COPPI, Antonio
Nacque ad Andezeno (Torino) il 22 apr. 1783 da Vittorio e Maria Cocchis. I genitori, "di civile condizione e di limitate fortune" (Roncalli, Necrologia, p. 31, gli fecero dare la prima istruzione nel paese natio e nel vicino villaggio di Riva; successivamente lo mandarono a studiare retorica e filosofia nel collegio di Chieri. Avenao deciso di dedicarsi alla vita ecclesiastica, il C. entrò (1799) nel seminario di Torino; rioccupato, però, il Piemonte dai Francesi fu costretto (1800) a far ritorno a casa (ibid.). Ne approfittò per dedicarsi con passione alla lettura dei libri appartenuti a un prozio matemo, Carlo Borio (morto nel 1790), ex gesuita, costretto dopo la soppressione della Compagnia (1773) a ritirarsi nel suo paese d'origine. In particolare rimase colpito dagli Annali d'Italia del Muratori e dall'opera di Carlo Denina, Delle rivoluzioni d'Italia. In più, a contatto con libri ed altre memorie riguardanti la Compagnia di Gesù, manifestò ben presto il proposito di associarsi ad essa. Venuto a Roma nel novembre del 1803, cercò di prendere contatti con il padre G. Angiolini, che curava presso la S. Sede gli interessi dei gesuiti, operanti ormai nella sola Russia, ma non vi riuscì. Decise allora di entrare in un sodalizio, chiamato della Fede di Gesù, che intendeva prendere il posto del soppresso Ordine gesuitico. Accoltovi, fu mandato nel dicembre di quello stesso anno a fare il noviziato a Spoleto. Ristabilita, però, poco dopo da Pio VII la Societas Iesu nel Regno di Napoli (1804), si congedò nel gennaio del 1805 dai religiosi della Fede di Gesù e si recò a Napoli per entrare tra i gesuiti, che però non lo accolsero a causa di un suo leggero difetto nel parlare, che lo rendeva poco adatto alla predicazione ed all'insegnamento. Tornatosene a Roma, si diede agli studi legali e prese la laurea in diritto civile e canonico nell'archiginnasio della Sapienza. Frequentò per qualche tempo il foro romano, ma poi se ne allontanò. Nel 1811 fu presentato dal suo amico e conterraneo, l'avvocato Travostini, a monsignor Maria Nicolai, ch'era allora alla ricerca di un giovane disposto a collaborare con lui nella raccolta di memorie e documenti necessari per la stesura della progettata Storia de' luoghi una volta abitati nell'Agro Romano. Il C. fece un'ottima impressione al dotto prelato e fu incaricato senz'altro di quel lavoro.
Seguirono anni di intense ricerche negli archivi e nelle biblioteche di Roma, nonchédi attente perlustrazioni nell'Agro romano. A quel tempo risale, tra l'altro, il recupero a favore della Biblioteca Vaticana del prezioso Regesto di Farfa (XI-XII sec.), come egli stesso ebbe poi a scrivere, in età avanzata (23 giugno 1863), in una Memoria, premessa al cod. Vat. lat. 8487 (ff. 4 non num.), contenente per l'appunto quel regesto, e pubblicata postuma da I. Giorgi (Cartularii e Regesti della Provincia di Roma, I, Il Regesto di Farfa e le altre opere di Gregorio di Catino, in Arch. della Soc. rom. di storia Patria, II [1879], pp. 425 s.). Con gli elementi raccolti dal C. il Nicolai poté leggere, tra il 1817 ed il 1832, alla Pontificia Accademia romana di archeologia ben undici memorie, pubblicate poi nei primi quattro volumi di Dissertazioni. Un aiuto altrettanto prezioso egli diede al Nicolai nella pubblicazione della sua celebre opera Della basilica di S. Paolo con piante, e disegni incisi (Roma 1815). Per l'occasione egli collaborò con A. Nibby alla trascrizione di tutte le epigrafi, conservate in quella basilica, ed in più aggiunse (pp. 51 s.) una memoria sulla città di Giovannipoli, che un tempo circondava quell'edificio sacro.
