CANOSSA, Antonio
Nacque a Reggio Emilia (regiensis è detto in un documento romano del dicembre 1564), probabilmente fra il 1535 e il 1540, dal conte Guido dei Canossa di Montalto.
Non si hanno notizie su di lui per il periodo antecedente alla congiura contro il papa Pio IV, per la quale subì la pena capitale il 27 genn. 1565. Nulla si sa della sua educazione; ma da un suo scritto lasciato per i genitori due giorni prima della morte si desume che doveva aver fatto degli studi abbastanza accurati. Nel giugno 1562 viveva a Roma, dove forse si era già trasferito da tempo; nel giugno del 1564 pensava a sposarsi e chiedeva al padre l'approvazione per il matrimonio, senza indicare però la persona - che forse non era nobile - con la quale voleva unirsi. Nella estate del 1564 lo troviamo legato in stretti rapporti di amicizia con Benedetto Accolti, figlio del cardinale Pietro Accolti, con il conte Taddeo Manfredi di Faenza, Prospero dei Pittori di Reggio, Pietro Accolti, nipote di Benedetto, e Gian Iacopo di Lusignano detto il cavalier Pelliccione. Vivevano tutti in casa del Manfredi, sembra a spese del C. che, secondo una voce riportata dall'oratore estense Francesco Priorato in una sua lettera al duca di Ferrara del 10 genn. 1565, era innamorato della moglie del Manfredi. La circostanza di questo amore risulterebbe confermata dal fatto, ricordato nel suo testamento da Benedetto Accolti, che in quel tempo il C. regalò un anello d'oro con sigillo ad Elisabetta Manfredi.
La maggior parte di questi amici del giovane C. erano persone equivoche e di dubbi precedenti: il cavalier Pelliccione pare fosse stato espulso da Venezia come falsario; del Manfredi non sappiamo, ma vari indizi fanno credere che fosse anche lui poco raccomandabile. Benedetto Accolti, allora sui 47 anni, era la personalità più forte del gruppo ed esercitava su tutti un grande ascendente: in gioventù era stato a Ginevra, e specialmente a Modena, a Bologna e a Venezia aveva fatto esperienze di letture e di incontri che lo avevano portato ad aderire alla Riforma. Ma era fondamentalmente uno squilibrato con forti tendenze canagliesche, e per una burrascosa vicenda dovuta ai suoi contrasti con il cugino e omonimo Benedetto Accolti, più noto come il cardinale di Ravenna, era stato in carcere, a Roma, dai primi di gennaio del 1548 al novembre del 1549. Il cardinale di Ravenna lo definì, nel 1547, "non men pazzo che tristo"; ma aveva anche qualità che gli permettevano di prevalere sugli amici romani del 1564, come ricordava lo stesso C. nel dicembre di quell'anno (le sue parole "haveriano fatto incorrere nel suo parere ogni savia testa"). Infatti, oltre a farsi mantenere dal C., riuscì a ottenere in dono 5.000 scudi dal Manfredi, al quale aveva promesso aiuto per fargli recuperare, con l'intervento del papa, un marchesato in Lombardia e certi beni di Faenza e di Imola. Tutto questo spiega come il C. e gli altri aderissero a un pazzesco progetto che l'Accolti espose loro in quei mesi e che prevedeva un incontro con Pio IV per ucciderlo se avesse mostrato di non credere al prossimo arrivo del "popolo preservato", atteso a Roma per il rinnovamento della Chiesa cattolica. Dal suo rifiuto ad accettare la profezia, l'Accolti e gli altri avrebbero avuto la prova che Pio IV non era il vero papa ma un nemico di Cristo; dopo la sua morte sarebbe venuto a Roma il pontefice nuovo, "unto, santo ed angelico", che, come imperatore del mondo, avrebbe reso giustizia a tutti. L'Accolti promise al C. la città di Pavia e gli assicurò che, quando fossero stati alla presenza di Pio IV, avrebbero avuto un "segno" divino da una voce soprannaturale o dalla apparizione di un angelo. Ma non pare che l'Accolti credesse veramente a questa profezia del papa angelico: nell'interrogatorio reso sotto la tortura disse che ne aveva parlato per convincere i compagni e che il progetto di uccidere il papa veniva soprattutto dalle sue letture di libri eretici dove il Papato era descritto come una istituzione diabolica. Voleva anche compiere un gesto clamoroso e, a suo modo, eroico; disse infatti che si era deciso a questa impresa "per haver letto certe coniure in Platina, contra un papa, de un Stephano Porcaro... et pur non so che altre coniure che sono lì in quel Platina".
