TROMBADORI, Antonello
– Nacque a Roma il 10 giugno 1917, primogenito di Francesco e di Margherita Ermenegildo. All’anagrafe Trombatore, negli anni Cinquanta il padre chiese e ottenne la modifica del cognome in Trombadori.
Antonello crebbe in un ambiente familiare particolarmente sensibile alla cultura, influenzato in particolare dalla figura del padre, originario della Sicilia, affermato pittore appartenente alla cosiddetta scuola romana.
Dal 1927 visse nella prestigiosa cornice di villa Strohl-Fern, nei pressi del parco di villa Borghese, luogo in cui già da alcuni anni il padre aveva stabilito il proprio studio professionale, dove ebbe modo di frequentare numerosi artisti e letterati.
Intraprese studi classici, frequentando dapprima il liceo Mamiani e poi il Visconti; già da quel periodo cominciò a occuparsi di critica d’arte, pubblicando i suoi primi articoli sui giornali studenteschi. Iscrittosi alla facoltà di lettere dell’Università di Roma, fu membro dei Gruppi universitari fascisti (GUF), e come tale partecipò a più riprese, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, ai Littoriali della cultura e dell’arte.
Negli stessi anni collaborò con numerose riviste del regime, che presto si sarebbero trasformate in centri di formazione di una cultura antifascista, tra le quali vanno ricordate in particolare La Ruota, dove curò, insieme con Giuliano Briganti, la rubrica dedicata alla critica d’arte, e Primato, fondata da Giuseppe Bottai. I suoi contributi furono sempre caratterizzati dal sostegno alle tendenze artistiche che auspicavano un rinnovamento degli stili novecenteschi; in questa sua battaglia ebbe come punti di riferimento, tra gli altri, Corrado Cagli, Mario Mafai e Renato Guttuso, personaggio, quest’ultimo, con il quale instaurò un legame di intensa amicizia.
Fu proprio in quel contesto che Trombadori stabilì i primi contatti con il Partitto comunista italiano (PCI) clandestino, al quale si avvicinò dopo aver frequentato ambienti liberalsocialisti. Nel giugno del 1940 si laureò con Pietro Toesca, con una tesi su Pietro Giordani e la critica neoclassica in Italia. Appena conclusi gli studi universitari, poco dopo l’entrata in guerra dell’Italia, venne chiamato alle armi: arruolato nel corpo dei bersaglieri, combatté con il grado di tenente sul fronte greco-albanese, dove pochi mesi dopo riportò una ferita, in seguito alla quale fece ritorno a Roma.
Proprio in quel periodo intensificò il suo rapporto con il PCI, impegnandosi in particolare nella riorganizzazione del Partito nella capitale; ciò gli costò, nel dicembre del 1941, l’arresto con l’accusa di aver svolto propaganda sovversiva, in particolare all’interno del mondo universitario romano, insieme, tra gli altri, con Antonio Giolitti, Paolo Bufalini e Franco Lucentini. Denunciato al tribunale speciale per la difesa dello Stato, venne prosciolto in istruttoria ma subì comunque, con provvedimento del gennaio 1942, una condanna a due anni di confino; di fronte alla prospettiva di una sospensione della sanzione in caso di pubblico pentimento, oppose un secco rifiuto. Scontò pertanto la pena a Carsoli, in Abruzzo, da dove fu liberato alla fine di luglio del 1943, pochi giorni dopo la destituzione e l’arresto di Mussolini.
Appena rientrato a Roma, riprese subito l’attività antifascista. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943, subito dopo l’annuncio dell’armistizio da parte del capo del governo Pietro Badoglio, fu tra coloro che ricevettero dal generale dell’esercito Giacomo Carboni un piccolo quantitativo di armi leggere e munizioni destinate alla difesa di Roma da parte dei civili; tali armi servirono però solo in parte allo scopo, poiché in buona parte vennero sequestrate dalla polizia. Partecipò comunque in prima persona agli scontri con i nazisti che si verificarono il 10 settembre presso porta San Paolo.
Successivamente fu tra i principali organizzatori della Resistenza nella capitale: fece parte, insieme con Valentino Gerratana e Fabrizio Onofri, del comitato militare cittadino comunista; in seguito, alla fine di ottobre, gli venne affidata la guida dei Gruppi di azione patriottica (GAP) romani, il cui responsabile politico era Giorgio Amendola, creati allo scopo di combattere i nazifascisti utilizzando le tecniche della guerriglia.
Il 2 febbraio 1944 fu arrestato dai nazisti e imprigionato dapprima nel tristemente famoso carcere di via Tasso e in seguito a Regina Coeli, nel braccio gestito dai tedeschi. Qui, il mese successivo, riuscì a evitare di essere inserito nella lista dei prigionieri prelevati dai nazisti e trucidati alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944 come ritorsione per l’attentato di via Rasella, compiuto dai GAP il giorno precedente, grazie all’intervento del medico del carcere, il socialista Alfredo Monaco, che lo fece ricoverare in infermeria diagnosticandogli un’inesistente grave malattia.
