CORRADINI (Coradin), Antonio
Nacque ad Este (Padova) il 6 sett. 1668 da Bernardo e Giulia Gatolin (Biasuz, 1935, p. 278 nota). La sua famiglia era di estrazione popolare, suo padre fu probabilmente tal Bernardo Coradin qualificato come "fachin" nel documento di morte del 4 ag. 1687 (Callegari, 1936, p. 253). Scarse sono le notizie relative alla formazione e alla prima attività di scultore del C.; secondo il Biasuz (1935, p. 268), egli si trasferì a Venezia ancor giovane e in quella città divenne allievo compagno di Antonio Tarsia di cui sposò la figlia Maria, dalla quale ebbe molti figli. Non si conoscono opere precedenti al 1709, anno in cui il C. non più giovanissimo (aveva allora più di quaranta anni) partecipò insieme con il Tarsia e con altri scultori veneziani alla decorazione della facciata di S. Stae: gli sono attribuite (Mariacher, 1947, p. 204), la Fede (con velo sugli occhi), la Speranza e il Redentore, opere strettamente legate al tardo barocco veneto, ma nelle quali è già evidente il gusto di far trasparire il modellato dei corpi sotto i pesanti panneggi, che sarà tipico delle sue opere successive. Da una stampa di V. Coronelli, che raffigura la facciata della chiesa veneziana, risulta che le statue erano già compiute nel 1710 (Mariacher, 1947, p. 204). Stilisticamente vicina alle sculture di S. Stae è la S. Anastasia in S. Donato a Zara (firmata), per la quale è stata proposta con fondamento la data 1713 (Bianchi, 18773 p. 71; Riccoboni, 1952, p. 158). L'attività del C. da questo momento divenne molto intensa e rapida la sua affermazione.
Nel 1716 la Repubblica di Venezia gli commissionò un monumento al Generale J. M. von der Schulemburg per Corfù, dove si trova tuttora. L'opera, datata e firmata, è riprodotta in un'acquarello da G. Grewembroch (Venezia, Civico Museo Correr) e in una incisione di A. Zucchi; una copia della statua è nel castello di Helen (Brunswick: Riccoboni, 1952, p. 160).
Il C. fu sempre assai celebrato per le sue figure velate. La prima notizia certa di un'opera del genere si trova in una lettera che A. Balestra scrisse il 22 dic. 1717 al cav. Francesco Gaburri (G. G. Bottari, Raccolta di lettere, Milano 1822, II, p. 125), in cui è descritta, con stupore ed ammirazione, la Fede velata che si trovava a Venezia nella collezione Manfrin dove rimase fino al 1856 (Faccioli, 1965, p. 300; vedi anche Santangelo, 1958, p. 381). Unico documento della famosa statua, oggi dispersa, è un'incisione disegnata dal Tiepolo (Fogolari, 1913, p. 250). Nel 1718 il C. eseguì alcune sculture, Cristo risorto, la Speranza ed un Putto, per il tabernacolo del duomo di Rovigo (Mariacher, 1947, p. 205). Poco tempo dopo, nel 1720, il preposto capitolare del duomo di Gurk (Carinzia) pagò al C. 580 fiorini per le spese di trasporto delle sculture per l'altare della cripta del duomo, la Fede, la Speranza e il rilievo con la Morte di s. Emma, che lo scultore aveva eseguito a Venezia (Biasuz, 1935, p. 270).
Nel 1721 il C. venne nominato scultore ufficiale della Serenissima (Biasuz, 1935, p. 271). Nello stesso anno laScuola del Carmine gli affidò il compito di scolpire sei statue per l'altare della Confraternita nella chiesa dei carmelitani: è rimasta solo la teatrale Verginità in loco che fu incisa da Giampietro Battista per le stampe dello Zucchi (Mariacher, 1947, p. 206). Contemporanea a questa, per le forti analogie stilistiche, è la Madonna con il Bambino nella chiesa delle eremite (Mariacher, 1947, p. 206). Nel 1722, stando ad alcuni documenti rintracciati dalla Matzulevitsch (1965, p. 81), Sarra Raguzinsky, agente speciale dello zar, incaricato di comprare opere d'arte a Venezia, inviò a Pietroburgo una Religione, velata, del Corradini.
