MONTEVERDI, Angelo
MONTEVERDI, Angelo. – Nacque a Cremona il 24 gennaio 1886 da Imerio, primario all’Ospedale Maggiore, e da Antonietta Torracchi. La famiglia paterna era antica e contava fra i suoi antenati anche il musicista Claudio Monteverdi.
Compì gli studi secondari a Cremona , presso il Liceo classico «Daniele Manin», dove ebbe quali insegnanti studiosi insigni come Giuseppe Manacorda e Alfredo Galletti. Per gli studi universitari si trasferì a Milano, dove nella Regia Accademia scientifico-letteraria frequentò i corsi di Francesco Novati, anch’egli cremonese, seguace della Scuola storica e cofondatore nel 1883, con Rodolfo Renier e Arturo Graf, del Giornale storico della letteratura italiana e poi, nel 1904, degli Studi medievali. La scelta di Milano (dove strinse amicizia con Antonio Banfi, Daria Malaguzzi Valeri e Clemente Rebora) e di Novati quale maestro fu importante, poiché segnò da molti punti di vista la personalità di Monteverdi, innanzitutto nell’attenzione ai dati documentari e all’esplorazione sistematica delle raccolte manoscritte, con particolare riguardo al proprio contesto territoriale. Monteverdi, da questo punto di vista, fu esponente della cosiddetta linea lombarda, nutrita, in particolare, dall’amore per la propria città, Cremona, cui dedicò alcuni scritti giovanili, anche di carattere storico-artistico (1909-1911), e alla cui cultura e vita riservò sempre grande attenzione, fino al 1965, alla vigilia della morte.
L’adesione al metodo storico, in Monteverdi, come in altri suoi maestri e compagni di strada, non rappresenta comunque una scelta aridamente erudita. È anche il tentativo di rispondere alla crisi esistenziale degli inizi del secolo (fra tramonto del positivismo e avvento dell’idealismo), rivolgendosi alle certezze assicurate dal metodo filologico: una vera e propria ‘ascesi professionale’, che già nei primi anni non va disgiunta dall’attenzione per gli aspetti estetici e valoriali dell’opera d’arte (si veda la recensione dedicata ai Frammenti lirici di Rebora su La Voce, 1914, la rivista più militante e meno accademica allora disponibile per i giovani intellettuali). Il giovane Monteverdi partecipava della crisi che stava coinvolgendo la belle époque e la risolse ritrovando nel sapere critico un motivo di quiete e certezza.
Conseguita la laurea in Lettere nel 1908, Monteverdi perfezionò la sua preparazione a Roma con Ernesto Monaci e a Berlino con Heinrich Morf, poi a Parigi con Paul Meyer e a Firenze con Pio Rajna. A Firenze poté conoscere e frequentare anche Alessandro D’Ancona, maestro del suo maestro Novati.
La tesi di laurea, dedicata a La leggenda di sant’Eustachio, pubblicata negli Studi medievali del 1909 e 1910, analizza la leggenda nella sua fortuna e articolazioni: latine, francesi, italiane, ma anche spagnole, inglesi, tedesche, scandinave, in una visione non solo romanza ma integralmente europea, comprensiva anche degli aspetti culturali più generali e figurativi. Monteverdi riporta la leggenda non alla cultura popolare ma ad ambienti colti e a precise strategie autoriali, in una prospettiva storiografica che le ricerche successive confermeranno.
Negli stessi 1909 e 1910 dedicò, nel Giornale storico della letteratura italiana, due studi all’autore moderno preferito da lui e da Rebora, Giacomo Leopardi, riconoscendo negli Appunti e ricordi del 1819 «l’abbozzo di un romanzo autobiografico» (Gli Appunti e ricordi di Giacomo Leopardi, in GSLI, 1909, p. 141) e in una nota marginale all’edizione, per mano di Leopardi, la prefazione abbozzata della Telesilla (Noterella leopardiana: la prefazione della Telesilla, ibid., p. 147), confermando nell’esame dei due generi non praticati dal poeta le ragioni della sua vocazione di lirico. Se per tutta la vita Monteverdi dedicò le sue ricerche innanzitutto alle letterature mediolatine e romanze, non abbandonò mai i suoi interessi moderni e leopardiani, su cui tornò più volte nel corso della vita, fino a raccoglierli, in unico volume (Frammenti critici leopardiani, Napoli 1967). Fu un capitolo importante della sua attività, che può spiegare anche la sua precoce apertura alla critica stilistica (Gli esempi dello “Specchio di vera penitenza”, in due parti, GSLI, 1913, pp. 266-344; ibid., 1914, pp. 140- 290) e l’attenzione dedicata agli aspetti formali e metrici dell’opera letteraria, fin dalla sua recensione a Rebora. Agli studi su Leopardi vanno associati gli altri lavori sulle letterature moderne neolatine, secondo una concezione aperta della filologia romanza: in particolare le sue ricerche e traduzioni del teatro spagnolo del secolo d’oro. All’opera di Calderón de la Barca e di Lope de Vega dedicò vari studi, dal 1913 al 1926, tornando poi sul complesso del teatro spagnolo del Siglo de Oro nel 1957, con un ampio e disteso panorama (Teatro spagnolo del secolo d’oro, presentato da Angelo Monteverdi, Torino 1957).