In seguito fu condannato ai lavori forzati e inviato ad Anzio, sul fronte di guerra, da dove riuscì a evadere; tornato a Roma, riprese il suo posto all’interno dei GAP, che mantenne fino alla liberazione della capitale. La sua attività di combattente antifascista gli valse il conferimento della medaglia d’argento al valor militare.
Poco dopo la fine della guerra sposò Fulvia Trozzi, anche lei combattente partigiana, figlia dell’avvocato e parlamentare del Partito socialista italiano (PSI) Mario Trozzi, con la quale ebbe due figli, Duccio e Lucilla, nati rispettivamente nel 1945 e nel 1948.
Nel dopoguerra la sua attività si sviluppò su più livelli, tra l’impegno politico all’interno del PCI, la critica d’arte e il lavoro giornalistico. Per quanto riguarda l’attività politica, destinata da allora in poi ad avere un’importanza sempre maggiore nella sua vita, va segnalato innanzitutto il delicato ruolo di responsabile della vigilanza personale di Palmiro Togliatti, affidatogli nel 1948 in seguito all’attentato subito il 14 luglio dal segretario comunista a opera dello studente siciliano Antonio Pallante. Nel 1953 Trombadori entrò inoltre a far parte del comitato centrale del PCI, all’interno del quale restò fino al 1966, schierato su posizioni togliattiane ortodosse. Si impegnò anche negli enti locali, rivestendo la carica di consigliere comunale a Roma tra il 1956 e il 1968.
Dalla seconda metà degli anni Cinquanta, Trombadori lavorò per circa un decennio nella commissione culturale del PCI, dove si batté con forza a favore della diffusione del realismo in tutte le espressioni artistiche e sostenendo posizioni non aliene da un certo dogmatismo ideologico: aveva scritto in un articolo di alcuni anni prima, citando direttamente Togliatti, che l’artista comunista ha il dovere di operare «al lume della dottrina marxista-leninista», la quale «ha rivelato le leggi dello sviluppo della moderna società» (Spontaneità o coscienza?, in l’Unità, 23 novembre 1948).
Si occupò anche di cinema, altra sua grande passione fin dagli anni giovanili (già nel 1945 aveva collaborato alla realizzazione di Roma città aperta, diretto da Roberto Rossellini), affiancando Luchino Visconti nella lavorazione del film La terra trema (1948), ispirato al romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga, realizzato con il contributo finanziario del PCI; questa esperienza consolidò il rapporto di amicizia con il regista milanese, del quale divenne anche una sorta di referente politico. Negli anni successivi tornò a collaborare con Rossellini, contribuendo al soggetto e alla sceneggiatura dei film Europa ’51 (1952), Viva l’Italia e Vanina Vanini (entrambi del 1961).
A livello artistico vanno ricordate l’organizzazione della mostra L’arte contro la barbarie, inaugurata a Roma nell’agosto del 1944, nella quale vennero esposte opere di numerosi artisti, tra i quali Guttuso, Mafai, Cagli e Giulio Turcato, realizzate durante l’occupazione nazista della capitale, e la sua presentazione di Gott mit uns, celebre raccolta di disegni di Guttuso, pubblicata per la prima volta nel 1945, incentrata sulla denuncia delle atrocità compiute dai nazisti durante la guerra.
Molto rilevante appare anche la sua attività giornalistica: nel 1954 fondò e diresse, insieme con Romano Bilenchi e Carlo Salinari, la rivista di politica e cultura Il Contemporaneo, che all’inizio del 1965 sarebbe diventata il supplemento del periodico comunista Rinascita; fu anche redattore del quotidiano del PCI l’Unità, per conto del quale seguì a più riprese, come inviato speciale, la guerra in Vietnam.
Le sue corrispondenze furono raccolte nel volume Homo homini, pubblicato nel 1975 dagli Editori riuniti; sempre riguardo al Vietnam, va ricordata inoltre la sua partecipazione alle due sessioni del tribunale internazionale contro i crimini di guerra, meglio noto come tribunale Russell, tenutesi a Stoccolma e Copenaghen nel 1967, nella prima delle quali testimoniò contro gli abusi commessi dall’esercito statunitense. Sempre in veste di inviato speciale fu anche al seguito dei viaggi pastorali di papa Paolo VI in India, nel 1964, e in Africa, nel 1969, cosa che gli consentì di divenire uno degli esponenti comunisti più dialoganti con gli ambienti vaticani.
Nel maggio del 1968 fu eletto alla Camera dei deputati nelle liste del PCI, carica che ricoprì fino al 1983, operando prevalentemente all’interno della commissione Affari esteri.
