MONTMORENCY, Anne de
Nato a Chantilly il 12 novembre 1493, ebbe per madrina Anna di Bretagna, moglie di Luigi d'Orléans, futuro re Luigi XII, la quale gli diede il proprio nome. Salì a grande autorità sotto Francesco I, suo amico d'infanzia. Fece le prime armi nelle campagne d'Italia; poi si segnalò a Mézières, nel 1521. Da allora, il M. fu sempre presente nei grandi fatti d'armi: toccò a lui il compito di sorvegliare i movimenti del Borbone in ritirata dopo l'infelice tentativo contro la Provenza. Nella giornata di Pavia (1525), fu fatto prigioniero con Francesco I. Nei negoziati di pace, pur di ottenere la liberazione del sovrano, non si preoccupò delle condizioni onerose imposte alla Francia. Subito dopo la liberazione del re, fu nominato grand maître della casa reale e governatore della Linguadoca. Egli spinse il re alla lega di Cognac e incitò Clemente VII ad agire contro gl'imperiali. Dopo il sacco di Roma, A. promosse trattative di pace con l'imperatore; ma la guerra non si poté evitare. A lui e ai consiglieri del re risale la responsabilità della defezione di Andrea Doria, e, quindi, del disastro di Napoli. Divenuto con la duchessa d'Etampes, favorita di Francesco I, caldo fautore della politica di pace, a Cambrai (1529) sacrificò i Veneziani all'imperatore, e procurò alla Francia un trattato oneroso quasi quanto quello di Madrid. Si guadagnò, così, la fiducia di Margherita d'Austria e degli ambasciatori imperiali. Nel 1531, per la morte di suo padre, ereditando i dominî di Montmorency, di Beaumont-sur-Oise, di Compiègne, di Chantilly, ecc., divenne uno dei più ricchi signori. Primo barone di Francia, dominava in un governo ormai aristocratico. Per quanto fautore della pace (le sue idee assolutistiche lo portavano all'alleanza politico-religiosa con l'imperatore) dopo il trattato di Bologna, credette che i torbidi in Italia potessero giovare al re. Così, nel convegno di Marsiglia (1533) tra il re e Clemente VII, furono presi impegni segreti per la riconquista del Milanese, per la conquista del ducato di Urbino e per la cessione di Parma e Piacenza al re. Questa politica non fu felice. Pertanto il M. ritornò alla politica di pace, ma si trovò solo, con la regina Eleonora, a sostenerla; e alla metà del 1535, lasciò la corte. Ma quando le ostilità divennero generali, il M. fu nominato luogotenente generale del re con i pieni poteri per i negoziati. Davanti a Narbona inflisse agli Spagnoli una disfatta che costrinse l'imperatore alla ritirata. Nella campagna del '37 il M. salvò la situazione nel Piemonte: forzato il passo di Susa, sbloccò Torino e Pinerolo e riconquistò quasi tutto il territorio perduto. Ma con la regina Eleonora egli ritornò all'idea della pace e, se tale programma disgustò gli alleati della Francia, la pace, tanto desiderata dal paese, rovinato in più parti, rese onnipotente il M. Nel 1538, divenne contestabile, cioè capo dell'esercito. Dopo l'entrata trionfale di Carlo V in Parigi (i gennaio 1540), pareva che l'unione dei due sovrani fosse un fatto compiuto. Ma quando, nell'ottobre del '40, Carlo V cedette a suo figlio Filippo il Milanese che A. aveva fatto sperare per un figlio di Francesco I, la caduta del contestabile non si poté evitare: nel giugno 1541 lasciò la corte, e non vi ricomparve che quando divenne re il delfino Enrico, per il quale egli aveva parteggiato contro Francesco I. Enrico II fu nelle sue mani. Nel 1551, A. ebbe la dignità di duca e pari: era l'uomo più potente della Francia. Ma era odiato per la mancanza di scrupoli, per l'avidità, per la brutalità: famosa la sua repressione della rivolta di Bordeaux del 1548.
La sua politica di pace naufragò di nuovo nel 1552. Alla testa dell'esercito attaccò Metz, di cui s'impadronì con uno stratagemma; congiuntosi con l'esercito del re, mosse su Strasburgo, ma urtò contro il sentimento d'indipendenza germanico. Subì scacchi che rivelarono la sua inettitudine: nell'agosto 1554, al solo approssimarsi di Carlo V, si ritirò con più di 50 mila uomini; inoltre, dopo aver assediato Renty, riportò l'esercito a Compiègne. Cominciò a mormorare contro il re. Si venne alla tregua di Vaucelles (febbraio '56). Ma il credito del M. andava declinando. Tuttavia teneva il cuore di Enrico II. Quando i Guisa spinsero il re alla guerra, il M., non avendo potuto evitarla, fu per la guerra. Dopo avere procurato al paese il disastro di San Quintino, diresse le trattative di pace che portarono al trattato di Cateau-Cambrésis. L'opinione pubblica insorse. La morte di Enrico II segnò il tramonto definitivo della potenza di A. Durante la reggenza di Caterina per il figlio Carlo IX, A. divenuto fiero persecutore dei calvinisti, costituì il triumvirato con due uomini che erano stati suoi avversarî implacabili: il duca di Guisa e il maresciallo J. de Saint-André (6 aprile 1561). Quando il triumvirato pensò di togliere Rouen ai protestanti, A. ebbe il comando dell'assedio e prese la città; poco dopo, all'esercito ugonotto che puntava sulla Normandia per congiungersi con gl'Inglesi, sbarrò la strada, ma alla battaglia di Dreux (19 dicembre 1562) fu ferito e fatto prigioniero. Dopo la morte del duca di Guisa e del Saint-André, A. rimase il rappresentante del partito cattolico nelle trattative che portarono all'editto d'Amboise (19 marzo 1563). Nel 1567 fu l'anima della difesa della capitale, assediata dai protestanti. Nella battaglia che sostenne per tagliare i protestanti da Saint-Denis (10 novembre 1567), fu sconfitto e cadde mortalmente ferito dopo avere rifiutato di arrendersi. Morì il 12 novembre.
Bibl.: F. Decrue, A. duc de M. sous Henry II, François II et Charles IX, Parigi 1889; A. De Ruble, François de Montmorency, gouverneur de Paris et de l'Île de France, in Mémoires de la Société de l'histoire de Paris, VI (1879). Ma cfr. anche L. Romier, Les origines politiques des guerres de religion, voll. 2, Parigi 1912-1913; id., Le royaume de Catherine de Médicis, voll. 2, ivi 1922: id., La conjuration d'Amboise, ivi 1922: id., Catholiques et huguenots à la cour de Charles IX, ivi 1924.