LIPPI, Andrea
Nato a Pistoia il 4 febbr. 1888, il L. era figlio di Artemisia Bartoli e di Pietro, fonditore proprietario di un'attività nota in tutta Italia. Il mestiere paterno determinò sin dall'inizio il suo interesse nei confronti della scultura, complici anche i preziosi suggerimenti di L. Bistolfi e D. Calandra, artisti di rilievo nazionale che frequentavano la bottega familiare. Il L., inoltre, nutriva spiccati e non comuni interessi letterari e poetici che lo portarono a conoscere gli scritti di Ch. Baudelaire, D. Alighieri, E.A. Poe e W. Shakespeare, dai quali in più di un'occasione trasse ispirazione.
Ancora fanciullo - aveva meno di dieci anni - realizzò un elaborato Vassoio porta biglietti (Pistoia, collezione Lippi Corti) in bronzo sbalzato e cesellato. L'oggetto nacque come regalo per l'onomastico del padre, a testimoniargli i propri sentimenti di affetto e stima; la politezza delle linee, riscontrabile nelle figure danzanti che animano la decorazione, e l'alto livello di rifinitura del prodotto non potevano ancora suggerire il futuro stile dello scultore, eminentemente sintetico ed essenziale; tuttavia il vassoio valse a dimostrare il precoce talento del fanciullo.
Nel 1906 si iscrisse al Regio Istituto di belle arti di Firenze ove seguì le lezioni di A. Rivalta e A. De Carolis; ebbe per compagno di studi un conterraneo conosciuto alla libera scuola di nudo, L. Viani, che gli sarebbe rimasto intimo amico per la vita. Terminato l'alunnato accademico nel 1910 con un soggiorno premio a Venezia, partecipò al concorso indetto in quella città per la medaglia commemorativa della caduta (1902) e riedificazione (1912) del campanile di S. Marco; i suoi due bozzetti (Pistoia, collezione Lippi Corti e istituto statale d'arte P. Petrocchi) furono giudicati i migliori, ma non fu dichiarato vincitore assoluto; ottenne invece un premio d'incoraggiamento di 300 lire.
Il tema della Caduta è affrontato con un contrasto tra le due facce della medaglia: incisi sul recto, i cavalli della basilica veneziana, vicini al campanile e miracolosamente scampati al crollo, stridono con le macerie rappresentate sul verso, mentre la Riedificazione si concentra unicamente sulla presenza di vittorie alate che annunciano al mondo il fausto evento. Il giudizio complessivo della giuria volle premiare l'abilità del L., che non fu tuttavia esente da critiche rivolte alla mancanza di armonia e di equilibrio nelle composizioni; soltanto dopo alcuni decenni fu rivalutata la libertà compositiva dello scultore, capace di comunicare "un ritmo squisito, di una finezza che denota in lui l'attento osservatore di eleganze manieristiche più che quattrocentesche" (Parronchi, 1958, p. 66).
Tornato a Pistoia, si mise a lavorare con il fratello Ulisse; ma poco dopo si trasferì per quattro mesi a Firenze. A questo periodo risale una serie di placchette bronzee di vario soggetto, tra le quali spiccano quelle raffiguranti Icaro e Le Parche (Pistoia, collezione Lippi Corti).
In entrambe si palesa un'attenta meditazione sulla scultura rinascimentale toscana, soprattutto nell'impiego dello "stiacciato" che consente un modellato appena affiorante dalle lastre. Ma mentre con abilità da xilografo il L. scarnifica la massa plastica del giovane in caduta libera risparmiandone soltanto la coscia destra, nelle Parche privilegia una maggiore emersione dei volumi e un tratto più largo, puntando piuttosto al contrasto fra le tre megere sullo sfondo e l'infante paffuto in primo piano sulla sinistra. Se è vero che il richiamo alla tradizione e ai primitivi implica "il riconoscimento dell'identità nazionale dell'arte in senso spirituale" (Morozzi, p. 153), la scelta dei due temi - Icaro punito dal destino e la precarietà dell'esistenza affidata alle Parche - denuncia la completa assimilazione degli stimoli forniti al L. dal simbolismo e dalle correnti artistiche circolanti in Europa a cavallo dei due secoli. In questo modo trova giustificazione l'inquietante mondo onirico dello scultore, popolato da personaggi definiti da una linea nervosa ed esasperata.
Sempre al periodo fiorentino risale la prima opera rilevante del L., il gesso dal titolo La Chimera che opprime l'uomo (Pistoia, istituto statale d'arte P. Petrocchi), ispirato al poemetto baudelairiano Chacun sa chimère ed esposto in occasione della X Biennale di Venezia, nel 1912.