Dopo essersi confessati e comunicati e avere ascoltato "tre messe dello Spirito Santo", ai primi di dicembre del 1564 i congiurati si presentarono all'udienza di Pio IV, ma l'Accolti, o perché non aveva ricevuto il "segno" che attendeva, o per paura, non fece niente. Quella mattina il C. aveva con sé cinque lettere da lui scritte per i capi delle guardie del palazzo pontificio e per le autorità civili di Roma; in esse annunciava la morte del papa e la rinnovazione della Chiesa. Dopo questo mancato tentativo, pare che il C. intendesse lasciare l'impresa e volesse addirittura denunciare i compagni. Ma intanto l'Accolti si adoprava per ottenere una seconda udienza. Nel frattempo, però, il cavalier Pelliccione informò le autorità della congiura e sia lui sia i suoi amici, fatta eccezione per il C. che riuscì a fuggire, furono arrestati in casa del Manfredi nella notte fra il 13 e il 14 dic. 1564. La mattina successiva cominciarono gli interrogatori davanti al governatore di Roma. Poco accoratamente il C., invece di lasciare la città, andò dal cardinale Gonzaga e poi scrisse al governatore che intendeva presentarsi a lui per dimostrare la sua innocenza. Fu arrestato nella notte fra il 17 e il 18 dicembre e sottoposto a interrogatori che si protrassero fino al 5 gennaio successivo. Sotto la tortura ammise la circostanza più grave, e cioè di avere scritto le lettere da usare dopo la morte del papa. Gli inquisitori cercarono di appurare se la congiura era in qualche modo collegata alle mene dei principi protestanti, ma nessun indizio valido venne raccolto in proposito. Poco dopo il 5 genn. 1565 fu ernessa la sentenza di morte per il C., l'Accolti e il Manfredi; Prospero dei Pittori e Pietro Accolti furono condannati alle galere a vita e il Pelliccione fu graziato. Il C., l'Accolti e il Manfredi vennero giustiziati in modo atroce il 27 gennaio: dopo essere stati trascinati su carrette di legno per la città, furono portati in Campidoglio, dove il carnefice li colpì sulla testa con una mazza, li finì a pugnalate e poi li squartò. I loro resti rimasero esposti al popolo per tutto il giorno.
Due giorni prima della morte, il 25 gennaio, il C. preparò per i genitori un sommario delle sue deposizioni e una lettera in cui raccontava la propria vicenda e diceva di morire ingiustamente e senza aver commesso alcun delitto. Specialmente la lettera è interessante come testimonianza dei suoi sentimenti religiosi. Egli scrive di andare incontro alla morte volentieri e di confidare pienamente nella infinita bontà divina. "Hora è piaciuto e piace a Sua Divina Maestà che io vadi a lei per questa strada, la quale parrà a voi che sia obbrobriosa per morire per mano di giustizia, et io l'accetto per gratia di Dio, perché son certo d'andare in paradiso senza havere a patire le pene del purgatorio, per sapere io l'innocentia mia e simplicità in tal causa". Invoca Dio perché gli dia forza fino all'ultimo e, si dice convinto che la sua morte non porterà infamia alla "così nobile et antica famiglia" dei Canossa.