Chiamato a far parte dell'Accademia Ellenica, fondata dal Nibby nel 1809, vi divenne nel 1813 presidente col titolo di arconte, ma proprio in quell'anno avvennero in seno a quel vivace sodalizio gravi discordie. Vista l'impossibilità di giungere ad un accomodamento, il C. insieme con altri venticinque soci (tra cui il Belli, il conte Alessandro Savorelli ed il tipografo e filologo Filippo de Romanis) decisero in un'adunanza, tenutasi in casa dello stesso C. in via della Scrofa, al n. 95, il 9 apr. 1813, di uscire dall'Accadernia Ellenica e di fondarne una nuova, che intitolarono, non senza qualche esitazione, Tiberina. Per quell'anno la presidenza della nuova accademia fu affidata al C., cui spettò anche il compito di compilare con una certa sollecitudine le leggi istitutive del sodalizio. In particolare egli propose di impegnarsi a "formare uno spirito pubblico atto a produrre un miglioramento nell'agricoltura nel deserto Agro Romano". In più propose che la nuova accademia si consacrasse principalmente alla compilazione di una Storia civile di Roma nel Medio Evo. A tale proposito egli stesso cominciò a raccogliere con la solita foga documenti e memorie, ma poco dopo la mole del lavoro iniziato ed i suoi numerosi impegni legali ed amministrativi lo costrinsero a desistere dall'impresa. Molti anni dopo, nel 1864, pubblicò nelle Dissertazioni della Pont. Accad. rom. di archeol. (XV, pp. 173-368) un'imponente raccolta di Documenti storici del Medio Evo relativi a Roma ed all'Agro Romano.
Intanto le vicende storiche contemporanee (la sconfitta di Napoleone ed il congresso di Vienna) gli ispiravano tutta una serie di opuscoletti (Discorso sull'equilibrio politico dell'Europa, Roma 1815; Osservazioni sulla Liguria, Roma 1815; Roma destinata dalla Provvidenza di Dio per la libertà dei Papi, Roma 1815; 2 ediz. con App., ibid. 1850; Saggio sulle rivoluzioni del Regno di Napoli, Roma 1815), traboccanti ossequio e completa adesione al clima di restaurazione politica e sociale, che veniva a crearsi in Europa in quel tempo.
Nel gennaio 1816 fu nominato ("Istoriografo perpetuo" dell'Accademia Tiberina. Quello stesso anno pubblicò una minuziosa biografia del Marini (Notizie sulla vita e sulle opere di Monsignore Gaetano Marini primo custode della Biblioteca Vaticana e prefetto degli Archivi Segreti della Santa Sede, Roma s. d. [ma 1816]). Da tempo, inoltre, lavorava alla stesura di Annali d'Italia dal 1806 al 1815 ad imitazione di quelli del Muratori, che tanto lo avevano colpito durante il periodo trascorso nella casa paterna dopo essere uscito dal seminario. L'opera, condotta fino al 1812, uscì in due volumi a Roma, coi tipi dell'Ajani, tra il 1816 e il 1819, ma non sembra che abbia avuto nel complesso un'accoglienza particolarmente favorevole (vedi, ad esempio, la recensione apparsa nel Giornale arcadico, gennaio-marzo 1820, pp. 236-241).
Intanto, sin dal 1816, aveva cominciato a occuparsi, su invito del principe Filippo Colonna, dell'amministrazione dei patrimoni di quella nobile famiglia. Per questo motivo dovette recarsi nel 1817 in Sicilia e rimanervi per parecchi anni. Nonostante, però, le complesse cure che la amministrazione dei beni dei Colonna nell'isola richiedevano, il C. non trascurò i suoi studi prediletti. In particolare si occupò delle antichità di Tindari, su cui presentò all'Accademia Tiberina nell'adunanza del 31 dic. 1821una Memoria, che pubblicò l'anno appresso nelle Effemeridi letterarie di Roma, aprile-giugno 1822, pp. 129-136, e successivamente, nel 1851 sempre a Roma, coi tipi del Salviucci. Morto il 26 giugno 1818 il principe Colonna, il C. passò al servizio della figlia primogenita, Margherita Gioeni Colonna, principessa di Castiglione, sposa di Giulio Cesare Rospigliosi, duca di Zagarolo. Questa in cambio dei suoi servigi, gli assegnò un cospicuo vitalizio e gli concesse, nel 1821, di far ritorno a Roma con l'impegno però di recarsi in Sicilia ogni qual volta la sua presenza nell'isola fosse necessaria: il che avvenne per più di venti volte fino al 1854. Intanto, l'integrità e la sagacia dimostrate nell'occuparsi degli affari patrimoniali dei Colonna, fecero sì che i suoi servigi venissero richiesti anche da altre cospicue famiglie romane. Tra i personaggi della nobiltà che fecero ricorso a lui si ricordano in particolare Luciano Bonaparte, principe di Canino, il conte Bolognetti Cenci, il principe Boncompagni di Piombino, il duca Caetani di Sermoneta, il principe Doria Pamphili, i principi Rospigliosi Pallavicini, il balì Bartolomeo dei principi Ruspoli ed infine il principe Francesco Borghese.
