POGLIANI, Angelo
POGLIANI, Angelo. – Nacque a Milano, in piazza S. Nazaro, il 14 giugno 1871, quarto di nove figli, da Giuseppe (nato nel 1836) e da Antonia Clerici (nata nel 1844).
Ragioniere, impiegato della Banca unione italiana prima e poi del Credito mobiliare – dove aveva occupato giovanissimo il posto di segretario di direzione –, dopo il rovinoso fallimento di quest’ultimo era passato alla Banca lombarda e quindi alla Banca di credito commerciale per approdare, nel 1899, alla Banca di Busto Arsizio in qualità di direttore generale.
Sotto la sua direzione il modesto istituto bustese, fondato nel 1873 da un gruppo di industriali cotonieri capitanato da Eugenio Cantoni, avrebbe conosciuto un rapidissimo sviluppo.
Dal 1899 gli aumenti di capitale si susseguirono con un ritmo quasi vertiginoso, e con essi proliferarono le nuove sedi della banca e le incorporazioni di banche minori o in fallimento, che, nell’arco di un decennio, fecero della Banca di Busto Arsizio uno dei maggiori istituti di credito operanti nelle zone industriali nevralgiche della Lombardia. Il passo successivo, che avrebbe proiettato la Banca tra quelle di respiro nazionale, avvenne nel novembre-dicembre 1911 quando, con il decisivo apporto del Crédit français, la Banca di Busto Arsizio si fuse con la Banca di Verona, trasformandosi nella Società italiana di credito provinciale e portando il capitale da cinque a sedici milioni di lire.
I tre anni successivi, che per l’economia italiana nel suo complesso furono anni di crisi, videro la Società italiana di credito provinciale, di cui Pogliani divenne amministratore delegato, impegnata essenzialmente nel conseguimento di due obiettivi: una rete sempre più vasta di filiali, attraverso le quali rastrellare una quota crescente dello scarso risparmio nazionale, e un portafoglio titoli abbastanza consistente, seppur costituito da azioni di imprese minori.
Alla fine del 1914 l’istituto poteva così contare su ben 56 succursali, molte delle quali frutto della incorporazione di istituti minori, mentre la pur modesta attività di finanziamento industriale svolta dalla Probank (era, questo, l’indirizzo telegrafico della società) aveva assunto, se non altro, caratteri meno limitati, investendo anche in settori quali l’elettrico, il telefonico e quello della navigazione.
Già nel corso del 1913, comunque, Pogliani, nominato nel giugno dello stesso anno membro del Consiglio superiore del commercio, istituito sei mesi prima, andava elaborando il progetto di una «banca italianissima», che durante l’anno successivo si sarebbe precisato portando alla fondazione, il 31 dicembre 1914, della Banca italiana di sconto (BIS) e, sei mesi dopo, alla fusione con i due istituti partecipati dal capitale francese: la Società bancaria italiana e la Società italiana di credito provinciale. La nuova grande ‘banca mista’, presieduta da Guglielmo Marconi e di cui Pogliani fu nominato amministratore delegato il 2 giugno 1915, nacque in un clima tutt’altro che sereno, che avrebbe finito con il condizionarne l’intera esistenza.
La sua fondazione da parte di un coacervo di forze e di interessi cui il conflitto mondiale aveva offerto obiettivi comuni suonò, infatti, come una dichiarazione di guerra al maggior istituto di credito ordinario del Paese, la Banca commerciale italiana (Comit), e alle sue alleanze politiche, e tale in effetti si rivelò.
Così come scaturiva dalla fusione, il nuovo istituto, che aveva portato tra l’altro il suo capitale a settanta milioni, costituiva una realtà abbastanza consistente: gli interessi rappresentati nel suo consiglio di amministrazione erano notevoli e la «banca italianissima» risultava legata, a pochi mesi dalla sua costituzione, a molte imprese in quasi tutti i settori industriali, e in primo luogo al gruppo Ansaldo.
A partire da tale ‘piattaforma di lancio’ Pogliani diede il via a una frenetica attività di finanziamenti e partecipazioni industriali che, nel corso del conflitto mondiale, portarono la BIS – che tra l’aprile 1917 e il febbraio 1919 effettuò tre aumenti di capitale (a 115, 180 e a 315 milioni) – ad affermarsi in tutti i settori. Non solo supportando i proprietari dell’Ansaldo e il loro ambizioso progetto di realizzare un «sistema verticale integrato» che comprendesse tutti gli ‘anelli’ di una catena che andava dalle miniere alle società di navigazione, ma contendendo contemporaneamente alla Comit il ruolo di principale finanziatrice dell’industria italiana, in un clima ‘drogato’ dalle commesse belliche.
Non del tutto incidentalmente, tale attività avrebbe portato Pogliani a ricoprire cariche nei consigli di amministrazione di ben settanta società per azioni dei più svariati settori.
