RIVALTA, Andrea
RIVALTA, Andrea. – Non ci sono notizie certe sulla data e sul luogo di nascita di questo scultore, che dal 1603 operò presso la corte sabauda sotto Carlo Emanuele I. A Torino, dimorò «verso la strada grande andando a San Lorenzo», vicino al suo atelier di scultura, allestito in un locale accanto al campanile del duomo di S. Giovanni (Baudi di Vesme, 1963-1968, III, 1968, pp. 931-933).
Rivalta, a oggi, è considerato di origini romane dalla maggior parte della letteratura artistica. Il primo a citare il «valoroso giovane scultore romano, di grande aspettatione, chiamato Andrea Rivalto» fu Federico Zuccari quando, nel 1606, era nella capitale sabauda per la decorazione ad affresco della galleria reale che collegava palazzo Madama al vecchio palazzo ducale e fu distrutta da un incendio nel 1659 (Heikamp, 1958a, pp. 47 s., 61 n. 30; 1958b, p. 55 n. 59; Kliemann, 1999, pp. 317 s.). Lo studio di Alessandro Baudi di Vesme si pose in continuità, mentre Luigi Mallé ritenne Rivalta probabilmente di origini milanesi, riconoscendo nello stile scultoreo un’appartenenza al tardo manierismo lombardo (Scultura, 1963, pp. 25 s.) e contestualizzando l’attività dello scultore entro quel gusto artistico che si diffuse alla corte di Carlo Emanuele I. È possibile che l’origine milanese sia stata suggerita dallo stesso Baudi di Vesme, che ipotizzò l’identificazione con un certo Andrea Rinaldi, attivo nel cantiere del Duomo di Milano tra il 1592 e il 1602 e autore di statue di santi per gli altari (Baudi di Vesme, 1963-1968, III, p. 935). Tuttavia, in mancanza di apporti documentari, non è da escludere che Rivalta fosse di origini piemontesi e fosse definito romano per la sua formazione nella città capitolina, come era di comune usanza per i giovani artisti.
L’attività di Rivalta presso la corte sabauda iniziò il 1° ottobre 1603 come scultore della Real Casa con uno stipendio di «50 ducatoni al mese» (Archivio di Stato di Torino, Controllo Patenti, reg. 67, f. 168). I rimborsi da lui ottenuti nel 1607 per «comprar legna e carbone per far cuocere una fornasata di modelli fatti per servizio di S.A.» potrebbero essere riferiti all’ambizioso progetto di Carlo Emanuele per la risistemazione del cosiddetto regio parco, che, circondato dai fiumi Po, Dora e Stura, sarebbe diventato una penisola verde dedicata ai valori dell’«Etica di Aristotele» (Heikamp, 1958a, pp. 47 s.). Il progetto, affidato all’architetto Ascanio Vitozzi, prevedeva la presenza di «grotte per fontane», per le quali Rivalta eseguì le figure dei tre fiumi. Il termine ante quem della loro realizzazione è fornito ancora da Zuccari il quale, a proposito del giardino, testimonia che «S.A. […] vi fa fare tre gran statue in figura di marmo da […] Andrea Rivalto» (p. 51).
È possibile che tali statue siano le stesse, del Po e della Dora, descritte dalla relativa Prosopopeia nella Galeria del cavalier Giovan Battista Marino, edita nel 1664 (ibid., p. 62 n. 37). A queste figure di fiumi si aggiunge la statua marmorea a grandezza naturale del Tanaro, citata nell’Inventario del Giardino Reale del Castello del 1631 (Angelucci, 1878, p. 51). Probabilmente si tratta della stessa opera destinata nel 1610 agli apparati del Carnevale di Torino, per il quale Rivalta fu coinvolto insieme agli scultori Orazio Astegiani, Giacomo e Ludovico Vanello e Alessandro Audisio (Bava, 1995, pp. 168 s.).
Per il corredo scultoreo del giardino del palazzo ducale, di cui facevano parte busti e frammenti antichi e figure zoomorfe e antropomorfe a ornamento delle diverse fontane (Cornaglia, 2013, pp. 466-468), Rivalta eseguì la statua raffigurante Pino (il fedele cane di Carlo Emanuele I), come registra il già citato inventario (Angelucci, 1878, p. 54).