Ormai libero da ogni preoccupazione finanziaria, il C. poté finalmente dedicarsi con tranquillità alla sua attività di studioso e di pubblicista. In particolare egli si impegnò alla realizzazione della sua opera più importante, la continuazione degli Annali d'Italia del Muratori dal 1750in poi.
In un primo momento essi giungevano fino al 1819. Pubblicati a cominciare dal 1824, se ne fecero in dieci anni ben quattro edizioni: Roma 1824-29 in quattro volumi; Macerata 1828-29 in sei volumi; Napoli 1831-34 in otto volumi; Este s. d. in dodici volumi. Successivamente l'opera fu continuata a più riprese fino al 17 marzo 1861 ossia fino alla proclamazione deIRegno d'Italia, comprendendo in tutto nella sua forma definitiva quindici volumi più due di indici. L'ultimo volume si chiude con le parole del regio decreto: "Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di re d'Italia" (p. 378). Ad esse segue nella redazione manoscritta, conservata nella Biblioteca Casanatense (cod. 3036, f. 874r), questa dichiarazione autografa del C.: "Principiai questi Annali d'Italia nel 1820 scrivendo: L'Italia divisa etc. Ringrazio l'Altissimo, che mi abbia concesso vita, salute e mezzi di poterli continuare fino alla promulgazione dei Regno d'Italia, nel quale l'Italia è quasi tutta unita. Roma 22 nov. 1863 Anniversario del mio arrivo a Roma nel 1803. A. Coppi". Gli Annali d'Italia del C., che, com'ebbe a dire seccamente il Croce (Storia della storiogr. ital., I, p. 33), "immergevano nel particolare e determinato", presentano come caratteristiche principali: "la chiarezza nell'esporre, la brevità nel narrare, la scrupolosa esattezza nell'indicare le fonti, il discernimento nello scegliere le parti essenziali" (A. von Reuinont, in Arch. stor. ital., n. s., III, 2 [1855], p. 18). Ancora oggi il loro "reale apporto è unicamente apprezzato da chi conosce le fatiche delle lunghe e pazienti ricerche volte a ritrovare date, notizie e a controllarne l'esattezza" (Marchetti, Bibl. gen. del Risorg., p. 734).
Con lo stesso stile degli Annali sono scritte anche le altre opere storiche del C.: Cenni storici di alcune pestilenze, Roma 1832; 2 ediz., Napoli 1832; Discorso sopra alcune tasse ed operazioni di finanza degli antichi Romani, Roma 1843, ripubblicato in Dissertazioni della Pont. Accad. rom. di archeol., XIII (1855), pp. 263-277; Sul Carnevale di Roma nei tempi di mezzo, in Il Saggiatore. Giornale Romano di Storia Letteratura Belle Arti Filologia e Varietà, I (1844), 1, pp. 85-90, 128-131; Discorso sopra le finanze di Roma nei secoli di mezzo, Roma 1847, ripubblicato in Giornale arcadico, CXV (1848), pp. 25-48, e in Dissert. della Pont. Accad. rom. di archeol., XIII (1855), pp. 107-127; Discorso sulle finanze dello Stato Pontificio dal secolo XVI al principio del XIX, Roma 1855; Discorso sul brigantaggio dell'Italia media e meridionale dal 1572 al 1825, Roma 1867, pubblicato anche in Giornale arcadico, novembre-dicembre 1865, pp. 203-238. A parte vanno ricordate altre due opere. La prima, intitolata Vittoria Savorelli, istoria del secolo XIX, fu pubblicata anonima a Parigi nel 1841, ma è da attribuire sicuramente al C. (I). Silvagni, La corte e la società romana nei secoli XVIII e XIX, III, Roma 1885, p. 527; E. Calvi, Bibliografia di Roma nel Risorgimento, I, 1789-1846, Roma 1912, p. 129, n. 2186). In essa viene narrata con grande rispetto per il reale svolgimento dei fatti e senza alcuna concessione al romanzesco la tragica e commovente storia d'amore di Vittoria Savorelli, figlia del conte A. Savorelli, uno dei fondatori dell'Accademia Tiberina e grande amico del C., con Domenico Doria Pamphili. Dato l'argomento, è facile comprendere i motivi dell'anonimato. L'altra s'intitola Memorie CoIonnesì (Roma 1855) e, più che essere una vera e propria storia di quell'illustre famiglia, rappresenta una formidabile raccolta di materiale documentario relativo ad essa. Per questo l'opera conserva tuttora la sua validità.