All’insegnamento di Novati si deve l’eccellente preparazione storica di Monteverdi e la solidità della sua cultura mediolatina, secondo un modello comune a una parte significativa dei più grandi filologi romanzi del tempo, da Ernst Robert Curtius a Erich Auerbach. Convinto sostenitore dell’unità del mondo culturale europeo medievale, latino e volgare, e un critico puntuale del mito romantico positivistico delle origini europee popolari e primitive ritiene che tale unità, garantita dalla comune matrice linguistica e culturale latina, sia contraddistinta, nelle nascenti letterature volgari, dalle specifiche modalità linguistiche e culturali con le quali i centri locali e regionali e poi le nascenti nazioni europee reagiscono alla tradizione classica e mediolatina (specie nella metamorfosi dei generi, delle forme e dei temi) e alle innovazioni che progressivamente penetrano in Occidente anche da ambiti non latini (germanici, celtici, bizantini, arabi, orientali).
Alla morte di Novati (alla fine del 1915), gli fu affidato l’incarico di completare il volume Le Origini previsto per la Storia letteraria d’Italia, Scritta da una Società di Professori della casa editrice Vallardi. Le Origini, «completate e compiute» da Monteverdi (si veda la nota Francesco Novati e il compimento delle «Origini», presentata il 3 luglio 1941 all’Istituto lombardo di scienze e lettere), furono pubblicate solo nel 1926. Allo scoppio della prima guerra mondiale Monteverdi combatté come ufficiale di fanteria al fronte, sul settore degli Altipiani e a Gorizia, ove il 14 agosto 1916 riportò una ferita in combattimento (era comandante di compagnia in prima linea), poi a Vertoibizza, a Doss Faiti, in Valsugana. Delle esperienze al fronte tenne un diario, tuttora inedito. Dal settembre 1917 all’ottobre 1919 fu comandato presso la Legazione d’Italia a Berna. Conseguita nel frattempo la libera docenza, iniziò a esercitarla nel 1921 presso l’Università di Roma, dove Cesare De Lollis era divenuto titolare della cattedra di Filologia romanza, alla morte di Ernesto Monaci (1918).
Nel 1922 fu nominato professore ordinario presso l’Università di Friburgo in Svizzera, dove successe a Giulio Bertoni, richiamato nel frattempo (1921) all’Università di Torino. A Friburgo insegnò fino al 1942, quando fu chiamato all’Università di Milano. Al periodo friburghese risalgono il completamento delle Origini (1926) e numerosi saggi sulla letteratura latina medievale, cui Monteverdi continuerà sempre a prestare grandi cure, quale matrice e compagna delle letterature romanze (fra i tanti lavori, particolare rilievo hanno i saggi dedicati alla fortuna di Orazio nel Medio Evo, Roma 1938, e di Ovidio nel Medio Evo, ibid. 1958). Nei venti anni friburghesi e milanesi, Monteverdi si dedicò in modo sistematico, con corsi universitari, dispense, saggi e manuali, ai settori fondamentali della filologia romanza, con molteplici lavori sull’epica francese, sulla poesia trobadorica e italiana, sulla letteratura spagnola, estendendo le sue ricerche ai primi documenti in volgare (Testi volgari italiani anteriori al Ducento, Roma 1935, e Testi volgari italiani dei primi tempi, Modena 1948, un piccolo classico del settore) e, con progressiva intensità e importanza di risultati, alla metrica romanza e ai suoi rapporti con quella mediolatina.