A fronte di impieghi in rapida crescita stava peraltro una raccolta che, in proporzione, appariva esigua, nonostante l’incremento della base monetaria e il conseguente aumento in termini assoluti dei depositi.
La lotta per la conquista di nuovi depositanti si tradusse in un deciso incremento di sedi e succursali delle quattro banche miste italiane, che tra il 1914 e il 1918 passarono nel complesso da 153 a 240, inasprendo il già tutt’altro che amichevole clima che regnava ai vertici del settore bancario, e che sarebbe sfociato nei due noti tentativi di impadronirsi della Comit messi in atto da Pogliani e dall’Ansaldo dei fratelli Perrone nel 1918 e nel 1920, nell’intento di procurarsi un’ulteriore fonte di finanziamenti.
Né l’incremento di capitale della BIS, né l’aumento verificatosi nei depositi, dovuto a una smisurata estensione della rete di dipendenze, poterono infatti costituire un supporto sufficiente per l’attuazione del programma elaborato dai dirigenti dell’Ansaldo, tanto più che questo costituiva soltanto una, sia pure la più importante, delle attività della «banca italianissima», impegnata non solo a salvare i fidi concessi a svariate imprese durante la guerra, finanziandone la riconversione, ma anche a proseguire nel dopoguerra quella ‘scalata’ ai vertici dell’economia italiana che aveva felicemente intrapreso durante il conflitto, moltiplicando al contempo le filiali all’estero e gli accordi con istituti stranieri.
L’intento di affermarsi come un grande istituto internazionale aveva portato alla costituzione dell’Italian discount and trust company a New York e della Banca per l’Africa orientale ad Asmara nel 1918, della Banca italo-caucasica di sconto in Georgia e della Banca dalmata di sconto a Zara nel 1919, mentre Pogliani, a partire dal 1920, era console di Romania a Roma. L’esito, nel complesso fallimentare, della ‘scalata’ alle banche sarebbe risultato fatale per l’istituto diretto da Pogliani, le cui condizioni nel frattempo erano notevolmente peggiorate: il problema di difendere, con acquisti massicci, il corso del proprio titolo in borsa, postosi già alla fine del primo semestre 1920, si era acuito via via che la crisi industriale si palesava in tutta la sua gravità, accompagnata da attacchi sempre più pesanti da parte dei gruppi avversari, mentre i provvedimenti fiscali annunciati da Giovanni Giolitti al suo ritorno al governo, e in particolare l’avocazione allo Stato dei sovrapprofitti di guerra e la nominatività dei titoli, suscitavano fosche previsioni sull’avvenire delle industrie italiane, già alle prese con l’occupazione delle fabbriche. Tutto ciò accentuò la tendenza al ribasso del mercato azionario, rendendo impellente la necessità di reperire denaro liquido, stante l’impossibilità di liquidare gli immobilizzi industriali.
A partire dalla seconda metà del 1920, inoltre, si palesarono gli errori dovuti alla crescita tumultuosa dell’istituto il quale, nel tentativo di rastrellare quote crescenti di risparmio, aveva aperto filiali anche nelle località più sperdute, ritrovandosene ben 160 in tutta Italia con costi di gestione altissimi.
A questo errore, si sommò quello dovuto alla direzione personalistica di Pogliani, che, accentrando nelle proprie mani il potere decisionale sui principali fidi e sui finanziamenti industriali, aveva finito con l’esercitare un controllo del tutto insufficiente sul comportamento dei direttori periferici e dei funzionari della sede centrale, nonché sulle filiali estere.
Pogliani, che nei primi mesi del 1921 aveva rassicurato il direttore della Banca d’Italia Bonaldo Stringher, insistendo sul fatto che la BIS non avrebbe intaccato il proprio capitale, finì invece con il dover richiedere un intervento di salvataggio da parte di un consorzio interbancario appositamente costituito.
Nel frattempo, la situazione della «banca italianissima» precipitava: il comunicato inviato all’Agenzia Stefani che dava notizia della formazione del consorzio e delle condizioni imposte alla BIS provocò un’ondata di panico borsistico, che rischiò di tradursi in una fatale ondata di ritiri nei depositi. Pogliani finì quindi con l’utilizzare parte del denaro ricevuto ‘a tozzi e a bocconi’ dal consorzio per sostenere il titolo in borsa, ma fu proprio questo che decise della sorte della BIS, giacché i membri del consorzio presero a pretesto quest’azione per bloccare le sovvenzioni a 424 milioni, e un altro ‘incauto’ comunicato Stefani, che ne dava l’annuncio, completò l’opera provocando il tanto temuto run dei depositanti.
A evitare alla Banca italiana di sconto la dichiarazione di fallimento intervenne il decreto legge del 28 dicembre 1921, che ripristinava l’istituto della moratoria.