La composizione sembra seguire fedelmente il testo, scegliendo di comunicare un senso di assoluta precarietà, fisica ed esistenziale. L'avvolgente creatura alata incombe sulla solida figura umana d'ascendenza michelangiolesca e ne mina la stabilità; il profondo smarrimento si riassume nello sguardo dell'uomo, che vive nella speranza e nel tormento di poter raggiungere altrove qualcosa che non è su questa Terra.
Ricevuto un premio di 2000 lire dal Pensionato artistico di Roma nel 1911 per il gruppo degli Ignudi (Roma, collezione privata), nel 1913 presentò a Bologna il bronzo Le campane (Pistoia, collezione Lippi Corti) in occasione del concorso Baruzzi, ancora una volta una trasposizione letteraria, ma da Poe e dalla poesia omonima.
Stando alle parole dello stesso L. scritte nella relazione che accompagnava il bozzetto (in Parronchi, 1980, pp. 152 s.), l'opera, estremamente allungata e in alcuni punti volutamente sproporzionata, sarebbe il "riflesso della mia vita interiore musicale nota di un sogno che ho seguito e amato da solo nel mio pensiero […] la distanza e la posizione delle teste e delle mani l'inclinazione delle braccia certe rotondità di forma ed apparenti sproporzioni volute rappresentano la forma del suono allo stesso modo che la forma fisica di un uomo corrisponde perfettamente alla sua interiore personalità".
Sempre nel 1913 licenziò per il Pensionato artistico romano il gesso Scioperanti (Pistoia, istituto statale d'arte P. Petrocchi), poi rifiutato alla I Mostra invernale toscana per eccesso di misura.
È quasi la rivisitazione di un disegno, di poco precedente, dell'amico Viani. La forma notevolmente affusolata e ricurva dell'opera rende quasi difficile l'individuazione della figura maschile che s'accolla sulla schiena il cadavere del figlioletto, mentre ai suoi piedi giacciono un ragazzetto e una madre con al collo un infante. Il plausibile riferimento all'Adorazione del serpente di bronzo del manierista V. Danti, indicato da Parronchi (1980), è qui surclassato dalla potente istanza sociale, che emerge a voler difendere eroi tutt'altro che romantici, martiri del lavoro, ricavati nel gesso per giustapposizione di zone variamente illuminate e definite.
Il 1913 fu anno cruciale per il L. poiché la morte del padre, avvenuta nell'ottobre, lo costrinse a occuparsi della fonderia familiare insieme con i fratelli. L'anno seguente scelse di partecipare sia alla mostra della Secessione romana, invitato da P. Nomellini e G. Chini, sia all'XI Biennale veneziana con I Titani, bassorilievo in gesso formato di due parti, entrambe conservate a Pistoia, istituto statale d'arte P. Petrocchi.
Apparentemente non legato ad alcuna rassegna ufficiale è lo splendido bronzetto con la Deposizione dalla Croce, la cui versione nella collezione pistoiese Lippi Corti (modello in gesso conservato a Pistoia, istituto statale d'arte P. Petrocchi) è soltanto uno dei cinque esemplari ottenuti da un unico bozzetto in cera, datato circa 1913. Il tema cristologico entra più volte a far parte della sua produzione, in quanto consente una partecipazione totale al dolore legato all'evento sacro; e in effetti lo scultore ha qui creato un capolavoro di ritmo, in cui le figure sono coinvolte in un andamento ascensionale e circolare, con movimenti cadenzati dall'alternarsi di ombra e luce.
Il L. partecipò ad altre mostre nel 1915: a Firenze, a Torino, a Pistoia e al concorso Curlandese di Bologna, che lo vide al primo posto.
Il L. morì a Pistoia il 25 genn. 1916.
Fonti e Bibl.: L. Viani, Un artista scomparso: A. L., in Riv. illustrata del Popolo d'Italia, III (1925), 2, pp. 42-45; A. Parronchi, A. L. (1888-1916), in Paragone, IV (1953), 37, pp. 18-36; Id., Artisti toscani del primo Novecento, Firenze 1958, pp. 58-91; V. Melani, Settimana dell'arte moderna. Retrospettiva di A. L., Pistoia 1964; A. Parronchi, Due artisti innovatori nella Pistoia del primo Novecento, in La città e gli artisti: Pistoia tra avanguardie e Novecento (catal., Pistoia), a cura di C. Mazzi - C. Sisi, Firenze 1980, pp. 142-161; R. Morozzi, Menabò per A. L., in A. Serafini et al., Il linguaggio della passione in L. Viani e A. L.: la lezione di Giovanni Pisano, altre fonti, letture e scritti, Lucca 1995, pp. 139-169.