BARBERINI, Antonio
Ultimogenito di Carlo e Costanza Magalotti, nacque a Roma il 4 ag. 1607. Aveva dunque soltanto venti anni quando, il 7 febbr. 1628, il pontefice Urbano VIII, suo zio, lo creò cardinale col titolo di S. Maria in Aquiro, titolo cambiato più tardi con quelli di S. Agata alla Suburra, cioè S. Agata dei Goti, e di S. Maria in via Lata.
I membri della famiglia Barberini che facevano parte del collegio cardinalizio erano pertanto tre: il fratello del pontefice, il cardinale Antonio, detto seniore per distinguerlo dal B., il cardinale Francesco, fratello maggiore del B., e il B. stesso. Urbano VIII lo aveva già nominato cardinale in pectore fin dal 30 ag. 1627, ma la proclamazione era stata ritardata dall'opposizione di Francesco, il quale accettò la nomina solo dopo che il fratello si fu impegnato a non intervenire nella politica della curia romana della quale Francesco era diventato uno dei più influenti personaggi nella sua qualità di cardinale nipote.
Il B. fu inizialmente impegnato soltanto in modeste attività di governo che Francesco controllava fermamente da Roma: tra queste, varie legazioni a Bologna, Ferrara e Ravenna, alle quali si aggiunsero nel 1631, allorché quello stato fu arinesso alla S. Sede, quella di Urbino e nel 1633 quella di Avignone. In compenso Urbano VIII colmò il giovane nipote di benefici e titoli: già prima del cardinalato gli aveva concesso, con grande irritazione dei cavalieri di Malta, vari benefici dell'Ordine gerosolimitano, cumulati con il titolo di priore dell'Ordine, e lo aveva creato arciprete della basilica liberiana; lo nominò poi titolare delle abbazie delle Tre fontane (1628) e di Nonantola (1632) e gli attribuì infine la carica di camerlengo.
Non dovette verosimilmente attribuirsi in curia una eccessiva importanza all'incarico affidato al B., nel 1629, di tentare di stabilire una tregua tra i belligeranti della seconda guerra dì successione del M-)nferrato, tregua che avrebbe dovuto p:=ettere al pontefice di inserirsi come tnediatore tra le grandi potenze cattofiche contendenti. Questo risultato non fu conseguuito, ma in cambio la missione affidata al B. assunse un'importanza imprevista ehe lo indusse a scavalcare i limiti imp3sti dalla curia alla sua iniziativa politica: egli si trovò infatti ad affrontare nel corso delle trattative non solo i problemi politici degli Stati e dei territori italiani, ma anche quelli della Spagna, dell'Impero e della Francia.
Il B., ricevuto dal papa l'incarico il 19 nov. 1629, scortato dal padre, generale dello Stato pontificio, si recò a Bologna, di lì iniziando una serie di sondaggi diplomatici p:esso le parti in guerra. Lo coadiuvavano in tale trattativa G. G. Panciroli, un esperto diplomatico di curia, e l'ancor giovane "segretario politico" Mazzarino aglì inizi della sua carriera, al quale le trattative con i Francesi offrirono l'opportunità di passare al servizio del Richelieu. Durante la fase iniziale della missione, allorché i primi contatti, la raccolta di informazioni e la elaborazione di proposte pacificatrici furono affidate al Panciroli e al Mazzarino, il B. continuò a risiedere a Bologna. Quando però la situazione militare si inasprì in conseguenza deì successi dell'esercito francese comandato dallo stesso Luigi XIII e dal Richelieu, il B. intervenne direttamente, recandosi al principio del marzo 1630 ad Alessandria, dove tenne una riunione con i cornandanti dell'esercito imperiale e spagnolo, lo Spinola e il Collalto. Presa conoscenza delle proposte di quella parte, si recò a Rivoli dal duca Carlo Emanuele e infine presso J'accampamento francese ove discusse la situazione con il Richelieu. Ma l'andamento della guerra era troppo favorevole ai Francesi perché questi si inducessero facilmente a concessioni, tanto meno a quella di ritirarsi da Pinerolo, di recente occupata, come soprattutto desiderava il duca di Savoia: su tale punto, infatti, il B. non ottenne nulla. Perciò, dopo aver fatto proporre dal Mazzarino alle due parti una tregua di dieci giorni, proposta anch'essa non accettata, si incontrò di nuovo, il 17 aprile, a Torino, presso il duca di Savoia, con il Collalto e lo Spinola. Ma la situazione non era tale che si potesse arrivare ad una pace su basi puramente diplomatiche come sperava Urbano VIII. Il B., quìndi, tornato un'ultima volta a Pinerolo e avuto un nuovo infruttuoso colloquio con il Richelieu, abbandonò, il 21 aprile, la zona di guerra per rientrare a Bologna di dove informò del fallimentare andamento della sua missione il pontefice e il fratello Francesco. Sul teatro di guerra però la sua azione continuava mediante le trattative dei suoi due rappresentanti. I contatti presi col Richelieu in questa circostanza, rinsaldati poi durante la legazione avignonese, furono all'origine dell'atteggiamento filofrancese preso dal B. nel collegio cardinalizio, atteggiamento che determinò poi tutta la sua successiva politica.