In un altro settore l'attività del C. ebbe notevole incidenza sia attraverso le sue pubblicazioni sia attraverso le sue iniziative: l'agronomia. Non per niente egli soleva dire ch'era solo "un povero agronomo" (Roncalli, Necr., p. 22). Cominciò, come si è visto, occupandosi sulla scia di monsignor Nicolai delle condizioni dell'agricoltura nell'Agro romano. Alla morte di quel dotto prelato, del quale peraltro stilò per il Diario di Roma (Suppl. al n. 8 del 26 genn. 1833) un'accurata Necrologia, ne proseguì l'opera, pubblicando nei tomi V, VII, VIII, IX, XIII e XV degli Atti della Pont. Accad. rom. di archeol. ben diciannove dissertazioni in Continuazione delle memorie sui luoghi una volta abitati ed ora deserti nell'Agro Romano, pubblicate da Monsignor N. M. Nicolai. Compose, inoltre, i seguenti saggi sempre accolti con favore presso gli ambienti colti di Roma ed anche al di fuori dello Stato pontificio, come dimostrano le riedizioni, che di gran parte di essi dovette curare in breve lasso di tempo: Discorso sull'agricoltura di Sicilia, Roma 1837; 2 ediz. con App., ibid. 1839; Discorso sull'agricoltura dell'Agro Romano, ibid. 1837; 2 ediz., ibid. 1841; Discorso sulle servitù e sulla libera proprietà dei fondi in Italia, ibid. 1840; 2 ediz. con App., ibid. 1842; Discorso sopra alcuni stabilimenti e miglioramenti agrari, ibid. 1842; Discorso sul ristoramento dell'emissario di Claudio, in Giornale arcadico, luglio-settembre 1856, pp. 305-314. Tuttavia il contributo più importante da lui offerto in questo campo è rappresentato dai suoi Discorsi agrari, letti puntualmente (ad eccezione del 1848, a causa degli eventi di quell'anno) all'Accademia Tiberina alla fine di ogni anno o al principio di quello successivo a cominciare dal 12 dic. 1842 fino al 26 apr. 1869, cioè fino a qualche mese prima della morte.
In questi Discorsi il C. faceva annualmente il punto della situazione dell'agricoltura nello Stato pontificio e nel resto dell'Italia. La competenza dei compilatore, l'uso di dati statistici ufficiali, nonché l'idea stessa, per quei tempi originale, di un simile bollettino, fecero sì che essi avessero ben presto grossa rinomanza non solo in Italia, ma anche all'estero. Pubblicati in genere a cura del C. stesso coi tipi del Salviucci, molti di essi apparvero anche nel Giornale arcadico;quello del 1845 uscì a puntate in Il Messaggero o l'Eclettico. Giornale scie?ttifico-agricolo-commerciale, I (1846), nn. 21-24.
Sostenitore ad oltranza dell'idea che si dovesse fare ogni sforzo per migliorare l'agricoltura e le condizioni di vita nell'Agro romano, fu soprattutto in seguito ai suoi consigli che il cardinale Francesco Saverio Massimo si decise a creare nel 1843 la Società agraria romana, la quale però non ebbe né il tempo né la possibilità di operare concretamente. L'esigenza, tuttavia, di una simile istituzione fu avvertita finalmente dai più e così il 4 marzo 1847 fu fondato da un gruppo di grossi proprietari terrieri e di agronomi, tra cui naturalmente il C., il Pontificio Istituto statistico, agrario e d'incoraggiamento, di cui Pio IX volle dichiararsi subito protettore e primo socio. Il 22 marzo di quello stesso anno il C. fu prescelto a ricoprire l'incarico di segretario di quell'Istituto, che però cessò di funzionare in seguito agli avvenimenti politici del 1848 a Roma. Successivamente il C. fu chiamato a far parte, il 31 dic. 1852, della Giunta provinciale di statistica e, il 15 nov. 1854, della Commissione speciale consultiva di agricoltura.