La statua e il suo pendant, la Fede, pure velata, furono collocate nel giardino d'estate, dove rimasero fino al 1792, anno in cui vennero trasferite nella sala del trono del palazzo d'inverno. Se ne sono perse le tracce dopo l'incendio del 1835.
Nel 1723 il C. lavorava per il magistrato del Sale (Rambaldi, 1910, p. 193); nello stesso anno, forse proprio in virtù dell'incarico pubblico che ricopriva, promosse l'istituzione del Collegio degli scultori, distinguendoli così dagli scalpellini insieme con i quali fino a quel momento avevano costituito un'unica corporazione. Sempre nel 1723 venne consacrato il gruppo della Pietà (firmato) eseguito per la chiesa di S. Moisè, da molti considerato il capolavoro di questo primo periodo. L'anno seguente lo scultore si recò ad Este a compiere un sopralluogo nel duomo (Callegari, 1936) per cui scolpì un altare con il Trionfo dell'Eucarestia (firmato), un complesso gruppo statuario, che si ricollega ai modelli secenteschi di A. Tremignon e di G. Le Court (docc. in Callegari, 1936). In questo stesso anno il C. venne nominato "proto per i restauri della Scala dei Giganti a Palazzo Ducale" (Mariacher, 1947, p. 208). I lavori di restauro cominciarono effettivamente nel 1725 e consistettero nel consolidamento della scala dei Giganti e dell'arco Foscari (Rambaldi, 1910, p. 193). Per quest'ultimo il C. eseguì una statua, la Prudenza, in sostituzione di una scultura quattrocentesca andata perduta (Paoletti, 1893, p. 43 nota); nonostante la differenza di tre secoli, e grazie all'evidente sensibilità dell'autore, la nuova statua armonizza bene con l'insieme e non crea evidenti contrasti con il complesso rinascimentale. Come scultore ufficiale della Repubblica di Venezia, il C. tra il 1722 e il 1727 ebbe l'incarico di sovrintendere alla demolizione del vecchio Bucintoro e di curare la parte decorativa del nuovo, in legno dorato, progettato dall'ingegnere navale Stefano Conti.
La nave, firmata e datata (A.M. Luchini, La Nave Regia su l'acqua nel Bucintoro nuovamente eretto, Venezia 1729, p. 38, venne distrutta nel 1797, ma ne esiste un modellino del sec. XVIII al Museo Correr e ne restano alcuni frammenti: il Mese di maggio e l'Ora nona con l'elitropio, ritrovati dal Boschieri (1925, p. 356)a Feltre, Saturno con cornucopia, Ganimede e l'aquila, Talia ed Euterpe e la porta di poppa intagliata, al Museo Correr. Largo, data la vastità dell'opera, fu l'intervento della bottega; alcune figure però sono chiaramente opera del C.; gli sono attribuite (Mariacher, 1947, p. 209) le due Muse e la porta su cui è intagliato S. Marco con il leone.
Probabilmente negli stessi anni, il C. ricevette da Vienna l'incarico di eseguire le sculture per la fontana del Hoher Markt progettata da J. E. Fischer von Erlach. Le sette statue, nelle quali appare una nuova sensibilità classicheggiante, furono eseguite a Venezia e vennero spedite a Vienna il 30 novembre 1728 (J. Schrnidt, Fischer von Erlach der Jüngere, in Mitteil. des Vereins für Gesch. der Stadt Wien, XIV [1933], p. 105). Negli anni seguenti, il C. si trasferì a Vienna, dove il suo nome compare su una cedola di pagamento il 5 ag. 1731 (Tietze Conrat, 1912, p. 455).