L'attività del B. fino al 1638, quando la carica di camerlengo lo obbligò a risiedere stabilmente a Roma, fu rivolta prevalentemente alle legazioni dell'Italia centrale e di Avignone, alle riunioni delle varie congregazioni cardinalizie di cui faceva parte, come quella del S. Uffizio e quella deì religiosi, e alle sue nuove cariche di segretario dei Brevi e di presidente della Segnatura.
A Roma il B. si stabilì, assieme al fratello Francesco, nel palazzo che il Bernini aveva finito di edificare nel 1633 alle Quattro Fontane, palazzo che egli stesso fece arredare e decorare dai maggiori artisti romani. In quegli anni egli si acquistò una stabile fama di generoso mecenate (tra i suoi protetti, oltre al Bernini, va ricordato almeno A. Sacchi), finanziando i restauri o la costruzione di chiese, come quella di S. Andrea al Quirinale, e promuovendo la rappresentazione nel teatro del suo palazzo delle maggiori opere drammatiche e melodrammatiche italiane del tempo. Anche ai letterati e agli eruditi era rivolta la protezione del B., dei quale è rimasta nell'archivio di famiglia una copiosa, seppure vacua e retorica, produzione poetica latina. Nel loro soggiorno romano trovarono appoggio presso di lui, come presso il fratello, il Naudé, lo Holstein, il Bouchard, i quali contribuirono notevolmente all'arricchimento della biblioteca dei B., confluita poi, dopo la sua morte, in quella di Francesco: essa era notevole per la raccolta di libri stranieri, specialmente francesi, i cui inventari manoscritti si conservano nella biblioteca vaticana (mss. Barb. Lat.3110, 3113, 3122, 3141, 3154, 3195). Né solo nella magnificenza mecenatizia si dimostrava la larghezza del patrimonio del B. - memorabili rimasero i fastosi festeggiamenti patrocinati nel 1640 per il centenario della fondazione della Compagnia di Gesù - ma nella vita principesca, nel notevole stuolo di cortigiani che lo frequentavano e che sovente diedero luogo a scandali e atti di violenza - come mntinuamente segnalavano gli Avvisi di Roma e le pasquinate - in cui il B. fu coinvolto, contribuendo in tal modo non poco allo svilupparsi di quelle inimicizie verso di lui e verso la sua famiglia delle quali si sarebbe visto l'effetto alla morte di Urbano VIII.
In questi anni il B. si andò affermando sempre più tra i cardinali come il principale fautore della politica francese e, infatti, nel 1637 ottenne la carica di coprotettore (l'altro era il cardinale Maurizio di Savoia) degli affari francesi a Roma, carica lasciata libera dal cardinale Bentivoglio. L'apprezzamento della corte di Parigi per i suoi servigi era tale che quando, nel 1641, egli ebbe con l'ambasciatore francese d'Estrées un clamoroso scontro per banali motivi di rivalità cortigiana, il Richelieu richiamò il diplomatico, sebbene le maggiori responsabilità dell'incidente fossero senza dubbio del cardinale. Questi rapporti del B. con la corte francese, che rendevano per lo meno difficile in via diplomatica far apparire il governo pontificio come neutrale tra le potenze cattoliche, aumentarono la diffidenza verso di lui del fratello Francesco; ma l'unità politica della famiglia si ricompose in occasione della crisi provocata dalle iniziative del pontefice e del segretario di Stato che si risolse pella guerra di Castro, crisi nella quale il B. fu pienamente implicato. Incaricato della condotta militare della guerra in aiuto al fratello Taddeo, generale dell'esercito pontificio, egli partecipò alla battaglia di Lagoscuro contro l'esercito veneto, risoltasi in una sconfitta di tali proporzioni da costringere il 30 marzo 1644 il pontefice alla resa: lo stesso B., a quanto si disse a Roma, riuscì a stento a salvarsi.
