AMICO, Antonino
Nato a Messina nel 1586,studiò, con ogni probabilità, nel seminario e quindi all'università di Messina. Ordinato sacerdote, si addottorò, non si sa bene se in legge o in teologia. Della sua prima formazione culturale si sa assai poco di preciso: pare comunque che abbia studiato il greco con l'ottimo grecista messinese L. Paté, che in seguito lo doveva aiutare a tradurre i diplomi greci del Tabulario della cattedrale di Messina. Orientatosi assai presto verso gli studi eruditi, negli anni intorno al 1615 si recò a Napoli, dove strinse buoni rapporti con l'erudito G. C. Capaccio, col quale restò poi in corrispondenza. Nel 1618, già abbastanza noto per alcuni suoi lavori di storia messinese (di questi scritti si conoscono solo i titoli: Vindiciae tutelares Messanae urbis; Historia Ecclesiae Messanensis...ecc...), ispirati alla fortissima tradizione municipalistica locale, fu inviato dal Senato messinese alla corte di Madrid, per ottenere una favorevole soluzione del conflitto giurisdizionalistico insorto in quegli anni tra il Senato e l'Ordine dei cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme. Approfittando di questo incarico, l'A. si fermò nel corso del suo viaggio a Napoli, dove compì varie ricerche negli archivi della cancelleria. Giunto a Madrid, vi restò parecchi anni, trattando e conducendo a buon fine vari importanti affari per conto del Senato della sua città. Del soggiorno spagnolo approfittò però ampiamente per fare lunghe e minuziose ricerche in archivi e biblioteche, trascrivendo una considerevole mole di materiale cronistico e documentario interessante la storia siciliana, particolarmente dall'Archivio della Corona di Aragona di Barcellona. Fattosi apprezzare per le sue ricerche anche in Spagna, il 10 apr. 1622 ottenne la desiderata carica di regio storiografo siciliano, per lui appositamente istituita. Sempre in Spagna, tra il 1622 e il 1624, scrisse, su invito del presidente del Supremo Consiglio d'Italia, il conte di Monterey, una Breve noticia del govierno del Estraticò y regia curia Estrati-cociai de la muy noble y fidelissima ciudad de Meçina,rimasta inedita e pubblicata poi dallo Starrabba (Scritti ecc., pp. 31-59),che, pur essendo ispirata ad un interesse giurisdizionalistico in senso filomessinese, esce fuori, tuttavia, per l'accuratezza della ricerca documentaria, dagli schemi tradizionali dell'erudizione municipalistica messinese.
Rientrato tra il 1624 e il 1625 in Sicilia, prese le ricerche negli archivi messinesi, trascrivendo accuratamente i diplomi degli archivi della Casa dei templari, del priorato dei cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme e del monastero di S. Maria Valle Giosafat. Il risultato di queste ricerche fu una raccolta di diplomi, pronta per le stampe nel 1636, ma rimasta manoscritta insieme con due delle tre dissertazioni introduttive, in cui l'A. aveva tracdato a grandi linee la storia dei tre Ordini (templari, gerosolimitani, benedettini d'Oriente). Alle origini di questi studi c'è l'esigenza di rivendicare l'inviolabilità dei privilegi ecclesiastici nei confronti dello stato, un atteggiamento cioè schiettamente curialistico (come l'A., superato l'originario municipalismo, sia arrivato al più deciso curialismo è però assai poco chiaro). In questo senso è quanto mai indicativa la Brevis et exacta notitia originis Sacrae Domus Templi sive militum Templariorum in Hierusalem,Panormi 1636 (le altre due dissertazioni, Brevis et exacta notitia constructionis sacrae domus et militiae Hospitalis Sancti Ioannis Baptistae Hierosolymitani; Brevis et exacta notitia originis Monasterii S. Mariae de valle Iosaphat ordinis Sancti Benedicti in urbe Hierusalem,furono pubblicate mutile ed incomplete da D. Schiavo in Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia,II, Palermo 1756,pp. 34-43; 118-127; il tutto fu poi ristampato dallo Starrabba, in Scritti ecc., pp. 105-242).
