MUCCHI, Anton Maria
– Nacque a Fontanellato di Parma il 27 maggio 1871 da Venceslao, magistrato, e da Anna Rossi.
Dopo essersi spostato con la famiglia in diverse città per i frequenti trasferimenti del padre, pretore a Fontanellato e poi a Ravenna, Modena, Saluzzo, Reggio nell’Emilia e infine presidente della Corte di cassazione a Torino, qui, nel dicembre del 1891, si iscrisse all’Accademia Albertina, dove frequentò i corsi di Giacomo Grosso. In seguito (1896-97) completò la sua formazione artistica presso l’Accademia Carrara di Bergamo, sotto la guida di Cesare Tallone. Nel 1897 esordì in pubblico nell’annuale mostra della Società promotrice delle belle arti di Torino con Ritratto del padre (1895-96; ripr. in Fagone - Marelli, 1996, fig. 1) e Le sorelle (1896, ripr. in Mucchi, 1969, tav. 4).
L’anno seguente conobbe la contessina Lucia Caterina Tracagni di Salò, che, dopo un breve fidanzamento, sposò nel mese di settembre. Con la moglie andò ad abitare in una villa alla Madonna del Pilone, alle porte di Torino, dove stabilì anche il suo studio, frequentato abitualmente dallo scultore Leonardo Bistolfi, dall’antropologo Cesare Lombroso, da intellettuali positivisti come Edmondo De Amicis e il poeta Giovanni Cena e il filosofo Annibale Pastore, marito di sua sorella, insieme al quale Mucchi scrisse un’opera drammatica (Il prezzo della felicità), dal forte contenuto di critica sociale, messa in scena al teatro Scribe (1898).
Risalgono agli anni Novanta una serie di paesaggi (Mercato a Reggio Emilia, 1895; ripr. in Mucchi, 1969, tav. 1) che mostrano un forte legame con la tradizione pittorica piemontese, soprattutto memore della maniera di Lorenzo Delleani. Nei ritratti (Ritratto di giovane, 1896; ripr. in Mucchi, 1969, tav. 3), invece, l’artista dimostra di seguire la lezione di Grossi sia per quanto riguarda la costante attitudine alla precisa definizione dei volti, con esiti, talvolta, di un realismo quasi fotografico, sia per la ricercata armonizzazione cromatica degli sfondi impostata su un singolo tono.
Nel 1900 dipinse l’Autoritratto (ripr. in Mucchi, 1969, tav. 10), incompiuto, e Le cieche (Torino, Galleria d’arte moderna). Quest’ultimo lavoro venne esposto alla Promotrice del 1900 e l’anno seguente fu inviato sia all’Esposizione di arte italiana di Londra che alla VIII Internationale Kunstausstellung di Monaco. Sempre nel 1901 terminò Anime intente (ora conservato nelle raccolte d’arte del municipio di Salò), con il quale partecipò alla IV Biennale di Venezia del 1901.
Nell’autunno del 1902, al fine di entrare in contatto diretto con le teorie estetiche più aggiornate, viaggiò attraverso Germania, Olanda e Belgio ed ebbe così modo di incontrare artisti e intellettuali, tra cui Hippolyte Fierens-Gevaert, August Rodin e Anatole France; nel 1904 ottenne una menzione d’onore alla Louisiana Purchase Exhibition di Saint Louis nel Missouri. Rientrato in Italia nel 1904, andò ad abitare nel centro di Torino, in un’elegante casa arredata con mobili in stile liberty, disegnati da lui e realizzati dall’ebanista Giacomo Cometti. Contemporaneamente prese uno studio in Corso Siccardi 57. Nel 1905 terminò La nidiata, esposto alla Biennale di Venezia di quell’anno, nel quale ritrasse la moglie e i quattro figli. Nello stesso anno realizzò La passeggiata (ripr. in Mucchi, 1969, tav. 17), che presentò nel 1906 a Milano in occasione dell’Esposizione internazionale allestita per celebrare l’apertura del traforo del Sempione.
La passeggiata si può considerare un grande ritratto di famiglia, poiché vi sono rappresentati la moglie dell’artista, con la figliastra Nora, la sorella Maria con il marito Annibale Pastore, il matematico e amico Giorgio Antonio Garbasso con la consorte e suo fratello Francesco; nel dipinto è incluso anche l’autoritratto, di profilo, sul margine sinistro della tela. I personaggi, divisi in due gruppi ben distinti raccordati dalla figura sinuosa di un levriero tenuto a guinzaglio da Lucia, si stagliano su un fondale scenografico costituito dalla veduta di un calle veneziano. Assimilando l’esempio di Guseppe Pellizza da Volpedo, al quale fu legato da profonda amicizia, Mucchi propone in questo lavoro un impianto prospettico di memoria quattrocentesca e un netto contrasto luministico ottenuto collocando in primo piano un ambiente più scuro rispetto al fondo chiaro e luminoso.
Nella produzione di Mucchi il genere delle vedute occupa un posto rilevante. Se nelle opere giovanili dimostra di essere stato influenzato dall’esempio di Antonio Fontanesi o dei macchiaioli, in quelle della maturità, dipingendo scorci di Torino (Nuvole a Torino, 1904; ripr. in Mucchi, 1969, tav. 15), delle località alpine che frequentò o vedute delle città dove andò ad abitare (Piana di Ariccia, 1912; ripr. in Mucchi, tav. 32), propone una pennellata di tipo impressionista. Nel 1907 espose nella sala piemontese della VII Biennale di Venezia un paesaggio (Paese) e, nella successiva edizione, una veduta, Sul lago di Garda, e NudooIl mattino di un fauno (1905; ripr. in Fagone - Marelli, 1996, fig. 8).