Le conseguenze, rovinose per i Barberini, della guerra di Castro si videro sin dal conclave che si tenne di lì a pochi mesi, dal 9 agosto al 15 sett. 1644, dopo la morte di Urbano VIII. Il B., secondo le istruzioni del suo antico aiutante, ora ministro di Francia Mazzarino, e in ciò d'accordo con il iratello, Francesco, si impegnò decisamente all'inizio perché si arrivasse all'elezione nella persona del cardinale Sacchetti. Quando però l'elezione di questo apparve impossibile per l'opposizione dei cardinali filo-spagnoli e di quelli cosiddetti della vecchia curia, cioè i cardinali di nomina precedente al pontificato di Urbano VIII, e si manifestò sempre più probabile l'elezione del Pamphili, i Barberini, per non inimicarsi l'eventuale futuro papa, decisero di rivolgere a lui i propri voti. A questa decisione il B. arrivò contro il parere dell'ambasciatore di Francia a Roma Saint Chamont, che si faceva portavoce dell'ostilità del Mazzarino per il Pamphili.
Subito dopo l'elezione del Pamphili apparve chiaro l'errore di calcolo compiuto dai Barberini: un clamoroso sintomo dello sfavore generale, che era in procinto di travolgere la famiglia, fu il rifiuto degli ambasciatori a Roma di rendere omaggio, secondo la tradizione, al prefetto della città Taddeo Barberini, il giorno dell'incoronazione dei pontefice, il 4 ottobre. Particolarmente grave si rivelò per il B. il risentimento della corte francese per il suo atteggiamento in conclave. Il 25 ottobre arrivava a Roma al Saint Chamont una lettera da Fontainebleau del giovanissimo re Luigi XIV, scritta dal Mazzarino e data alle stampe (Lettera del Re di Francia al Sig. di S. Chamont suo ambasciatore in Roma sopra li Negoziati per l'elezione del Papa, s. I.né d.), in cui si parlava dello "... strano modo di procedere che ha tenuto contro di me, e di questa Corona il cardinal'Antonio"; la lettera proseguiva: che l'ambasciatore si recasse "a domandare, a nome mio a detto cardinal il brevetto di protettore... e fargli levare l'armi mie dalla porta del suo palazzo, non volendo ch'una persona cosi indegna della mia grazia ritenga in pubblico alcun segno di possederla...."
Privato così il B. della protezione francese, cadde l'ultimo ostacolo allo scatenarsi contro la potente famiglia dei risentimenti da lungo tempo accumulatisi in curia: nel 1645 Innocenzo X ordinò l'apertura di una inchiesta sui profitti realizzati dai Barberini durante il pontificato di Urbano VIII e in particolare sull'amministrazione delle finanze nel corso della guerra di Castro. L'inchiesta rivelò gravi irregolarità e i Barberini non riuscirono a giustificarsi. Nella disgrazia fu una fortuna per il B. e per i suoi fratelli che i rapporti tra il Mazzarino e la corte romana andassero peggiorando per le resistenze di Innocenzo X ad eleggere al cardinalato alcuni candidati del governo francese, tra i quali lo stesso fratello del Mazzarino. Così il B. poté tentare con successo un riavvicinamento alla corte francese e, quando la sua situazione in Roma peggiorò decisamente, abbandonò travestito la città nella notte dal 28 al 29 settembre e si imbarcò a Fiumicino alla volta di Parigi. Ricevute durante il viaggio assicurazioni di amicizia dal Mazzarino, poté autorizzare i fratelli rimasti a Roma ad issare sui loro palazzi gli stemmi del re di Francia. Il 6 genn. 1646 giunse a Parigi, trionfalmente accolto dalla corte, per rimanervi fino al 1653.
