ANSCARIO
Figlio di Adalberto marchese di Ivrea e della sua seconda moglie Ermengarda - dalla prima moglie Gisla, figlia di Berengario I re d'Italia, Adalberto ebbe un altro figlio di nome Berengario che sarebbe stato re d'Italia - appartenne a quella casa d'Ivrea che fu elemento importante nella vita politica italiana della prima metà del secolo X, sia per la posizione dei suoi territori sia per i legami di parentela che l'univano da una parte alla potentissima, famiglia dei marchesi di Toscana, dall'altra a quella di Ugo di Provenza futuro re d'Italia (926-945). La madre Ermengarda infatti, figlia di Berta di Vienna, e del suo secondo marito Adalberto II il Ricco di Toscana, era sorella per via di madre di Ugo di Provenza.
Non moltissime sono le testimonianze dell'attività di Anscario. Ancora vivente il padre, la cui ultima memoria, seppur non molto sicura, è del 929, resse con probabilità il comitato di Asti, come sembrano provare i suoi interessi per questo territorio: in qualità di "comes", infatti, il 5 dic. 924, da Pavia, intercedette, insieme col fratello Berengario, presso Rodolfo di Borgogna a favore di Oberto visconte d'Asti, cui vennero concessi il castel vecchio di questa città ed altri beni; nel maggio 933 stipulò un atto di acquisto di beni posti nell'Astigiano, dal castello di None, vicino ad Asti, detto "ipsius marchionis"; nel giugno 936, infine, comperò da Guido, chierico della Chiesa milanese e figlio dell'Oberto visconte d'Asti, il castel vecchio della città.
Sul piano della politica, A. fu evidentemente solidale con la sua famiglia quando si trattò di chiamare in Italia, contro Berengario, il re di Borgogna Rodolfo, sceso una prima volta nel gennaio 922: è accanto a Rodolfo infatti il 18 ag. 924 a Pavia e presso di lui intercede, "inluster comes" e "dilectus fidelis", a favore della chiesa di s. Giovanni domnarum di Pavia, rovinata dalle incursioni ungare. Fu ancora solidale con la famiglia, in cui domina la figura della madre Ermengarda, nell'abbandonare Rodolfo di Borgogna e nell'appoggiare la politica della casa di Toscana che si era rivolta ad Ugo di Provenza in funzione antirodolfina. Non mancarono ricompense per questo atteggiamento. Ugo di Provenza, che, com'è noto, condusse un'accorta politica "familiare" per assicurarsi la fedeltà delle grosse circoscrizioni territoriali, conservò alla marca d'Ivrea la sua integrità territoriale, forse accrescendola, intomo al 933-934, dei territori fra il Ticino e l'Adda sottratti alla marca lombarda, e rafforzò i preesistenti legami di parentela dando in sposa, intorno al 931, Willa, figlia del fratello Bosone marchese di Toscana, a Berengario fratello di Anscario, contando così, nei primi anni del suo regno, i marchesi d'Ivrea tra i suoi fedelissimi.
Si può pensare che A. fosse presente all'assemblea di vescovi e laici che il 12 febbr. 928 Ugo tenne a Verona per regolare il riordinamento delle diocesi spopolate dalle invasioni ungare; con ogni probabilità si preoccupò della difesa del Piemonte, ed in particolare di Asti, di fronte all'invasione, avvenuta intorno al 935, dei Saraceni di Frassineto. Il 18 sett. 935 era a Pavia, presente ad un placito che il conte palatino Sarilone tenne, alla presenza di re Ugo e Lotario, per riconoscere al vescovo di Parma dei diritti su alcuni beni. La presenza di A. a tale placito pare giustificata dal fatto che uno dei beni, la corticella di Loculo nell'alto Appennino, era originariamente possesso di Adalberto di Toscana.
Forse a ricompensa della sua opera di difesa contro i Saraceni di Frassineto, ma più probabilmente per la necessità che aveva il re Ugo di assicurarsi elementi fidati nei posti più strategici, specie in relazione ai cattivi rapporti che in quel momento aveva con Alberico signore di Roma, A. dopo la morte di Teobaldo (15 febbr. 936) venne nominato marchese di Spoleto. Nello stesso anno, e probabilmente per la stessa ragione, Ugo aveva sostituito nella marca di Toscana al fratello Bosone, divenuto sospetto di connivenza con Alberico di Roma, il figlio naturale Uberto. Alcuni studiosi, seguendo Liutprando, vedono nella nomina di A. a marchese di Spoleto l'indice dell'inizio del disaccordo, successivamente verificatosi, di Ugo con la famiglia d'Ivrea. Secondo questa interpretazione, la vera ragione di questa nuova carica sarebbe da vedere nel desiderio di re Ugo di allontanare un pericoloso concorrente alla corona. Tuttavia, come è stato giustamente notato, sembra assai poco verosimile che per ridurre all'impotenza un uomo pericoloso Ugo gli abbia affidato, e proprio in un momento di tensione con Roma, una marca dell'importanza di quella spoletina. Fu invece la successiva politica d'espansione e d'accentramento condotta da Ugo che portò alla rottura col nuovo marchese di Spoleto. L'occupazione dell'Esarcato, avvenuta nel 939, da parte del re provenzale, infatti, se mise in allarme Roma, che si vide sottratto un territorio di sua competenza e minacciata dalla accresciuta potenza regia, non poteva mancare di preoccupare Spoleto ove A. doveva aver fatte sue le tendenze autonomistiche dei vecchi marchesi spoletini. È probabile quindi che Alberico cercasse e trovasse un appoggio in Anscario.
Ugo che, per analogo sospetto non aveva esitato a scacciare dalla marca toscana il fratello Bosone non esitò ad agire con la forza neppure in questa occasione. Nella primavera del 940 inviò una spedizione contro Spoleto, preliminare di quella contro Roma, al comando del conte palatino Sarilone. Invano il marchese A. cercò di opporsi: cadde in battaglia combattendo valorosamente. Fu sostituito, seppure per breve tempo, dal vincitore Sarilone.
Mancano sicure notizie d'una sua discendenza: fu assai probabilmente padre d'un Amedeo di Mosezzo, da cui sarebbero discese molte famiglie baronali del Piemonte; è possibile, come pensano alcuni, che suoi figli siano stati anche i conti di Pombia Amedeo e Dadone, quest'ultimo padre di Arduino d'Ivrea re d'Italia.
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