Nel 1910 lasciò Torino, deluso dal provincialismo dell’ambiente culturale, e decise di trasferirsi a Roma. Andò, tuttavia, ad abitare in una villa di Albano Laziale, dove restò fino al 1912. Qui iniziò a interessarsi di cinematografia tanto che fondò, con scarsa fortuna, un’impresa di produzione (Ars-film) specializzata nella realizzazione di documentari su temi archeologici o storico-artistici. Nel 1913 si stabilì a Velletri e diresse un’altra impresa cinematografica, la Volsca-film, che rimase in attività appena un anno. Nel 1914 andò a Catania, chiamato a ricoprire un importante incarico da regista presso la Etnea-film.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1916, si rifugiò con tutta la famiglia a Correggio, nella casa materna, e in seguito si spostò a Bologna, dove il figlio maggiore Gabriele, che sarebbe divenuto anch’egli pittore, si iscrisse all’Università. Rimase a Bologna fino al 1923; trovandovi un clima culturale soddisfacente, riprese a dipingere e partecipò regolarmente alle rassegne espositive della Società Francesco Francia. Inoltre, iniziò a collaborare in qualità di articolista con Il Resto del carlino, occupandosi di cronache d’arte e, con crescente impegno, si interessò di restauro e commercio antiquario. Scrisse anche numerosi saggi per la rivista Cronache d’arte, diretta dall’amico Francesco Malaguzzi-Valeri, allora direttore della Pinacoteca di Bologna.
Nell’autunno del 1923 si trasferì a Milano e vi restò per undici anni, senza rinunciare ai lunghi soggiorni estivi, divenuti abituali a partire dagli anni bolognesi, a Salò, nella villa della moglie sulle sponde del lago di Garda. A Milano si occupò prevalentemente di antiquariato e restauro. Durante le estati trascorse sul Garda iniziò a studiare le opere d’arte e i monumenti del luogo pubblicando gli esiti delle sue ricerche sulla rivista Cronache d’arte. Seppur impegnato intensamente nell’attività di antiquario e storico dell’arte, non rinunciò del tutto alla pratica pittorica, né a partecipare ad alcune mostre. Nel 1926, infatti, presentò il Ritratto della signorina D’Aguyar (ripr. in Mucchi, 1969, fig. 218) alla mostra della Promotrice di Torino e, l’anno successivo, sempre nel capoluogo piemontese, espose il Ritratto del fratello Giuseppe (ripr. ibid., fig. 90) alla Quadriennale.
Nel 1928, vista l’ampia conoscenza maturata nell’ambito delle tecniche artistiche e di restauro, congiunta all’impegno profuso nella ricerca storico-archivistica, la Regia Sovraintendenza ai monumenti e alle gallerie di Milano lo nominò ispettore onorario ai monumenti per la zona del Garda, incarico che mantenne fino alla morte. All’inizio degli anni Trenta si stabilì definitivamente a Salò e nel 1932 dette alle stampe uno studio sulla locale cattedrale (Il duomo di Salò, prefazione di A. Morassi, Bologna 1932). Grazie alle sue ricerche su luoghi e personaggi legati al Garda contribuì alla riscoperta e rivalutazione critica di alcuni artisti attivi sulla sponda bresciana del lago, come il liutaio Gasparo Bertolotti (detto Gasparo da Salò), i pittori Andrea Celesti, Cesare Ferro, Zenone Veronese, Giovanni Andrea Bertanza da Padenghe, ai quali dedicò saggi e articoli sulle riviste Brescia e Memorie dell’Ateneo di Salò. Si interessò, inoltre, di topografia e toponomastica salodiense (Spicilegio di notizie topografiche e toponomastiche salodiensi dal XV secolo in avanti, Toscolano 1934; Appunti di topografia e toponomastica salodiense, Toscolano 1940).
Negli anni Trenta la sua produzione pittorica diminuì notevolmente: dipinse soltanto piccole tele con paesaggi (tra queste: L’albero, ripr. in Mucchi, 1969, fig. 225). Tra il 1940 e il 1942, su incarico della Sovraintendenza milanese, compì un lavoro di inventariazione e schedatura dei beni ecclesiastici della provincia bresciana. Durante la guerra provvide alla messa in sicurezza di molte sculture e dipinti che aveva schedato, radunandoli nel Museo lapidario e d’arte (attuale Museo civico archeologico Anton Maria Mucchi) che lui stesso aveva istituito a Salò.
Morì a Salò il 3 gennaio 1945.
Fonti e Bibl.: G. Mucchi, Il pittore A.M. Mucchi, Milano 1969; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani…, VIII, Torino 1975, pp. 47 s.; A.M. Damigella, La pittura simbolista in Italia, Torino 1981, pp. 171, 187, 198; La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, Milano 1990, I, pp. 81 s., 86; II, pp. 932 s.; Diz. della pittura e dei pittori, diretto da M. Laclotte, Torino 1992, p. 754; U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, XXV-XXVI, München 1992, p. 209; E. Bénézit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres…, IX, Paris 1999, p. 922; V. Fagone - I. Marelli, «Forma ed idea». Opere di A.M. M. (1895-1926) (catal., Salò), Brescia 1996.