La data del 1732 compare sul plinto della statua della Vestale Tuccia riprodotta nell'album di B. Le Plat (Recueil des marbres antiques qui se trouvent dans la Galerie du Roi de Pologne, Dresde 1733, nn. 201-208, 219-222) insieme con altri undici gruppi marmorei (tre vasi con decorazioni allegoriche e otto statue di divinità) che il C. scolpì per il Grosser Garten di Drescla (per la datazione di queste sculture, vedi Hodgkinson, 1968, pp. 37 s.). Tutte le opere vennero incise per il Le Plat da A. Wernerin tra il 1734 e 1735 ed è quindi da ritenere erronea l'ipotesi del Biasuz (1935, p. 275), e di quanti a lui si rifanno, che il C. abbia scolpito i gruppi a Dresda tra il 1736 e il 1740. L'11 maggio 1733 venne assunto dalla corte di Vienna come scultore di corte con stipendio di 1.700 fiorini più 500 fiorini per indennità di alloggio, in sostituzione del defunto Konrad Rudolf (Schlager, 1850, p. 37). Ancora in collaborazione con J. E. Fischer von Erlach, tra il 1733 e il 1736, il C. lavorò alle massicce sculture per la tomba di S. Giovanni Nepomuceno nel duomo di Praga (Mádl, 1894; Blažiček, 1940; un bozzetto si trova a Passavia, residenza del vescovo: cfr. Matsche, 1976); l'opera fu eseguita a Vienna e venne poi tradotta in argento dall'orafo viennese Joseph Wurt (Biasuz, 1935, p. 273). Insieme con un altro italiano, Antonio Galli Bibiena, scenografo di corte di Carlo VI, il C. progettò la costruzione del Hetztheater, un teatro in legno e stucco dove si dovevano svolgere combattimenti di animali. Non si conosce il progetto dell'edificio, né allo stato attuale delle conoscenze è possibile stabilire con esattezza se esso fosse effettivamente costruito. Infatti, malgrado una concessione imperiale ottenuta nel 1737 che li autorizzava a gestire le corride per dieci anni, i due artisti trovarono una decisa opposizione alla realizzazione del progetto da parte del principe Schwarzenberg, il cui palazzo si trovava nelle vicinanze del teatro (Schlager, 1850, p. 63). Secondo alcune fonti bibliografiche (Austria Kalender, 1850, p. 46) sembra tuttavia che la costruzione venisse effettivamente cominciata, ma interrotta quasi subito e poi smantellata nel 1749.
Contrariamente a quanto affermato dal Biasuz (1935, p. 278), il C. non lasciò Vienna alla morte di Carlo VI (1740), ma venne confermato come scultore di corte anche nei primi anni del regno di Maria Teresa (Pillich, 1965, p. 639). La permanenza in Austria del C. durò con ogni probabilità fino alla fine del 1742 o inizi del 1743; il 26 gennaio 1743, infatti, venne accolta dalla corte una sua richiesta di prolungamento delle vacanze, a patto che egli facesse ritorno subito dopo a Vienna (Pillich, 1965, p. 642). Nonostante la disposizione imperiale, il C. non tornò più in Austria, ma si stabilì nella città di Roma, dove giunse, stando alle indiscrezioni di P. L. Ghezzi, che lo ritrasse in tre caricature, "vestito da Maresciallo per essere stato assai applaudito nel suo mestiere in Germania" (didascalia della caricatura datata 29 giugno 1752, Public Library, La Valletta, Malta, pubblicata dal Mariani, 1932, p. 134). Sempre secondo il Ghezzi (ibid.) il C. a Roma vestì l'abito filippino "per risparmiare"; negli archivi dell'Ordine non si trovano però tracce della sua ordinazione. Sconosciuta è la data in cui lo scultore giunse a Roma; la prima notizia relativa alla sua attività romana è del 1° febbraio del 1743, data che appare nella didascalia di un'altra caricatura del Ghezzi (Ottob. lat., in Faccioli, 1964, pp. 308 s.), in cui si dice che l'artista sta lavorando ad una nuova statua della Vestale Tuccia. L'opera, che fu incisa da Francesco Monaco, ebbe subito vasta risonanza, prova ne è la visita che il pretendente al trono d'Inghilterra Giacomo Stuart fece il 1° settembre del 1743 allo studio dello scultore, che era situato "in uno dei vicoli per cui si entra a Palazzo Barberini", proprio per vedere la vestale velata (Chracas, in Faccioli, 1964, p. 302). Inspiegabilmente però la statua, forse per il prezzo eccessivo o, come dice il Ghezzi (caricatura del 29 giugno 1752), per l'invidia dei Romani, rimase invenduta a palazzo Barberini, dove si trova tuttora. Una conferma della fama che il C. raggiunse a Roma viene da un documento del 1743 in cui si legge che il C. ricevette diciotto scudi per otto modelli di Profeti per la cupola di S. Pietro. Le otto statue, secondo un primo progetto di Luigi Vanvitelli, dovevano essere sistemate sulle colonne binate per dare stabilità alla cupola; l'architetto scartò in seguito questa soluzione e di conseguenza il C. dovette rinunciare ad eseguire i suoi profeti. Per le vicende relative ai bozzetti (ne sono rimasti sette di cui due mutili, Uffici della Fabbrica di S. Pietro) si rimanda al Cervesato (1944, p. 97).
