservò che le produzioni zootecniche ne erano limitatamente influenzate; concluse quindi che le vacche da latte hanno bisogno di molto meno azoto nella loro razione di quanto fino allora ricevevano e che le sostanze ammidiche, almeno nei ruminanti presi in esame, hanno una notevole funzione di risparmio degli albuminoidi. Si possono perciò alimentare le vacche da latte con razioni relativamente povere di azoto albuminoide e ricche di azoto ammidico, purché l'azoto albuminoide copra la quantità di quello presente nelle feci e nel latte; e che l'azoto ammidico copra quello presente nelle feci e nell'urina. Ben presto fu evidente che quello che il C. chiamava "azoto ammidico" era l'azoto inorganico ed organico non proteico, che veniva ugualmente utilizzato dai microrganismi del rumine nei loro processi vitali; di conseguenza si capì l'importanza dei ruolo dei ruminanti nella utilizzazione di prodotti alimentari non utilizzabili da altre specie animali di interesse zootecnico. Le migliorate conoscenze della fisiologia del rumine e delle sue potenzialità metaboliche consentirono l'avvio di una lunga serie di fortunate esperienze zootecniche che hanno portato ad una radicale trasformazione nei criteri di alimentazione dei ruminanti. Infatti attualmente i mangimi per i bovini contengono una quota di azoto non proteico (normalmente urea) che sostituisce una buona quota delle proteine e che riduce sostanzialmente il costo dei mangimi.
Il C. fu anche un ottimo fotografo: nei suoi lavori lasciò una traccia della propria sensibilità artistica riproducendo quasi sempre gli animali oggetto di studio ed il loro ambiente di vita; le sue foto sono prezioso materiale di consultazione anche ora, perché sovente riproducono razze di animali in via di estinzione o già del tutto estinte.
Bibl.: P. Semprini, A. C., in Atti d. Soc. it. di scienze veterinarie, X (1956), pp. 15 ss.; A. Falaschini, A. C., in Zootecnica e veterinaria, V (1957), pp. 198-201.