Non furono questi, tuttavia, i soli incarichi pubblici da lui ricoperti nell'ambito dell'amministrazione pontificia. Nel 1831, infatti, fu invitato a compilare un progetto di miglioramenti del governo pontificio sulla base del Memorandum delle grandi potenze del 21 maggio di quell'anno. Per l'occasione ebbe a scrivere che "il Governo pontificio debbe fondarsi sopra principii moderati e non urtanti la maggioranza delle persone influenti". Gregorio XVI accolse il progetto dicendo che "in genere gli piaceva e desiderava di vederne lo sviluppo". Ma in seguito non se ne fece più nulla (Annali d'Italia, VIII, Roma 1851, pp. 146 s.). Agli inizi del pontificato di Pio IX fu chiamato a far parte del Consiglio di censura, nominato con la legge sulla stampa del 1847, insieme con D. Buttaoni, presidente, e con il marchese Carlo Antici, Salvatore Betti e Giuseppe Vannutelli. Il 6 novembre di quello stesso anno fu annoverato dal papa fra i cento consiglieri del comune di Roma, ne Ila classe dei professori di arti liberali scienziati, letterati, negozianti e capi di arti o mestieri. Per l'occasione compose il Discorso sul Consiglio e Senato di Roma, che lesse poi nell'Accademia Tiberina il 20 marzo 1848 (Roma 1848). Inoltre, quale "membro della sezione annonaria del Consiglio Comunale di Roma", presentò nell'adunanza del 16 giugno 1848 un'interessante Relazione sulla tariffa e la libertà di fare e di vendere il pane, che pubblicò poi a sue spese coi tipi del Salviucci (Roma s. d.) e contemporaneamente nel Giornale arcadico, luglio-settembre 1848, pp. 201-209.
Notevole fu pure la sua attività in ambito giornalistico. Oltre a collaborare con articoli, necrologie e recensioni a vari giornali e periodici romani (Diario di Roma, L'Album, ecc.), fu dal giugno 1847 al gennaio 1848 segretario di redazione del Giornale del Pontificio Istituto statistico, agrario e d'incoraggiamento. Allorché, il 17 genn. 1848, la Gazzetta di Roma prese il posto del Diario di Roma come giornale ufficiale dello Stato pontificio, il C. fu chiamato direttamente dal ministro dell'Interno alla sua direzione insieme a monsignor Camillo Amici ed al Betti. Tutt'e tre, però, lasciarono il loro posto durante il ministero Mamiani. Più tardi, caduta la Repubblica Romana ed occupata la città dalle truppe del generale Oudinot 11 3 luglio 1849, fu deciso di creare al posto del Monitore un nuovo quotidiano: il Giornale di Roma, che si cominciò a stampare il giorno 6. A dirigerlo fu chiamato dalla Commissione governativa di Stato il C., affiancato, in qualità di collaboratori, da monsignor F. Fabi-Montani, dal cavalier G. De Angelis, da G. B. Martini Lupi e da V. Prinzivalli. Il 24 ag. 1853 fu chiamato a coadiuvarlo nel delicato e faticoso compito il canonico Domenico Zanelli, che finì poi col succedergli il 24 marzo 1856. Del C. si ricorda anche che, "seguendo il costume di vari antichi letterati, redigeva per suo particolare diletto un Polizzinodi notizie romane, che poi inviava a vari personaggi di sua conoscenza appartenenti alla nobiltà e alla diplomazia, dimoranti fuori di Roma" (Roma, Museo centr. del Risorg., vol. 89, f. XVII).
Appartenne a varie accademie, oltre alla Tiberina: nel 1833 fu ascritto alla Pontificia Accademia romana di archeologia; nel 1838 a quella Reale delle scienze dì Torino e all'altra dei Georgofili di Firenze; nel 1847. infine, fu noniinato da Pio IX socio ordinario della Pontificia Accademia de' Nuovi Lincei.
Il C. morì a Roma il 26 febbr. 1870.