Probabilmente per intercessione del cardinale Neri Corsini, protettore in Roma della Corona dei Portogallo, il C. ottenne un'altra importante commissione: l'esecuzione di due Angeli che reggono lo stemma di Giovanni V del Portogallo per la cappella di S. Giovanni nella chiesa di S. Rocco a Lisbona. La cappella, progettata da N. Salvi e L. Vanvitelli, fu costruita a Roma in S. Antonio dei Portoghesi e nel 1744 fu benedetta dal papa; subito dopo venne smembrata e spedita a Lisbona (Mariacher, 1947, p. 211). In quello stesso anno il C. scolpì il Monumento a Benedetto XIV nella sala Alessandrina del palazzo della Sapienza, su commissione del Collegio degli avvocati (Faccioli, 1964, p. 304). Il 20 maggio 1745 il Ghezzi disegnò un'altra caricatura del C. (Museo di Roma, palazzo Braschi); in una postilla datata 1746 si afferma che lo scultore riprese moglie (Maria Tarsia era morta nel 1741 in Austria: Wiener Stadtu. Landesarchiv, Totenprotokoll, 8 sett. 1741; Ghezzi, caricatura del 29 giugno 1752). Effettivamente il 22 dic. 1746 il C., settantottenne, sposò Anna Pinelli, una ragazza di ventisei anni figlia dello speziale, Michele Pinelli che aveva bottega alla Dogana. Dal documento di matrimonio (Faccioli, 1964, p. 311) lo scultore risulta abitare in strada Felice (oggi via Sistina) nella giurisdizione della parrocchia di S. Nicola in Arcione.
L'ultima notizia relativa al soggiorno romano del C. è del 20 maggio 1747 quando il papa si recò nella bottega dell'artista per vedere un Crocifisso in marmo "eccellentemente scolpito" che lo scultore stava eseguendo (Diario ordinario d'Hungheria, in Faccioli, 1964, p. 307). Pochi mesi dopo, il 16 ott. 1747, la statua della Vestale Tuccia fu messa in vendita per 400 scudi (Chracas, in Faccioli, 1964. p. 303). Nel censimento di Pasqua del 1748 la casa di via Felice risulta "spigionata" (Faccioli, 1964, p. 312). Questi due ultimi episodi fanno ritenere che tra la fine del 1747 e i primi mesi del 1748 lo scultore lasciasse Roma ("scappò": Ghezzi, caricatura del 29 giugno 1752).
Secondo tutte le fonti bibliografiche il C. si recò a Napoli al servizio di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero che aveva in mente di trasformare la cappella di famiglia in un mausoleo, per tramandare la memoria dei discendenti di Giovan Francesco di Sangro, suo avo. Lo scultore probabilmente concertò insieme con Raimondo di Sangro tutto il complesso decorativo; la sua partecipazione all'esecuzione dei singoli gruppi scultorei fu però limitata. Gli vengono attribuiti: lo Zelo religioso, nel monumento ad Ippolita del Carretto e Adriana Carafa, le due mogli di G. Francesco di Sangro; la Pudicizia, velata, forse raffigurante Carlotta Gaetani, moglie di Raimondo (con iscrizione contenente il nome dell'autore e l'anno della sua morte); il Decoro, sul monumento in memoria di Isabella Tolfa e Laudomia di Milano; S. Odorisio, e S. Rosalia (Riccoboni, 1952, pp. 154156). Sempre per la cappella Sansevero il C. modellò anche trentasei modelli in creta dei quali resta soltanto il bozzetto del Cristo velato (Napoli, Museo di S. Martino), che fu poi realizzato dal Sammartino (Riccoboni, 1952, p. 157), e, forse, una piccola Fede velata oggi al Museo di palazzo Venezia a Roma (Santangelo, 19583 p. 381).