Lo scultore fu impiegato per il restauro delle statue antiche e moderne di cui la collezione del re si arricchiva sempre più. I numerosi frammenti marmorei e calchi in gesso trovati nel suo atelier testimoniano che l’attività principale di Rivalta, e dell’allievo Giovanni Domenico Dadei (Baudi di Vesme, 1963-1968, II, pp. 391 s.), consistette principalmente nell’integrazione di statue, che provenivano da Venezia, Roma e Genova. In particolare, Rivalta si occupò della sistemazione di quelle che giunsero da Genova entro il 1608, destinate alle molteplici opere decorative in onore dei matrimoni delle principesse sabaude Margherita e Isabella rispettivamente con i duchi di Mantova e di Modena (ibid., III, p. 935; Bava, 1995, pp. 155 n. 69, 157, 158 n. 79).
Seguirono un pagamento nel 1609 «per accomodar statue da portare a Millefonti», uno del 1610 «per accomodar altre vecchie che devono servire per la festa da farsi sopra la piazza del Castello», e, infine, una ricevuta del 1619 «per accomodar le due statue grandi nell’entrata del ponte del Castello», attuale palazzo Madama (Archivio di Stato di Torino, Camerale Piemonte, Fabbriche e fortificazioni, art. 180, reg. 3, nn. 885, 2459, 2652). A testimonianza del restauro di opere moderne ricorre la presenza, nello studio dello scultore, dei frammenti di una statua di Venere che la critica ipotizza essere la figura realizzata nel 1572 da Francesco Mosca, detto il Moschino, per la decorazione di una fontana del giardino (Camerale Piemonte, Consegne diverse, art. 553, m. 4, Inventari di beni, Descrizione et Inventario dei mobili; Bava, 1995, p. 149).
Al 1619 risale l’opera di maggior importanza del corpus dell’artista, la monumentale statua equestre del duca Emanuele Filiberto. Già nel 1583 Carlo Emanuele aveva tentato invano di acquistare il cavallo scolpito a Roma da Daniele da Volterra per il monumento parigino di Enrico II re di Francia. Dopo un primo tentativo di coinvolgere lo scultore toscano Pietro Tacca, legato ai numerosi impegni nel granducato, la commissione del gruppo scultoreo passò a Rivalta. La sua scarsa esperienza nella gettatura in bronzo assicurò al luganese Federico Vanello la realizzazione del corpo del duca sul modello di Rivalta. Il cavallo rimase a lungo nello studio dello scultore anche dopo la sua morte (Archivio di Stato di Torino, Camerale Piemonte, Fabbriche e fortificazioni, art. 201, reg. 1, c. 5v) e soltanto nel 1663 fu collocato a palazzo reale (i cui lavori iniziarono nel 1646) all’interno di una nicchia sotto il portico (art. 196, II, Registro delle spese fatte nella fabrica del Palazzo Reale).
Per quest’occasione la statua venne riadattata in onore di Vittorio Amedeo I, con la sostituzione della testa e delle mani marmoree, scolpite da Rivalta, con nuove in bronzo (Baudi di Vesme, 1963-1968, III, p. 934, indica come autore un certo scultore La Fontaine). L’impianto formale del gruppo rievoca quello del modello che Tacca inviò alla corte sabauda e che oggi è conservato al castello di Löwenburg, a Kassel. Tale legame con il linguaggio tardocinquecentesco dello scultore fiorentino e, più in generale, gli orientamenti di gusto della corte sabauda suggerirono a Luigi Mallé un certo michelangiolismo nelle figure dei prigioni al di sotto del cavallo e un accenno di tardo manierismo lombardo-ligure. Nella composizione convivono legami con un linguaggio plastico propriamente cinquecentesco insieme a sperimentazioni di slancio più aggiornato, manifeste nel vigore e nel movimento del cavallo. Soltanto nel 1867 la critica restituì l’opera a Rivalta grazie allo studio di Angelo Angelucci (1867, pp. 326-348), che smentì le precedenti attribuzioni del gruppo a Giambologna insieme a Pietro Tacca (Derossi, 1781, p. 97), a Guglielmo Dupré (Paroletti, 1819, p. 41) e addirittura a Michelangelo (Bartoli, 1776, p. 36).
Sempre nel 1619, inoltre, fu realizzata la figura di Colosso o Gigante per l’allestimento scenografico in occasione della festa in piazza Castello in onore dell’arrivo di Maria Cristina di Francia, di cui rimane testimonianza nel dipinto di Antonio Tempesta, oggi alla Galleria Sabauda a Torino (Scultura, 1963, p. 25).
Il grande gruppo equestre del duca non fu l’unica opera in cui Rivalta si confrontò con la gettatura in bronzo: sul mercato antiquario è comparso infatti un bronzetto firmato dall’artista («A. Rivalta») rappresentante La battaglia dei Lapiti e dei centauri, in patina scura su base di marmo rosso (Sotheby’s, 1974).