La fuga del B. da Roma diede luogo ad una nutrita pubblicistica antibarberiniana, il cui esemplare più notevole si conserva manoscritto nella Bibl. Vaticana (Barb. Lat. 5393) e reca il titolo La mal consegliata fuga del car.le Antonio. Esso dipana l'enorme congerie di pettegolezzi che erano alla base dell'inimicizia fra il Pamphilì e i Barberini e in special modo il B.; a questo libello questi fece rispondere con un altro pubblicato anonimo, e attribuito a Raffaello Della Torre, a Pèrugia nel 1646.
In breve il B. riacquistò l'antico favore presso la corte francese, e questo da una parte determinò un più favorevole orientamento del pontefice verso la sua famiglia, che infatti, grazie ai buoni uffici del Mazzarino, poté riacquistare, con un accordo tra Innocenzo X e Francesco Barberini, quasi intera la sua fortuna e la sua influenza; dall'altra procurò allo stesso B. vari importanti benefici in Francia, tra cui nel 1652 il vescovato di Poitiers e nel 1657 quello di Reims, per il quale però ottenne l'assenso pontificio solo nel 1667. Durante il pontificato di Alessandro VII il B. recuperò tutti i propri domini e titoli italiani e nel 1662 anche il vescovato di Palestrina, feudo della famiglia. Reintegrato in tutte le sue cariche, già prima del nuovo pontefice aveva ricominciato a partecipare ai lavori delle congregazioni di cui era membro, soprattutto di quelle della Propaganda Fide e del S. Uffizio, e prese quindi parte attivamente ai conclavi del 1655, del 1667 e del 1669.
In questi anni il B. venne così fortemente accentuando gli aspetti religiosi della sua attività, che egli stesso poteva parlare, in una lettera del 17 ag. 1662 al gesuita G. P. Oliva, addirittura di una "conversione". Infatti, sia in Francia sia in Italia, egli agì soprattutto come vescovo e sacerdote, pare specialmente sotto l'influenza dei gesuiti, ai quali egli fu sempre assai legato. La sua azione si manifestava in particolare in un più deciso impegno nel far applicare la volontà pontificia, e se da Roma, oltre che come protettore dei gesuiti e dei domenicani o caritatevole donatore per la costruzione di nuove chiese e monasteri, si distingueva anche come attivo membro del S. Uffizio (è del 1659 il carteggio col cardinale Scipione D'Elci, arcivescovo di Pisa, perché facesse sì che il granduca di Toscana eccitasse#... la sua pietà al scacciare da Livorno li predicatori calvinisti", ms. Vat. Lat. 10449, f- 32, Cioè i marinai inglesi che in quella città spesso soggiornavano), in Francia si faceva persecutore del giansenismo, assumendo anche - malgrado rimanesse salda la sua fedeltà politica a Luigi XIV -atteggiamenti antigallicani.
Scriveva infatti il 12 ott. 1663 all'Oliva da Parigi, dopo aver presieduto l'assemblea generale dell'episcopato di Francia: "Domenica feci a S. M. la relatione dei sentimenti dell'Assemblea, supplicando nello stesso tempo la M. S. della sua reale assistenza ed autorità per la essecutione di essi, ed havendola prontamente accordata, adesso non altro rimane se non che le cose si dispongano al maggior servitio di Dio ed alla pace ed unione della Chiesa. E veramente, se, come significai a V. P. R. ma col passato corriere, fosse possibile di haver qualche lume o chiaro, e da communìcarsi, o confidente, e da usarne prudentemente del pensiero, che liaver si possa di ricevere la sommessione dei Giansenisti in una forma overo nell'altra, chi ha desiderio di contribuire alla quiete, e di togliere le occasioni, che potessero eccitare qualche tempesta, come io professo, s'ingegnerebbe di approfittarsene. Posso ben dire, che l'assemblea persiste in volere che i Giansenisti si sottomettano al formulario stabilito...", e il segretario del B. postillava tale lettera aggiungendo: "L'affare dei Giansenisti ha impedito a S. E. di trasferisi alla campagna secondo il suo disegno" (P. Pecchiai, I Barberini, p. 247).
Il B. morì il 4 ag. 1671 a Nemi e venne sepolto nella chiesa episcopale di Palestrina.