Dispose per testamento che tutti i suoi manoscritti e le sue collezioni giornalistiche passassero alla sua morte alla Biblioteca Casanatense; il che, almeno in parte, avvenne: si vedano, infatti, i codici Casanat. 3023-3045, 4187, 4291, 4365. tra cui va segnalato un inedito Saggiodi un lessico tacitiano, autografo (4291), Per varie curiose vicende, però, alcune sue opere manoscritte e parte del suo epistolario finirono anche in altre biblioteche romane. In particolare., nella Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele II si conserva un nutrito gruppo di suoi manoscritti (codd. V. E. 208-213), tra cui è doveroso segnalare una dissertazione Dello spirito militare degli Italiani, letta il 7 febbr. 1814 all'Accademia Tiberina, rimasta inedita, nonostante l'esortazione di F. Sclopis a pubblicarla (cod. V. E. 209), e la prima stesura di una vasta opera storica sull'Italia meridionale dai tempi della Magna Grecia fino al 1759. la quale porta in calce la data del 19 dic. 1811: Osservazioni sulla Storia del Regno di Napoli (cod. V. E. 210, di cc. 281). Nella stessa biblioteca si conservano pure varie lettere autografe, tra cui in particolare quelle indirizzate al suo grande amico Salvatore Betti (in tutto venti lettere, scritte tra il 180 e il 1865: Autogr. 58/37-38). Manoscritti e lettere autografe del C. si conservano, inoltre, nel Museo centrale del Risorg. (voll. nn. 141 e 143) e nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Mss. Chigiani, O. VII-132; Mss. Ferrajoli 258 e 880; Autografi Ferrajoli, sez. III: Racc. Visconti, 2113). Tra questi è da segnalare l'ultima stesura dell'opera storica sul Mezzogiorno d'Italia, Discorso sulla Storia politica del Regno di Napoli (Mss. Ferrajoli 258, di 183 carte), che nella sua forma definitiva giunge fino al 1738 (non più fino al 1759) e presenta una lusinghiera dedica "A Sua Maestà Gioachino Napoleone Rè delle due Sicilie" (Roma 1813). Non risulta che l'opera sia stata mai stampata.
Fonti e Bibl.: D. Diamilla Müller, Biografie autografe ed ined. di illustri italiani di questo secolo, Torino 1853, pp. 387 s.; N. Roncalli, Necrologia del cav. A. C., Rorna 1870; F. Sclopis, A. C., in Arti della R. Accad. delle scienze di Torino, classe di scienze mor., stor. e filol., V (1869-70), pp. 607-611; A. G[elli], A. C., in Arch. stor. ital., s. 3, XI (1870), I, pp. 241-244; N. Roncalli, Diario dall'anno 1849 al 1870 preceduto da uno studio storico di R. Ambrosi De Magistris e I. Ghiron intorno l'idea dell'Unità Italiana in Roma, II, 1, Roma-Torino-Firenze 1894, pp. 1 ss. (I. Ghiron), 176, 179; Id., Cronaca di Roma (1844-1870), a cura di M. L. Trebiliani, I (1844-1848), Roma 1972, pp. 413 s. e passim. Vedi inoltre, M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia, Bologna 1927-30, II, p. 272 s.; III, p. 489; V, pp. 310-314; Enc. Ital., XI, p. 328; Enc. Catt., IV, col. 505. Sulle sue opere ed in particolare sugli Annali d'Italia vedi soprattutto G. Carducci, Di Lodovico Antonic, Muratori e della sua raccolta di storici italiani dal 500 al 1500, Pref. Rer. Italic. Script., 2 ediz., I, 1, pp. LXIX-LXX; E. Fueter, Geschichte der neueren Historiogrophie, München-Berlin 1911, p. 318; B. Croce, Storia della storiegrafia ital. nel secolo decimonono, I, Bari 1921, p. 33; più di recente, L. Marchetti, Bibl. gen. del Risorg., in Nuove Questioni di storia del Risorg. e dell'Unità d'Italia, Milano 1969, p. 734; Bibliogr. dell'età del Risorg. in on. di A. M. Ghisalberti, I, Firenze 1971, p. 575. Sul C. agronomo: N. Roncalli, Dell'Agro romano e suo miglioramento, Roma 1870, pp. 9-11, C. N. Travaglini, Il dibattito sull'agricoltura romana nel sec. XIX (1815-70). Le Accademie e la Società agr., Roma 1981, ad Ind. Sulla sua attività giornalistica, vedi in particolare O. Majolo Molinari, La stampa per. romana dell'Ottocento, Firenze 1963, I, pp. XXIII, XXXI, 9, 349, 421, 437, 446 s., 456; II, pp. 598 s., 867 s.