Nella sua ricerca l'A., indicando il vero motivo della soppressione dell'Ordine dei templari nel proposito di Filippo il Bello di incamerarne le inimense ricchezze, si abbandona ad una violenta invettiva contro quei principi che osano impadronirsi dei beni ecclesiastici. Questo scritto però rivela anche autentiche doti di ricercatore, e dà una prima idea abbastanza precisa del suo, ormai maturo, metodo di lavoro, essenzialmente fondato sul confronto sistematico delle fonti documentarie, a cui l'A. dà una netta preminenza, con le fonti cronistiche coeve. È così che, basandosi sui documenti dell'Archivio Vaticano sapientemente combinati con le fonti letterarie coeve più attendibili, arriva a dimostrare la sostanziale falsità di quell'antica tradizione storiografica, autorevolmente codificata dal Biondo e dal Platina, che motivava la soppressione dell'Ordine dei templari, con le colpe di dissolutezza e di eresia, di cui questi si sarebbero macchiati.
Nel 1629 si recò per la terza volta a Napoli (dove conobbe il noto erudito O. Tu-tino); di qui fece poi varie puntate a Benevento, Montecassino e Roma, sempre alla ricerca di materiale documentario e cronistico riguardante la storia di Sicilia.
L'attività dell'A, non si limitò esclusivamente al campo della ricerca documentaria. Egli già dagli anni del soggiorno spagnolo meditava un'edizione di cronache concernenti la storia medievale di Sicilia. L'ampia raccolta (il titolo definitivo, di per sé assai significativo, doveva essere Sicularum Rerum Scriptores coaetanei et consequentium temporum nunquam hactenus editi, ex variis bibliothecis...),a cui l'A. dedicò più di vent'anni, rimase inedita.
Secondo la stesura ultima, di cui si possiede il piano dettagliato, doveva comprendere cronache dell'età bizantino-araba, normanno-sveva e angioino-aragonese. Il disegno dell'opera, che nell'intenzione dell'A. doveva essere la prima raccolta sistematica di cronache siciliane, dà la misura del suo interesse per il Medioevo siciliano e rivela una consapevolezza del concetto di fonte storica ai suoi tempi certo non troppo diffusa. A tal proposito anzi è da notare come dal prospetto ultimo dell'opera egli avesse escluso deliberatamente alcuni tardi compendi umanistici, non considerandoli più autentiche fonti storiche dell'età medievale. Ai Sicularum Rerurn Scriptores l'A. intendeva affiancare una vasta raccolta di diplomi pazientemente trascritti dagli archivi siciliani, napoletani, romani, spagnoli, ecc., approntando i materiali per l'opera che avrebbe dovuto coronare tutta la sua attività di studioso, gli Annales Regum Siciliae.
Rientrato in Sicilia, il 18 marzo 1631 fu nominato canonico del duomo di Palermo. Gli ambienti palermitani, che in lui vedevano il figlio dell'eterna rivale della capitale del Regno, divenuto per giunta regio storiografo e canonico del duomo, gli riservarono una accoglienza fredda e tacitamente ostile. Poco dopo, nel 1633, riproponendosi per l'ennesima volta la secolare questione del diritto di spoglio dei beni ecclesiastici vacanti, il viceré di Sicilia duca di Alcalá, invitò l'A., nella sua qualità di regio storiografo, a dare il suo parere. Nacquero così tre scritti, rimasti inediti e pubblicati poi dallo Starrabba (Rerum a Martino Siciliae Rege et a Martino Montisalbi duce postea Aragonum Rege eius patre in Sicilia gestarum usque ad eorum interitum brevis sed exacta narratio; An Reges possint ad libitum disponere in quoscumque usus voluerint de fructibus Ecclesiarum vacantium; Disceptationis Synopsis,in Scritti ecc., pp. 61-101), in cui l'A., riprovando ardentemente il costume di disporre degli spogli delle Chiese vacanti, introdotto in Sicilia, secondo lui, dai Martini nel corso della loro lotta contro la Chiesa romana, sostiene esplicitamente l'assoluta supremazia della Chiesa sullo Stato, e pone come supremo principio di diritto pubblico il dovere del principe di rispettare e