Quanto a Pogliani, che nella richiesta di moratoria presentata al tribunale di Roma il 29 dicembre 1921 si diceva certo della solidità intrinseca dell’istituto, ritenendo che lo si potesse riassestare, dovette presto disilludersi, giacché il governo Bonomi non incoraggiò le iniziative, che pure non mancarono, per rianimare la Banca italiana di sconto.
Il decreto di moratoria non salvò gli amministratori della BIS dalle conseguenze penali del dissesto, come forse avevano sperato, giacché il successivo decreto 3 gennaio 1922 prevedeva che essi fossero chiamati a rispondere per aver distribuito dividendi insussistenti per l’esercizio 1920, per aver rivenduto all’istituto, tra il novembre 1920 e il dicembre 1921, molte azioni della BIS stessa, nonché dell’illecito di aggiotaggio e, ovviamente, di bancarotta, reato quest’ultimo peraltro estinto dall’amnistia concessa con il decreto 22 dicembre 1922 non solo a tutti i criminali fascisti per i reati commessi con un «fine nazionale», ma anche a tutti i responsabili di reati colposi.
La presenza tra i consiglieri di amministrazione di numerosi senatori, fece sì che il procedimento penale non fosse affidato alla magistratura ordinaria, bensì al Senato riunito in qualità di Alta Corte di giustizia, di fronte alla quale, dopo una lunga istruttoria, conclusa a liquidazione terminata, soltanto tredici degli amministratori, compreso Pogliani, vennero processati e, a seguito di una benevola perizia – che scagionava tutti gli imputati dalla pendente accusa di aver presentato un bilancio falso per l’esercizio 1920 ma sosteneva la perfetta solvibilità dell’Ansaldo e della BIS al 29 dicembre 1921 –, assolti con la sentenza del 2 marzo 1926.
Il disastroso crollo della BIS non segnò peraltro, almeno nell’immediato, l’uscita di scena di Pogliani, giacché non soltanto egli aveva conservato alcune delle numerose cariche ricoperte nei consigli di amministrazione di società finanziarie e industriali italiane ma, subentrato al fratello Zeffirino in qualità di amministratore delegato della Compagnia fondiaria regionale, presieduta da Dante Ferraris, nel 1927 ricoprì la carica di presidente di ben diciotto società – ferroviarie, immobiliari, minerarie e finanziarie –, di vicepresidente della Itala, di amministratore delegato di due società alberghiere e di consigliere di altre quattro società di vari settori.
Una presenza, quindi, di un certo peso, della quale si servì per tentare, invano, nel 1927, di dar vita a un nuovo «contraltare» della Comit, sotto forma di Banca del littorio, progettando di incorporarvi, oltre alla disastrata Banca del Sud, anche la Banca nazionale di credito e il Banco di Roma.
Il progetto rimase tale e Pogliani, dopo aver assunto, nel 1934, la presidenza della Società romana di colonizzazione in Somalia e organizzato una disgraziata lotteria a Montecarlo nel 1936, partì per New York il 1° febbraio di quell’anno, uscendo in maniera definitiva dalla scena economica italiana.
Rientrato in Italia, tentò nel corso del secondo conflitto mondiale, attraverso la Società anonima grandi terme di Castellammare di Stabia, di lanciare un vasto progetto per la valorizzazione delle sorgenti termali, che non andò in porto.
Appassionato bibliofilo, disponeva di una biblioteca di circa quattromila volumi, in parte provenienti dalle raccolte dell’archeologo e latinista Giacomo Boni.
Morì a Roma il 20 febbraio 1951.
Fonti e Bibl.: Non esiste un archivio Pogliani, ma ogni fonte archivistica utile alla ricostruzione della vicenda umana e imprenditoriale si ricava agevolmente dai lavori di Anna Maria Falchero, Pietro Cafaro ed Ernesto Galli Della Loggia. Inoltre, A. Titi - U. Savoia, Relazione peritale nel procedimento contro A. P. e altri ex-amministratori della Banca italiana di sconto, Roma 1925; U. Bava, I quattro maggiori istituti di credito, Genova 1926, pp. 131-133; E. Savino, La nazione operante, Milano 1928, ad ind.; C. Rossi, L’assalto alla Banca di sconto. Colloqui con A. P., Milano 1950.
C. Belloni, Dizionario storico dei banchieri italiani, Firenze 1951, p. 173; E. Galli Della Loggia, Problemi di sviluppo industriale e nuovi equilibri politici alla vigilia della prima guerra mondiale: la fondazione della Banca Italiana di Sconto, in Rivista storica italiana, LXXXII (1970), 4, pp. 825-885 (in partic. p. 839); P. Cafaro, Finanza ed industria in un centro cotoniero d’Italia: le banche di Busto Arsizio, in Archivio storico lombardo, s. 11, 1988, vol. 5, pp. 239-258; A.M. Falchero, La Banca italiana di sconto 1914-1921, Milano 1990; Ead., La banca «italianissima» di sconto tra guerra e dopoguerra (1914-1921), Narni 2012.