ANTEMIO
Era figlio del magister militum Procopio e di una figlia del prefetto del pretorio Antemio. Ennodio, nella Vita Epiphani, lo chiama galata, ma la espressione messa in bocca a Ricimero, ormai in urto con l'imperatore, può avere semplicemente un valore di ingiuria proverbiale. Secondo il suo panegirista, Sidonio Apollinare (Carmina, II, v. 67), egli ebbe una ricca cultura, filosofica e letteraria, greca e latina, ma, anche qui, non è facile distinguere la verità del dato biografico dal topos voluto dal genere e dal desiderio del poeta di mostrare la sua erudizione e la sua bravura, nonché la sua particolare interpretazione dei rapporti culturali e, nello stesso tempo politici, tra Oriente e Occidente, tra la vecchia e la nuova Roma. Perché qui sta tutto l'interesse, per i contemporanei e per gli studiosi moderni, della figura di questo imperatore, nato da nobile famiglia greca, legato alle vicende orientali degli ultimi teodosiani e mandato in Occidente da Leone I, nel tentativo di una difficile intesa con il barbaro Ricimero e nella speranza di un equilibrio tra i barbari foederati, legati al patrizio burgundo, e gli elementi tradizionalisti romani, nemici degli hospites germani, ma timorosi della minaccia vandalica. Egli fu infatti il primo sovrano mandato da Costantinopoli, uscito da un ambiente greco, inserito nelle vicende politiche della capitale orientale e venuto in Occidente per difendere interessi prevalentemente bizantini. C'è in lui, e in parte appare dalle fonti, quasi un primo pallido annuncio di quello che, con diversi intenti e con diverse prospettive, dovrà essere, nelle intenzioni di Zenone, l'invito o il permesso a Teodorico di occuparsi dell'Italia.
Comunque, come senatore di Costantinopoli (Sidonio, Carmina, II, v. 67) fece costruire la chiesa di San Tornaso Apostolo (Chronicon Paschale a cura di L. Dindorf, Bonnae 1832, p. 468; Procopius, Bellum Vandalicum, III, 336, per l'appartenenza al senato). L'imperatore Marciano (450-457), che traeva la sua legittimità dinastica dalle nozze con Pulcheria, la sorella di Teodosio II, utilizzò per impieghi civili e militari il giovane di famiglia illustre, che, per parte di padre, discendeva da quel Procopio che, in opposizione a Valente, si vantava della famiglia di Costantino e, dal lato della madre, era nipote del famoso prefetto dei pretorio Antemio, che aveva cercato di combattere l'influenza dell'elemento barbarico a Costantinopoli. Ancor giovanissimo, l'imperatore Marciano lo aveva unito in matrimonio con la propria figlia Eufemia (Sidonio, Carmina, II, vv. 195, 216-482; Theophanes, anno mundi 5957; Jordanes, Romana, par. 336; Evagrius, Historia Ecclesiastica, II, 16). I suoi figli furono Flavio Marciano, nominato dal padre console nel 469, sposato a Leonzia, figlia di Lene e Verina, Procopio, implicato col fratello in una ribellione contro Zenone e gli Isaurici (Theoph., a. m. 5971; Candido, fr. I), Antemiolo, che morì combattendo contro i Visigoti, Alipia (Johann., fr. 209). A. combatté sul Danubio contro i Goti di Teodimero Amalo e contro gli Sciri; fu poi console per il 455 e magister utriusque (Sidonio, Carmina II 199, 209; Jord., Romana, par. 336; Getica, par. 236). Dopo la morte di Marciano la sua posizione divenne incomoda per Leone I, che mancava dei titoli di legittimità dinastica del suo predecessore che solo l'appoggio di Aspar aveva portato al trono. Tuttavia A. continuò nella sua attività militare e combatté contro i Goti e gli Unni nel 466-67 e fu anche a capo della flotta dell'Eresponto (Sidonio, Carmina II, vv. 223, 306, 503 Sidonio Apollinare in maniera esplicita, e, in modo velato, altre fonti, mettono in rilievo la singolare posizione del giovane A. che per il suo valore e per le sue relazioni aveva una notevole importanza politica e, di fronte a Leone, poteva rappresentare il candidato di eventuali opposizioni per sostituirlo al trono. Quando Ricimero, dopo la morte di Libio Severo, che non era mai stato riconosciuto dall'Oriente, di fronte al pericolo vandalico e alle minacce della situazione gallica, dove Eurico dal 466 aveva sostituito Teodorico II, sentì il bisogno di avvicinarsi all'Oriente e di chiedere a Leone, come pegno di una comune lotta antivandalica, la designazione di un sovrano per l'Occidente, A. fu il candidato più naturale e opportuno. La proposta formalmente partì dall'Occidente e A. fu acclamato dal senato romano, ma in realtà la designazione spettò a Leone.