Nell’analisi dei primi documenti in volgare (dal 1928 al 1962), Monteverdi raggiunse risultati importanti: dimostrò l’origine culta e individuò il tipo di metro dell’Indovinello veronese, ricondotto ad ambito volgare e non latino (di particolare rilievo il saggio del 1937); eliminò dal novero dei primi canti popolari una formula di scongiuro latina erroneamente ritenuta volgare (Nelia Telia, 1935), dimostrò la falsità (e identificò il falsario, Girolamo Baruffaldi) della famosa iscrizione ferrarese, ovvero di quelli che erano stati ritenuti i primi endecasillabi italiani (I primi endecasillabi italiani, 1939; Lingua italiana e iscrizione ferrarese, 1959).
Dal 1943 fu chiamato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma, dove insegnò fino al 1956 (dal 1957 al 1961 come professore fuori ruolo) e dove ricoprì anche la carica di preside. Condirettore di Studi medievali, diresse Cultura neolatina, rivista dell’Istituto di Filologia romanza di Roma, fondata da Bertoni. Nel 1945 raccolse una parte dei saggi dei decenni precedenti nel volume Saggi neolatini (Roma), che rappresenta un bilancio e l’inizio di una nuova fase della sua attività scientifica.
Filologo e linguista interessato innanzitutto alla fenomenologia letteraria e storico-culturale, Monteverdi sostenne che la filologia non si fa senza linguistica (si veda il Manuale d’avviamento agli studi romanzi. Le lingue romanze, Milano 1952, p. V). Ulteriore rilievo assunsero in questo periodo anche le sue ricerche stilistiche, applicate a un particolare fenomeno d’interferenza fra lingua e letteratura: il cosiddetto espressionismo (Rosa fresca aulentissima ... tragemi d’este focora, 1950 e 1954; Testi di lingua e testi di dialetto, 1961; Bilinguismo letterario, 1961). Accanto alle analisi linguistiche e stilistiche si collocano alcuni saggi di storia della versificazione e analisi metrica divenuti esemplari nella letteratura specifica: La laisse épique (1959); Regolarità ed irregolarità sillabica del verso epico (1964); Problèmes de versification romane (1965). Al settore antico-italiano dedicò ulteriori e assidue cure: in particolare, lavorò sui poeti della Scuola siciliana, per i quali offrì soluzioni definitive al problema molto complesso e dibattuto delle modalità di edizione (Per una canzone di Re Enzo, 1947; La critica testuale e l’insegnamento dei Siciliani, 1953) e a varie questioni storico-culturali e attributive molto delicate, con una serie di saggi poi in parte riuniti nel volume Studi e saggi sulla letteratura italiana dei primi secoli (Milano-Napoli 1954), che, con il postumo Cento e Duecento (Roma 1971), offrì buona parte di quel quadro storico che sin dalle Origini avrebbe voluto comporre in un volume unitario dedicato al Duecento italiano.
A Monteverdi furono riconosciute, anche nel difficile ambiente romano, particolari doti di equilibrio, signorilità e apertura che lo resero spesso la persona più indicata anche per incarichi delicati di governo e indirizzo. Dal 1946 al 1948 e dal 1954 al 1961 fece parte del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Nel 1962 gli venne conferita la laurea honoris causa alla Sorbona, nel 1965 alla Humboldt Universität di Berlino; fu vicepresidente della Société de Linguistique Romane dal 1965 al 1967. Socio nazionale dell’Accademia nazionale dei Lincei (oltre che di varie altre accademie e istituzioni italiane e straniere), ne divenne il presidente dal 1964 alla morte, che sopravvenne l’11 luglio 1967.
A Monteverdi è intitolata la Biblioteca della facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, in cui si conserva un ricco fondo di opere a lui appartenute (le altre sono conservate alla Biblioteca Statale di Cremona).
Fonti e Bibl.: La bibliografia più completa è in A. Monteverdi, Cento e Duecento. Nuovi saggi su lingua e letteratura italiana dei primi secoli, Roma 1971, pp. 351-376, a cura di G. Gerardi Marcuzzo. Profili biografici e scientifici sono dovuti a G. Contini, Angelo Monteverdi, Discorso commemorativo pronunciato [...] nella seduta a classi riunite del 9 marzo 1968 (Celebrazioni Lincee, 10), Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1968 e A. Roncaglia, Angelo Monteverdi, in Cento e Duecento cit., pp. 309-349.