II C. morì a Napoli in casa del principe di Sangro il 12 ag. 1752 (documento in Biasuz, 1935, p. 270) e venne sepolto nella parrocchia di S. Maria della Rotonda.
Resta difficile da spiegare il fatto che il Ghezzi, nella caricatura del 29 giugno 1752, afferma che il C. "fu avvelenato".
Scultore molto stimato nella sua epoca, come dimostrano le numerose commissioni e gli incarichi pubblici che fu chiamato a ricoprire, il C. conobbe un lungo periodo di oblio nell'Ottocento perché considerato solo un abile mestierante, privo di vera ispirazione (Cicognara, 1824, p. 235; Ticozzi, 1830, p. 364). L'interesse per la sua opera riprese nei primi decenni del Novecento con i saggi del Biasuz (1935), che diede una prima organica sistemazione alla sua vasta produzione artistica, e del Callegari che analizzò, in particolare, le opere estensi, rendendo noti diversi documenti di archivio. Sono di pochi anni dopo i fondamentali studi del Mariacher (1947) e del Riccoboni (1952), che hanno definito più precisamente la personalità artistica dello scultore, collocandola nel più ampio quadro della scultura veneta del Settecento. Elegante, raffinato, minuzioso e freddo (Semenzato, 1966, p. 44), il C., pur non essendo una figura di primissimo piano, occupa tuttavia una posizione significativa per il suo tentativo di allontanarsi dallo stanco barocco veneziano in cui si era formato e soprattutto dalle statiche posizioni di decorativismo pittorico dei Bonazza, Torretti, Tarsia. Pur senza mai abbandonare l'enfatica teatralità barocca e la continua ricerca di effetti, il C. mostra tuttavia un progressivo raffreddamento che lo porterà nelle ultime opere, in particolare quelle eseguite per la cappella Sansevero, ad una sensibilità al limite col neoclassicismo. Al C. sono attribuite oltre alle opere citate, anche le seguenti: Este, chiesa di S. Girolamo, acquasantiera con putto (Franceschetti, 1900, p. 82); Ibid., chiesa delle Consolazioni, carretta processionale, in legno (Callegari, 1936, p. 451, attribuzione respinta dal Biasuz in Celebrazioni ..., 1968, p. 11); Ibid., proprietà Maranesi, testa di marmo, a bassorilievo (Callegari, 1936, p. 252); Venezia, Civico Museo Correr, busto di Donna velata, proveniente dalla villa di Strà (Mariacher, 1947, p. 205); Ibid., già collezione Donà delle Rose, due tavoli e alcune poltrone (Mariacher, 1943, p. 35); Udine, chiesa di S. Giacorno, Sara e Raffaele (Mariacher, 1947, p. 211); Valnoganedro, chiesa arcipretale, due Angeli (Riccoboni, 1952, p. 158); Napoli, Museo di S. Martino, Modestia (Faccioli, 1964, p. 313); Leningrado, Ermitage, Verità velata in alabastro (Matzulevitsch, 1965, p. 83); Ibid., padiglione del giardino d'estate, busto di Donna velata (ibid.; Vienna, chiesa di S. Carlo, altari laterali, figure femminili (Schikola, 1970, p. 140); Parigi, Louvre, Donna velata (cfr. Gazette des Beaux-Arts, [1977], p. 12); Budapest, Museo di arti applicate, Crocefissione, bassorilievo in piombo (Voit, 1975, p. 82); Györ, Monumento dell'Alleanza, sculture e rilievi (Voit, 1975, pp. 82 ss.).
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