La piccola opera si lega a una tradizione di bronzetti da collezione privata che ebbe il massimo successo con le manifatture di Giambologna e che proseguì con gli allievi Tacca e Antonio Susini; un genere, dunque, legato a una tradizione cinquecentesca di ambito fiorentino e alimentato dal raffinato mecenatismo mediceo. Tuttavia, l’intensità scultorea con cui è impressa la forza muscolare del centauro e del lapita rivela l’appartenenza a un linguaggio secentesco, databile al primo ventennio del XVII secolo.
La morte di Rivalta a Torino nel 1624 è accertata dall’inventario dei suoi beni, che fu redatto pochi giorni dopo la sua scomparsa, il 29 aprile di quell’anno, alla presenza del segretario di corte Michele Forneri, del consigliere di Stato, il conte Giovanni Francesco Avogadro, e del soprintendente generale di tutte le fabbriche, il conte Carlo di Castellamonte (Angelucci, 1878).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Camerale Piemonte, Consegne diverse, art. 553, m. 4, Inventari di beni ed effetti e atti di cura e tutela; Camerale Piemonte, Fabbriche e fortificazioni, art. 180, reg. 3, nn. 885, 2459, 2652; art. 182, reg. 1, III, nn. 256, 460, 556, 557, 564, 596; art. 196, II, Registro delle spese fatte nella fabrica del Palazzo Reale; art. 201, reg. 1, c. 5v; Controllo Patenti, reg. 67, f. 168.
La Galeria del cav. Marino. Distinta in Pitture, e Sculture (1664), Venezia 1675, p. 300; F. Bartoli, Notizia delle pitture, sculture ed architetture, che ornano le chiese, e gli altri luoghi pubblici..., I, Tomo primo, che contiene il Piemonte, il Monferrato, e parte del Ducato di Milano, Venezia 1776, p. 36; O. Derossi, Nuova guida per la città di Torino, Torino 1781, p. 97; M.V. Paroletti, Turin et ses curiosités..., Turin 1819, p. 41; L. Cibrario, Storia di Torino, II, Torino 1846, p. 456; A. Angelucci, Il cavallo di marmo nella scala primaria del Palazzo Reale di Torino rivendicato a’ suoi veri artefici, in Rivista contemporanea nazionale italiana, XV (1867), 51, f. 169, pp. 326-348; Id., Arti e artisti in Piemonte: documenti inediti con note, Torino 1878; N. Gabrielli, Rivalto, Andrea, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVIII, Leipzig 1934, p. 394; D. Heikamp, I viaggi di Federico Zuccaro, in Paragone. Arte, IX (1958a), 105, pp. 40-63; Id., I viaggi di Federico Zuccaro, II, ibid., IX (1958b), 107, pp. 41-58; Scultura, a cura di L. Mallé, in Pittura scultura arazzi, vol. II di Mostra del barocco piemontese (catal.), a cura di V. Viale, Torino 1963, pp. 25 s.; A. Baudi di Vesme, Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, I-III, Torino 1963-1968, s.v. e passim; Le sculture del Museo d’arte antica, a cura di L. Mallé, Torino 1965, pp. 41 s.; N. Carboneri, Il parco di Viboccone, in Id., Ascanio Vitozzi, un architetto tra Manierismo e Barocco, Roma 1966, pp. 159-169; Sotheby’s of London, Catalogo di mobili ed oggetti d’arte (catal. d’asta, Firenze, palazzo Capponi, 24 ottobre 1974), Firenze 1974, pp. 92 s.; E. Bénézit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs..., VIII, Paris 1976, p. 782; A. Nava Cellini, La scultura del Seicento, Torino 1982, p. 215; A.M. Bava, Antichi e moderni: la collezione di sculture, in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano, Torino 1995, pp. 135-210; Storia di Torino, a cura di F. Bolgiani, III, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato, 1536-1630, a cura di G. Ricuperati, Torino 1998, pp. 324 s.; J. Kliemann, Federico Zuccari e la Galleria grande di Torino, in Der Maler Federico Zuccari [...] Akten des internationalen Kongresses..., Rom-Florenz... 1993, a cura di M. Winner, München 1999, pp. 317-346; P. Cornaglia, La costruzione dell’identità ‘italiana’ del Ducato di Savoia a cavallo tra XVI e XVII secolo: il ruolo dei giardini, in Architettura e identità locali, I, a cura di L. Corrain - F.P. Di Teodoro, Firenze 2013, pp. 455 s., 466-468, 470, 475.