Talune fonti in prevalenza orientab, ma non tutte, mettono in rilievo l'assoluto primato di Costantinopoli, come, ad esempio, Marcellino Comes, Giordane e, in parte, anche Idazio da Limia. Tra i Greci, Procopio (Bellum Vandalicum, III, 6, 336) insiste sulla designazione pura e semplice da parte di Leone, mentre Evagrio (Historia Ecclesiastica, II, 16) e Teofane (a. m. 5957) mettono in rilievo l'ambasceria e la richiesta da parte del senato romano. Questa differente valutazione può riflettere un diverso apprezzamento sull'attività politica di Leone. A Costantinopoli c'era un urto di tendenze tra Aspar, il patrizio goto che alla morte di Marciano, non potendo ottenere l'impero perché ariano, aveva favorito l'ascesa di Leone, e gli elementi antibarbarici; così come in Occidente c'era urto tra l'elemento germanico rappresentato da Ricimero e l'aristocrazia romana e gallo-romana, in mutevole atteggiamento di collaborazione e di difesa nei riguardi dei Goti. In Occidente era anche vivo il senso di diffidenza nei riguardi del primato orientale, ma il pericolo di Geiserico e della sua politica appoggiata, oltre che dalla forza militare, dai legami che il vandalo aveva stretto con la famiglia di Teodosio, rendeva accetto il compromesso, di cui fu l'espressione Antemio. Pietro Patrizio, in un frammento rimasto inserito nel De Caerimoniis di Costantino Porfirogenito (1, 87), ci dà una interpretazione ufficiale dell'avveniinento da parte greca rimasta quasi sconosciuta agli studiosi. In realtà, quando si parla dell'arrivo a Costantinopoli di una missione condotta, a nome di Roma, da Eliocrate per portare a Leone, dopo l'acclamazione di A. avvenuta il 12 apr. 467, le immagini ufficiali (laurÁta) del nuovo imperatore d'Occidente, si dice che la nomina di costui fu confermata da Leone, che in una lettera ufficiale mostra di compiacersi per la comunione dei poteri delle due parti dell'impero. In questo modo si ammette, in forma esplicita, che anche dopo la designazione da parte del senato e l'invio di A. a Roma da Costantinopoli, ci doveva essere in Bisanzio una nuova conferma, nelle forme prescritte da un cerimoniale divenuto espressione del primato orientale e che Leone, sottolineando l'importanza dell'elevazione di A. al trono e dell'unanimità dei due Augusti, veniva in qualche modo a riconoscere l'importanza, anche per l'Oriente, della posizione dinastica dei collega. L'interpretazione più interessante da parte occidentale è quella di Sidonio Apollinare nel panegirico pronunciato a Roma nel 468 per celebrare il secondo consolato di Antemio. Il poeta gallico cerca di chiarire nella veste letteraria e retorica che gli è solita la posizione dell'Occidente in quel momento. Così, mentre celebra l'irnportanza della nuova Roma, non può fare a meno di nascondere il suo rimpianto per il primato perduto dell'antica e per l'unità dell'iinpero di " tempo. Mentre è pieno di riguardi per Ricimero e per la sua forza barbarìca, non può fare a meno di esaltare la grandezza della tradizione patrizia e consolare di A. e la sua forza vera o presunta anche di fronte a Leone. Anche Sidonio sa valutare che la ragione vera di questo tentativo di conciliare gli opposti era avvenuto nella speranza di ottenere l'appogglo, soprattutto navale, dell'Oriente, contro la minaccia vandala. là quello che con molta più forza afferma Procopio quando contrappone il progetto antivandalico, cui A. dovette portare il suo contributo, al desiderio di Geiserico di contrapporre