Fonti e Bibl.: Arch. Segreto Vaticano, Archivio Barberini, Documenti contemporanei al pontificato, buste 117-221 (serie di docum. concernenti il B. e la sua famiglia, non inventariati; la busta 175 contiene le carte di corrispondenti francesi, le buste 176-178 le lettere degli agenti francesi, quella 194 il carteggio del Mazzarino). Bibl. Apostolica Vaticana, ms. Barb. Lat.10042, ff. 21-182; ms. Barb. Lat.10046, ff. 25-40 (carteggio del B. con il fratello Taddeo); ms. Vat. Lat.8473, ff. 20-31, 67-68, 159-160, 190; ms. Vat. Lat.10449, ff. 32-34 v.; ms. Urb. Lat. 966, ff. 193-194, 195 r. e v. (appunti del Mazzarino inviato del B. nelle trattative per la tregua nella seconda guerra del Monferrato); G. L. Ferrentillo, Oratio ad illustriss. et reverendis. d.d. A. B.,Bononiae 1629; Discorso intorno alla legatione dell'eminentiss. signor cardinale A. B. nelli nuovi stati di Urbino, Pesaro..., recitato da un putto di Pesaro di otto anni in circa allo stesso sig. cardinale, Iesi 1631; 1. A. Manasanguio, Oratio habita Urbini in adventu eminentissimi card. A. B.,Urbini 1631; Fuga del cardinal Antonio male interpretata e peggio calunniata, Perugia 1646; V. Siri, Il Mercurio, ovvero Historia de, correnti tempi, IV, Casale 1655, pp. 632-676 (carteggio con l'ambasciatore Saint Chamont durante e dopo il conclave che elesse Innocenzo X); N. Audry, Panegyricus principis A. B..., Remis 1668; G. B. Gizii, La magnanimità, panegirico detto, ne' funerali del signor Card. A. B., Roma 1671; C. Bovio, In funere eminentissimi principis A. B..., honorari tumuli ac funebris Pompae descriptio et oratio,Romae 1671; L. E. Orsolini, Inclytae nationis Florentinae suprema Romani Pontificatus ac sacra cardinalatus dignitate illustratae opus..., Romae 1706, pp. 458-468; M. Miaglia, La legaz. del cardinale A. B. nella guerra del Monferrato, Roma 1902; H. Coville, Etude sur Mazarin et ses démOlés avec le pape Innocent X (1644-1648), Paris 1914, passim; R. Quazza, La guerra per la success. di Mantova e del Monferrato (1628-1631), Mantova 1926, 1, pp. 499, 510-513, 520; 11, pp. 14, 20-23, 49, 64, 65; L. von Pastor, Storia dei Papi, XIII, Roma 1931 - XIV, 1, ibid. 1932, V. Indici; H. Prunières, Lès musiciens du cardinal A. B.,Paris 1933 (estr. dei Mélanges de musicologie offerts à m. Lionel de la Laurencie);E. Rossi, La fuga del card. A. B.,in Arch. d. R. deputaz. romana di storia patria,n.s., LIX (1936), pp. 303-327; 1. Tometta, La Polit. del Mazzarino verso il papato (1644-1646), in Arch. storico italiano, XCIX, 3-4 (1941), pp. 89-94, 107, 112, 113; R. Pintard, Le libertinage érudit dans la Première moitié du XVIIe siècle,Paris 1943, pp. 113, 216, 220, 232, 268, 611, 615; P. Pecchiai, Nani e buffoni in Roma nel Seicento,in Strenna dei romanisti,Roma 1948, pp. 101-105; Id., I paggi del card. A. B. e una lettera di La Fontaine, ibid.,Roma 1953, pp. 35-45; Id., I Barberini, in Archivi, Roma 1959, quad. s, pp. 189-213, 241-253 (pubblica lettere del B. a G. P. Oliva conservate nell'Archivio della Compagnia di Gesù a Roma); E. Lombardi, Incontro con A. B. gran Protettore degli affari di Francia,in Capitolium, XXXIV, 11 (1959), pp. 2, 11; L. von Ranke, Storia dei Papi,Firenze 1959, pp. 822 s., 831, 833; Encicl. ital., VI, V. 140; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VI, coll. 641 s.; Dict. de biogr. franc., V, coll. 266 s.