Sulla personalità del C. è difficile dare un giudizio esauriente, soprattutto perché non si conosce quasi nulla di lui per il periodo anteriore al 1564. Non sappiamo se egli fosse solamente un giovane sprovveduto o se si fosse avvicinato a persone come l'Accolti, il Manfredi e il Pelliccione perché era uno come loro. Sembra da escludere che avesse simpatie per la Riforma. La sua adesione al folle progetto dell'Accolti pare invece determinata, almeno in parte, da una tendenza all'esaltazione religiosa che forse si univa stranamente in lui ad abitudini e propositi di ben altra natura. Nonostante tutto, per la sua intensa attesa degli interventi del soprannaturale nella vita umana, egli è vicino a un certo tipo di sensibilità religiosa cattolica del sec. XVI.
Fonti e Bibl.: Gli atti del processo per la congiura del 1564 sono la fonte fondamentale e, allo stato attuale delle ricerche, pressoché unica sul Canossa. Sono conserv. all'Arch. di Stato di Roma, Archivio criminale,Processi del sec. XVI, 100. All'Archivio di Stato di Roma si trovano anche i testamenti in data 25 genn. 1565 di Benedetto Accolti e del C. (Arciconfraternita di S. GiovanniDecollato, 33 [ex 27], cc. 6r-8v, 9rv) e la memoria della loro esecuzione (nello stesso fondo, Giustiziati, 3, c. 308v). Un riepilogo dei risultati degli interrogatori preparato dagli inquisitori per Pio IV (Sommario della sustanza delle confessioni dell'infrascritti carcerati…) è alla Bibl. Apostolica Vat., cod. Vat. lat. 7951, cc. 33-37. La lettera e il sommario delle sue deposizioni scritti dal C. per i genitori sono alla Bibl. Corsini di Roma, cod. 35. B. 3 (ex 674), cc. 95 ss. Altre copie si trovano nel citato cod. 7951, cc. 38ss., della Bibl. Apost. Vat. e alla Bibl. Chigi di Roma, cod. N. II. 31, cc. 481 ss. Notizie sulla congiura sono nelle lettere degli ambasciatori di Ferrara (Francesco Priorato, in Archivio di Stato di Modena, Cancelleria,Ambasciatori Roma, 45) e di Mantova (Giacomo Tarreghetti, in Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, 894 s.). Un cenno importante è nella Relazione di Roma del 1569 del veneziano Paolo Tiepolo, in Le relaz. degliambasciatori veneti, a cura di E. Alberi, s. 2, IV, Firenze 1857, pp. 194 s. Nessun particolare biografico di rilievo sul C. è nelle opere che ricordano la congiura del 1564. Cfr. G. B. Adriani, Istoria dei suoi tempi, Firenze 1583, p. 723; N. Conti, Istorie dei suoi tempi, Venezia 1589, I, p. 388; L. von Ranke, Römische Päpste, Leipzig 1885, p. 229; A. von Reumont, Geschichte der StadtRom, Berlin 1870, III, 2, p. 556; L. von Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1923, pp. 534-539, 638-649; R. Quazza, Storia pol. d'Italia. Preponderanza spagnola (1559-1700), Milano 1950, p. 150; R. Ristori, Benedetto Accolti: a propositodi un riformato toscano del Cinquecento, in Rinascimento, s. 2, II (1962), pp. 225-312. Per la famiglia del C. vedi Arch. di Stato di Reggio Emilia, Archivio privato Riva,Pergamene e carte dei Canossa di Montalto;Ibid., Archivio privato Turri,Carte dei Canossa di Montalto; Arch. di Stato di Modena, Montalto: carteggio e documenti; e inoltre G. Tiraboschi, Diz. topografico-stor. degliStati estensi, II, Modena 1825, pp. 54 s.; F. Milani, Vezzano e le sue frazioni nel solco dellastoria, Reggio Emilia 1971, pp. 51-58, 144-60.