al candidato orientale quel senatore Olibrio che, dopo le nozze con Placidia, era divenuto cognato di suo figlio Unnerico, lo sposo di Eudocia, figlia di Valentiniano III e di Eudossia. In effetti, tutti questi tentativi di spiegare con la contrapposizione di forze politicamente coscienti, culturali e dinastiche, la politica del momento, contrasta stranamente con la difficile situazione italiana e dell'Occidente in genere, in cui la crisi della vecchia società non riesce a trovare un atteggiamento coerente di collaborazione o di lotta con le forze germaniche, che si erano insediate in Gallia, in Spagna e soprattutto in Africa. Nel 468 la spedizione contro i Vandali ebbe un esito disastroso, anche se taluni studiosi hanno cercato di vedere recentemente un'esagerazione di questo insuccesso da parte della tradizione bizantina che avrebbe voluto porre in risalto, di fronte all'insuccesso di Leone, la vittoria di Belisario e Giustiniano (Courtois, pp. 197-202).
Comunque sia, il regno di A. era minato non solo e non tanto dall'instabilità del compromesso da cui era sorto, quanto dalla precarietà della situazione occidentale e dagli stessi urti interni, che, in Oriente, proprio mentre si tentava una politica d'intervento in Italia, lasciavano intravvedere una tendenza verso un isolamento nei problemi particolari propri di quel mondo. Ricimero aveva sposato la figlia di A., Alipia, ma era sempre diffidente nei riguardi dell'imperatore. C'era anche qualche cosa di più grave ed era la malcelata ostilità del papa verso colui che dall'Oriente aveva portato simpatie per l'antica filosofia pagana, come attesta l'elezione a console nel 470 del filosofo neoplatonico Severo, mentre, d'altro lato, ci sono accuse esplicite per aver favorito tendenze eretiche e conventicole macedoniane (Gelas., Ep. 26, II). Anche la situazione gallica non era chiara e il prefetto del pretorio Arvando fu mandato in esilio nel 469, perché aveva tentato di indurre Eurico, re dei Visigoti, contro cui invano A. aveva suscitato l'opposizione dei Britanni, a rompere l'alleanza col greco, così come secondo una lettera di Sidonio Apollinare (Epistolae I, 17) il prefetto del pretorio avrebbe designato l'imperatore. Pagani e cristiani, ortodossi ed eretici, greci, romani e barbari sono le contrapposizioni che ricorrono nelle fonti letterarie e che tentano di spiegare con motivi comprensibili la crisi di dissolvimento e di trasformazione di tutto un mondò.Intanto Eurico continuava ad avanzare e a conquistare la Gallia, come afferma con un malcelato orgoglio Giordane nella Getica (cap. XLV). E così Geiserico continuava nelle sue incursioni verso l'Italia, mentre l'urto di A. col patrizio Ricimero si faceva più grave con la condanna nel 470 del patrizio e magister Romano amico del barbaro (Johann. fr. 209). Vittima di Ricimero era caduto nel 468 anche Marcellino, un generale che, in Dalmazia, rappresentava certe tendenze nazionali romane, aveva accompagnato A. in Italia - e combattuto contro i Vandali - in Sicilia. L'imperatore invano aveva sacrificato un figlio nel tentativo di combattere i Visigoti. Ricimero sottraendosi ai seimila uomini che avrebbero dovuto combattere i Vandali si ritirò a Milano. In un primo momento il vescovo Epifanio riuscì a comporre il dissidio tra suocero e genero e il biografo del santo pavese, Ennodio, alla luce anche di esperienze posteriori, fa considerazioni interessanti sulla situazione italiana e sull'impossibilità di conciliare