Nel 1968, di fronte all’esplodere della protesta studentesca, assunse posizioni di netta chiusura nei confronti del movimento giovanile, a suo dire espressione di un radicalismo di natura tipicamente piccolo-borghese. Analogo atteggiamento mantenne negli anni Settanta, nei confronti dei movimenti della sinistra extraparlamentare, da lui fortemente criticati con lo stile tagliente e provocatorio che lo contraddistingueva.
Da quel periodo Trombadori si spostò su posizioni sempre più moderate all’interno del PCI, quelle della destra ‘amendoliana’, e sempre più critiche verso la politica adottata dal partito. In questo quadro si collocano le sue critiche all’abbandono della linea del compromesso storico, decisa dal segretario Enrico Berlinguer con la cosiddetta seconda svolta di Salerno dell’autunno 1980, e la sua contrarietà alla battaglia referendaria ingaggiata dal Partito e dalla Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) nel 1985 per abrogare la norma proveniente da un decreto approvato dal governo Craxi l’anno precedente, con la quale venivano tagliati alcuni punti del meccanismo di indicizzazione dei salari (la cosiddetta scala mobile). Parallelamente iniziò il suo percorso di progressivo avvicinamento politico al PSI.
Terminata l’esperienza parlamentare, Trombadori si dedicò all’attività giornalistica e, soprattutto, a quella di critico d’arte. Scrisse i testi introduttivi dei cataloghi di numerose mostre: si vedano in particolare, tra i tanti, Scuola romana (1986) e Roma appena ieri (1987). Nel 1984 curò anche la pubblicazione del catalogo delle opere d’arte possedute dalla Camera dei deputati.
Dagli anni Settanta pubblicò inoltre numerosi libri di poesie, perlopiù sonetti in dialetto romanesco sullo stile di Giuseppe Gioachino Belli, che gli valsero alcuni premi letterari.
Il progressivo distacco dalla cultura politica delle origini proseguì anche tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta: nel 1991 non aderì al Partito democratico della sinistra (PDS), nato dal processo di scioglimento del PCI avviato nel 1989 dal segretario Achille Occhetto; nello stesso anno espresse il suo appoggio all’intervento militare statunitense contro l’Iraq di Saddam Hussein nella guerra del Golfo, deciso dopo l’invasione del Kuwait da parte del regime iracheno.
Questa tendenza giunse al culmine nel 1992, quando Trombadori, rivolgendosi all’amico e compagno di una vita Paolo Bufalini, scrisse: «io non sono più comunista per profonda convinzione» (lettera del 3 marzo 1992, in Diario in pubblico, 2001, p. 81); contestualmente preannunciò il proprio voto al PSI alle imminenti elezioni politiche, così motivandolo in un articolo, che peraltro si convinse a non pubblicare su richiesta dello stesso Bufalini: «Un ex comunista che ha ritrovato sulla base della storia e della tragedia del “socialismo reale” le sue origini [...] vota Psi. Anche perché solo così sente di non dover gettare a mare tutto della sua stessa storia personale» (p. 85).
Morì a Roma il 18 gennaio 1993.
Opere. Homo homini, Roma 1975 (con V. Gaetaniello); Dalla fondazione del Partito alla lotta contro il fascismo, alla liberazione di Roma (1921-1944), in Il Partito comunista a Roma dalla fondazione al 1976, Roma 1984, pp. 7-42; Quaderno cinese. 1955, Roma 1999; Diario in pubblico. Lettere agli amici de «La Carbonara», a cura di P. Franchi - D. Trombadori, Venezia 2001. Opere letterarie. Er compromesso rivoluzzionario, Milano 1975; I segni eugubini, Milano 1977; La palommella. 63 sonetti romaneschi e uno in milanese, Milano 1979; Indovinela-grillo. Duecento sonetti romaneschi, Roma 1984; Sonetti romaneschi. «Ecce Roma», Roma 1988; Foglie perse, Roma 2000.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, b. 5225, f. 106634; Ufficio confino di polizia, Fascicoli personali, b. 1027, f. 15754.
P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, IV-V, Roma 1973-1975, ad ind.; N. Ajello, Intellettuali e Pci (1944-1958), Roma-Bari 1979, ad ind.; A. Dal Pont - S. Carolini, L’Italia dissidente e antifascista. Le ordinanze, le sentenze istruttorie e le sentenze in Camera di consiglio emesse dal Tribunale speciale fascista contro gli imputati di antifascismo dall’anno 1927 al 1943, III, Milano 1981, ad nomen; Iid., L’Italia al confino. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983, ad nomen; A. Vittoria, Intellettuali e politica. Antonio Amendola e la formazione del gruppo comunista romano, Milano 1985, ad ind.; N. Ajello, Il lungo addio. Intellettuali e Pci dal 1958 al 1991, Roma-Bari 1997, ad ind.; Amici e compagni. Fotografie di A. T. (1949-1953), a cura di M.S. Farci, Roma 1997; A. Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Roma 1999, ad ind.; G. Ranzato, La liberazione di Roma. Alleati e Resistenza (8 settembre 1943-4 giugno 1944), Roma-Bari 2019, ad indicem.