tutelare le immunità ecclesiastiche. In realtà in questi scritti il richiamo ai più noti esponenti della letteratura curialistica è quanto mai deciso ed esplicito. In questo modo però l'A. non solo prendeva posizione contro il potere regio, ma, quel che era più grave, polemizzava decisamente contro la tradizione giurisdizionalistica siciliana e feriva profondamente la coscienza autonomistica del ceto intellettuale, arrivando a sostenere la dipendenza feudale del Regno di Sicilia dalla S. Sede. L'atmosfera palermitana non poteva non divenire per lui sempre più pesante. Ma non è ancora tutto. Nel 1640 infatti finì per urtare anche la suscettibilità delle gerarchie ecclesiastiche palermitane, pubblicando una dissertazione, Dissertatio historica et chronologica de antiquo urbis Syracusarum Archiepiscopatu ac de eiusdem in universa Sicilia metropolitico iure,Neapoli 1640, in cui assegnava alla Chiesa siracusana quella primazia su tutte le Chiese siciliane, allora tanto gelosamente difesa dal clero palermitano. Questa volta la reazione fu quanto mai decisa e violenta e si trasformò ben presto in un'accanita persecuzione. Gli ambienti ecclesiastici palermitani, con alla testa il noto erudito R. Pirro, che doveva succedere all'A, nella carica di regio storiografo, considerarono il gesto dell'A., che era canonico della cattedrale palermitana, un vero e proprio tradimento. F. Baronio e Manfredi fu così incaricato dal cardinale Giannettino Doria, arcivescovo di Palermo, di controbattere pubblicamente le argomentazioni dell'A., contro il quale scrisse un grosso libello accusandolo di avere deliberatamente falsato cronache e documenti, pur di riuscire a negare la primazia della Chiesa palermitana. Poco dopo, l'A., accusato di essere in contatto con i Francesi per tramare una congiura antispagnola, fu imprigionato nella fortezza di Castellammare, dove morì il 21 ott. 1641.
Grande erudito, l'A. fu però modestissimo storico, non riuscendo a stabilire tra i fatti se non una connessione estrinseca, affidata alla cronologia e alla genealogia (assai indicativa, in questo senso, la Chronologia de los Virreyes, Presidentes, y de otras personas que han governado el Reyno de Sicilia despues que sus Reyes han dexado de morar yvivir en el,Palermo 1640). In polemica con la storiografia umanistica, rispetto alla quale la sua opera rappresenta certo un notevole progresso, egli rivolse il meglio della sua attività alla ricerca documentaria, acquistando ben presto l'abito scientifico del moderno erudito. La sua intensa azione di rinnovamento degli studi eruditi non ebbe, però, a causa delle sue tendenze curialistiche, alcuna influenza sullo svolgimento della tradizione erudita siciliana. La sua opera, così scarsamente considerata in Sicilia, restò di fatto, nonostante la ristampa settecentesca della dissertazione sulla Chiesa siracusana (in I. G. Graeve et P. Burmann, Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae..,X, Lugduni Bat. 1723), assai poco conosciuta fuori dell'isola. Non si possono quindi accogliere le induzioni, non certo documentate, del Puzzolo-Sigillo, che vede una sicura influenza dell'A. nell'opera erudita del Muratori. Fu Rosario Gregorio che intese ed indicò per primo, al di là delle posizioni curialistiche dell'A., il valore della sua opera di erudito.
Bibl.: R. Gregorio, Introduzione allo studio del diritto pubblico siciliano,Palermo 1794,pp. 35-36; R. Starrabba, I diplomi della Cattedrale di Messina raccolti da A. A.,in Documenti per servire alla storia di Sicilia,s. 1, I, Palermo 1890, pp. VCLXVIII; Id., Scritti inediti e rari di A. A. e documenti relativi al medesimo, ibid.,s.4,I, Palermo 1892, pp. 5-27 (una bibliografia quasi completa delle opere dell'A. a pp. 297-307); D. Puzzolo-Sigillo, Un precursore siciliano di L. A. Muratori, il messinese A. A.,in Atti d. R. Acc. Peloritana,classe di scienze stor. e filol., XLII (1940), pp. 61-98.