due autorità quasi pari nel diritto, e appoggiate ai due diversi centri politici, econonúci, culturali e religiosi di Roma e Milano, anche se molto contrastanti sul piano della forza (Vita Epiphani, 53-67). Ricimero si sentiva minacciato e tentò un'altra strada e un nuovo compromesso facendo suo il candidato di Geiserico, Olibrio, che tuttavia non era sgradito neppure a Costantinopoli, dove si era rifugiato dopo la presa di Roma del 455 e dove, colla morte di Aspar, avvenuta nel 471, era mutata la situazione politica. Invano al barbaro, appoggiato dai Burgundi e nelle cui file si era schierato anche lo sciro Odoacre, A. tentò di contrapporre gli Ostrogoti dell'amalo Teodimiro. Roma è cinta d'assedio e come ci dice Giovanni Antiocheno, forse in modo troppo semplicistico, ma tuttavia efficace, da un lato stavano, con l'imperatore, l'arìstocrazia e il popolo, dall'altro i barbari con Ricimero (fr. 209). La verità non era così semplice, perché barbari si trovavano da una parte e dall'altra ed erano i veri protagonisti, mentre aristocrazia e popolo nei loro contrasti e nella loro momentanea unione tentavano di salvarsi scegliendo la parte,che ritenevano più fòrte. A poco a poco A. èabbandonato dà tutti e dopo cinque mesi viene trucidato presso la chiesa di S. Crisogono, mentre, travestito da mendico, cercava la salvezza, il 30 giugno 472. Così, con una tragedia non infrequente in questa età, si conclude l'avventura dell'imperatore venuto dall'Oriente, che, oltre i limiti della sua breve vicenda, rappresenta un momento interessante di questa storia complicata, in cui si annunciano e si intrecciano motivi permanenti di uno sviluppo che avrà ulteriori manifestazioni.
Fonti e Bibl.: Fonti latine: Sidonii Apollinaris Epistolae et Carmina, in Monumenta Germaniae Historica, Auctores Antiquissimi, VIII, Berolini 1887; Cassiodori Chronicon, ibid., Chronica Minora II, Berolini 1893, pp. 109-161; Hydatii Chronicon, ibid., pp. 1-36, Marcellini comitis Chronicon, ibid., pp. 37-108; Jordanes, Romana-Getica, ibid., Auctores Antiquissimi, V, Berolini 1882. Fonti greche: MÁlxoq â Filadelzeòoq, BufantiakÁ a cura di C. Müller, in Fragmenta Historicorum Graecorum, IV, Paris 1851, pp. 111-122; KÁndidoq, ibid., pp. 135-137; 'IwÁnngq â 'Antioxeòq, ibid., pp. 535-622; Procopio, Bellum Vandalicum, in Procopii Caesariensis Opera Omnia, a cura di I. Haury, I, Lipsiae 1905; The Ecclesiastical History of Evagrius with the Scholia, a cura di J. Bidez-L. Parmentier, London 1898; Constantini Porphyrogeniti imperatoris De caerimoniis, in Corpus Scriptorum Hist. Byzantinae: Constantinus Porphyrogenitus, I, Bonnae 1829, a cura di J. Reiski; T. Hodgkin, Italy and her invaders, II, Oxford s. d., pp. 422-473; O. Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, VI, Stuttgart 1920, pp. 355-375; J. B. Bury. History of the later Roman empire, London 1923, pp. 337-340; E. Stein, Geschichte des spätrömischen Reichs, Wien 1928, pp. 575-583; L. Vassili, Rapporti tra regni barbarici e impero nella seconda metà dei V secolo, in Nuova Riv. stor., XXI(1937), pp. 51-56; Id., Motivi dinastici nella nomina imperiale di Antemio, in Riv. di filol. e istruzione classica, LXV (1937), pp. 165 ss.; A. Solari, Il rinnovamento dell'impero romano, I, Milano 1938, pp. 433-450; A. Loyen, Recherches historiques sur les panégyriques de Sidoine Apollinaire, Paris 1942, pp. 85-95; Ch. Courtois, Les Vandales et l'Afrique, Paris 1955, cfr. Indice; Enciclopedia ital., III, pp. 454 s.